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2 / 2011
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Limiti costituzionali alla stabilizzazione nel lavoro pubblico Irragionevole disparità di trattamento tra parto a termine e parto prematuro La Cassazione e il cosiddetto «tempo tuta»
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Risarcimento danni da decesso provocato da mesotelioma pleurico insorto a causa di esposizione lavorativa ad amianto
La sentenza emarginata concerne il risarcimento dei danni patiti iure hereditario e iure proprio dagli eredi di un dipendentdella S. Spa deceduto per mesotelioma pleurico provocato da esposizione ad amianto e conferma il risarcimento disposto dalla Corte di Appello di Taranto ' sez. dist. di Lecce in complessivi euro 300.000,00, di cui euro 250.000,00 per il danno biologico sofferto dal de cuius e integralmente trasferito agli eredi e ulteriori euro 50.000,00 per danno morale in favore del solo coniuge superstite. La decisione, pur succintamente motivata, si segnala per avere trattenuto la competenza della sezione lavoro sia sulla domanda proposta iure hereditario che sulla domanda proposta iure proprio dagli eredi, che la giurisprudenza dominante assegna invece alle sezioni civili e assoggetta al pagamento del contributo unificato e bolli costringendo la proposizione di due differenti giudizi; per avere, altresà, condiviso la liquidazione forfetaria e commisurata al valore vita del danno da decesso (euro 250.000,00) prescindendo dalla durata del periodo di sopravvivenza alla malattia (nella specie molto breve), laddove la giurisprudenza dominante la parametra in misura a una sorta di indennità per inabi- lità temporanea, determinando sovente risarcimenti maggiori ai lavoratori sopravvissuti alla malattia rispetto a quelli spettanti ai lavoratori deceduti. Si segnala, infine, per l'orientamento restrittivo in tema di prova del danno morale, cioè delle effettive sofferenze patite dai congiunti, assegnando solo euro 50.000,00 in più al coniuge.
Eziologia professionanale del carcinoma renale in presenza di rischi multifattoriali
La Corte di Appello di Lecce all'esito dell'espletamento di ben tre perizie medicolegaliha deciso di riconoscere la eziologia professionale del carcinoma renale di cui soffriva il de cuius, lavoratore dipendente di aziende di appalto dello Stabilimento Siderurgico di Taranto e poi del Petrolchimico di Brindisi. Le indagini epidemiologiche e i rilievi di scienza hanno appurato che la malattia dipendeva dalla esposizione ad amianto, idrocarburi e radiazioni ionizzanti, fattori di rischio tutti presenti negli ambiti lavorativi. La decisione di primo grado del tribunale di Brindisi e le prime due perizie avevano disconosciuto la eziologia, ritenendola solo «possibile», ma la Corte di Appello ha ritenuto che le uniche serie causali provate nel processo erano quelle che conducevano all'ambiente di lavoro e che pertanto doveva essere riconosciuta la malattia professionale per assenza di prova del concorso di altri fattori extralavorativi.
Risarcimento danni da ritardo accertamento capacità residue di lavoro
Il Ministero della istruzione, università e ricerca è stato condannato a risarcire tutti i danni patiti da una docenteche aveva chiesto di essere adibita a mansioni collaterali all'insegnamento, in quanto collocata di ufficio in malattia sino al termine degli accertamenti sanitari della inabilità , anziché essere in tempi ragionevoli utilizzata in mansioni compatibili con il suo stato di salute. Gli accertamenti sono durati sei mesi e hanno determinato la riduzione dello stipendio al 50%. Si è sostenuto che il ritardo non poteva essere imputato alla lavoratrice, la quale non aveva scelto di assentarsi per malattia, ma aveva chiesto di essere adibita da subito a mansioni compatibili con il suo stato di salute. La Corte, riformando la decisione di primo grado, ha accolto la domanda della ricorrente affermando il principio che il peso della burocrazia non può essere addossato e sofferto dal disabile e cosà attribuendole il diritto al pagamento delle differenze retributive spettanti tra lo stipendio integrale e quanto percepito per effetto delle illegittime decurtazioni
Eziologia professionale del carcinoma papillare della vescica e schede di tariffa Inail
Il giudice del lavoro di Brindisi, adito dalla vedova di un lavoratore del Gruppo B. di Tarantodeceduto per carcinoma papillare della vescica, all'esito della consulenza medico legale, decideva di riconoscere la sussistenza della tecnopatia che aveva determinato la morte del de cuius, in quanto addetto in azienda metalmeccanica quale operaio forgiatore, carpentiere in ferro e saldatore. Il giudice ha ritenuto la patologia ascrivibile al punto 33) sub c) della tabella delle malattie professionali dell'industria di cui al d.m. 9 aprile 2008 e connessa alla voce di tariffa Inail 6240 (lavorazione metalli, tornio, trapano, fresa).
