Descrizione
Incostituzionalità della disciplina del diritto di precedenza nelle assunzioni degli stagionali La Cassazione chiarisce contenuto e funzione dell'art. 420 bis cod. proc. civ. «Antisindacalità» solo potenziale o probabile avanti il Tribunale di VeronaIl giudice può escludere che la recidiva in infrazioni disciplinari costituisca giusta causa di licenziamento
Berardo M., dipendente dalla Srl Gelco, si è assentato per malattia inviando un certificato medico con prognosi di due giorni,ma si è assentato per tre giorni. L'azienda
lo ha licenziato con motivazione riferita alla mancata giustificazione dell'assenza nel
terzo giorno, contestandogli anche la recidiva, in quanto nei dodici mesi precedenti egli si
era reso responsabile di due infrazioni disciplinari punite con la sanzione della sospensione.
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Teramo, rilevando,
tra l'altro, l'eccessività della sanzione. L'azienda si è difesa sostenendo di avere applicato
l'art. 70 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori dell'industria alimentare, secondo
cui la sanzione del licenziamento può essere adottata nel caso di «recidiva in qualsiasi
mancanza che abbia dato luogo a due sospensioni nei dodici mesi precedenti». Il Tribunale
di Teramo ha rigettato il ricorso del lavoratore, ma questa decisione è stata integralmente
riformata dalla Corte d'Appello di L'Aquila, che ha annullato il licenziamento, ordinando
la reintegrazione di Berardo M. e condannando l'azienda al risarcimento del danno.
La Corte ha rilevato che l'inadempimento che aveva provocato il licenziamento era di modesta
entità ed ha escluso che il licenziamento potesse trovare automatica giustificazione
nella contestata recidiva, dal momento che quest'ultima costituisce solo un elemento da
valutare ai fini del giudizio sull'adeguatezza della sanzione. In proposito la Corte ha osservato
che l'azienda non aveva offerto prova in merito alle conseguenze delle precedenti infrazioni
nel rapporto fiduciario con riferimento alla sua concreta collocazione nell'organizzazione
dell'impresa. La Srl Gelco ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione
della Corte di L'Aquila per non avere ritenuto che il licenziamento fosse giustificato
per effetto dalla espressa previsione di tale sanzione dell'art. 70 Ccnl per il caso di recidiva.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La previsione, da parte della contrattazione collettiva,
della recidiva in successive mancanze disciplinari come ipotesi di giustificato motivo
di licenziamento ' ha affermato la Corte ' non esclude il potere del giudice di valutare la
gravità in concreto dei singoli fatti addebitati, ancorché connotati dalla recidiva, ai fini dell'accertamento
della proporzionalità della sanzione espulsiva, quale naturale conseguenza
delle norme degli artt. 3 della legge 15 luglio 1966, 7 Stat. lav. e 2119 cod. civ., i quali sanciscono
il principio della sanzione irrogata al lavoratore ' ha osservato la Corte ' deve essere
sempre proporzionata al comportamento posto in essere. Il giudice di merito dunque
non è andato oltre i limiti del richiesto, in quanto era per lui doverosa la valutazione della
gravità delle infrazioni ascritte; questa valutazione, naturalmente, non poteva che essere
compiuta alla luce del parametro della persistenza del rapporto fiduciario, in ragione del
contenuto essenzialmente personale che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato. La
valutazione circa la non violazione del rapporto fiduciario ' ha aggiunto la Corte ' costituisce
accertamento di merito non censurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione
congrua e logicamente strutturata; nella specie la pronunzia è sostanzialmente fondata
sulla mancanza di elementi idonei a compiere in maniera esaustiva detta valutazione; si
consideri che la sentenza impugnata rileva che, tra l'altro, neppure è dato riscontrare quali
fossero le mansioni ricoperte dal dipendente e quale posizione lo stesso occupasse nell'organizzazione
aziendale del lavoro, onde poter considerare l'incidenza effettiva delle
mancanze poste in atto. Di fronte a questa esaustività motivazionale ' ha concluso la Corte
' ogni ulteriore rilievo di carattere motivazionale assumerebbe il significato di una indebita
intromissione nel merito della vicenda in sede di legittimità .
Il dipendente di un patronato illegittimamente licenziato ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro
Nicola F., dipendente del patronato Sias, è stato licenziato con motivazione riferita all'inosservanza dell'orario di lavoro e a irregolarità nella scritturazione delle schede di presenza.Il Tribunale di Salerno, al quale egli si è rivolto, ha annullato il
licenziamento in quanto ha ritenuto eccessiva la sanzione e ha ordinato la reintegrazione
nel posto di lavoro, in base all'art. 18 Stat. lav., condannando inoltre il patronato al risarcimento
del danno. La Corte di Appello di Salerno pur confermando il giudizio di illegittimità
del licenziamento, ha escluso la possibilità di ordinare la reintegrazione in quanto ha ritenuto
il patronato Sias una organizzazione senza fine di lucro, svolgente attività assistenziale,
riconducibile alla categoria delle «organizzazioni di tendenza» che l'art. 4 della legge
n. 108/90 esenta dall'applicazione dell'art. 18 Stat. lav. Pertanto la Corte di Salerno si è limitata
a condannare il patronato alla riassunzione ovvero al pagamento di un'indennità pari
a cinque mesi di retribuzione. Nicola F. ha proposto ricorso per cassazione censurando la
decisione della Corte di Salerno per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso. Al caso in esame ' ha osservato la Corte ' non è
applicabile l'art. 4 della legge n. 108/90 che sottrae all'applicazione dell'art. 18 dello Statuto
dei Lavoratori i datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fini di lucro attività
di natura «politica, sindacale, culturale, di istruzione, di religione o di culto». L'attività
degli istituti di patronato e di assistenza sociale ' ha affermato la Corte ' non è politica né
sindacale, perché non concorre alla composizione dei contrasti di interessi collettivi e in
particolare dei conflitti relativi ai processi produttivi; funzione degli istituti, infatti, è quella
di assistere i lavoratori e loro aventi causa nel conseguimento, in via amministrativa o
giudiziaria, delle prestazioni previdenziali e di quiescenza, onde la loro attività attiene non
alla formazione o alla nascita, in sede legale o convenzionale, dei rapporti obbligatori a
carico degli enti di previdenza o di assistenza o dei datori di lavoro, bensà all'attuazione
degli stessi rapporti. In altri termini ' ha osservato la Corte ' i patronati non sono organizzazioni
di tendenza, non svolgono compiti di natura politica o sindacale; come tali, non
rientrano tra gli enti esonerati dall'applicazione della tutela reale in caso di licenziamento
illegittimo del personale. La Corte ha cassato la decisione impugnata e, decidendo nel merito,
ha confermato la sentenza di primo grado.
Legittimazione del passaggio di un lavoratore dalla categoria di impiegato a quella di operaio per evitare il licenziamento
Nel corso di una procedura per riduzione di personale la Spa Ici ha concordato con le organizzazioni sindacaliil passaggio di tre dipendenti dalla categoria impiegatizia
a quella di operai in base all'art. 4, comma 11, della legge 23 luglio 1991 n. 223: «Gli
accordi sindacali stipulati nel corso della procedura di cui al presente articolo, che prevedono
il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire,
anche in deroga al secondo comma dell'articolo 2103 del codice civile, la loro assegnazione
a mansioni diverse da quelle svolte». Uno dei tre dipendenti dequalificati, Giovanni
E. addetto alla sede di Lecce ha rifiutato di svolgere le nuove mansioni di operaio ed
ha offerto, presentandosi in azienda, di continuare a lavorare come impiegato. L'azienda
lo ha licenziato. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Lecce
sostenendo che egli non si era reso inadempiente, perché aveva offerto di continuare a lavorare
con le mansioni per le quali era stato assunto e comunque aveva agito in buona fede.
Il Tribunale ha annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione del lavoratore.
Questa decisione è stata integralmente riformata dalla Corte d'Appello di Lecce la quale
ha ritenuto che l'azienda si sia comportata legittimamente destinando il lavoratore alle
mansioni di operaio in base all'accordo raggiunto con le organizzazioni sindacali al fine di
evitare il suo licenziamento e che il lavoratore si sia reso responsabile di grave insubordinazione.
