1 / 2008
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Descrizione
Incostituzionalità della disciplina del diritto di precedenza nelle assunzioni degli stagionali La Cassazione chiarisce contenuto e funzione dell'art. 420 bis cod. proc. civ. «Antisindacalità» solo potenziale o probabile avanti il Tribunale di Verona
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Il giudice può escludere che la recidiva in infrazioni disciplinari costituisca giusta causa di licenziamento
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Berardo M., dipendente dalla Srl Gelco, si è assentato per malattia inviando un certificato medico con prognosi di due giorni,ma si è assentato per tre giorni. L'azienda lo ha licenziato con motivazione riferita alla mancata giustificazione dell'assenza nel terzo giorno, contestandogli anche la recidiva, in quanto nei dodici mesi precedenti egli si era reso responsabile di due infrazioni disciplinari punite con la sanzione della sospensione. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Teramo, rilevando, tra l'altro, l'eccessività  della sanzione. L'azienda si è difesa sostenendo di avere applicato l'art. 70 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori dell'industria alimentare, secondo cui la sanzione del licenziamento può essere adottata nel caso di «recidiva in qualsiasi mancanza che abbia dato luogo a due sospensioni nei dodici mesi precedenti». Il Tribunale di Teramo ha rigettato il ricorso del lavoratore, ma questa decisione è stata integralmente riformata dalla Corte d'Appello di L'Aquila, che ha annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione di Berardo M. e condannando l'azienda al risarcimento del danno. La Corte ha rilevato che l'inadempimento che aveva provocato il licenziamento era di modesta entità  ed ha escluso che il licenziamento potesse trovare automatica giustificazione nella contestata recidiva, dal momento che quest'ultima costituisce solo un elemento da valutare ai fini del giudizio sull'adeguatezza della sanzione. In proposito la Corte ha osservato che l'azienda non aveva offerto prova in merito alle conseguenze delle precedenti infrazioni nel rapporto fiduciario con riferimento alla sua concreta collocazione nell'organizzazione dell'impresa. La Srl Gelco ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di L'Aquila per non avere ritenuto che il licenziamento fosse giustificato per effetto dalla espressa previsione di tale sanzione dell'art. 70 Ccnl per il caso di recidiva. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La previsione, da parte della contrattazione collettiva, della recidiva in successive mancanze disciplinari come ipotesi di giustificato motivo di licenziamento ' ha affermato la Corte ' non esclude il potere del giudice di valutare la gravità  in concreto dei singoli fatti addebitati, ancorché connotati dalla recidiva, ai fini dell'accertamento della proporzionalità  della sanzione espulsiva, quale naturale conseguenza delle norme degli artt. 3 della legge 15 luglio 1966, 7 Stat. lav. e 2119 cod. civ., i quali sanciscono il principio della sanzione irrogata al lavoratore ' ha osservato la Corte ' deve essere sempre proporzionata al comportamento posto in essere. Il giudice di merito dunque non è andato oltre i limiti del richiesto, in quanto era per lui doverosa la valutazione della gravità  delle infrazioni ascritte; questa valutazione, naturalmente, non poteva che essere compiuta alla luce del parametro della persistenza del rapporto fiduciario, in ragione del contenuto essenzialmente personale che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato. La valutazione circa la non violazione del rapporto fiduciario ' ha aggiunto la Corte ' costituisce accertamento di merito non censurabile in sede di legittimità  se sorretto da motivazione congrua e logicamente strutturata; nella specie la pronunzia è sostanzialmente fondata sulla mancanza di elementi idonei a compiere in maniera esaustiva detta valutazione; si consideri che la sentenza impugnata rileva che, tra l'altro, neppure è dato riscontrare quali fossero le mansioni ricoperte dal dipendente e quale posizione lo stesso occupasse nell'organizzazione aziendale del lavoro, onde poter considerare l'incidenza effettiva delle mancanze poste in atto. Di fronte a questa esaustività  motivazionale ' ha concluso la Corte ' ogni ulteriore rilievo di carattere motivazionale assumerebbe il significato di una indebita intromissione nel merito della vicenda in sede di legittimità .
Il dipendente di un patronato illegittimamente licenziato ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro
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Nicola F., dipendente del patronato Sias, è stato licenziato con motivazione riferita all'inosservanza dell'orario di lavoro e a irregolarità  nella scritturazione delle schede di presenza.Il Tribunale di Salerno, al quale egli si è rivolto, ha annullato il licenziamento in quanto ha ritenuto eccessiva la sanzione e ha ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro, in base all'art. 18 Stat. lav., condannando inoltre il patronato al risarcimento del danno. La Corte di Appello di Salerno pur confermando il giudizio di illegittimità  del licenziamento, ha escluso la possibilità  di ordinare la reintegrazione in quanto ha ritenuto il patronato Sias una organizzazione senza fine di lucro, svolgente attività  assistenziale, riconducibile alla categoria delle «organizzazioni di tendenza» che l'art. 4 della legge n. 108/90 esenta dall'applicazione dell'art. 18 Stat. lav. Pertanto la Corte di Salerno si è limitata a condannare il patronato alla riassunzione ovvero al pagamento di un'indennità  pari a cinque mesi di retribuzione. Nicola F. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Salerno per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha accolto il ricorso. Al caso in esame ' ha osservato la Corte ' non è applicabile l'art. 4 della legge n. 108/90 che sottrae all'applicazione dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori i datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività  di natura «politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione o di culto». L'attività  degli istituti di patronato e di assistenza sociale ' ha affermato la Corte ' non è politica né sindacale, perché non concorre alla composizione dei contrasti di interessi collettivi e in particolare dei conflitti relativi ai processi produttivi; funzione degli istituti, infatti, è quella di assistere i lavoratori e loro aventi causa nel conseguimento, in via amministrativa o giudiziaria, delle prestazioni previdenziali e di quiescenza, onde la loro attività  attiene non alla formazione o alla nascita, in sede legale o convenzionale, dei rapporti obbligatori a carico degli enti di previdenza o di assistenza o dei datori di lavoro, bensà all'attuazione degli stessi rapporti. In altri termini ' ha osservato la Corte ' i patronati non sono organizzazioni di tendenza, non svolgono compiti di natura politica o sindacale; come tali, non rientrano tra gli enti esonerati dall'applicazione della tutela reale in caso di licenziamento illegittimo del personale. La Corte ha cassato la decisione impugnata e, decidendo nel merito, ha confermato la sentenza di primo grado.
Legittimazione del passaggio di un lavoratore dalla categoria di impiegato a quella di operaio per evitare il licenziamento
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Nel corso di una procedura per riduzione di personale la Spa Ici ha concordato con le organizzazioni sindacaliil passaggio di tre dipendenti dalla categoria impiegatizia a quella di operai in base all'art. 4, comma 11, della legge 23 luglio 1991 n. 223: «Gli accordi sindacali stipulati nel corso della procedura di cui al presente articolo, che prevedono il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire, anche in deroga al secondo comma dell'articolo 2103 del codice civile, la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte». Uno dei tre dipendenti dequalificati, Giovanni E. addetto alla sede di Lecce ha rifiutato di svolgere le nuove mansioni di operaio ed ha offerto, presentandosi in azienda, di continuare a lavorare come impiegato. L'azienda lo ha licenziato. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Lecce sostenendo che egli non si era reso inadempiente, perché aveva offerto di continuare a lavorare con le mansioni per le quali era stato assunto e comunque aveva agito in buona fede. Il Tribunale ha annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore. Questa decisione è stata integralmente riformata dalla Corte d'Appello di Lecce la quale ha ritenuto che l'azienda si sia comportata legittimamente destinando il lavoratore alle mansioni di operaio in base all'accordo raggiunto con le organizzazioni sindacali al fine di evitare il suo licenziamento e che il lavoratore si sia reso responsabile di grave insubordinazione. Giovanni E. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Lecce per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. L'art. 4, comma undicesimo, della legge n. 223/91 ' ha affermato la Corte ' consente di assegnare mansioni anche peggiorative, senza alcuna preclusione, anche attribuendo all'impiegato quelle proprie dell'operaio e ciò si spiega, considerando che trattasi di un rimedio per evitare il licenziamento. Sul piano giurisprudenziale ' ha ricordato la Corte ' la rigidità  della disciplina complessiva dell'art. 2103 cod. civ. (recante l'assoluto divieto di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori) è stata messa in crisi dalla drammatica scelta tra perdita del posto di lavoro e conservazione dello stesso a condizioni deteriori. La primitiva risposta della giurisprudenza fu fedele al dato testuale, con la motivazione che il legislatore, con l'articolo 13 Stat. lav., che detta il nuovo testo dell'art. 2103 codice civile, ha adottato uno strumento di tutela rigido che opera in tutte le direzioni e può, in condizioni particolari, comportare anche un sacrificio per il prestatore di lavoro. Successivamente il chiaro interesse del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro è stato privilegiato prima dalla giurisprudenza di merito, e poi dalla stessa giurisprudenza di legittimità , nel senso che la nullità , sancita nell'art. 13 Stat. lav., di ogni patto contrario, non è riferibile anche all'ipotesi in cui la modifica in peius delle mansioni sia stata concordata nell'interesse del lavoratore e al fine di evitare il licenziamento del medesimo; infatti, in tale ipotesi, il patto concernente la diversa utilizzazione del lavoratore non è in contrasto con le esigenze di dignità  e libertà  della persona ma costituisce una soluzione più favorevole di quella ' ispirata ad un'esigenza di mero rispetto formale della norma ' rappresentata dal licenziamento con successiva riassunzione. Tale principio, cd. della ammissibilità  del patto di dequalificazione al fine di evitare il licenziamento, è stato successivamente ampliato al fine di ritenere legittima anche l'assegnazione datoriale unilaterale a mansioni inferiori allo stesso fine, in caso di inabilità  permanente alle mansioni, ed in mancanza di altre equivalenti. Pertanto nel caso in esame ' ha concluso la Corte ' deve ritenersi che il rifiuto delle mansioni di operaio non fosse giustificato e abbia costituito una grave insubordinazione.