Danno da dequalificazione professionale
Il giudice del lavoro di Taranto decide una controversia in tema di risarcimento danni da dequalificazione professionale.Il ricorrente, assunto come guardia giurata, era stato comandato a svolgere lavori di pulizia industriale, guardia tubazione e applicato al quadro sinottico per circa due anni e mezzo. Il risarcimento è stato liquidato in euro 18.800,00 oltre interessi e rivalutazione. Il precedente è importante perché reso in tema di illegittimo esercizio dello ius variandi senza un effettivo pregiudizio retributivo, che si è però tradotto in danno definito «patrimoniale alla professionalità » in quanto incidente sul «bagaglio professionale», ossia sul complesso delle competenze tecnico-professionali che a cagione del mancato esercizio si depauperano. Il giudice adito ha ritenuto equo stimare tale voce di danno, considerato la retribuzione percepita dal danneggiato, in una somma pari a euro 500,00 mensili. La richiesta di corresponsione dell'ulteriore titolo di danno definito «esistenziale «è stata invece rigettata per mancato assolvimento dell'onere della prova di una patita modificazione peggiorativa degli assetti relazionali.
LEGGE N. 10 26 FEBBRAIO 2011
Il cd. decreto milleproroghe, convertito con legge 26 febbraio 2011, n. 10interviene anche su disposizioni aventi a oggetto la materia lavoro, prorogandone i termini di efficacia. In particolare l'art. 1 dispone la proroga dei termini in materia di stabilizzazioni e assunzioni previsti dall'art. 17, commi 15, 16 e 17 della legge n. 102/09, dall'art. 3, comma 102, della legge n. 244/07 e dall'art. 66, commi 9-bis, 13 e 14 della legge n. 133/08. Ulteriore proroga riguarda l'efficacia delle graduatorie dei concorsi pubblici per le assunzioni a tempo indeterminato, relative alle amministrazioni pubbliche soggette a limitazioni delle assunzioni, approvate successivamente al 30 settembre 2003. L'art. 1, poi, con riferimento alle assunzioni Ispra, proroga l'applicazione dell'art. 3, comma 1, legge n. 13/09, secondo cui: «L'art. 1, comma 347, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, si interpreta nel senso che l'autorizzazione ad assumere ivi prevista spiega effetto nei confronti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) fino al completamento delle relative procedure, a condizione che le stesse siano concluse entro il 31 dicembre 2009». In relazione al lavoro accessorio, il decreto milleproroghe prevede, anche per il 2011, la possibilità che le prestazioni di lavoro accessorio siano rese anche da parte di prestatori di lavoro titolari di contratti di lavoro a tempo parziale, con esclusione della possibilità di utilizzare i buoni lavoro presso il datore di lavoro titolare del contratto a tempo parziale, precisando che le stesse possono essere rese in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, e nel limite massimo di 3.000 euro per anno solare, pure da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito. Per quanto riguarda invece le prestazioni previdenziali a sostegno del reddito, il citato art. 1 del d.lgs. n. 225/2010, prevede che anche nel 2011 saranno disponibili le risorse del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del d.l. 20 maggio 1993, n. 148 (convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 236), pari a 304 milioni di euro da destinare a determinate prestazioni di tutela del reddito in caso di sospensione dal lavoro, con riconoscimento della contribuzione figurativa e degli assegni al nucleo familiare. L'art. 2, comma 4-quinquiesdecies, della legge n. 10 del 2011 stabilisce che fino al 31 dicembre 2011, per le controversie in materia di lavoro davanti alla Corte di Cassazione, non è dovuto il pagamento del contributo unificato. In via transitoria, fino alla fine del 2011, quindi, troverà applicazione la disciplina del Testo Unico Giustizia (d.P.R.115/2002) previgente rispetto alla legge Finanziaria 2010. (Gazzetta Ufficiale, 26 febbraio 2011, n. 47)
Astensioni spontanee: limiti ed effetti della valutazione negativa della commissione