Giovanni E. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della
Corte di Lecce per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. L'art. 4, comma undicesimo, della legge n. 223/91
' ha affermato la Corte ' consente di assegnare mansioni anche peggiorative, senza alcuna
preclusione, anche attribuendo all'impiegato quelle proprie dell'operaio e ciò si
spiega, considerando che trattasi di un rimedio per evitare il licenziamento. Sul piano giurisprudenziale
' ha ricordato la Corte ' la rigidità della disciplina complessiva dell'art.
2103 cod. civ. (recante l'assoluto divieto di adibizione del lavoratore a mansioni inferiori)
è stata messa in crisi dalla drammatica scelta tra perdita del posto di lavoro e conservazione
dello stesso a condizioni deteriori. La primitiva risposta della giurisprudenza fu fedele
al dato testuale, con la motivazione che il legislatore, con l'articolo 13 Stat. lav., che
detta il nuovo testo dell'art. 2103 codice civile, ha adottato uno strumento di tutela rigido
che opera in tutte le direzioni e può, in condizioni particolari, comportare anche un sacrificio
per il prestatore di lavoro. Successivamente il chiaro interesse del lavoratore alla conservazione
del posto di lavoro è stato privilegiato prima dalla giurisprudenza di merito, e
poi dalla stessa giurisprudenza di legittimità , nel senso che la nullità , sancita nell'art. 13
Stat. lav., di ogni patto contrario, non è riferibile anche all'ipotesi in cui la modifica in peius
delle mansioni sia stata concordata nell'interesse del lavoratore e al fine di evitare il licenziamento
del medesimo; infatti, in tale ipotesi, il patto concernente la diversa utilizzazione
del lavoratore non è in contrasto con le esigenze di dignità e libertà della persona
ma costituisce una soluzione più favorevole di quella ' ispirata ad un'esigenza di mero rispetto
formale della norma ' rappresentata dal licenziamento con successiva riassunzione.
Tale principio, cd. della ammissibilità del patto di dequalificazione al fine di evitare il
licenziamento, è stato successivamente ampliato al fine di ritenere legittima anche l'assegnazione
datoriale unilaterale a mansioni inferiori allo stesso fine, in caso di inabilità
permanente alle mansioni, ed in mancanza di altre equivalenti. Pertanto nel caso in esame
' ha concluso la Corte ' deve ritenersi che il rifiuto delle mansioni di operaio non fosse
giustificato e abbia costituito una grave insubordinazione.
Diritto del giornalista di fatto non iscritto all'albo che lavora tutti i giorni eseguendo le direttive impartitegli
D.D. ha svolto per alcuni anni lavoro giornalistico pur non essendo iscritto all'Albo professionale,per il quotidiano «Tuttosport» edito dalla Nes Nuova editoriale
sportiva, che gli ha corrisposto compensi a titolo di «collaborazione autonoma». Dopo la
cessazione del rapporto, D.D. ha chiesto al Tribunale di Torino di accertare che egli aveva
lavorato per la Nes in condizioni di subordinazione e che aveva diritto, per le mansioni quotidianamente
svolte, al trattamento previsto dal contratto nazionale di lavoro giornalistico
per il redattore. L'azienda si è difesa sostenendo che D.D. si era limitato a fornire articoli,
non aveva mai partecipato all'attività di «cucina redazionale» e comunque, non essendo
giornalista professionista, non aveva diritto al trattamento previsto dal Cnlg per il redattore
ordinario. Dopo aver sentito alcuni testi, il Tribunale ha accolto la domanda, condannando
l'azienda al pagamento delle differenze di retribuzione maturate con riferimento al
trattamento previsto dal Cnlg per il redattore. Questa decisione è stata confermata dalla
Corte d'Appello di Torino che ha ritenuto indice di subordinazione il fatto che il lavoratore
ricevesse ogni mattina specifiche direttive sugli articoli da scrivere, anche se poi si muoveva
liberamente nell'arco della giornata, e che egli seguisse stabilmente la pallanuoto e l'atletica
leggera. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata
per vizi di motivazione e violazione di legge. Essa ha tra l'altro sostenuto che il lavoratore
non avesse diritto al trattamento di redattore ordinario perché non era giornalista
professionista e che, nel valutare le risultanze istruttorie, la Corte di Torino non aveva considerato,
tra l'altro, che D.D. non aveva partecipato alla «cucina redazionale».
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, osservando che la Corte di Torino aveva correttamente
riconosciuto il diritto del lavoratore al trattamento di redattore in base all'art. 2126
cod. civ. Secondo tale norma la mancata iscrizione all'Albo professionisti, pur determinando
la nullità del contratto, non esclude che il rapporto di lavoro produca effetti per il tempo
del suo svolgimento e che pertanto il lavoratore abbia diritto alla retribuzione per le mansioni
svolte. Per quanto attiene all'accertamento della subordinazione, la Cassazione ha ritenuto
che la Corte di Torino abbia adeguatamente motivato la sua decisione.
La sostituzione del titolare di una posizione di vertice nella pubblica amministrazione deve essere adeguatamente motivata
Roberto Speciale, nominato comandante generale della Guardia di Finanza con d.P.R. del 16 ottobre 2003, dopo avere avuto contrasti con il vice ministro Vincenzo Visco,è stato convocato il 1° giugno 2007 dal ministro dell'Economia e delle Finanze
che gli ha richiesto di dimettersi offrendogli in cambio la nomina a Consigliere della
Corte dei Conti. Il generale non ha aderito alla proposta. Conseguentemente il Presidente
della Repubblica ha emesso in data 1° giugno 2007 un decreto del seguente tenore:
«Ritenuto sussistere le ragioni di massima urgenza per procedere, sulla base delle considerazioni
esposte nella proposta formulata dal ministro dell'Economia e delle Finanze,
di concerto con il ministro della Difesa, in data 1° giugno 2007, alla nomina del Generale
Cosimo D'Arrigo a Comandante Generale del Corpo della Guardia di Finanza, in sostituzione
del Generale Roberto Speciale [â?¦] decreta: Art. 1.-1. ' Il Generale C.A. Cosimo D'Arrigo
è nominato Comandante Generale del Corpo della Guardia di Finanza a decorrere dalla
data odierna, in sostituzione del Generale Roberto Speciale». Il gen. Speciale ha chiesto
al Tar del Lazio di annullare il decreto presidenziale e di accertare il suo diritto al risarcimento
del danno non solo dal punto di vista economico-professionale, ma anche sotto
l'aspetto dell'immagine, della dignità e della onorabilità , in misura di euro cinque milioni.
Il Tar del Lazio, sezione seconda, con sentenza n. 13361 del 15 dicembre 2007 ha annullato
il decreto impugnato ed ha rigettato la domanda di risarcimento del danno. Gli atti
di alta amministrazione, come le sostituzioni dei titolari degli organi di vertice, pur configurandosi
come provvedimenti assunti in base a criteri eminentemente fiduciari ' ha affermato
il Tribunale ' devono essere adeguatamente motivati e sono soggetti al sindacato
giurisdizionale; nel caso in esame è mancata, a monte del provvedimento, la statuizione
della revoca del ricorrente il che è sintomo evidente sia dell'assenza di una corretta,
precisa e motivata decisione, sia della volontà di raggiungere il risultato della rimozione
non attraverso le procedure acconce ma con il fatto compiuto della nomina del successore.
Il Tribunale ha inoltre ritenuto che nel caso in esame sia stato violato l'art. 7 della legge
7 agosto 1990 n. 241 secondo cui: «Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti
da particolari esigenze di celerità del procedimento, l'avvio del procedimento stesso
è comunicato, con le modalità previste dall'art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il
provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono
intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora
da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente
individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l'amministrazione è tenuta a fornire
loro, con le stesse modalità , notizia dell'inizio del procedimento».