Diritto del giornalista di fatto non iscritto all'albo che lavora tutti i giorni eseguendo le direttive impartitegli
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D.D. ha svolto per alcuni anni lavoro giornalistico pur non essendo iscritto all'Albo professionale,per il quotidiano «Tuttosport» edito dalla Nes Nuova editoriale sportiva, che gli ha corrisposto compensi a titolo di «collaborazione autonoma». Dopo la cessazione del rapporto, D.D. ha chiesto al Tribunale di Torino di accertare che egli aveva lavorato per la Nes in condizioni di subordinazione e che aveva diritto, per le mansioni quotidianamente svolte, al trattamento previsto dal contratto nazionale di lavoro giornalistico per il redattore. L'azienda si è difesa sostenendo che D.D. si era limitato a fornire articoli, non aveva mai partecipato all'attività  di «cucina redazionale» e comunque, non essendo giornalista professionista, non aveva diritto al trattamento previsto dal Cnlg per il redattore ordinario. Dopo aver sentito alcuni testi, il Tribunale ha accolto la domanda, condannando l'azienda al pagamento delle differenze di retribuzione maturate con riferimento al trattamento previsto dal Cnlg per il redattore. Questa decisione è stata confermata dalla Corte d'Appello di Torino che ha ritenuto indice di subordinazione il fatto che il lavoratore ricevesse ogni mattina specifiche direttive sugli articoli da scrivere, anche se poi si muoveva liberamente nell'arco della giornata, e che egli seguisse stabilmente la pallanuoto e l'atletica leggera. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per vizi di motivazione e violazione di legge. Essa ha tra l'altro sostenuto che il lavoratore non avesse diritto al trattamento di redattore ordinario perché non era giornalista professionista e che, nel valutare le risultanze istruttorie, la Corte di Torino non aveva considerato, tra l'altro, che D.D. non aveva partecipato alla «cucina redazionale». La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, osservando che la Corte di Torino aveva correttamente riconosciuto il diritto del lavoratore al trattamento di redattore in base all'art. 2126 cod. civ. Secondo tale norma la mancata iscrizione all'Albo professionisti, pur determinando la nullità  del contratto, non esclude che il rapporto di lavoro produca effetti per il tempo del suo svolgimento e che pertanto il lavoratore abbia diritto alla retribuzione per le mansioni svolte. Per quanto attiene all'accertamento della subordinazione, la Cassazione ha ritenuto che la Corte di Torino abbia adeguatamente motivato la sua decisione.
La sostituzione del titolare di una posizione di vertice nella pubblica amministrazione deve essere adeguatamente motivata
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Roberto Speciale, nominato comandante generale della Guardia di Finanza con d.P.R. del 16 ottobre 2003, dopo avere avuto contrasti con il vice ministro Vincenzo Visco,è stato convocato il 1° giugno 2007 dal ministro dell'Economia e delle Finanze che gli ha richiesto di dimettersi offrendogli in cambio la nomina a Consigliere della Corte dei Conti. Il generale non ha aderito alla proposta. Conseguentemente il Presidente della Repubblica ha emesso in data 1° giugno 2007 un decreto del seguente tenore: «Ritenuto sussistere le ragioni di massima urgenza per procedere, sulla base delle considerazioni esposte nella proposta formulata dal ministro dell'Economia e delle Finanze, di concerto con il ministro della Difesa, in data 1° giugno 2007, alla nomina del Generale Cosimo D'Arrigo a Comandante Generale del Corpo della Guardia di Finanza, in sostituzione del Generale Roberto Speciale [â?¦] decreta: Art. 1.-1. ' Il Generale C.A. Cosimo D'Arrigo è nominato Comandante Generale del Corpo della Guardia di Finanza a decorrere dalla data odierna, in sostituzione del Generale Roberto Speciale». Il gen. Speciale ha chiesto al Tar del Lazio di annullare il decreto presidenziale e di accertare il suo diritto al risarcimento del danno non solo dal punto di vista economico-professionale, ma anche sotto l'aspetto dell'immagine, della dignità  e della onorabilità , in misura di euro cinque milioni. Il Tar del Lazio, sezione seconda, con sentenza n. 13361 del 15 dicembre 2007 ha annullato il decreto impugnato ed ha rigettato la domanda di risarcimento del danno. Gli atti di alta amministrazione, come le sostituzioni dei titolari degli organi di vertice, pur configurandosi come provvedimenti assunti in base a criteri eminentemente fiduciari ' ha affermato il Tribunale ' devono essere adeguatamente motivati e sono soggetti al sindacato giurisdizionale; nel caso in esame è mancata, a monte del provvedimento, la statuizione della revoca del ricorrente il che è sintomo evidente sia dell'assenza di una corretta, precisa e motivata decisione, sia della volontà  di raggiungere il risultato della rimozione non attraverso le procedure acconce ma con il fatto compiuto della nomina del successore. Il Tribunale ha inoltre ritenuto che nel caso in esame sia stato violato l'art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 secondo cui: «Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità  del procedimento, l'avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità  previste dall'art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità , notizia dell'inizio del procedimento». Nel caso in esame ' ha osservato il Tribunale ' il ministro dell'Economia, con la convocazione del generale Speciale avvenuta il 1° giugno 2007 ovvero il giorno stesso in cui è stato poi emesso il provvedimento impugnato, ha accordato al ricorrente, nonostante che le vicende sottese alla di lui revoca si sviluppassero da svariati mesi, solo un, per vero, assai breve tempo per il contraddittorio procedimentale; peraltro l'art. 7 della legge 241/1990 esprime un principio generale dell'ordinamento giuridico e, quindi, le limitazioni alla sua osservanza vanno intese in modo rigoroso e restrittivo e le interpretazioni che ne escludono l'applicazione devono esser, di conseguenza, ritenute illegittime se non sorrette da specifiche norme d'eccezione. L'avviso d'avvio del procedimento ' ha aggiunto il Tribunale ' deve permettere al destinatario della statuizione conclusiva un tempo, calibrato certo sulle pari esigenze di celerità  ed efficienza dell'azione amministrativa, ma non simbolico o minimale, affinché questi possa effettivamente partecipare e, se del caso, contraddire gli assunti e i dati della P.A. procedente; e ciò s'appalesa nella specie ancor più significativo, se si considera che, come si evince da una pluralità  di indizi concordanti, al ricorrente si sono indirizzate critiche relative sia all'insoddisfacente conduzione dell'ufficio, sia al deterioramento progressivo ed irreparabile del rapporto fiduciario con la dirigenza politica. Poiché tali responsabilità  erano, ad avviso delle Amministrazioni resistenti, precise ed evidenti ' ha affermato il Tribunale ' a più forte ragione avrebbero dovuto trovare ingresso, anche senza particolari solennità  formali e con l'acconcia pubblicità  del caso, in un documento atto a provocare un serio contraddittorio con il ricorrente e con tutte le idonee garanzie del procedimento, solo in esito al quale esse avrebbero avuto argomenti e forza giuridica per giustificare la contestata rimozione. Pertanto ' ha affermato il Tribunale ' nel caso in esame si è verificata una violazione dell'art. 7 legge n. 241/90, nonché del giusto procedimento e del principio del contraddittorio. Rigettando la domanda di risarcimento del danno all'immagine, il Tar ha osservato che tutta la vicenda relativa all'allontanamento del ricorrente dall'ufficio di Comandante generale della Gdf ha avuto una vasta eco sugli organi d'informazione, che ha finito per ingenerare nel pubblico il giudizio sà politico, ma anche assai pubblicizzato, di disistima nell'attività  da lui svolta, se non, addirittura, di scorrettezza verso l'ufficio stesso e le Istituzioni; specialmente dopo l'allocuzione del ministro dell'Economia davanti al Senato della Repubblica, tale atto politico, in sé insindacabile da questo giudice, costituisce pur sempre un fatto materialmente accaduto e non manifestamente irrilevante nella formazione un giudizio negativo sul ricorrente. Non sfugge tuttavia ' ha aggiunto il Tribunale ' che, come la sua revoca ha avuto una notevole risonanza mediatica nell'opinione pubblica, altrettanto possa accadere, in senso favorevole al ricorrente, con la presente sentenza, con ogni probabilità  destinata ad avere pari richiamo; la domanda risarcitoria deve ritenersi quindi assorbita dalla risonanza della presente sentenza che annulla la rimozione del ricorrente dall'ufficio e dall'effetto immediatamente ripristinatorio dello status quo ante, cosà neutralizzandosi il danno subito.
L’inadempimento del lavoratore, per giustificare il licenziamento, dev’essere «notevole», in base alla legge n. 604 del 19
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In caso di licenziamento collettivo l’azienda oltre a indicare i criteri di scelta deve precisare le loro modalità applicativ
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Diritto di assunzione per copertura posti vacanti del lavoratore in posizione utile in un concorso a progressione verticale
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La Regione Basilicata ha indetto nel 2000 un concorso di selezione per progressione verticale a sedici posti di categoria D1, di cui otto per il profilo D1A.Nel bando è stato specificato che la graduatoria dei partecipanti avrebbe avuto la durata di dodici mesi dalla pubblicazione e sarebbe stata utilizzata per la copertura di posti eventualmente resisi vacanti. Amedeo R. ha partecipato al concorso per gli otto posti di categoria D1A e si è classificato nono nella graduatoria pubblicata il 10 novembre 2000. Successivamente, pur essendosi resi disponibili posti nella categoria D1A, in aggiunta agli otto già  assegnati, la Regione non ha utilizzato la graduatoria del concorso e quindi non ha provveduto mediante «scorrimento» ad inquadrare Amedeo R. in tale categoria. Anzi, essa ha indetto un altro concorso per la copertura dei posti vacanti. Amedeo R. ha chiesto, in via d'urgenza, al Tribunale di Potenza, di ordinare alla Regione Basilicata di attribuirgli l'inquadramento in D1A per «scorrimento», come previsto dal bando di concorso. Il ricorso, rigettato in prima istanza, è stato accolto in sede di reclamo. Amedeo R. ha quindi promosso, davanti allo stesso Tribunale, il giudizio di merito per ottenere il riconoscimento con sentenza il suo diritto alla progressione in carriera, con ogni relativa conseguenza economica. La Regione si è difesa sostenendo l'inapplicabilità  dello scorrimento. Il Tribunale ha accolto la domanda. La Corte d'Appello di Potenza ha confermato questa decisione. La Regione ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Potenza per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La Corte territoriale ' ha affermato la Cassazione ' ha dato corretta applicazione all'istituto dello «scorrimento» che consente ai candidati idonei di divenire vincitori, sempre che, per specifica disposizione del bando, tra i posti messi a concorso originariamente debbano essere compresi anche quelli che si dovessero rendere vacanti entro una certa data. L'utilizzazione delle graduatorie anche oltre i posti prefissati nella singola procedura concorsuale ' ha osservato la Suprema Corte ' risponde a finalità  e ad esigenze che non sono correlate all'interesse del singolo (l'idoneo) alla copertura effettiva del posto, ma che rispondono all'interesse pubblico di procedere ad assunzioni, in relazione a vacanze sopravvenute di posti in organico che l'amministrazione decida di coprire, avvalendosi della graduatoria di un precedente concorso piuttosto che procedere all'avvio di un nuovo (costoso e più lungo) procedimento concorsuale: le numerose disposizioni normative che hanno sancito la conservazione dell'efficacia delle graduatorie di concorso per un certo tempo, a decorrere dalla data di pubblicazione della stessa, sono preordinate, in attuazione dei principi di economicità , efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa ad offrire uno strumento che consenta di individuare immediatamente il soggetto da assumere, rispettando nel contempo la regola inderogabile della scelta del personale mediante concorso. L'istituto del cd. scorrimento della graduatoria, che consente ai candidati semplicemente idonei di divenire vincitori effettivi, precludendo l'apertura di nuovi concorsi, presuppone necessariamente una decisione dell'amministrazione di coprire il posto: ma, una volta assunta, tale decisione risulta equiparabile, nella sostanza, all'espletamento di tutte le fasi di una procedura concorsuale, con identificazione degli ulteriori vincitori, ancorché mediante l'utilizzazione dell'intera sequenza di atti apertasi con il bando originario, recante la cd. lex specialis del concorso, e conclusasi con l'approvazione della graduatoria, che individua i soggetti da assumere.