La Commissione ha ritenuto che, nel caso in cui l'organizzazione sindacale che abbia proclamato uno sciopero in violazione delle regole di rarefazionela stessa non possa esser sanzionata se dimostra di aver revocato in tempo utile lo sciopero irregolarmente proclamato, anche se i lavoratori si siano egualmente astenuti dall'attività di lavoro. La Commissione ha applicato in questo caso il proprio orientamento espresso con delibera n. 08/518, adottata nella seduta del 16 ottobre 2008, «nel caso di astensioni spontanee collettive di lavoratori in relazione alle quali non sia possibile individuare il soggetto promotore, la Commissione, riscontrata l'illegittimità dell'astensione, inviterà il datore di lavoro ad adottare i previsti provvedimenti disciplinari». Non essendo, dunque, qualificabile come soggetto proclamante l'organizzazione sindacale che ha revocato la proclamazione, la Commissione ha invitato l'azienda ad adottare i provvedimenti disciplinari a carico di tutti i lavoratori che si sono astenuti arbitrariamente dalle prestazioni lavorative nella giornata dello sciopero irregolarmente proclamato.
crediti insoluti – esclusione dal privilegio
Distacco
Gli articoli 56 TfUe e 57 TfUe non ostano a che uno Stato membro subordinidurante il periodo transitorio di adesione all'Unione Europea dei nuovi Stati membri, il distacco di lavoratori cittadini polacchi sul suo territorio al rilascio di un permesso di lavoro. Ciò è possibile ai sensi dell'art. 1, n. 3, lett. c), della direttiva 96/71/Ce, relativa appunto al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi.
Interpretazione autentica del comma 2 dell’art. 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407
Fondo per il diritto al lavoro dei disabili e trattamento di dati sensibili
Il decreto interministeriale 4 febbraio 2010 ha stabilito i criteri e le modalità per la ripartizione fra le Regioni e le Province autonomedelle disponibilità del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili. Il decreto stabilisce: «Le regioni e le province autonome comunicano entro il 28 febbraio di ogni anno, al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali il punteggio assegnato per ciascuna richiesta ritenuta ammissibile, indicando altresà nella comunicazione: ragione sociale; partita Iva o codice fiscale del datore di lavoro privato; codice fiscale del disabile assunto; percentuale di riduzione della capacità lavorativa del disabile assunto o minorazione ascritta alle categorie di cui alla tabella del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978. n. 915 e successive modifiche; presenza di handicap intellettivo e psichico, indipendentemente dalla percentuale di invalidità ; data di assunzione; tipologia di convenzione; ammontare del costo salariale annuo del disabile assunto. Il medesimo decreto prevede che le Regioni e le Province autonome trasmettano, entro il 31 ottobre di ogni anno, al Ministero, per il successivo inoltro all'Unione Europea, una relazione recante, fra l'altro, l'indicazione dei seguenti dati: «codice fiscale del lavoratore assunto, sesso, cittadinanza, titolo di studio, percentuale di riduzione della capacita lavorativa o minorazione ascritta alle categorie di cui alla tabella del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915 e successive modificazioni, ovvero presenza di handicap intellettivo o psichico, indipendentemente dalla percentuale di invalidità ». È stata presentata una proposta di modifica del decreto in questione espungendo dagli artt. 2, comma 4, e 6, comma 2, ogni riferimento a dati identificativi delle persone disabili e inserendo in quest'ultima disposizione un rinvio espresso alle norme europee cui le relazioni delle Regioni devono conformarsi (Regolamenti della Commissione nn. 800/2008 e 794/2004). A completamento della disciplina, la proposta intende aggiungere un nuovo comma volto a prevedere espressamente, in capo alle Regioni e alle Province autonome, l'obbligo di conservazione dei dati dettagliati relativi agli incentivi erogati in virtù dell'art. 13 della legge 68/99; ciò, al fine di renderli disponibili sia per i controlli in ambito europeo, sia per le verifiche e valutazioni da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ai sensi dell'art. 13, comma 10, delle legge n. 68/1999. Il Garante ha espresso una valutazione positiva di queste modifiche da apportare al decreto volte a espungere ogni riferimento a dati identificativi delle persone disabili cosà da rendere il decreto conforme al quadro normativo vigente in materia, anche europeo.