Nel caso in esame ' ha osservato il Tribunale ' il ministro dell'Economia, con la convocazione
del generale Speciale avvenuta il 1° giugno 2007 ovvero il giorno stesso in cui è stato
poi emesso il provvedimento impugnato, ha accordato al ricorrente, nonostante che le
vicende sottese alla di lui revoca si sviluppassero da svariati mesi, solo un, per vero, assai
breve tempo per il contraddittorio procedimentale; peraltro l'art. 7 della legge 241/1990 esprime
un principio generale dell'ordinamento giuridico e, quindi, le limitazioni alla sua osservanza
vanno intese in modo rigoroso e restrittivo e le interpretazioni che ne escludono
l'applicazione devono esser, di conseguenza, ritenute illegittime se non sorrette da specifiche
norme d'eccezione. L'avviso d'avvio del procedimento ' ha aggiunto il Tribunale ' deve
permettere al destinatario della statuizione conclusiva un tempo, calibrato certo sulle
pari esigenze di celerità ed efficienza dell'azione amministrativa, ma non simbolico o minimale,
affinché questi possa effettivamente partecipare e, se del caso, contraddire gli assunti
e i dati della P.A. procedente; e ciò s'appalesa nella specie ancor più significativo, se
si considera che, come si evince da una pluralità di indizi concordanti, al ricorrente si sono
indirizzate critiche relative sia all'insoddisfacente conduzione dell'ufficio, sia al deterioramento
progressivo ed irreparabile del rapporto fiduciario con la dirigenza politica. Poiché
tali responsabilità erano, ad avviso delle Amministrazioni resistenti, precise ed evidenti '
ha affermato il Tribunale ' a più forte ragione avrebbero dovuto trovare ingresso, anche
senza particolari solennità formali e con l'acconcia pubblicità del caso, in un documento atto
a provocare un serio contraddittorio con il ricorrente e con tutte le idonee garanzie del
procedimento, solo in esito al quale esse avrebbero avuto argomenti e forza giuridica per
giustificare la contestata rimozione. Pertanto ' ha affermato il Tribunale ' nel caso in esame
si è verificata una violazione dell'art. 7 legge n. 241/90, nonché del giusto procedimento
e del principio del contraddittorio. Rigettando la domanda di risarcimento del danno all'immagine,
il Tar ha osservato che tutta la vicenda relativa all'allontanamento del ricorrente
dall'ufficio di Comandante generale della Gdf ha avuto una vasta eco sugli organi
d'informazione, che ha finito per ingenerare nel pubblico il giudizio sà politico, ma anche assai
pubblicizzato, di disistima nell'attività da lui svolta, se non, addirittura, di scorrettezza
verso l'ufficio stesso e le Istituzioni; specialmente dopo l'allocuzione del ministro dell'Economia
davanti al Senato della Repubblica, tale atto politico, in sé insindacabile da questo
giudice, costituisce pur sempre un fatto materialmente accaduto e non manifestamente
irrilevante nella formazione un giudizio negativo sul ricorrente. Non sfugge tuttavia ' ha aggiunto
il Tribunale ' che, come la sua revoca ha avuto una notevole risonanza mediatica
nell'opinione pubblica, altrettanto possa accadere, in senso favorevole al ricorrente, con la
presente sentenza, con ogni probabilità destinata ad avere pari richiamo; la domanda risarcitoria
deve ritenersi quindi assorbita dalla risonanza della presente sentenza che annulla
la rimozione del ricorrente dall'ufficio e dall'effetto immediatamente ripristinatorio
dello status quo ante, cosà neutralizzandosi il danno subito.
L’inadempimento del lavoratore, per giustificare il licenziamento, dev’essere «notevole», in base alla legge n. 604 del 19
In caso di licenziamento collettivo l’azienda oltre a indicare i criteri di scelta deve precisare le loro modalità applicativ
Diritto di assunzione per copertura posti vacanti del lavoratore in posizione utile in un concorso a progressione verticale
La Regione Basilicata ha indetto nel 2000 un concorso di selezione per progressione verticale a sedici posti di categoria D1, di cui otto per il profilo D1A.Nel
bando è stato specificato che la graduatoria dei partecipanti avrebbe avuto la durata di
dodici mesi dalla pubblicazione e sarebbe stata utilizzata per la copertura di posti eventualmente
resisi vacanti. Amedeo R. ha partecipato al concorso per gli otto posti di categoria
D1A e si è classificato nono nella graduatoria pubblicata il 10 novembre 2000. Successivamente,
pur essendosi resi disponibili posti nella categoria D1A, in aggiunta agli otto
già assegnati, la Regione non ha utilizzato la graduatoria del concorso e quindi non ha
provveduto mediante «scorrimento» ad inquadrare Amedeo R. in tale categoria. Anzi, essa
ha indetto un altro concorso per la copertura dei posti vacanti. Amedeo R. ha chiesto,
in via d'urgenza, al Tribunale di Potenza, di ordinare alla Regione Basilicata di attribuirgli
l'inquadramento in D1A per «scorrimento», come previsto dal bando di concorso. Il ricorso,
rigettato in prima istanza, è stato accolto in sede di reclamo. Amedeo R. ha quindi promosso,
davanti allo stesso Tribunale, il giudizio di merito per ottenere il riconoscimento
con sentenza il suo diritto alla progressione in carriera, con ogni relativa conseguenza economica.
La Regione si è difesa sostenendo l'inapplicabilità dello scorrimento. Il Tribunale
ha accolto la domanda. La Corte d'Appello di Potenza ha confermato questa decisione.
La Regione ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di
Potenza per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La Corte territoriale ' ha affermato la Cassazione
' ha dato corretta applicazione all'istituto dello «scorrimento» che consente ai candidati
idonei di divenire vincitori, sempre che, per specifica disposizione del bando, tra i posti
messi a concorso originariamente debbano essere compresi anche quelli che si dovessero
rendere vacanti entro una certa data. L'utilizzazione delle graduatorie anche oltre i posti
prefissati nella singola procedura concorsuale ' ha osservato la Suprema Corte ' risponde
a finalità e ad esigenze che non sono correlate all'interesse del singolo (l'idoneo)
alla copertura effettiva del posto, ma che rispondono all'interesse pubblico di procedere
ad assunzioni, in relazione a vacanze sopravvenute di posti in organico che l'amministrazione
decida di coprire, avvalendosi della graduatoria di un precedente concorso piuttosto
che procedere all'avvio di un nuovo (costoso e più lungo) procedimento concorsuale:
le numerose disposizioni normative che hanno sancito la conservazione dell'efficacia delle
graduatorie di concorso per un certo tempo, a decorrere dalla data di pubblicazione della
stessa, sono preordinate, in attuazione dei principi di economicità , efficienza ed efficacia
dell'azione amministrativa ad offrire uno strumento che consenta di individuare immediatamente
il soggetto da assumere, rispettando nel contempo la regola inderogabile
della scelta del personale mediante concorso. L'istituto del cd. scorrimento della graduatoria,
che consente ai candidati semplicemente idonei di divenire vincitori effettivi, precludendo
l'apertura di nuovi concorsi, presuppone necessariamente una decisione dell'amministrazione
di coprire il posto: ma, una volta assunta, tale decisione risulta equiparabile,
nella sostanza, all'espletamento di tutte le fasi di una procedura concorsuale, con
identificazione degli ulteriori vincitori, ancorché mediante l'utilizzazione dell'intera sequenza
di atti apertasi con il bando originario, recante la cd. lex specialis del concorso, e
conclusasi con l'approvazione della graduatoria, che individua i soggetti da assumere.
Il licenziamento disciplinare è illegittimo se in casi analoghi l’azienda ha applicato una sanzione minore ad altri dipendent
Il lavoratore che giustifica un'assenza con un certificato medico dichiarando il falso può essere condannato per truffa
Giuseppe C., dipendente del Ministero di Giustizia con mansioni di conducente di automezzi,affetto da artrosi lombo sacrale con doppia discopatia, ha ottenuto alcuni certificati
medici attestanti la sua necessità di riposo, dichiarando al sanitario una sintomatologia
dolorosa acuta. Nei periodi di assenza dal lavoro giustificati con tali certificati, egli
si è recato in luoghi di vacanza ove ha praticato gli sport dello sci e del tennis. Conseguentemente
egli è stato sottoposto a processo penale e condannato alla pena di un anno
di reclusione e 300,00 euro di multa dal Tribunale di Ancona, che lo ha dichiarato responsabile
del reato di truffa in danno dello Stato (art. 640 cpv. n. 1 cod. pen.) e di induzione
a commettere falsità ideologica (artt. 48 e 481 cod. pen.). Il Tribunale ha ritenuto che
l'imputato, dichiarando, contrariamente al vero, inesistenti sintomi di lombalgia acuta,
abbia indotto i medici in errore, inducendoli a rilasciare false attestazioni di inabilità al lavoro.