Il licenziamento disciplinare è illegittimo se in casi analoghi l’azienda ha applicato una sanzione minore ad altri dipendent
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Il lavoratore che giustifica un'assenza con un certificato medico dichiarando il falso può essere condannato per truffa
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Giuseppe C., dipendente del Ministero di Giustizia con mansioni di conducente di automezzi,affetto da artrosi lombo sacrale con doppia discopatia, ha ottenuto alcuni certificati medici attestanti la sua necessità  di riposo, dichiarando al sanitario una sintomatologia dolorosa acuta. Nei periodi di assenza dal lavoro giustificati con tali certificati, egli si è recato in luoghi di vacanza ove ha praticato gli sport dello sci e del tennis. Conseguentemente egli è stato sottoposto a processo penale e condannato alla pena di un anno di reclusione e 300,00 euro di multa dal Tribunale di Ancona, che lo ha dichiarato responsabile del reato di truffa in danno dello Stato (art. 640 cpv. n. 1 cod. pen.) e di induzione a commettere falsità  ideologica (artt. 48 e 481 cod. pen.). Il Tribunale ha ritenuto che l'imputato, dichiarando, contrariamente al vero, inesistenti sintomi di lombalgia acuta, abbia indotto i medici in errore, inducendoli a rilasciare false attestazioni di inabilità  al lavoro. I medici escussi come testi ' ha osservato il Tribunale ' hanno fornito un riscontro tecnico a un dato di comune esperienza e, cioè, che la lombalgia acuta comporta un irrigidimento del rachide, una limitazione delle capacità  deambulatorie e una impossibilità  di svolgere le comuni mansioni, con necessità  di riposo assoluto almeno nei primi giorni e, successivamente, di una modesta attività  fisioterapica; si trattava perciò di una situazione del tutto incompatibile con la pratica dello sci e del tennis, cui invece risultava essersi dedicato il lavoratore, posto che tali attività  sportive implicavano una iperattività  dei muscoli lombari e una sollecitazione della schiena particolarmente intensa. Questa decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Ancona. Giuseppe G. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione impugnata per illogicità  della motivazione e violazione di legge, sostenendo in particolare che avrebbe dovuto essere disposta una perizia medica. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. L'affermazione di responsabilità  ' ha osservato la Corte ' poggia sul positivo accertamento della presenza del dipendente in luoghi di vacanza, dove si dedicava ad attività  del tutto incompatibili con l'asserito stato di malattia o la necessità  di cure termali-fisioterapiche; l'accertamento peritale ' per sua natura mezzo di prova «neutro» ' non può ricondursi al concetto di «prova decisiva», la cui mancata assunzione possa costituire motivo di ricorso per Cassazione, ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lettera «d», del cod. proc. pen., in quanto il ricorso o meno a una perizia è attività  sottratta al potere dispositivo delle parti e rimessa essenzialmente al potere discrezionale del giudice, la cui valutazione, se assistita da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità . Nel caso in esame ' ha affermato la Corte ' i Giudici di appello hanno implicitamente, ma inequivocamente affermato l'inutilità  del mezzo tecnico, osservando che i sanitari assunti come testi avevano fornito un «riscontro tecnico» di nozioni che fanno parte del bagaglio della comune esperienza.
Riordino degli enti di ricerca
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La legge delega il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge,uno o più decreti legislativi al fine di riordinare la disciplina relativa agli statuti e agli organi di governo degli enti pubblici nazionali di ricerca, vigilati dal Ministero dell'università  e della ricerca, «allo scopo di promuovere, sostenere, rilanciare e razionalizzare le attività  nel settore della ricerca e di garantire autonomia, trasparenza ed efficienza nella gestione degli enti pubblici nazionali di ricerca». I decreti dovranno essere emanati nel rispetto di alcuni principi direttivi: a) riconoscimento agli enti della autonomia statutaria, «al fine di salvaguardarne l'indipendenza e la libera attività  di ricerca, volta all'avanzamento della conoscenza, ferma restando la responsabilità  del Governo nell'indicazione della missione e di specifici obiettivi di ricerca per ciascun ente»; b) gli statuti degli enti saranno deliberati da parte degli organi statutari competenti dei singoli enti, previo controllo di legittimità  e di merito del Ministro dell'università  e della ricerca; c) in sede di prima attuazione gli statuti saranno deliberati dai consigli scientifici di ciascun ente integrati da cinque esperti di alto profilo scientifico, nominati dal Ministro dell'università  e della ricerca. Agli esperti non e' riconosciuto alcun compenso o indennità ; d) agli enti saranno attribuite le risorse finanziarie in base alla valutazione di qualità  dei risultati della ricerca svolta, nonché l'efficacia e l'efficienza delle loro attività  istituzionali da parte dell'Agenzia nazionale di valutazione dell'università  e della ricerca (Anvur); e) la metà  dei componenti del consiglio di amministrazione del Consiglio nazionale delle ricerche deve essere di nomina governativa; f) i direttori degli organi di ricerca devono essere individuati con procedure di valutazione comparativa sulla base del merito scientifico; g) «adozione di misure che prevedano norme anti-discriminatorie tra donne e uomini nella composizione di organi statutari». Il Governo è altresà autorizzato «a procedere ad accorpamenti o scorpori, anche parziali, con conseguente attribuzione di personalità  giuridica, di enti o di loro strutture attive nei settori della fisica della materia, dell'ottica e dell'ingegneria navale». (Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 ottobre 2007)
Dimissioni volontarie
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La legge dispone che dal 5 marzo 2008 la lettera di dimissioni volontarie, «volta a dichiarare l'intenzione di recedere dal contratto di lavoro,e presentata dalla lavoratrice, dal lavoratore, nonché dal prestatore d'opera» venga predisposta, a pena di nullità , su appositi moduli resi disponibili dal centro per l'impiego, dalle direzioni provinciali del lavoro e dagli uffici comunali. Con apposite convenzioni saranno disciplinate le modalità  attraverso le quali i moduli per le dimissioni volontarie saranno disponibili anche tramite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei patronati. I moduli, resi disponibili anche sul sito del Ministero del lavoro devono garantire la certezza dell'identità  del richiedente, la riservatezza dei dati personali e l'individuazione della data del rilascio. Infatti dalla data del rilascio del modulo decorrono i quindici giorni di validità  dello stesso entro i quali il lavoratore dovrà  consegnarlo al datore di lavoro. I soggetti, che a pena di nullità , devono presentare le proprie dimissioni volontarie tramite l'apposito modulo sono i titolari di contratto «di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile, indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata, nonché i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, i contratti di collaborazione di natura occasionale, i contratti di associazione in partecipazione di cui all'articolo 2549 del codice civile per cui l'associato fornisca prestazioni lavorative e in cui i suoi redditi derivanti dalla partecipazione agli utili siano qualificati come redditi di lavoro autonomo, e i contratti di lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci». Nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 19 febbraio 2008 è stato pubblicato il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione che definisce gli standard e le regole per la realizzazione del modulo. Il modulo è reso disponibile sul sito internet www.lavoro.gov.it/mdv ed acquisisce i caratteri di non contraffazione o falsificazione dopo l'inoltro al Ministero attraverso i sistemi informatici disponibili presso i comuni, i centri per l'impiego e le direzioni provinciali e regionali del lavoro. (Gazzetta ufficiale n. 260 del 8 novembre 2007)
Cassa di previdenza degli sportivi
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La legge sopprime, all'articolo 28, la Cassa di previdenza e assicurazione degli sportivi (Sportass)e le relative funzioni sono demandate all'Inps per la parte previdenziale e all'Inail per quanto attiene l'aspetto assicurativo. (Gazzetta ufficiale n. 279 del 30 novembre 2007)
Parità di trattamento tra uomini e donne
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Il decreto aggiunge, in attuazione della direttiva 2004/113/Ce, al Codice di pari opportunità  tra uomo e donna (decreto legislativo n. 198/2006),gli articoli dal 55- bis al 55-decies in materia di parità  di trattamento di uomini e donne nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura. Vengono date le nozioni di discriminazione diretta e indiretta. Sussiste discriminazione diretta «quando, a causa del suo sesso, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata un'altra persona in una situazione analoga». Sussiste discriminazione indiretta «quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere le persone di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a persone dell'altro sesso, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità  legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità  siano appropriati e necessari. » Il decreto vieta a tutti i soggetti, pubblici e privati, fornitori di beni e servizi che sono a disposizione del pubblico e che sono offerti al di fuori dell'area della vita privata e familiare, ogni discriminazione diretta e indiretta fondata sul sesso nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura. Le differenze nei premi e nelle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari non possono essere determinate dal fatto di tenere conto del sesso quale fattore di calcolo. Le differenze consentite sono quelle proporzionate «nei premi o nelle prestazioni individuali ove il fattore sesso sia determinante nella valutazione dei rischi, in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati.» (Gazzetta ufficiale n. 261 del 9 novembre 2007 ' suppl. ordinario n. 228)
Finanziaria 2008