Accesso al mondo delle professioni dei laureati in biotecnologie
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha formulato alcune osservazioni in merito ad alcune questionirelative all'accesso al mondo delle professioni dei laureati in biotecnologie. L'Autorità ha rilevato che i titoli di studio di laurea triennale e magistrale in biotecnologie non hanno ancora ricevuto il riconoscimento necessario a garantire ai possessori di una laurea in biotecnologie la possibilità di svolgere un ampio numero di mansioni per le quali i biotecnologi sarebbero titolati sulla base delle declaratorie delle classi di laurea e del percorso di studio effettivamente svolto. Tale situazione risulta idonea a produrre significativi effetti di natura anticoncorrenziale, in quanto impedisce a intere categorie di soggetti ' appunto tutti i laureati in biotecnologie ' la possibilità di competere per lo svolgimento di mansioni che, invece, rientrano pienamente nell'ambito delle competenze tipiche della laurea in biotecnologie. L'assenza di una regolamentazione organica della materia ha contribuito a rendere particolarmente incerte le prospettive professionali di titolari di una laurea in biotecnologie: essa non gode, infatti, di un generale riconoscimento quale titolo di per sé legittimante alla partecipazione ai concorsi per l'accesso al pubblico impiego, pur essendo pacificamente ammessa l'esistenza di analogie nelle competenze di base tra il curriculum del laureato in biotecnologie e altri curricula universitari quali, ad esempio, le lauree in biologia, in scienze e tecnologie agrarie e in chimica, circostanza testimoniata, inoltre, dalla presenza di un significativo livello di sovrapposizione con gli ambiti disciplinari che caratterizzano altri percorsi di studio del settore scientifico. L'Autorità ha censurato il fatto che la mancata definizione della stessa figura professionale del biotecnologo possa incidere negativamente anche sulle possibilità e sulle condizioni d'accesso al mondo delle libere professioni regolamentate. Ciò, ad avviso dell'Autorità , è soltanto temperato dalla possibilità ,,riconosciuta ai biotecnologi, di partecipare all'esame di Stato per l'accesso a determinati albi professionali, come quello dei biologi. L'Autorità ha più volte osservato che i requisiti qualitativi all'accesso nel mondo delle professioni devono essere tali da evitare che per loro tramite vengano surrettiziamente introdotte restrizioni ingiustificate da un punto di vista concorrenziale. Al riguardo, si deve evidenziare che, se una selezione anche stringente all'entrata può risultare giustificata per l'elevato grado di tecnicità che caratterizzata alcune professioni, alcune restrizioni all'accesso ' specie laddove esercitate nei confronti di soggetti sostanzialmente in possesso delle competenze richieste ' comportano dei costi eccessivi in termini di rallentamento dell'entrata nel mondo del lavoro. Ad avviso dell'Autorità , pertanto, a una valutazione concorrenziale, le restrizioni all'accesso risultino necessarie e proporzionate all'obiettivo che queste desiderano raggiungere. L'Autorità ha cosà ritenuto necessario che si addivenga a una generale e organica armonizzazione legislativa e regolamentare che risulti idonea a razionalizzare la materia nel suo complesso e ad assicurare ai laureati in biotecnologie criteri di accesso alle professioni coerenti con il percorso di studi svolto. In questo senso, l'Autorità ha sottolineato la necessità che, nel corso di tale processo, siano tenuti in opportuna e debita considerazione anche i principi della concorrenza e del libero mercato. Ciò affinché l'adozione di criteri di equipollenza tra titoli non costituisca l'occasione per introdurre barriere all'accesso nel mondo del lavoro che risultino in ultima istanza ingiustificate, non necessarie e sproporzionate rispetto all'obiettivo che si intende perseguire
CIRCOLARE N. 5 11 FEBBRAIO 2011
La circolare n. 5 del 2011 del Ministro del lavoro e delle politiche socialiricostruisce il quadro giuridico degli appalti al fine di offrire agli operatori una ricognizione delle principali problematiche attinenti l'utilizzo di tale istituto. In particolare le tematiche affrontate riguardano: la «genuinità » dell'appalto; l'appalto illecito e fraudolento; gli obblighi retributivi connessi all'utilizzazione dell'istituto; il valore degli appalti e i criteri di scelta dei contraenti; il regime di responsabilità solidale e la sicurezza del lavoro negli appalti