I medici escussi come testi ' ha osservato il Tribunale ' hanno fornito un riscontro
tecnico a un dato di comune esperienza e, cioè, che la lombalgia acuta comporta un irrigidimento
del rachide, una limitazione delle capacità deambulatorie e una impossibilità di
svolgere le comuni mansioni, con necessità di riposo assoluto almeno nei primi giorni e,
successivamente, di una modesta attività fisioterapica; si trattava perciò di una situazione
del tutto incompatibile con la pratica dello sci e del tennis, cui invece risultava essersi
dedicato il lavoratore, posto che tali attività sportive implicavano una iperattività dei muscoli
lombari e una sollecitazione della schiena particolarmente intensa. Questa decisione
è stata confermata dalla Corte di Appello di Ancona. Giuseppe G. ha proposto ricorso
per cassazione censurando la decisione impugnata per illogicità della motivazione e violazione
di legge, sostenendo in particolare che avrebbe dovuto essere disposta una perizia
medica.
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. L'affermazione di responsabilità
' ha osservato la Corte ' poggia sul positivo accertamento della presenza del dipendente
in luoghi di vacanza, dove si dedicava ad attività del tutto incompatibili con l'asserito stato
di malattia o la necessità di cure termali-fisioterapiche; l'accertamento peritale ' per
sua natura mezzo di prova «neutro» ' non può ricondursi al concetto di «prova decisiva»,
la cui mancata assunzione possa costituire motivo di ricorso per Cassazione, ai sensi dell'articolo
606, comma 1, lettera «d», del cod. proc. pen., in quanto il ricorso o meno a una
perizia è attività sottratta al potere dispositivo delle parti e rimessa essenzialmente al potere
discrezionale del giudice, la cui valutazione, se assistita da adeguata motivazione, è
insindacabile in sede di legittimità . Nel caso in esame ' ha affermato la Corte ' i Giudici di
appello hanno implicitamente, ma inequivocamente affermato l'inutilità del mezzo tecnico,
osservando che i sanitari assunti come testi avevano fornito un «riscontro tecnico» di
nozioni che fanno parte del bagaglio della comune esperienza.
Riordino degli enti di ricerca
La legge delega il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge,uno o più decreti legislativi al fine di riordinare la disciplina relativa agli
statuti e agli organi di governo degli enti pubblici nazionali di ricerca, vigilati dal Ministero
dell'università e della ricerca, «allo scopo di promuovere, sostenere, rilanciare e razionalizzare
le attività nel settore della ricerca e di garantire autonomia, trasparenza ed efficienza
nella gestione degli enti pubblici nazionali di ricerca». I decreti dovranno essere emanati
nel rispetto di alcuni principi direttivi: a) riconoscimento agli enti della autonomia
statutaria, «al fine di salvaguardarne l'indipendenza e la libera attività di ricerca, volta all'avanzamento
della conoscenza, ferma restando la responsabilità del Governo nell'indicazione
della missione e di specifici obiettivi di ricerca per ciascun ente»; b) gli statuti degli
enti saranno deliberati da parte degli organi statutari competenti dei singoli enti, previo
controllo di legittimità e di merito del Ministro dell'università e della ricerca; c) in sede
di prima attuazione gli statuti saranno deliberati dai consigli scientifici di ciascun ente integrati
da cinque esperti di alto profilo scientifico, nominati dal Ministro dell'università e
della ricerca. Agli esperti non e' riconosciuto alcun compenso o indennità ; d) agli enti saranno
attribuite le risorse finanziarie in base alla valutazione di qualità dei risultati della
ricerca svolta, nonché l'efficacia e l'efficienza delle loro attività istituzionali da parte dell'Agenzia
nazionale di valutazione dell'università e della ricerca (Anvur); e) la metà dei
componenti del consiglio di amministrazione del Consiglio nazionale delle ricerche deve
essere di nomina governativa; f) i direttori degli organi di ricerca devono essere individuati
con procedure di valutazione comparativa sulla base del merito scientifico; g) «adozione
di misure che prevedano norme anti-discriminatorie tra donne e uomini nella composizione
di organi statutari». Il Governo è altresà autorizzato «a procedere ad accorpamenti o
scorpori, anche parziali, con conseguente attribuzione di personalità giuridica, di enti o di
loro strutture attive nei settori della fisica della materia, dell'ottica e dell'ingegneria navale».
(Gazzetta Ufficiale n. 236 del 10 ottobre 2007)
Dimissioni volontarie
La legge dispone che dal 5 marzo 2008 la lettera di dimissioni volontarie, «volta a dichiarare l'intenzione di recedere dal contratto di lavoro,e presentata dalla lavoratrice, dal lavoratore, nonché dal prestatore d'opera» venga predisposta, a pena
di nullità , su appositi moduli resi disponibili dal centro per l'impiego, dalle direzioni provinciali
del lavoro e dagli uffici comunali. Con apposite convenzioni saranno disciplinate le
modalità attraverso le quali i moduli per le dimissioni volontarie saranno disponibili anche
tramite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei patronati. I moduli, resi disponibili
anche sul sito del Ministero del lavoro devono garantire la certezza dell'identità del
richiedente, la riservatezza dei dati personali e l'individuazione della data del rilascio. Infatti
dalla data del rilascio del modulo decorrono i quindici giorni di validità dello stesso
entro i quali il lavoratore dovrà consegnarlo al datore di lavoro. I soggetti, che a pena di
nullità , devono presentare le proprie dimissioni volontarie tramite l'apposito modulo sono
i titolari di contratto «di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile,
indipendentemente dalle caratteristiche e dalla durata, nonché i contratti di collaborazione
coordinata e continuativa, anche a progetto, i contratti di collaborazione di natura occasionale,
i contratti di associazione in partecipazione di cui all'articolo 2549 del codice civile
per cui l'associato fornisca prestazioni lavorative e in cui i suoi redditi derivanti dalla
partecipazione agli utili siano qualificati come redditi di lavoro autonomo, e i contratti di
lavoro instaurati dalle cooperative con i propri soci». Nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 19
febbraio 2008 è stato pubblicato il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale,
di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione
che definisce gli standard e le regole per la realizzazione del modulo. Il modulo è reso
disponibile sul sito internet www.lavoro.gov.it/mdv ed acquisisce i caratteri di non contraffazione
o falsificazione dopo l'inoltro al Ministero attraverso i sistemi informatici disponibili
presso i comuni, i centri per l'impiego e le direzioni provinciali e regionali del lavoro.
(Gazzetta ufficiale n. 260 del 8 novembre 2007)
Cassa di previdenza degli sportivi
La legge sopprime, all'articolo 28, la Cassa di previdenza e assicurazione degli sportivi (Sportass)e le relative funzioni sono demandate all'Inps per la parte previdenziale e all'Inail per quanto attiene l'aspetto assicurativo.
(Gazzetta ufficiale n. 279 del 30 novembre 2007)
Parità di trattamento tra uomini e donne
Il decreto aggiunge, in attuazione della direttiva 2004/113/Ce, al Codice di pari opportunità tra uomo e donna (decreto legislativo n. 198/2006),gli articoli dal 55- bis al 55-decies in materia di parità di trattamento di uomini e donne
nell'accesso a beni e servizi e loro fornitura. Vengono date le nozioni di discriminazione diretta e indiretta.
Sussiste discriminazione diretta «quando, a causa del suo sesso, una persona è trattata
meno favorevolmente di quanto sia stata o sarebbe trattata un'altra persona in una situazione
analoga». Sussiste discriminazione indiretta «quando una disposizione, un criterio
o una prassi apparentemente neutri possono mettere le persone di un determinato
sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a persone dell'altro sesso, a meno
che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità
legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari.
» Il decreto vieta a tutti i soggetti, pubblici e privati, fornitori di beni e servizi che
sono a disposizione del pubblico e che sono offerti al di fuori dell'area della vita privata e
familiare, ogni discriminazione diretta e indiretta fondata sul sesso nell'accesso a beni e
servizi e loro fornitura. Le differenze nei premi e nelle prestazioni a fini assicurativi e di altri
servizi finanziari non possono essere determinate dal fatto di tenere conto del sesso
quale fattore di calcolo. Le differenze consentite sono quelle proporzionate «nei premi o
nelle prestazioni individuali ove il fattore sesso sia determinante nella valutazione dei rischi,
in base a dati attuariali e statistici pertinenti e accurati.»