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Si riportano alcune disposizioni della legge finanziaria 2008 che entrano in vigore il 1° gennaio 2008.Le detrazioni d'imposta devono essere richieste annualmente dagli aventi diritto che sono tenuti ad indicare le condizioni di spettanza e di codici fiscali dei soggetti per i quali sono chieste le detrazioni stesse (comma 221, art. 1). È istituito presso l'Inail un fondo per le vittime dell'amianto e per i loro eredi. Il fondo è finanziato, per un quarto dalle imprese, tramite una addizionale ai premi relativi ai settori esposti al rischio, e per tre quarti dal bilancio dello Stato (commi 241-246, art. 1). I commi 452-456 dell'art. 2 hanno modificato le disposizioni del decreto legislativo n. 151/2001 relativamente ai congedi di maternità , paternità  e parentale nei casi di adozione e affidamento: a) per l'adozione il congedo di maternità  spetta per un periodo massimo di cinque mesi, nel caso di adozione nazionale, da fruire durante i primi cinque mesi successivi all'effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. In caso di adozione internazionale il congedo può essere fruito prima dell'ingresso del minore in Italia, durante il periodo di permanenza all'estero richiesto per l'incontro con il minore oppure entro i cinque mesi successivi all'ingresso del minore in Italia; b) in caso di affidamento del minore il congedo di massimo tre mesi può essere fruito entro cinque mesi dall'affidamento. Il congedo parentale può essere fruito dai genitori adottivi o affidatari entro otto anni dall'ingresso del minore in famiglia purché non oltre il compimento della maggiore età . L'indennità  spettante in caso di congedo parentale spetta nei primi tre anni dall'ingresso del minore in famiglia. Entro il 31 marzo 2008 un apposito decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia stabilirà  i criteri per attuare la riduzione del prelievo fiscale sui trattamenti di fine rapporto, sulle indennità  equipollenti e sulle altre indennità  e somme connesse alla cessazione del rapporto di lavoro, il cui diritto alla percezione sorga a partire dal 1° aprile 2008 (comma 514, art. 2). Le amministrazioni pubbliche sono tenute a pubblicare sul proprio sito web i provvedimenti di conferimento di incarichi, completi di indicazione del soggetti percettori, della ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato. In caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità  erariale del dirigente preposto. L'affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di ricerca, o di consulenze, a soggetti estranei all'amministrazione può avvenire solo nell'ambito di un programma approvato dal consiglio. Con il regolamento sull'ordinamento degli uffici e dei servizi sono fissati i limiti, i criteri e le modalità  per l'affidamento di incarichi di collaborazione o di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione nonché i limiti di spesa annua (commi 54-58, art. 3). Secondo la modifica apportata al comma 6 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 165/2001, le amministrazioni pubbliche, qualora non possano far fronte con il personale in servizio, possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione universitaria. L'amministrazione deve preliminarmente accertare l'impossibilità  oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno, la durata, il luogo, l'oggetto e il compenso della collaborazione. Le prestazioni devono essere di natura temporanea e altamente qualificata. Tali disposizioni non si applicano ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione (commi 76-78 dell'art. 3). Le amministrazioni pubbliche possono assumere esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi delle forme contrattuali di lavoro flessibile se non per esigenze stagionali o per periodi non superiori a tre mesi, fatte salve le sostituzioni per maternità . Il provvedimento deve contenere il nominativo del dipendente da sostituire. In nessun caso è ammesso il rinnovo del contratto o l'utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale. Le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di programmi o attività  i cui oneri sono finanziati con fondi dell'Unione Europea. Le università  e gli enti di ricerca possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico dei bilanci di funzionamento degli enti. L'utilizzazione di lavoratori per fini diversi da quelli consentiti da tali disposizioni determina responsabilità  amministrativa del dirigente e del responsabile del progetto (comma 79, art. 3). Le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti a termine nel limite del 35% della spesa (comma 80, art. 3). Le amministrazioni pubbliche predisporranno entro il 30 aprile 2008, sentite le organizzazioni sindacali, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni per gli anni 2008- 2010, piani per la progressiva stabilizzazione del personale non dirigenziale tenendo conto dei seguenti requisiti: a) in servizio con contratto a tempo determinato e in possesso dei requisiti previsti dai commi 519 3 558 dell'art. 1 della legge n. 296/2006; b) contratti di collaborazione coordinata e continuativa in essere e che abbia espletato attività  lavorativa per almeno tre anni presso la stessa amministrazione, anche non continuativi, nel quinquennio antecedente al 28 settembre 2007 (commi 90-94, art. 3). Le disposizioni relative al diritto al collocamento obbligatorio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n. 407/1998, sono estese agli orfani o in alternativa la coniuge superstite di coloro che sono deceduti per fatto di lavoro o a causa dell'aggravarsi delle mutilazioni o infermità  che hanno dato luogo a trattamento di rendita da infortunio sul lavoro (comma 123, art. 3). (Gazzetta ufficiale n. 300 del 28 dicembre 2007 ' supplemento ordinario n. 285)
Attuazione Protocollo welfare del 23 luglio 2007
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La legge ha recepito i contenuti del Protocollo tra Governo e Parti Sociali del 23 luglio 2007 in tema di previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità  e la crescita sostenibile. I primi commi dell'articolo 1 modificano i requisiti per l'accesso ai trattamenti pensionistici, di vecchiaia e di anzianità , di cui alla legge n. 243/2004. Dal 1° gennaio 2008 al 30 giugno 2009, fermo restando il requisito di anzianità  contributiva non inferiore a 35 anni, potranno andare in pensione per anzianità  i lavoratori subordinati con almeno 58 anni, e 59 anni se lavoratori autonomi. Dal 1° luglio 2009 si consegue il diritto alla pensione secondo il meccanismo delle quote: dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010 la somma dell'anzianità  contributiva e dell'età  anagrafica, minimo 59 anni per i lavoratori subordinati, deve raggiungere la quota 95. Dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2012 la somma dell'anzianità  contributiva e dell'età  anagrafica, minimo 60 anni per i lavoratori subordinati, deve raggiungere la quota 96. Dal 1° gennaio 2013 la somma dell'anzianità  contributiva e dell'età  anagrafica, minimo 61 anni per i lavoratori subordinati, deve raggiungere la quota 97. Per i lavoratori autonomi il requisito anagrafico è maggiore di un anno. Con meno di 40 anni di contributi ci sono due finestre di uscita per la pensione di anzianità : il 1° gennaio dell'anno successivo se i requisiti si maturano entro il 30 giugno, il 1° luglio dell'anno successivo se i requisiti si maturano entro il 31 dicembre. Con almeno 40 anni di contributi ci sono quattro finestre di uscita: il 1° luglio dello stesso anno se si maturano i requisiti entro il 31 marzo, il 1° ottobre dello stesso anno se si maturano i requisiti entro il 30 giugno, il 1° gennaio dell'anno successivo se si maturano i requisiti entro il 30 settembre, il 1° aprile dell'anno successivo se si maturano i requisiti entro il 31 dicembre. La legge introduce il sistema delle finestre anche per la pensione di vecchiaia. Le date per i lavoratori subordinati sono le stesse previste per la pensione di anzianità  con almeno 40 anni di contributi sopra riportate. Per i lavoratori autonomi tali date slittano di tre mesi. Il comma 3 dell'articolo 1 delega il Governo ad adottare, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi, al fine di concedere la possibilità , ai lavoratori impegnati in mansioni particolarmente usuranti, o siano lavoratori notturni secondo il decreto legislativo n. 66/2003, o siano addetti alla «linea catena», o siano conducenti di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone, di conseguire il diritto al trattamento pensionistico anticipato sulla base di requisiti anagrafici minimi, ridotti di 3 anni, e in ogni caso non inferiore a 57 anni di età , fermi restando il requisito minimo di anzianità  contributiva di 35 anni. I lavoratori dovranno aver svolto le suddette attività  lavorative per almeno sette anni negli ultimi dieci anni o, a regime, per un periodo pari almeno alla metà  della vita lavorativa. Il comma 12 affida ad una commissione, che sarà  istituita con decreto del Ministro del lavoro, il compito di proporre entro il 31 dicembre 2008 le modifiche dei criteri di calcolo dei coefficienti di trasformazione previsti dalla legge n. 335/1995. La commissione dovrà  tenere in considerazione le dinamiche demografiche e migratorie, nonché i percorsi lavorativi al fine di proporre meccanismi di solidarietà  e garanzia per tutti i percorsi lavorativi. Il comma 25 dispone che dal 1° gennaio 2008 la durata dell'indennità  ordinaria di disoccupazione è di otto mesi ed aumenta a dodici mesi per i soggetti di età  pari o superiore a cinquanta anni. La percentuale di commisurazione alla retribuzione è del sessanta per cento per i primi sei mesi, del cinquanta per cento per i successivi due mesi e del quaranta per cento per il rimanente periodo. Il comma 26 determina che la percentuale di commisurazione alla retribuzione dell'indennità  di disoccupazione con requisiti ridotti è pari al trentacinque per cento per i primi 120 giorni e al quaranta per cento per i successivi giorni fino ad un massimo di 180 giorni. Il comma 28 delega il Governo ad adottare entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi finalizzati a riformare la materia degli ammortizzatori sociali per il riordino degli istituti a sostegno del reddito rispettando alcuni principi e criteri direttivi: a) «creazione di uno strumento unico indirizzato al sostegno del reddito e al reinserimento lavorativo dei soggetti disoccupati senza distinzione di qualifica, appartenenza settoriale, dimensione di impresa e tipologia di contratti di lavoro; b) considerare le condizioni di maggiore difficoltà  del Mezzogiorno; c) prevedere la copertura figurativa ai fini previdenziali per i soggetti che beneficiano dei trattamenti di disoccupazione; d) «estensione e armonizzazione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria»; e) «coinvolgimento e partecipazione attiva delle aziende nel processo di ricollocazione dei lavoratori»; f) coinvolgimento degli enti bilaterali nella previsione di prestazioni aggiuntive a quelle previste dal sistema generale; g) potenziare i servizi per l'impiego collegando l'erogazione delle prestazioni di disoccupazione a percorsi di formazione e inserimento lavorativo. Il comma 30 delega il Governo ad adottare entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per l'impiego, incentivi all'occupazione e apprendistato. La delega in