Vincolo del riposo infrasettimanale all’attività delle farmacie
Contratto di lavoro a tempo determinato – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro –
Previdenza sociale dei lavoratori – Ambito di applicazione ratione personae
Previdenza sociale dei lavoratori migranti – Salvaguardia dei diritti a pensione complementare
Licenziamenti collettivi – scioglimento e liquidazione della persona giuridica datrice di lavoro
lavoratori migranti – Periodo minimo richiesto dal diritto nazionale ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia
Concorrenza – Regime di rimborso complementare di spese per cure mediche
diritto di soggiorno dell’ascendente e del minore
Parità di trattamento
Una disposizione che consente agli Stati membri interessatidi mantenere senza limiti di tempo una deroga alla regola dei premi e delle prestazioni unisex, è contraria alla realizzazione dell'obiettivo della parità di trattamento tra donne e uomini perseguito dalla direttiva 2004/113 ed è incompatibile con gli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell'Ue. Di conseguenza, la disposizione suddetta deve essere considerata invalida alla scadenza di un adeguato periodo transitorio (nel caso di specie, l'art. 5, n. 2, della direttiva 2004/113 è stato dichiarato invalido con effetto alla data del 21 dicembre 2012).
Il licenziamento intimato a causa di interviste «non gradite» dall’azienda costituisce un recesso illegittimo
Indennità di frequenza e carta di soggiorno
Alla luce dei principi costituzionali viene chiesto alla Corte di dichiarare l'incostituzionalità della norma impugnataladdove prevede che l'indennità di frequenza (prestazione assistenziale per i minori di anni 18) sia subordinata al possesso della carta di soggiorno. Siamo di fronte alla proposizione di una questione che si inserisce in una serie di altre fattispecie già portate all'attenzione della Consulta e tutte accolte per violazione della Costituzione (v. soprattutto Corte Cost. 306/2008, 11/2009 e 187/2010). L'indennità di frequenza si configura tra le provvidenze economiche, che costituiscono diritti soggettivi, condizionate, alla luce dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000, alla titolarità della carta di soggiorno (ovvero del sopravvenuto permesso di soggiorno Ce per i soggiornanti di lungo periodo). Le censure della Corte d'Appello si fondano sull'asserita discriminazione dei cittadini stranieri, rispetto ai cittadini italiani, laddove la normativa sopra richiamata condiziona la concessione dell'indennità di frequenza a requisiti ulteriori rispetto a quelli richiesti ai cittadini italiani, escludendone l'erogazione per coloro che, pure in possesso di un titolo per soggiornare legittimamente sul territorio italiano, non siano titolari della carta di soggiorno. L'indennità di frequenza e' un istituto volto a promuovere, attraverso l'erogazione di un importo mensile, l'inserimento sociale e la formazione scolastica dei minori cui siano state riconosciute, dalle competenti commissioni mediche, difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell'età ovvero che siano portatori di patologie cagionanti uno stato di disabilità ; presupposto della sua concessione è, altresà, una situazione reddituale svantaggiata, essendo previsto lo stesso requisito reddituale di cui all'assegno di invalidità mensile. Trattasi di una misura di sostegno economico volta a incentivare sia la partecipazione del minore con disabilità a programmi di trattamento terapeutico che la sua frequenza scolastica allorché la situazione familiare del minore sia caratterizzata da limitate risorse economiche che potrebbero costituire un ulteriore ostacolo al superamento delle difficoltà legate alle sue condizioni di salute. Può ravvisarsi un'analogia tra la provvidenza in esame e gli istituti già interessati dalle sentenze della Corte Costituzionale sopra richiamate che hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n. 388/2000; ciò con particolare riferimento alla pensione di inabilità e all'assegno ordinario di invalidità che, analogamente, prevedono per la loro erogazione sia un requisito sanitario che un requisito economico. Da ciò il dubbio del giudice remittente circa la legittimità costituzionale del predetto art. 80, comma 19, legge cit. laddove, anche con riferimento all'indennità di frequenza, pone a carico degli stranieri il requisito del possesso della carta di soggiorno.