(Gazzetta ufficiale n. 261 del 9 novembre 2007 ' suppl. ordinario n. 228)
Finanziaria 2008
Si riportano alcune disposizioni della legge finanziaria 2008 che entrano in vigore il 1° gennaio 2008.Le detrazioni d'imposta devono essere richieste annualmente
dagli aventi diritto che sono tenuti ad indicare le condizioni di spettanza e di codici fiscali
dei soggetti per i quali sono chieste le detrazioni stesse (comma 221, art. 1). È istituito
presso l'Inail un fondo per le vittime dell'amianto e per i loro eredi. Il fondo è finanziato,
per un quarto dalle imprese, tramite una addizionale ai premi relativi ai settori esposti al
rischio, e per tre quarti dal bilancio dello Stato (commi 241-246, art. 1). I commi 452-456
dell'art. 2 hanno modificato le disposizioni del decreto legislativo n. 151/2001 relativamente
ai congedi di maternità , paternità e parentale nei casi di adozione e affidamento:
a) per l'adozione il congedo di maternità spetta per un periodo massimo di cinque mesi,
nel caso di adozione nazionale, da fruire durante i primi cinque mesi successivi all'effettivo
ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. In caso di adozione internazionale
il congedo può essere fruito prima dell'ingresso del minore in Italia, durante il periodo di
permanenza all'estero richiesto per l'incontro con il minore oppure entro i cinque mesi
successivi all'ingresso del minore in Italia; b) in caso di affidamento del minore il congedo
di massimo tre mesi può essere fruito entro cinque mesi dall'affidamento. Il congedo
parentale può essere fruito dai genitori adottivi o affidatari entro otto anni dall'ingresso
del minore in famiglia purché non oltre il compimento della maggiore età . L'indennità
spettante in caso di congedo parentale spetta nei primi tre anni dall'ingresso del minore
in famiglia. Entro il 31 marzo 2008 un apposito decreto di natura non regolamentare del
Ministro dell'economia stabilirà i criteri per attuare la riduzione del prelievo fiscale sui
trattamenti di fine rapporto, sulle indennità equipollenti e sulle altre indennità e somme
connesse alla cessazione del rapporto di lavoro, il cui diritto alla percezione sorga a partire
dal 1° aprile 2008 (comma 514, art. 2). Le amministrazioni pubbliche sono tenute a
pubblicare sul proprio sito web i provvedimenti di conferimento di incarichi, completi di
indicazione del soggetti percettori, della ragione dell'incarico e dell'ammontare erogato.
In caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione
o consulenza costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale
del dirigente preposto. L'affidamento da parte degli enti locali di incarichi di studio o di
ricerca, o di consulenze, a soggetti estranei all'amministrazione può avvenire solo nell'ambito
di un programma approvato dal consiglio. Con il regolamento sull'ordinamento
degli uffici e dei servizi sono fissati i limiti, i criteri e le modalità per l'affidamento di incarichi
di collaborazione o di consulenze a soggetti estranei all'amministrazione nonché i limiti
di spesa annua (commi 54-58, art. 3). Secondo la modifica apportata al comma 6 dell'articolo
7 del decreto legislativo n. 165/2001, le amministrazioni pubbliche, qualora non
possano far fronte con il personale in servizio, possono conferire incarichi individuali, con
contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti
di particolare e comprovata specializzazione universitaria. L'amministrazione deve preliminarmente
accertare l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al
suo interno, la durata, il luogo, l'oggetto e il compenso della collaborazione. Le prestazioni
devono essere di natura temporanea e altamente qualificata. Tali disposizioni non si
applicano ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione
(commi 76-78 dell'art. 3). Le amministrazioni pubbliche possono assumere esclusivamente
con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato e non possono avvalersi
delle forme contrattuali di lavoro flessibile se non per esigenze stagionali o per periodi
non superiori a tre mesi, fatte salve le sostituzioni per maternità . Il provvedimento deve
contenere il nominativo del dipendente da sostituire. In nessun caso è ammesso il rinnovo
del contratto o l'utilizzo del medesimo lavoratore con altra tipologia contrattuale. Le
pubbliche amministrazioni possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento
di programmi o attività i cui oneri sono finanziati con fondi dell'Unione Europea. Le
università e gli enti di ricerca possono avvalersi di contratti di lavoro flessibile per lo svolgimento
di progetti di ricerca e di innovazione tecnologica i cui oneri non risultino a carico
dei bilanci di funzionamento degli enti. L'utilizzazione di lavoratori per fini diversi da
quelli consentiti da tali disposizioni determina responsabilità amministrativa del dirigente
e del responsabile del progetto (comma 79, art. 3). Le amministrazioni pubbliche possono
stipulare contratti a termine nel limite del 35% della spesa (comma 80, art. 3). Le amministrazioni
pubbliche predisporranno entro il 30 aprile 2008, sentite le organizzazioni
sindacali, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni per gli anni 2008-
2010, piani per la progressiva stabilizzazione del personale non dirigenziale tenendo conto
dei seguenti requisiti: a) in servizio con contratto a tempo determinato e in possesso
dei requisiti previsti dai commi 519 3 558 dell'art. 1 della legge n. 296/2006; b) contratti
di collaborazione coordinata e continuativa in essere e che abbia espletato attività lavorativa
per almeno tre anni presso la stessa amministrazione, anche non continuativi, nel
quinquennio antecedente al 28 settembre 2007 (commi 90-94, art. 3). Le disposizioni relative
al diritto al collocamento obbligatorio di cui all'articolo 1, comma 2, della legge n.
407/1998, sono estese agli orfani o in alternativa la coniuge superstite di coloro che sono
deceduti per fatto di lavoro o a causa dell'aggravarsi delle mutilazioni o infermità che hanno
dato luogo a trattamento di rendita da infortunio sul lavoro (comma 123, art. 3).
(Gazzetta ufficiale n. 300 del 28 dicembre 2007 ' supplemento ordinario n. 285)
Attuazione Protocollo welfare del 23 luglio 2007
La legge ha recepito i contenuti del Protocollo tra Governo e Parti Sociali del 23 luglio 2007 in tema di previdenza, lavoro e competitività per favorire l'equità e la
crescita sostenibile. I primi commi dell'articolo 1 modificano i requisiti per l'accesso ai trattamenti
pensionistici, di vecchiaia e di anzianità , di cui alla legge n. 243/2004. Dal 1° gennaio
2008 al 30 giugno 2009, fermo restando il requisito di anzianità contributiva non inferiore
a 35 anni, potranno andare in pensione per anzianità i lavoratori subordinati con
almeno 58 anni, e 59 anni se lavoratori autonomi. Dal 1° luglio 2009 si consegue il diritto
alla pensione secondo il meccanismo delle quote: dal 1° luglio 2009 al 31 dicembre 2010
la somma dell'anzianità contributiva e dell'età anagrafica, minimo 59 anni per i lavoratori
subordinati, deve raggiungere la quota 95. Dal 1° gennaio 2011 al 31 dicembre 2012 la
somma dell'anzianità contributiva e dell'età anagrafica, minimo 60 anni per i lavoratori subordinati,
deve raggiungere la quota 96. Dal 1° gennaio 2013 la somma dell'anzianità contributiva
e dell'età anagrafica, minimo 61 anni per i lavoratori subordinati, deve raggiungere
la quota 97. Per i lavoratori autonomi il requisito anagrafico è maggiore di un anno.
Con meno di 40 anni di contributi ci sono due finestre di uscita per la pensione di anzianità :
il 1° gennaio dell'anno successivo se i requisiti si maturano entro il 30 giugno, il 1° luglio
dell'anno successivo se i requisiti si maturano entro il 31 dicembre. Con almeno 40 anni
di contributi ci sono quattro finestre di uscita: il 1° luglio dello stesso anno se si maturano
i requisiti entro il 31 marzo, il 1° ottobre dello stesso anno se si maturano i requisiti
entro il 30 giugno, il 1° gennaio dell'anno successivo se si maturano i requisiti entro il 30
settembre, il 1° aprile dell'anno successivo se si maturano i requisiti entro il 31 dicembre.