materia di apprendistato definisce criteri e principi ai quali attenersi: a) il rafforzamento della contrattazione collettiva nella materia; b) l'individuazione di standard nazionali di qualità  della formazione in materia di profili professionali e percorsi formativi, certificazione delle competenze, validazione dei progetti formativi individuali e riconoscimento delle capacità  formative delle imprese. Il comma 35 sostituendo l'articolo 13 della legge n. 118/1971, dispone che agli invalidi civili tra i 18 e i 64 anni con una riduzione della capacità  lavorativa pari o superiore al 74% che non svolgano attività  lavorativa sia concesso un assegno mensile di 242,84 euro per tredici mensilità . Il comma 39 premette, all'articolo 1 del decreto legislativo n. 368/2001, che regola il lavoro a tempo determinato, che «il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato». I commi 40-42 apportando modifiche al decreto legislativo n. 368/2001 stabiliscono che qualora la successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbai complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro, il rapporto viene considerato a tempo indeterminato. In deroga a tale disposizione può essere stipulato un ulteriore contratto a tempo determinato solo qualora venga sottoscritto presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio con l'assistenza di un rappresentante sindacale cui il lavoratore abbia conferito mandato. Tali disposizioni non applicabili per le attività  stagionali di cui al decreto del presidente della Repubblica n. 1525/1963, nonché per le attività  individuate dai contratti collettivi nazionali. Il lavoratore che ha prestato servizio presso la stessa azienda con contratti di lavoro a tempo determinato per più di sei mesi, ha diritto di precedenza, qualora ne faccia domanda entro sei mesi dalla cessazione del rapporto, nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già  espletate in esecuzione dei rapporti a termine. Il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività  stagionali ha diritto di precedenza, qualora ne faccia domanda entro tre mesi dalla cessazione del rapporto, rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività  stagionali. Il diritto di precedenza si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il comma 43 stabilisce che in fase di prima applicazione: a) i contratti a termine in corso alla data di entrata in vigore della legge continuano fino al termine previsto dal contratto; b) «il periodo di lavoro già  effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme ai periodi successivi di attività  ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis, decorsi 15 mesi dalla medesima data.» Il comma 44 prevede che la possibilità  di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa a tempo parziale e di modificare la collocazione della stessa deve essere previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e non può più essere stabilito solo con patti individuali come era previsto in precedenza. Viene concessa la priorità  nella trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale qualora il lavoratore: a) sia affetto da patologie oncologiche; b) abbia il coniuge, i figli o i genitori affetti da patologie oncologiche; c) assista una persona convivente con totale e permanente inabilità  lavorativa; d) abbia un figlio convivente di età  non superiore agli anni tredici o con figlio convivente portatore di handicap. Viene abolito il contratto di lavoro intermittente (comma 45) e il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato (comma 46). Nei settori del turismo e dello spettacolo i contratti collettivi nazionali di lavoro potranno disciplinare forme di lavoro intermittente per lo svolgimento di attività  durante il fine settimana, le festività , i periodi di vacanze scolastiche, nonché in casi previsti dagli stessi contratti. I contratti dovranno prevedere anche l'indennità  di disponibilità  nel caso sia prevista la disponibilità  del lavoratore a rendere la prestazione (commi 47-50). Il comma 67 istituisce un fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello. Allo stesso tempo viene soppressa la decontribuzione per i premi di produttività . In via sperimentale viene riconosciuta per il triennio 2008-2010, previa specifica domanda da parte delle imprese interessate, la concessione di uno sgravio contributivo, entro il tetto del 5% della retribuzione contrattuale percepita, in misura pari al 25% dell'erogazione ammessa al beneficio. Le erogazioni previste dalla contrattazione di secondo livello devono essere incerte nella corresponsione o nell'ammontare e la struttura deve essere correlata alla misurazione di incrementi di produttività , qualità  o altri indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei risultati. Le modalità  di attuazione di tale sperimentazione dovranno essere stabilite con decreto interministeriale. Dal 1° gennaio 2008 è stata abolita la contribuzione aggiuntiva sul lavoro straordinario eccedente le 40 ore settimanali (comma 71). Il comma 76, in materia di totalizzazione dei contributi assicurativi, riduce da sei a tre anni il limite minimo di anzianità  contributiva nelle singole gestioni richiesto per cumulare i vari periodi assicurativi. Il comma 77 stabilisce che possono riscattare la laurea anche i soggetti non iscritti ad una forma obbligatoria di previdenza che non hanno iniziato l'attività  lavorativa. Il contributo è fiscalmente deducibile dall'interessato o dal soggetto di cui l'interessato risulta fiscalmente a carico. L'onere dei periodi di riscatto può essere versato in unica soluzione o in 120 rate mensili senza l'applicazione di interessi per la rateizzazione. Gli iscritti alla gestione separata dell'Inps che non risultano assicurati presso altra forme previdenziali obbligatorie dovranno versare una aliquota contributiva del 24% per l'anno 2008, del 25% per l'anno 2009 e del 26% per l'anno 2010. Il comma 81 delega il Governo ad emanare, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di occupazione femminile, nel rispetto di alcuni principi e criteri direttivi: a) prevedere incentivi e sgravi contributivi che sostengano la flessibilità  oraria legata alla conciliazione tra lavoro e vita familiare e quindi tesa ad aumentare l'occupazione femminile; b) rivedere la normativa sui congedi parentali estendendone la durata e la relativa indennità  al fine di incentivarne l'utilizzo; c) incrementare l'utilizzo del lavoro a tempo parziale e del telelavoro; d) rafforzare l'azione dei diversi livelli di governo con riferimento ai servizi per l'infanzia e agli anziani non autosufficienti; e) rafforzare le garanzie e l'applicazione effettiva della parità  di trattamento tra donne e uomini in materia di occupazione e lavoro; f) far emergere e rendere misurabili le discriminazioni di genere anche di tipo retributivo. (Gazzetta ufficiale n. 301 del 29 dicembre 2007)
Differimento dell’accesso giustificato dalle esigenze di difesa in sede penale della P.A.
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Irrilevanza del Ccnl applicato per determinare la regolamentazione applicabile in caso di sciopero
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La Commissione ha confermato l'orientamento precedentemente espresso(sedute del 25 ottobre 2006 e del 15 febbraio 2007) secondo cui ai fini della disciplina applicabile in materia di sciopero non è rilevante il Ccnl applicato dall'Azienda al personale, ma occorre fare riferimento alla natura del servizio pubblico reso. Pertanto è applicabile la disciplina in materia di sciopero dettata dall'accordo nazionale del 23 novembre 1999 per il trasporto ferroviario anche alle aziende che effettuano solo trasporto merci su rotaia, sebbene tali aziende applichino un diverso contratto collettivo da quello del personale ferroviario.
Esternalizzazione servizi pubblici delle regioni. Disciplina applicabile in caso di sciopero delle imprese private appaltatrici
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La Commissione ha ritenuto che, poiché ai fini della disciplina applicabile in materia di sciopero occorre fare riferimento alla natura del servizio pubblico reso,debba trovare applicazione anche alle imprese appaltatrici delle Regioni l'accordo collettivo nazionale in materia di norme di garanzia del funzionamento dei servizi pubblici essenziali nell'ambito del comparto Regioni-Autonomie locali (valutato idoneo dalla Commissione con deliberazione n. 02/181 del 25 settembre 2002), qualora le imprese appaltatrici prestino servizi qualificati come indispensabili dallo stesso accordo. In particolare l'accordo individua tra i servizi da considerare essenziali ai sensi degli artt. 1 e 2 della legge n. 146/1990 quelli connessi all'igiene, sanità  e attività  assistenziali, nonché il «servizio di pronto intervento e di assistenza, anche domiciliare, per assicurare la tutela fisica, la confezione, la distribuzione e somministrazione del vitto a persone non autosufficienti ed ai minori affidati alle apposite strutture a carattere residenziale». In mancanza di altra idonea disciplina, specificamente applicabile alle imprese appaltatrici, la regolamentazione dettata per le Regioni dovrà  trovare applicazione anche nel caso di affidamento di tale attività  ad imprese esterne.
Trasporti marittimi privati non gestiti in concessione o convenzione con la P.A.
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La Commissione ha valutato negativamente uno sciopero indetto avverso una compagnia di trasporto marittimo per le isole.La Commissione ha rigettato l'eccezione formulata dalla organizzazione sindacale che lo aveva proclamato, la quale ha invocato l'inapplicabilità  della legge n. 146/90 al servizio svolto dalla compagnia in quanto nel settore del trasporto marittimo il medesimo servizio da questa offerto avrebbe potuto essere svolto o direttamente dallo Stato o da imprese private che operano in regime di concessione, convenzione o contratto di servizio pubblico. Nel caso di specie, invece, la compagnia non è soggetto di diritto pubblico, non opera in concessione o convenzione per alcun settore pubblico, né al servizio dello Stato, né per conto dello stesso, ma opera nel mercato privato, con contratti di diritto privato ed offrendo un servizio privato e pertanto ' secondo le difese della organizzazione sindacale ' non potrebbe ritenersi esercente un servizio pubblico rientrante nell'ambito di applicazione della legge n. 146/90. La Commissione ha ribadito il suo orientamento secondo cui l'art. 1, comma 2, lett. b) della legge, nell'elencare i servizi ai quali si applicano le disposizioni in essa contenute indica anche i trasporti «marittimi limitatamente al collegamento con le isole» ed, inoltre, ai fini dell'applicabilità  della legge n. 146/1990 non rileva la natura giuridica, pubblica o privata, dell'azienda erogatrice del servizio, ma l'incidenza del servizio su diritti costituzionalmente protetti.