Il lavoratore a termine non può essere discriminato in sede di concessione di permessi studio
Un lavoratore assunto a termine dal Ministero della Giustizia si vedeva negare il diritto a fruire dei permessi studiosul presupposto che gli stessi spettavano esclusivamente al personale assunto a tempo indeterminato. Il Tribunale di Trento, con sentenza confermata in sede di appello, riconosceva al lavoratore il diritto negato dall'amministrazione affermando il carattere discriminatorio della condotta posta in essere dal Dicastero di Giustizia. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte territoriale precisando che principi comunitari vietano ogni forma di discriminazione rispetto al trattamento di chi è titolare di un rapporto a tempo indeterminato. La Suprema Corte, nel richiamare la direttiva comunitaria relativa all'Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che prevede la perfetta equiparazione tra lavoratori sul piano economico e giuridico, fatta eccezione per i trattamenti che non risultano conciliabili con il singolo rapporto a tempo determinato, ha escluso che i permessi retribuiti per motivi di studio possano essere ricondotti in tale area di oggettiva incompatibilità . I permessi di studio riguardano, infatti, un diritto fondamentale del lavoratore alla formazione e la fruizione del beneficio ricade nei diritti fondamentali della persona che viene tutelata dalla Carta costituzionale. Il tipo contrattuale non può, quindi, costituire una circostanza idonea per impedire l'accesso del lavoratore ai permessi per motivi di studio.
Avvocati – Obbligo di rispettare tariffe massime – Ostacolo all’accesso al mercato – Insussistenza
Convenzione di Roma – Contratto di lavoro – Scelta delle parti – Disposizioni della legge applicabile in mancanza di scelt
La Cassazione afferma la legittimità della clausola contrattuale che esclude la retribuibilità del cd. tempo tuta
Alcuni lavoratori di una azienda metalmeccanica adivano il Tribunale del lavoro di GenovaAlcuni lavoratori di una azienda metalmeccanica adivano il Tribunale del lavoro di Genova al fine di vedersi riconoscere nell'ambito del lavoro effettivo il tempo impiegato per indossare la tuta da lavoro. Il Tribunale del lavoro di Genova, dichiarando la nullità della clausola del Ccnl che escludeva dall'orario di lavoro tali attività preliminari accoglieva la domanda con sentenza emessa ai sensi dell'art. 420-bis cod. proc. civ. La Corte di Cassazione adita dalla società per saltum in forza dello speciale procedimento ha accolto il ricorso della società . La Suprema Corte, richiamando la giurisprudenza formatasi in materia di cd. tempo tuta, ha affermato l'erroneità del percorso interpretativo del giudice di primo grado nella parte in cui affermando la nullità della clausola ha omesso di effettuare una interpretazione della clausola contrattuale tendente a riconoscere alla disposizione negoziale un significato. La Corte, ricordando che l'attività di vestizione può rientrare nelle cd. attività preparatorie al lavoro estranee alla nozione di lavoro effettivo ove sia lasciato al lavoratore la scelta del tempo e del luogo ove indossare la divisa, ha cassato la sentenza nella parte in cui ha affermato l'invalidità della clausola senza verificare tale fondamentale accertamento. I giudici hanno, viceversa, confermato la riconducibilità del cd. tempo tuta al lavoro effettivo con diritto alla retribuibilità ove la vestizione, viceversa, sia diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione
È onere del lavoratore dimostrare il superamento del periodo di comporto è riconducibile all'ambiente di lavoro
La Cassazione chiarisce l’ambito dei controlli difensivi che richiedono l’autorizzazione preventiva
Congedo obbligatorio per parto prematuro