La legge introduce il sistema delle finestre anche per la pensione di vecchiaia. Le date per
i lavoratori subordinati sono le stesse previste per la pensione di anzianità con almeno 40
anni di contributi sopra riportate. Per i lavoratori autonomi tali date slittano di tre mesi. Il
comma 3 dell'articolo 1 delega il Governo ad adottare, entro tre mesi dall'entrata in vigore
della legge, uno o più decreti legislativi, al fine di concedere la possibilità , ai lavoratori
impegnati in mansioni particolarmente usuranti, o siano lavoratori notturni secondo il decreto
legislativo n. 66/2003, o siano addetti alla «linea catena», o siano conducenti di veicoli
pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto di persone, di conseguire il diritto al trattamento
pensionistico anticipato sulla base di requisiti anagrafici minimi, ridotti di 3 anni,
e in ogni caso non inferiore a 57 anni di età , fermi restando il requisito minimo di anzianità
contributiva di 35 anni. I lavoratori dovranno aver svolto le suddette attività lavorative
per almeno sette anni negli ultimi dieci anni o, a regime, per un periodo pari almeno alla
metà della vita lavorativa. Il comma 12 affida ad una commissione, che sarà istituita con
decreto del Ministro del lavoro, il compito di proporre entro il 31 dicembre 2008 le modifiche
dei criteri di calcolo dei coefficienti di trasformazione previsti dalla legge n.
335/1995. La commissione dovrà tenere in considerazione le dinamiche demografiche e
migratorie, nonché i percorsi lavorativi al fine di proporre meccanismi di solidarietà e garanzia
per tutti i percorsi lavorativi. Il comma 25 dispone che dal 1° gennaio 2008 la durata
dell'indennità ordinaria di disoccupazione è di otto mesi ed aumenta a dodici mesi per
i soggetti di età pari o superiore a cinquanta anni. La percentuale di commisurazione alla
retribuzione è del sessanta per cento per i primi sei mesi, del cinquanta per cento per i
successivi due mesi e del quaranta per cento per il rimanente periodo. Il comma 26 determina
che la percentuale di commisurazione alla retribuzione dell'indennità di disoccupazione
con requisiti ridotti è pari al trentacinque per cento per i primi 120 giorni e al quaranta
per cento per i successivi giorni fino ad un massimo di 180 giorni. Il comma 28 delega
il Governo ad adottare entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti
legislativi finalizzati a riformare la materia degli ammortizzatori sociali per il riordino
degli istituti a sostegno del reddito rispettando alcuni principi e criteri direttivi: a) «creazione
di uno strumento unico indirizzato al sostegno del reddito e al reinserimento lavorativo
dei soggetti disoccupati senza distinzione di qualifica, appartenenza settoriale, dimensione
di impresa e tipologia di contratti di lavoro; b) considerare le condizioni di maggiore
difficoltà del Mezzogiorno; c) prevedere la copertura figurativa ai fini previdenziali
per i soggetti che beneficiano dei trattamenti di disoccupazione; d) «estensione e armonizzazione
della cassa integrazione ordinaria e straordinaria»; e) «coinvolgimento e partecipazione
attiva delle aziende nel processo di ricollocazione dei lavoratori»; f) coinvolgimento
degli enti bilaterali nella previsione di prestazioni aggiuntive a quelle previste dal
sistema generale; g) potenziare i servizi per l'impiego collegando l'erogazione delle prestazioni
di disoccupazione a percorsi di formazione e inserimento lavorativo. Il comma 30
delega il Governo ad adottare entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o
più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per l'impiego,
incentivi all'occupazione e apprendistato. La delega in materia di apprendistato definisce
criteri e principi ai quali attenersi: a) il rafforzamento della contrattazione collettiva
nella materia; b) l'individuazione di standard nazionali di qualità della formazione in
materia di profili professionali e percorsi formativi, certificazione delle competenze, validazione
dei progetti formativi individuali e riconoscimento delle capacità formative delle
imprese. Il comma 35 sostituendo l'articolo 13 della legge n. 118/1971, dispone che agli invalidi
civili tra i 18 e i 64 anni con una riduzione della capacità lavorativa pari o superiore
al 74% che non svolgano attività lavorativa sia concesso un assegno mensile di 242,84
euro per tredici mensilità . Il comma 39 premette, all'articolo 1 del decreto legislativo n.
368/2001, che regola il lavoro a tempo determinato, che «il contratto di lavoro subordinato
è stipulato di regola a tempo indeterminato». I commi 40-42 apportando modifiche
al decreto legislativo n. 368/2001 stabiliscono che qualora la successione di contratti a
termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso
lavoratore abbai complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi,
indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e
l'altro, il rapporto viene considerato a tempo indeterminato. In deroga a tale disposizione
può essere stipulato un ulteriore contratto a tempo determinato solo qualora venga sottoscritto
presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio con l'assistenza
di un rappresentante sindacale cui il lavoratore abbia conferito mandato. Tali disposizioni
non applicabili per le attività stagionali di cui al decreto del presidente della Repubblica
n. 1525/1963, nonché per le attività individuate dai contratti collettivi nazionali.
Il lavoratore che ha prestato servizio presso la stessa azienda con contratti di lavoro a
tempo determinato per più di sei mesi, ha diritto di precedenza, qualora ne faccia domanda
entro sei mesi dalla cessazione del rapporto, nelle assunzioni a tempo indeterminato
effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni
già espletate in esecuzione dei rapporti a termine. Il lavoratore assunto a termine per
lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza, qualora ne faccia domanda
entro tre mesi dalla cessazione del rapporto, rispetto a nuove assunzioni a termine da parte
dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali. Il diritto di precedenza
si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Il comma 43
stabilisce che in fase di prima applicazione: a) i contratti a termine in corso alla data di entrata
in vigore della legge continuano fino al termine previsto dal contratto; b) «il periodo
di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della presente legge si computa, insieme
ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di
cui al citato comma 4-bis, decorsi 15 mesi dalla medesima data.» Il comma 44 prevede che
la possibilità di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa a tempo parziale
e di modificare la collocazione della stessa deve essere previsto dai contratti collettivi
stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale e non può più essere stabilito solo con patti individuali come era previsto in precedenza.
Viene concessa la priorità nella trasformazione del rapporto di lavoro a tempo
parziale qualora il lavoratore: a) sia affetto da patologie oncologiche; b) abbia il coniuge,
i figli o i genitori affetti da patologie oncologiche; c) assista una persona convivente con
totale e permanente inabilità lavorativa; d) abbia un figlio convivente di età non superiore
agli anni tredici o con figlio convivente portatore di handicap. Viene abolito il contratto
di lavoro intermittente (comma 45) e il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato
(comma 46). Nei settori del turismo e dello spettacolo i contratti collettivi nazionali
di lavoro potranno disciplinare forme di lavoro intermittente per lo svolgimento di
attività durante il fine settimana, le festività , i periodi di vacanze scolastiche, nonché in casi
previsti dagli stessi contratti. I contratti dovranno prevedere anche l'indennità di disponibilità
nel caso sia prevista la disponibilità del lavoratore a rendere la prestazione (commi
47-50). Il comma 67 istituisce un fondo per il finanziamento di sgravi contributivi per
incentivare la contrattazione di secondo livello. Allo stesso tempo viene soppressa la decontribuzione
per i premi di produttività . In via sperimentale viene riconosciuta per il triennio
2008-2010, previa specifica domanda da parte delle imprese interessate, la concessione
di uno sgravio contributivo, entro il tetto del 5% della retribuzione contrattuale percepita,
in misura pari al 25% dell'erogazione ammessa al beneficio. Le erogazioni previste
dalla contrattazione di secondo livello devono essere incerte nella corresponsione o
nell'ammontare e la struttura deve essere correlata alla misurazione di incrementi di produttività ,
qualità o altri indicatori dell'andamento economico dell'impresa e dei risultati.