Dipendenti pubblici – Prestazione di ore straordinarie - Discriminazione indiretta delle lavoratrici assunte a tempo parziale
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Trasporti marittimi – Azione collettiva di un’organizzazione sindacale contro un’impresa privata
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Diritto di soggiorno di un familiare cittadino di uno Stato terzo - Ritorno del lavoratore nello Stato membro di cui è cittadin
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1) In caso di ritorno di un lavoratore comunitario nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza,il diritto comunitario non impone alle autorità  di questo Stato di riconoscere al cittadino di uno Stato terzo, familiare di detto lavoratore, un diritto di ingresso e di soggiorno per il solo fatto che, nello Stato membro ospitante in cui quest'ultimo ha esercitato un'attività  subordinata, tale cittadino possedeva un permesso di soggiorno in corso di validità  rilasciato in base all'art. 10 del regolamento (Cee) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità . 2) All'atto del rientro di un lavoratore nello Stato membro di cui è cittadino, dopo aver svolto un'attività  subordinata in un altro Stato membro, un cittadino di uno Stato terzo, familiare di tale lavoratore, dispone, in forza dell'art. 10, n. 1, lett. a), del regolamento n. 1612/68, come modificato dal regolamento n. 2434/92, per effetto di un'applicazione analogica di tale disposizione, di un diritto di soggiorno nello Stato membro di cui il lavoratore ha la cittadinanza, anche se quest'ultimo non vi svolge un'attività  economica reale ed effettiva. Il fatto che un cittadino di uno Stato terzo familiare di un lavoratore comunitario, prima di soggiornare nello Stato membro in cui quest'ultimo ha svolto un'attività  subordinata, non disponesse di un diritto di soggiorno basato sul diritto nazionale nello Stato membro di cui detto lavoratore ha la cittadinanza è ininfluente ai fini della valutazione del diritto di tale cittadino di soggiornare in quest'ultimo Stato.
Distacco di lavoratori nel settore edilizio
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1. L'art. 3, n. 7, della direttiva 96/71 relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi,non può essere interpretato nel senso che esso consentirebbe allo Stato membro ospitante di subordinare la realizzazione di una prestazione di servizi sul suo territorio al rispetto di condizioni di lavoro e di occupazione che vadano al di là  delle norme imperative di protezione minima. Infatti, per quanto riguarda le materie di cui all'art. 3, n. 1, primo comma, lett. a)-g), la direttiva prevede esplicitamente il livello di protezione di cui lo Stato membro ospitante ha il diritto di pretendere il rispetto da parte delle imprese stabilite in altri Stati membri a favore dei loro lavoratori distaccati sul suo territorio. Peraltro, tale interpretazione finirebbe per privare di effetto utile la direttiva in esame. Di conseguenza, e fatta salva la facoltà , per le imprese aventi sede in altri Stati membri, di sottoscrivere volontariamente nello Stato membro ospitante, in particolare nell'ambito di un impegno preso con il proprio personale distaccato, un contratto collettivo di lavoro eventualmente più favorevole, il livello di protezione che deve essere garantito ai lavoratori distaccati sul territorio dello Stato membro ospitante è limitato, in linea di principio, a quello previsto dall'art. 3, n. 1, primo comma, lett. a)-g), della direttiva 96/71, a meno che tali lavoratori non godano già , in applicazione della legge o di contratti collettivi nello Stato membro di origine, di condizioni di lavoro e di occupazione più favorevoli per quanto riguarda le materie previste da tale disposizione. 2. Se il diritto di intraprendere un'azione collettiva deve essere riconosciuto quale diritto fondamentale facente parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui la Corte garantisce il rispetto, l'esercizio di tale diritto può essere sottoposto a talune restrizioni. A tale proposito, anche se la tutela dei diritti fondamentali rappresenta un legittimo interesse che giustifica, in linea di principio, una limitazione degli obblighi imposti dal diritto comunitario, ancorché derivanti da una libertà  fondamentale garantita dal Trattato, l'esercizio di tali diritti fondamentali non esula dall'ambito applicativo delle disposizioni del Trattato e deve essere conciliato con le esigenze relative ai diritti tutelati dal Trattato stesso, oltre che essere conforme al principio di proporzionalità . Di conseguenza, il carattere fondamentale del diritto di intraprendere un'azione collettiva non è tale da sottrarre un'azione del genere, avviata nei confronti di un'impresa stabilita in un altro Stato membro, che distacca lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi transnazionale, all'ambito di applicazione del diritto comunitario. 3. Gli artt. 49 Ce e 3 della direttiva 96/71/Ce, relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che, in uno Stato membro in cui le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie di cui all'art. 3, n. 1, primo comma, lett. a)- g), della stessa direttiva sono contenute in norme legislative, ad eccezione dei minimi salariali, un'organizzazione sindacale possa, mediante un'azione collettiva sotto forma di blocco dei cantieri tentare di indurre un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro ad avviare con essa una trattativa sulle retribuzioni da pagare ai lavoratori distaccati, nonché a sottoscrivere un contratto collettivo del quale talune clausole stabiliscono, per alcune di tali materie, condizioni più favorevoli di quelle che derivano dalle disposizioni legislative vigenti, mentre altre clausole riguardano materie non previste dall'art. 3 della medesima direttiva. 4. Gli artt. 49 Ce e 50 Ce ostano a che, in uno Stato membro, il divieto imposto alle organizzazioni sindacali di intraprendere un'azione collettiva allo scopo di abrogare o modificare un contratto collettivo concluso da parte di terzi sia subordinato al fatto che l'azione riguardi condizioni di lavoro e di occupazione alle quali si applica direttamente la legge nazionale. Infatti, una disciplina nazionale che non tiene conto, indipendentemente dal loro contenuto, dei contratti collettivi ai quali le imprese che distaccano lavoratori in Svezia sono già  vincolate nello Stato membro in cui sono stabilite, crea una discriminazione nei confronti di tali imprese, applicando loro il medesimo trattamento riservato alle imprese nazionali che non hanno concluso un contratto collettivo.
Licenziamenti collettivi – Illegittimità della procedura – Fumus boni iuris – Insussistenza
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Licenziamento disciplinare – Inosservanza del principio di immediatezza – Insussistenza – Legittimità
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Tutela dei lavoratori in caso d’insolvenza del datore di lavoro – Direttiva 80/987/Cee – Efficacia diretta
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Inquadramento mansioni superiori – Promozione automatica – Insussistenza
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Licenziamento giustificato motivo oggettivo – Onere della prova
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Invenzione – Insussistenza – Utile Miglioramento – Sussistenza – Nozione
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Computo giorni di astensione obbligatoria per il completamento di 51 gg di lavoro per usufruire dell'indennità post partum
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Punto centrale della controversia che ha visto impugnare dall'Inps la sentenza del Tribunale di Modena favorevole alla lavoratriceè l'interpretazione dell'art. 5 del d.l. 463/1983 convertito nella legge n. 638/1983 che disciplina l'erogazione dell'indennità  di malattia, cui è equiparata quella dell'indennità  economica per l'astensione facoltativa. Secondo l'Istituto, infatti, ai fini del raggiungimento di almeno 51 giornate, devono computarsi esclusivamente le giornate di effettivo lavoro, mentre secondo la lavoratrice vanno considerate anche quelle di astensione obbligatoria, che nel suo caso avevano fatto seguito ad un provvedimento di interdizione emesso dalla Direzione provinciale del lavoro di Modena ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1204/1971. La Corte d'Appello di Bologna accoglie la seconda tesi, confermando la decisione di primo grado. Osservano infatti i giudici dell'appello che l'ottavo comma dell'art. 5 cit. prevede che, ai fini del requisito dell'iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli di cui all'art. 7 n. 5 del d.l. 3 febbraio 1970 ' n. 7 convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83 ' «i periodi di godimento del trattamento di cassa integrazione guadagni e di astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza e puerperio sono assimilabili ai periodi di lavoro, richiamando, a favore dell'interpretazione letterale della norma, le pronunce della Corte di Cassazione n. 1959 del 1966 e n. 356 del 1997, ed evidenziando che le pronunce della stessa Corte n. 6721 del 1999 e n. 1186 del 2000 ' resa, quest'ultima, a Sezioni Unite ' richiamate dall'istituto appellante non risultano pertinenti al caso esaminato.