È illegittimo non consentire, in caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata,che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare. Una lavoratrice dipendente ' avendo avuto un parto prematuro perché la figlia, la cui nascita era prevista per il 1° luglio 2005, era venuta alla luce il 25 marzo 2005, con immediato ricovero in terapia intensiva presso il Policlinico di Palermo, da cui era stata dimessa soltanto l'8 agosto 2005 ' aveva chiesto all'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) di usufruire del periodo obbligatorio di astensione con decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall'ingresso della neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria prestazione lavorativa fino a una di tali date, ma l'Inps aveva respinto la richiesta. La Corte Costituzionale, nel dichiarare fondata la questione sollevata dal Tribunale di Palermo, ha sottolineato che il congedo obbligatorio, oggi disposto dall'art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001, senza dubbio ha il fine di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto, per consentirle di recuperare le energie necessarie a riprendere il lavoro. La norma, tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si instaura tra madre e figlio, e ciò non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino. In simili casi, com'è evidente, il fine di proteggere il rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto eluso. Tale situazione è inevitabile quando la donna, per ragioni di salute (alla cui tutela il congedo obbligatorio post partum è anche finalizzato), non possa riprendere l'attività lavorativa e, quindi, debba avvalersi subito del detto congedo. Non altrettanto può dirsi quando sia la stessa donna, previa presentazione di documentazione medica attestante la sua idoneità alle mansioni cui è preposta, a chiedere di riprendere l'attività per poter poi usufruire del restante periodo di congedo a decorrere dalla data d'ingresso del bambino nella casa familiare. In detta situazione l'ostacolo all'accoglimento di tale richiesta, costituito dal rigido collegamento della decorrenza del congedo dalla data del parto, si pone in contrasto sia con l'art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento ' privo di ragionevole giustificazione ' tra il parto a termine e il parto prematuro, sia con i precetti costituzionali posti a tutela della famiglia (artt. 29, primo comma, 30, 31 e 37, primo comma, Cost.). Quanto alla decorrenza del congedo obbligatorio dopo il parto, in caso di parto prematuro con ricovero del neonato presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, essa va individuata nella data d'ingresso del bambino nella casa familiare al termine della degenza ospedaliera.
Stabilizzazione regionale lavoro a tempo determinato
I dipendenti in servizio con contratto di lavoro a tempo determinato presso l'Agenzia per il diritto allo studio universitario,anche se assunti a seguito di selezione pubblica, non possono, al raggiungimento del requisito temporale di trentasei mesi, vedersi trasformare il contratto di lavoro a tempo indeterminato nei ruoli della medesima Agenzia. La Corte Costituzionale ha quindi accolto il ricorso della Presidenza del Consiglio sottolineando che la legittimità della norma non è assicurata dalla previsione in essa contenuta, secondo la quale gli stabilizzandi debbono essere stati a suo tempo assunti a termine «a seguito di selezione pubblica». Infatti, come la stessa Corte ha già affermato, il previo superamento di una qualsiasi «selezione pubblica» è requisito troppo generico per autorizzare una successiva stabilizzazione senza concorso, perché tale previsione non garantisce che la previa selezione abbia natura concorsuale e sia riferita alla tipologia e al livello delle funzioni che il personale successivamente stabilizzato è chiamato a svolgere (sentenze n. 235 del 2010 e n. 293 del 2009). La Corte ha quindi ritenuto violato il principio di cui all'art. 97 della Costituzione.
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