Le modalità di attuazione di tale sperimentazione dovranno essere stabilite con decreto
interministeriale. Dal 1° gennaio 2008 è stata abolita la contribuzione aggiuntiva sul lavoro
straordinario eccedente le 40 ore settimanali (comma 71). Il comma 76, in materia di totalizzazione
dei contributi assicurativi, riduce da sei a tre anni il limite minimo di anzianità
contributiva nelle singole gestioni richiesto per cumulare i vari periodi assicurativi. Il comma
77 stabilisce che possono riscattare la laurea anche i soggetti non iscritti ad una forma
obbligatoria di previdenza che non hanno iniziato l'attività lavorativa. Il contributo è fiscalmente
deducibile dall'interessato o dal soggetto di cui l'interessato risulta fiscalmente
a carico. L'onere dei periodi di riscatto può essere versato in unica soluzione o in 120
rate mensili senza l'applicazione di interessi per la rateizzazione. Gli iscritti alla gestione
separata dell'Inps che non risultano assicurati presso altra forme previdenziali obbligatorie
dovranno versare una aliquota contributiva del 24% per l'anno 2008, del 25% per l'anno
2009 e del 26% per l'anno 2010. Il comma 81 delega il Governo ad emanare, entro dodici
mesi dall'entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino
della normativa in materia di occupazione femminile, nel rispetto di alcuni principi e criteri
direttivi: a) prevedere incentivi e sgravi contributivi che sostengano la flessibilità oraria
legata alla conciliazione tra lavoro e vita familiare e quindi tesa ad aumentare l'occupazione
femminile; b) rivedere la normativa sui congedi parentali estendendone la durata
e la relativa indennità al fine di incentivarne l'utilizzo; c) incrementare l'utilizzo del lavoro
a tempo parziale e del telelavoro; d) rafforzare l'azione dei diversi livelli di governo
con riferimento ai servizi per l'infanzia e agli anziani non autosufficienti; e) rafforzare le garanzie
e l'applicazione effettiva della parità di trattamento tra donne e uomini in materia
di occupazione e lavoro; f) far emergere e rendere misurabili le discriminazioni di genere
anche di tipo retributivo.
(Gazzetta ufficiale n. 301 del 29 dicembre 2007)
Irrilevanza del Ccnl applicato per determinare la regolamentazione applicabile in caso di sciopero
La Commissione ha confermato l'orientamento precedentemente espresso(sedute del 25 ottobre 2006 e del 15 febbraio 2007) secondo cui ai fini della disciplina applicabile
in materia di sciopero non è rilevante il Ccnl applicato dall'Azienda al personale,
ma occorre fare riferimento alla natura del servizio pubblico reso. Pertanto è applicabile
la disciplina in materia di sciopero dettata dall'accordo nazionale del 23 novembre
1999 per il trasporto ferroviario anche alle aziende che effettuano solo trasporto
merci su rotaia, sebbene tali aziende applichino un diverso contratto collettivo
da quello del personale ferroviario.
Esternalizzazione servizi pubblici delle regioni. Disciplina applicabile in caso di sciopero delle imprese private appaltatrici
La Commissione ha ritenuto che, poiché ai fini della disciplina applicabile in materia di sciopero occorre fare riferimento alla natura del servizio pubblico reso,debba trovare applicazione anche alle imprese appaltatrici delle Regioni l'accordo
collettivo nazionale in materia di norme di garanzia del funzionamento dei servizi
pubblici essenziali nell'ambito del comparto Regioni-Autonomie locali (valutato idoneo
dalla Commissione con deliberazione n. 02/181 del 25 settembre 2002), qualora
le imprese appaltatrici prestino servizi qualificati come indispensabili dallo stesso
accordo. In particolare l'accordo individua tra i servizi da considerare essenziali ai sensi
degli artt. 1 e 2 della legge n. 146/1990 quelli connessi all'igiene, sanità e attività assistenziali,
nonché il «servizio di pronto intervento e di assistenza, anche domiciliare,
per assicurare la tutela fisica, la confezione, la distribuzione e somministrazione del
vitto a persone non autosufficienti ed ai minori affidati alle apposite strutture a carattere
residenziale». In mancanza di altra idonea disciplina, specificamente applicabile
alle imprese appaltatrici, la regolamentazione dettata per le Regioni dovrà trovare applicazione
anche nel caso di affidamento di tale attività ad imprese esterne.
Trasporti marittimi privati non gestiti in concessione o convenzione con la P.A.
La Commissione ha valutato negativamente uno sciopero indetto avverso una compagnia di trasporto marittimo per le isole.La Commissione ha rigettato l'eccezione
formulata dalla organizzazione sindacale che lo aveva proclamato, la quale ha
invocato l'inapplicabilità della legge n. 146/90 al servizio svolto dalla compagnia in
quanto nel settore del trasporto marittimo il medesimo servizio da questa offerto avrebbe
potuto essere svolto o direttamente dallo Stato o da imprese private che operano
in regime di concessione, convenzione o contratto di servizio pubblico. Nel caso
di specie, invece, la compagnia non è soggetto di diritto pubblico, non opera in concessione
o convenzione per alcun settore pubblico, né al servizio dello Stato, né per
conto dello stesso, ma opera nel mercato privato, con contratti di diritto privato ed offrendo
un servizio privato e pertanto ' secondo le difese della organizzazione sindacale
' non potrebbe ritenersi esercente un servizio pubblico rientrante nell'ambito di
applicazione della legge n. 146/90. La Commissione ha ribadito il suo orientamento secondo
cui l'art. 1, comma 2, lett. b) della legge, nell'elencare i servizi ai quali si applicano
le disposizioni in essa contenute indica anche i trasporti «marittimi limitatamente
al collegamento con le isole» ed, inoltre, ai fini dell'applicabilità della legge n.
146/1990 non rileva la natura giuridica, pubblica o privata, dell'azienda erogatrice del
servizio, ma l'incidenza del servizio su diritti costituzionalmente protetti.
Dipendenti pubblici – Prestazione di ore straordinarie - Discriminazione indiretta delle lavoratrici assunte a tempo parziale
Diritto di soggiorno di un familiare cittadino di uno Stato terzo - Ritorno del lavoratore nello Stato membro di cui è cittadin
1) In caso di ritorno di un lavoratore comunitario nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza,il diritto comunitario non impone alle autorità di questo Stato di
riconoscere al cittadino di uno Stato terzo, familiare di detto lavoratore, un diritto di ingresso
e di soggiorno per il solo fatto che, nello Stato membro ospitante in cui quest'ultimo
ha esercitato un'attività subordinata, tale cittadino possedeva un permesso di soggiorno
in corso di validità rilasciato in base all'art. 10 del regolamento (Cee) del Consiglio
15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità .
2) All'atto del rientro di un lavoratore nello Stato membro di cui è cittadino, dopo aver
svolto un'attività subordinata in un altro Stato membro, un cittadino di uno Stato terzo,
familiare di tale lavoratore, dispone, in forza dell'art. 10, n. 1, lett. a), del regolamento n.
1612/68, come modificato dal regolamento n. 2434/92, per effetto di un'applicazione analogica
di tale disposizione, di un diritto di soggiorno nello Stato membro di cui il lavoratore
ha la cittadinanza, anche se quest'ultimo non vi svolge un'attività economica reale
ed effettiva. Il fatto che un cittadino di uno Stato terzo familiare di un lavoratore comunitario,
prima di soggiornare nello Stato membro in cui quest'ultimo ha svolto un'attività subordinata,
non disponesse di un diritto di soggiorno basato sul diritto nazionale nello Stato
membro di cui detto lavoratore ha la cittadinanza è ininfluente ai fini della valutazione
del diritto di tale cittadino di soggiornare in quest'ultimo Stato.
Distacco di lavoratori nel settore edilizio
1. L'art. 3, n. 7, della direttiva 96/71 relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi,non può essere interpretato nel senso che esso consentirebbe
allo Stato membro ospitante di subordinare la realizzazione di una prestazione
di servizi sul suo territorio al rispetto di condizioni di lavoro e di occupazione che vadano
al di là delle norme imperative di protezione minima. Infatti, per quanto riguarda le
materie di cui all'art. 3, n. 1, primo comma, lett. a)-g), la direttiva prevede esplicitamente
il livello di protezione di cui lo Stato membro ospitante ha il diritto di pretendere il rispetto
da parte delle imprese stabilite in altri Stati membri a favore dei loro lavoratori distaccati
sul suo territorio. Peraltro, tale interpretazione finirebbe per privare di effetto utile la
direttiva in esame. Di conseguenza, e fatta salva la facoltà , per le imprese aventi sede in
altri Stati membri, di sottoscrivere volontariamente nello Stato membro ospitante, in particolare
nell'ambito di un impegno preso con il proprio personale distaccato, un contratto
collettivo di lavoro eventualmente più favorevole, il livello di protezione che deve essere
garantito ai lavoratori distaccati sul territorio dello Stato membro ospitante è limitato, in
linea di principio, a quello previsto dall'art. 3, n. 1, primo comma, lett. a)-g), della direttiva
96/71, a meno che tali lavoratori non godano già , in applicazione della legge o di contratti
collettivi nello Stato membro di origine, di condizioni di lavoro e di occupazione più favorevoli
per quanto riguarda le materie previste da tale disposizione.