Elezione membri Rsu – Revoca della delega al versamento dei contributi sindacali – Decadenza dalla carica
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Licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo o licenziamento collettivo: definizione
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Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 2001 all'interno del bar situato presso l'aeroporto di Parma si era sviluppato un incendioche aveva causato la distruzione dell'esercizio commerciale. In data 2 agosto 2001, stante l'inagibilità  dei locali, la società  che gestiva il bar collocava due dipendenti in ferie, poi licenziandole alla fine dello stesso mese di agosto per cessazione di ogni attività  da parte della medesima società  per l'aeroporto in conseguenza del venir meno del contratto d'appalto concluso con la committente. La stessa comunicazione di recesso era stata inviata ad altri otto lavoratori, impiegati presso lo stesso esercizio commerciale. I licenziamenti venivano dichiarati invalidi dal Tribunale di Parma per avere la società  omesso di rispettare le procedure previste dagli artt. 4 e 5 della legge 223 del 1991. Chiamata a pronunciarsi su ricorso della società , la Corte d'Appello di Bologna censura il primo motivo dell'atto d'appello per motivi processuali, rilevando la mancata specificità  dei motivi di appello. Richiamando un consolidato orientamento ribadito anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Ss.Uu. 16/2000; Cass. 10596/2004; Cass. 24834/2005; Cass. 22906/2005; Cass. 27296/2005; Cass. 1558/2005; Cass. 5250/1999; App. Milano 1154/2007; App. Torino 16 marzo 1998) la Corte di Bologna ha ribadito che nel giudizio di appello la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso l'enunciazione di specifici motivi. Tale specificità  esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono, ragioni per cui alla parte volitiva dell'appello deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Pertanto, non si rivela sufficiente il fatto che l'atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresà necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità , da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità  dei motivi non può essere stabilito in via generale e assoluta, dall'altro esige pur sempre che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell'appellante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime» (Corte d'Appello Bologna 643/2005; nello stesso senso cfr. anche Corte d'Appello Bologna 57/2005; Corte d'Appello Bologna 605/2002; Corte d'Appello Bologna 273/2002). In particolare il requisito della specificità  dei motivi di appello non può essere soddisfatto da un mero e generico richiamo agli atti di primo grado, che prescinda dal contenuto argomentativo della sentenza impugnata, essendo necessaria una contrapposizione argomentativa rivolta al contenuto della decisione impugnata (Cass. 26192/2005; cfr. anche Cass. 24817/2005). L'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'articolo 342 cit., integra una nullità  che determina l'inammissibilità  dell'impugnazione, con conseguente effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, senza possibilità  di sanatoria dell'atto a seguito di costituzione dell'appellato ' in qualunque momento essa avvenga ' e senza che tale effetto possa essere rimosso dalla specificazione dei motivi avvenuta in corso di causa. Conclusivamente la Corte, non avendo ravvisato nell'esposizione del primo motivo d'appello i requisiti sopra richiamati, lo dichiara inammissibile. Con il secondo motivo la società  censura la sentenza di primo grado assumendo l'inapplicabilità  della legge 223/91 «nel caso in cui la cessazione dell'attività  sia conseguente ad eventi fisiologici, come la cessazione di un appalto per la gestione di un servizio di ristorazione» anche perché il caso di specie non rappresenterebbe «un'ipotesi di licenziamento collettivo, bensà di licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo». Con riferimento a tale ultima asserzione la Corte osserva che, in presenza di un riassetto organizzativo attuato dal datore di lavoro in vista di una più economica gestione dell'azienda, tra le fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per riduzione di personale non esiste una differenza qualitativa o indotta dalla tipologia delle ragioni allegate ma una diversità  limitata al profilo dimensionale, quantitativo e temporale preso in considerazione dalla legge 23 luglio 1991, n. 223. Infatti, in assenza delle condizioni previsti da tale legge ' dimensioni occupazionali dell'impresa (più di quindici dipendenti); numero dei licenziamenti (almeno cinque); arco temporale entro cui sono effettuati i licenziamenti (120 giorni) ' l'esigenza di ridurre di una o più unità  il numero dei dipendenti per ragioni inerenti all'attività  produttiva normalmente concretizza di per sé un giustificato motivo oggettivo di licenziamento individuale (cosà Cass. n. 777/2003; cfr. anche Cass. n. 5662/1999; Cass. n. 2463/2000; Cass. n. 9045/2000; Cass. n. 535/2003; Cass. n. 5794/2004). Al contrario, negando la Corte d'Appello che la riduzione, trasformazione o cessazione di attività  o di lavoro possano avere valore causale riguardo al recesso, ne deduce che «accertata la sussistenza degli elementi ' numerici, dimensionali e temporali previsti ' appare superflua l'indagine volta ad appurare le ragioni delle riduzione del lavoro (Cass. n. 2463/2000; Cass. n. 5828/2002 e altre)» risultando conseguentemente irrilevante se la cessazione dell'appalto abbia determinato o meno un'effettiva e stabile riduzione di attività . In particolare, a proposito degli appalti di servizi di ristorazione, la Corte ne evidenzia la peculiarità  rispetto a quelli delle imprese edili (nelle quali «il carattere fortemente alternante del mercato edilizio e delle connesse attività  dei cantieri può effettivamente dar luogo, con maggiore frequenza e maggior grado di ineluttabilità , al licenziamento del personale impiegato in quell'opera e al protrarsi dello stato di disoccupazione » cosà Cass. n. 5828/2002): un'impresa che assume appalti di servizi di ristorazione può sempre, venuto meno un appalto, verificare, insieme alle Oo.Ss. e con il concorso eventuale di un soggetto pubblico, l'utilizzabilità  presso altre strutture, da essa gestite, dei lavoratori resisi eccedentari. Secondo la Corte d'Appello di Bologna «non averlo fatto, ricorrendo i ricordati requisiti numerici, temporali e dimensionali, significa violare le norme contenute nella legge 223/91 e rendere inefficaci i licenziamenti ciò nonostante effettuati (Cass. n. 2463/2000; Cass. n. 14824/2002)». Va peraltro evidenziato che con l'art. 1 del d.l. 29 dicembre 2007 n. 250 il Consiglio del ministri a tutela del lavoratori impiegati in società  che svolgono attività  di servizi di pulizia ha statuito che l'acquisizione ' a seguito di subentro di nuovo appaltatore ' del personale già  impiegato nel medesimo appalto non comporta l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 nei confronti dei lavoratori riassunti dall'azienda subentrante a parità  di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore ' o di accordi collettivi ' stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Da ciò deve dedursi che ' in caso di conversione del decreto legge ' il principio di operatività  della legge 223/1991 accolto dalla Corte d'Appello dovrà  e potrà  valere solo nell'ipotesi di non riassunzione di tutto il personale addetto ad un appalto di pulizie da parte del nuovo datore subentrato nell'appalto alle condizioni sopra richiamate.
Risarcimento danni da infortunio sul lavoro – Onere prova - Avvenuto adempimento obbligo ex art. 2087 - Grava sul datore
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Direzione sanitaria – Retribuzione minima garantita
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Licenziamento per superamento del periodo di comporto – Richiesta di reintegra
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Diritto alla qualifica superiore – Passaggio da classificazione ex d.P.R. 385/1991 a Ccnl personale Anas
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Opposizione a decreto su comportamento antisindacale solo possibile - Mancato rispetto procedura sui licenziamenti collettivi
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Con ricorso in opposizione avverso il decreto ex art. 28 stat. lav. con il quale il giudice del lavoro aveva respinto il ricorsocon cui era stato chiesto di dichiarare l'antisindacalità  della condotta posta in essere dalla cooperativa, i sindacati ribadivano i propri assunti, rilevando in particolare la violazione della procedura di cui all'art. 4 legge 223/91. Deducevano sul punto di avere nel luglio 2006 ricevuto la comunicazione introduttiva della riduzione del personale e di aver immediatamente comunicato la loro disponibilità  al confronto con l'azienda come previsto dalla normativa. A seguito di ciò, rilevavano che la condotta sindacale si era perfezionata con la stipula di un accordo separato con una sola delle Oo.Ss. destinatarie della comunicazione introduttiva, con la quale l'azienda aveva concordato separatamente un incontro nel corso del quale era stata raggiunta l'intesa. Il giudice della fase urgente aveva dichiarato inammissibile il ricorso per il difetto della condotta antisindacale annunciata; le Oo.Ss. ricorrenti deducevano al contrario che la condotta denunciata poteva essere reiterata, e comunque la stessa aveva in ogni caso, dato il clima dei rapporti estremamente conflittuali tra le parti, danneggiato gravemente il ruolo e l'immagine del sindacato. Il giudice del lavoro nella fase del gravame respingeva l'opposizione, deducendo che nella fattispecie in questione non si fosse prodotta alcuna lesione dei diritti sindacali con effetti perduranti nel tempo. Veniva rilevato che poiché a seguito della adesione volontaria di un dipendente alla mobilità  la cooperativa aveva rinunciato a procedere ai licenziamenti per riduzione del personale e tenuto conto che la partecipazione del sindacato alla procedura di licenziamento collettivo è prevista dalla legge nell'interesse dei lavoratori al mantenimento del livello occupazionale, era evidente che la rinuncia del datore di lavoro a procedere ai licenziamenti per riduzione del personale producesse l'effetto di togliere attualità  a qualsiasi eventuale lesione derivata dalle Oo.Ss. ricorrenti dal mancato esame congiunto, comprese le asserite lesioni all'immagine del sindacato. Il giudice sottolineava inoltre il fatto che la possibilità  che in una futura procedura di riduzione di personale potesse ripetersi la mancata partecipazione delle Oo.Ss. ricorrenti costituiva solo una possibilità  e non una probabilità  tale da poter essere seriamente considerata.
Un manager può rivestire la carica di rappresentante sindacale di un'organizzazione estranea alla sua categoria professionale
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Nell'ambito di un procedimento per la repressione della condotta antisindacale che aveva avuto nelle fasi di merito un esito sfavorevole per l'organizzazione sindacale,la Corte di Cassazione, pur confermando la decisione dei giudici di appello, ha comunque stabilito che il direttore amministrativo di un ente ben può assumere la qualità  di dirigente di una rappresentanza sindacale aziendale dei lavoratori costituita per la tutela di lavoratori appartenenti ad una diversa categoria. Osserva, infatti, la Corte che l'art. 19 legge 300/1970 (nel testo modificato dal d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312) attribuisce ai lavoratori il diritto di costituire rappresentanze sindacali aziendali in ogni unità  produttiva, «nell'ambito delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unità  produttiva», dovendosi l'espressione «nell'ambito» interpretare nel senso che queste ultime non possono limitare in alcun modo tale facoltà , restando solo libere di accogliere o non nel proprio seno le predette rappresentanze; ne discende che ben possono i dirigenti delle Rsa non essere iscritti al sindacato e persino appartenere a categorie professionali non rappresentate dal sindacato.
La Cassazione non è vincolata all'analisi della correttezza ermeneutica della clausola del C.C. effettuata dal giudice di merit
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Avverso una decisione del Tribunale di Roma che nel decidere pregiudizialmente il significato di una norma collettivaescludeva il diritto del lavoratore a vedere riconosciuto un elemento della retribuzione nell'ambito di un assegno personale pensionabile, il dipendente promuoveva un ricorso di Cassazione al fine di vedere accertata la corretta interpretazione della norma. La Suprema Corte nell'accogliere il ricorso ha affermato che nel proprio giudizio ex art. 420 cod. proc. civ. la cassazione non è vincolata all'opzione ermeneutica del giudice di merito pur fondata su una motivazione congrua e corretta potendo la stessa Corte, a seguito di una propria scelta autonoma e sulla base di una complessiva lettura dei contratti collettivi nazionali, addivenire ad una diversa decisione rispetto a quella del primo giudice non solo per quanto attiene la validità  ed efficacia del contratto ma anche in relazione alla sua interpretazione attraverso un sua interpretazione degli elementi di fatto già  vagliati dal giudice di merito. Tale conclusione ' affermano i giudici di legittimità  ' si impone ai sensi della funzione nomofilattica al cui rafforzamento è volta la speciale disposizione di rito per la quale la certezza e la stabilità  delle statuizioni giurisprudenziali, non consentono che possano darsi ad una identica disposizione contrattuale interpretazioni corrette quanto a motivazioni e criteri di ermeneutica ed al tempo stesso contrastanti. In tale ottica, tuttavia, al fine di non snaturare il processo di legittimità  la Corte di Cassazione deve decidere sulla base del materiale probatorio acquisito al ritualmente in primo grado e non potrà  assumere nuove iniziative istruttorie.
Solo le clausole alla base della domanda dell’attore sono assoggettate al procedimento di interpretazione in sede di legittimi
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I limiti di sindacabilità giudiziale delle scelte organizzative aziendali
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Un lavoratore dopo essere stato assunto in qualità  di direttore di uno stabilimento in fase di ristrutturazione dopo pochi mesi veniva licenziatodall'azienda con risoluzione giustificata con la soppressione di responsabile dello stabilimento. Il Tribunale di Arezzo riteneva pretestuosa la motivazione sulla base della considerazione che nel breve lasso di tempo dell'assunzione il lavoratore non era stato posto in condizioni di adottare le misure per incidere sulla crisi dello stabilimento. I giudici della locale Corte di Appello di Firenze confermavano la decisione evidenziando l'irrazionalità  e contraddittorietà  della soppressione effettuata senza aver permesso al lavoratore di aver attuato le misure correttive. La Corte di Cassazione richiamando i principi in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ha ricordato che il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti l'attività  produttiva è rimesso alla valutazione del datore di lavoro le cui scelte sono espressione della libertà  di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 della Cost. senza che il giudice possa sindacarle sotto il profilo della congruità  e opportunità . La Corte, quindi, nell'accogliere il ricorso promosso dalla società  ha ritenuto che i giudici di merito avevano violato il limite al sindacato giurisdizionale nella parte in cui avevano motivato l'annullamento del licenziamento sul rilievo dell'inopportunità  di modificare l'assetto aziendale dopo pochi mesi dall'assunzione del lavoratore che di fatto aveva impedito di attuare i correttivi alla crisi dello stabilimento per la brevità  del periodo lavorativo.
Illegittimità dell’apposizione di patti di prova a rapporti successivi
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La qualificazione errata del tipo di comporto a base di un licenziamento non determina l’invalidità del recesso
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Il passaggio del personale dipendente di un ente locale ai ruoli statali non costituisce una cessione di ramo di azienda
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Il rapporto di lavoro di un lavoratore già  dipendente di un ente locale ed assegnato presso un istituto scolastico veniva trasferitoalle dipendenze dell'amministrazione dello Stato nell'ambito di una previsione che prevedeva il trasferimento del personale preposto alle scuole secondarie nell'ambito dei ruoli statali. Il passaggio riconosceva esclusivamente il maturato economico mentre non prevedeva il riconoscimento dell'anzianità  maturata presso l'ente di provenienza. Il lavoratore rivendicava quindi il riconoscimento dell'anzianità  pregressa innanzi al Tribunale di Ancona che accoglieva la domanda con decisione integralmente riformata in sede di appello. I Giudici del gravame nel pervenire alla decisione di riforma ritenevano che la norma interpretativa degli effetti del passaggio, intervenuta successivamente alla previsione originaria, rendeva legittimo il riconoscimento del solo maturato economico e non della anzianità  maturata. La Corte di Cassazione nel rigettare il ricorso del lavoratore in consapevole dissenso con altri precedenti specifici ha affrontato la compatibilità  della normativa interpretativa con la direttiva comunitaria in materia di cessione di rami di azienda pervenendo alla conclusione che il passaggio graduale di personale dai ruoli comunali ai ruoli statali non determina una fattispecie di cessione di azienda tale da giustificare una remissione della questione alla Corte di Giustizia al fine di verificare la compatibilità  della normativa nazionale con quella comunitaria. Nel pervenire alla conclusione di rigetto del ricorso i giudici di legittimità , pur dando atto dell'evoluzione della nozione di cessione di ramo d'azienda ipotizzabile anche in assenza di un rapporto negoziale ed anche in assenza di elementi materiali essendo sufficiente una organizzazione di persone dotate di un proprio know how, ha comunque chiarito che il requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall'art. 2112 cod. civ. resta comunque anche in siffatte ipotesi l'elemento dell'organizzazione, intesa come legame funzionale che rende le attività  dei dipendenti appartenenti al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili. Il solo trasferimento dei rapporti di lavoro ' conclude la Corte ' da un soggetto ad un altro riscontrabile nella normativa oggetto del giudizio di merito, ha invece carattere neutro e non può integrare di per sé la fattispecie del trasferimento di attività .
Un rapporto interinale fuori dalle ipotesi previste non determina la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato
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Un lavoratore assunto fuori dalle ipotesi previste dalla legge adiva il Pretore di Prato al fine di vedere costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminatoalle dipendenze della società  utilizzatrice. Il giudice di primo grado con sentenza confermata in sede di appello nell'accogliere il ricorso dichiarava costituito un rapporto a tempo indeterminato alle dipendenze della società  fruitrice delle prestazioni. La Corte di Cassazione nel cassare in parte la decisione del Collegio ha accolto il gravame dell'azienda che lamentava la costituizione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nonostante la pacifica sussistenza di un rapporto di lavoro interinale a tempo determinato. I giudici di legittimità  hanno infatti ritenuto che la decisione della Corte di Appello contrastava con quanto stabilito in materia di regime sanzionatorio dalla cd. legge Treu. Afferma infatti la Cassazione che l'art. 10, comma 1, della legge 196/97 dispone che in caso di violazione del disposto dell'art. 1, comma 4, lettera a), nei confronti dell'impresa utilizzatrice continua a trovare applicazione la legge 23 ottobre 1960 n. 1369. Il secondo comma della norma ' proseguono i giudici di legittimità  ' per i casi di inosservanza della forma scritta prevede invece la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Le differenti conseguenze ' conclude la Cassazione ' ricollegate dalla legge alle due ipotesi non possono superficialmente ricondursi ad un erroneo coordinamento delle disposizioni all'interno del medesimo testo normativo. A maggior ragione non possono spiegarsi ritenendo del tutto pleonastico il richiamo alla legge 1369/60 contenuto nel primo comma. Alla luce di tali rilievi la Corte di Cassazione ha affermato che se il legislatore ha tenuto distinte le due ipotesi di illecito sanzionandole diversamente all'interprete spetta il compito di spiegare la ratio e la portata di tale distinzione. Alla luce di una interpretazione complessiva dell'art. 10 della legge 196/97, la Corte di Cassazione ha quindi concluso che il contratto di lavoro interinale ancorché irregolarmente costituito come rapporto a tempo determinato mantiene il suo carattere anche a seguito della modificazione soggettiva del datore di lavoro ravvisabile nelle violazioni del primo comma, diversamente da quanto previsto per la carenza di forma prevista dal comma secondo.
Procedura di mobilità in caso di licenziamenti intimati per l’esaurirsi progressivo di una fase lavorativa di un cantiere
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L’azienda cessionaria di un ramo di azienda non può avvalersi della procedura di mobilità avviata dalla cedente
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Contribuzione di malattia
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La Corte costituzionale ha ritenuto legittima la normativa che obbliga il datore di lavoro a versare la contribuzione previdenziale per l'indennità  di malattiaanche se è obbligato, in base al contratto collettivo di lavoro, a continuare a corrispondere ai dipendenti la retribuzione durante i periodi di assenza per malattia. Per la Corte costituzionale, l'ampia discrezionalità  cui gode il legislatore nel conformare gli oneri della contribuzione previdenziale, è stata esercitata in modo non irragionevole. I giudizi avevano ad oggetto la pretesa dell'Inps di ottenere il pagamento dei contributi di malattia da parte di datori di lavoro che avevano omesso il relativo versamento in quanto obbligati per contratto collettivo a corrispondere ai loro dipendenti la retribuzione anche durante il periodo di malattia. Il Tribunale di Bolzano, in relazione all'articolo 2 Cost., aveva dedotto che, seppure si deve ammettere che il sistema previdenziale è informato al principio della solidarietà  sociale, tuttavia l'attuazione pratica di un simile principio deve essere ragionevole e non può risolversi in un'iniqua distribuzione del peso solidaristico. Ad avviso della Corte la censura non tiene conto del fatto che la predisposizione legislativa della tutela previdenziale evita proprio che scatti, a carico dei datori di lavoro, l'obbligo di corrispondere ai dipendenti malati la retribuzione o una quota di essa, obbligo previsto dall'art. 2110, primo comma, del codice civile. Quindi, a fronte del versamento del contributo, i datori di lavoro ottengono comunque un vantaggio (l'esonero dall'obbligo previsto dal menzionato art. 2110). Altra questione è se poi essi, pur potendo contare su un simile beneficio, decidono liberamente, in sede di contrattazione collettiva, di addossarsi oneri patrimoniali superiori. Neppure sono fondati i dubbi sollevati sul rispetto del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. È vero che, a fronte di datori di lavoro che si obbligano nel contratto collettivo a corrispondere ai propri dipendenti malati la retribuzione, ve ne sono altri che non si accollano lo stesso obbligo, ma è altrettanto certo che le imprese che si sono assunte quell'obbligo lo hanno fatto liberamente e non possono imputare all'ordinamento i maggiori costi che da quella scelta derivano.
L’attribuzione di alcune mansioni inferiori non giustifica il rifiuto della prestazione lavorativa
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Contratti a termine e diritto di precedenza
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Sono incostituzionali le norme del decreto legislativo n. 368/2001 nella parte in cui subordinano il diritto di precedenza(nella assunzione presso la stessa azienda con la medesima qualifica dei lavoratori assunti a termine per lo svolgimento di attività  stagionali) a due condizioni prima inesistenti: la previsione di tale diritto da parte della contrattazione collettiva nazionale applicabile, e il mancato decorso di un anno dalla cessazione del precedente rapporto. La Corte costituzionale ha dichiarato fondata la questione di legittimità  sollevata dal Tribunale di Rossano non accogliendo, tuttavia, la prefigurata violazione della clausola di non regresso contenuta nella direttiva 1999/70/Ce: la disciplina dettata dalle norme censurate, sostiene la Corte, concerne i lavori stagionali e non mira tanto a prevenire l'abusiva reiterazione di più contratti di lavoro a tempo determinato (che è l'oggetto della direttiva Ue). L'illegittimità  costituzionale deriva, invece, dal fatto che il diritto di precedenza nelle lavorazioni stagionali non era stato oggetto di delega legislativa conferita dalla legge 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità  europee ' legge comunitaria 2000), complessivamente considerata. L'art. 1, comma 1, di tale legge ha delegato, infatti, il Governo ad emanare «i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B» e, per quanto concerne la direttiva 1999/70/Ce relativa al caso in esame non ha dettato ' a differenza di altre ipotesi ' specifici criteri o principi capaci di ampliare lo spazio di intervento del legislatore delegato.
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