2. Se il diritto di intraprendere un'azione collettiva deve essere riconosciuto quale diritto
fondamentale facente parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui
la Corte garantisce il rispetto, l'esercizio di tale diritto può essere sottoposto a talune restrizioni.
A tale proposito, anche se la tutela dei diritti fondamentali rappresenta un legittimo
interesse che giustifica, in linea di principio, una limitazione degli obblighi imposti
dal diritto comunitario, ancorché derivanti da una libertà fondamentale garantita dal Trattato,
l'esercizio di tali diritti fondamentali non esula dall'ambito applicativo delle disposizioni
del Trattato e deve essere conciliato con le esigenze relative ai diritti tutelati dal Trattato
stesso, oltre che essere conforme al principio di proporzionalità . Di conseguenza, il
carattere fondamentale del diritto di intraprendere un'azione collettiva non è tale da sottrarre
un'azione del genere, avviata nei confronti di un'impresa stabilita in un altro Stato
membro, che distacca lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi transnazionale,
all'ambito di applicazione del diritto comunitario.
3. Gli artt. 49 Ce e 3 della direttiva 96/71/Ce, relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito
di una prestazione di servizi, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a
che, in uno Stato membro in cui le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie
di cui all'art. 3, n. 1, primo comma, lett. a)- g), della stessa direttiva sono contenute
in norme legislative, ad eccezione dei minimi salariali, un'organizzazione sindacale possa,
mediante un'azione collettiva sotto forma di blocco dei cantieri tentare di indurre un prestatore
di servizi stabilito in un altro Stato membro ad avviare con essa una trattativa sulle
retribuzioni da pagare ai lavoratori distaccati, nonché a sottoscrivere un contratto collettivo
del quale talune clausole stabiliscono, per alcune di tali materie, condizioni più favorevoli
di quelle che derivano dalle disposizioni legislative vigenti, mentre altre clausole
riguardano materie non previste dall'art. 3 della medesima direttiva.
4. Gli artt. 49 Ce e 50 Ce ostano a che, in uno Stato membro, il divieto imposto alle organizzazioni
sindacali di intraprendere un'azione collettiva allo scopo di abrogare o modificare
un contratto collettivo concluso da parte di terzi sia subordinato al fatto che l'azione
riguardi condizioni di lavoro e di occupazione alle quali si applica direttamente la legge
nazionale. Infatti, una disciplina nazionale che non tiene conto, indipendentemente dal loro
contenuto, dei contratti collettivi ai quali le imprese che distaccano lavoratori in Svezia
sono già vincolate nello Stato membro in cui sono stabilite, crea una discriminazione nei
confronti di tali imprese, applicando loro il medesimo trattamento riservato alle imprese
nazionali che non hanno concluso un contratto collettivo.
Licenziamento disciplinare – Inosservanza del principio di immediatezza – Insussistenza – Legittimità
Tutela dei lavoratori in caso d’insolvenza del datore di lavoro – Direttiva 80/987/Cee – Efficacia diretta
Computo giorni di astensione obbligatoria per il completamento di 51 gg di lavoro per usufruire dell'indennità post partum
Punto centrale della controversia che ha visto impugnare dall'Inps la sentenza del Tribunale di Modena favorevole alla lavoratriceè l'interpretazione dell'art. 5
del d.l. 463/1983 convertito nella legge n. 638/1983 che disciplina l'erogazione dell'indennità
di malattia, cui è equiparata quella dell'indennità economica per l'astensione facoltativa.
Secondo l'Istituto, infatti, ai fini del raggiungimento di almeno 51 giornate, devono
computarsi esclusivamente le giornate di effettivo lavoro, mentre secondo la lavoratrice
vanno considerate anche quelle di astensione obbligatoria, che nel suo caso avevano
fatto seguito ad un provvedimento di interdizione emesso dalla Direzione provinciale
del lavoro di Modena ai sensi dell'art. 5 della legge n. 1204/1971. La Corte d'Appello di
Bologna accoglie la seconda tesi, confermando la decisione di primo grado. Osservano infatti
i giudici dell'appello che l'ottavo comma dell'art. 5 cit. prevede che, ai fini del requisito
dell'iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli di cui all'art. 7 n. 5 del d.l.
3 febbraio 1970 ' n. 7 convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83 ' «i
periodi di godimento del trattamento di cassa integrazione guadagni e di astensione obbligatoria
dal lavoro per gravidanza e puerperio sono assimilabili ai periodi di lavoro, richiamando,
a favore dell'interpretazione letterale della norma, le pronunce della Corte di
Cassazione n. 1959 del 1966 e n. 356 del 1997, ed evidenziando che le pronunce della stessa
Corte n. 6721 del 1999 e n. 1186 del 2000 ' resa, quest'ultima, a Sezioni Unite ' richiamate
dall'istituto appellante non risultano pertinenti al caso esaminato.
Elezione membri Rsu – Revoca della delega al versamento dei contributi sindacali – Decadenza dalla carica
Licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo o licenziamento collettivo: definizione
Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 2001 all'interno del bar situato presso l'aeroporto di Parma si era sviluppato un incendioche aveva causato la distruzione dell'esercizio
commerciale. In data 2 agosto 2001, stante l'inagibilità dei locali, la società che gestiva
il bar collocava due dipendenti in ferie, poi licenziandole alla fine dello stesso mese
di agosto per cessazione di ogni attività da parte della medesima società per l'aeroporto
in conseguenza del venir meno del contratto d'appalto concluso con la committente. La
stessa comunicazione di recesso era stata inviata ad altri otto lavoratori, impiegati presso
lo stesso esercizio commerciale. I licenziamenti venivano dichiarati invalidi dal Tribunale
di Parma per avere la società omesso di rispettare le procedure previste dagli artt. 4 e 5
della legge 223 del 1991. Chiamata a pronunciarsi su ricorso della società , la Corte d'Appello
di Bologna censura il primo motivo dell'atto d'appello per motivi processuali, rilevando
la mancata specificità dei motivi di appello. Richiamando un consolidato orientamento
ribadito anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Ss.Uu. 16/2000;
Cass. 10596/2004; Cass. 24834/2005; Cass. 22906/2005; Cass. 27296/2005; Cass.
1558/2005; Cass. 5250/1999; App. Milano 1154/2007; App. Torino 16 marzo 1998) la Corte
di Bologna ha ribadito che nel giudizio di appello la cognizione del giudice resta circoscritta
alle questioni dedotte dall'appellante attraverso l'enunciazione di specifici motivi.
Tale specificità esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano
contrapposte quelle dell'appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle
prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le
sorreggono, ragioni per cui alla parte volitiva dell'appello deve sempre accompagnarsi una
parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Pertanto,
non si rivela sufficiente il fatto che l'atto di appello consenta di individuare le statuizioni
concretamente impugnate, ma è altresà necessario, pur quando la sentenza di primo
grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame
siano esposte con sufficiente grado di specificità , da correlare, peraltro, con la motivazione
della sentenza impugnata, con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità
dei motivi non può essere stabilito in via generale e assoluta, dall'altro esige pur
sempre che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte
quelle dell'appellante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime» (Corte
d'Appello Bologna 643/2005; nello stesso senso cfr. anche Corte d'Appello Bologna
57/2005; Corte d'Appello Bologna 605/2002; Corte d'Appello Bologna 273/2002). In particolare
il requisito della specificità dei motivi di appello non può essere soddisfatto da un
mero e generico richiamo agli atti di primo grado, che prescinda dal contenuto argomentativo
della sentenza impugnata, essendo necessaria una contrapposizione argomentativa
rivolta al contenuto della decisione impugnata (Cass. 26192/2005; cfr. anche Cass.
24817/2005). L'inosservanza dell'onere di specificazione dei motivi, imposto dall'articolo
342 cit., integra una nullità che determina l'inammissibilità dell'impugnazione, con conseguente
effetto del passaggio in giudicato della sentenza impugnata, senza possibilità di
sanatoria dell'atto a seguito di costituzione dell'appellato ' in qualunque momento essa
avvenga ' e senza che tale effetto possa essere rimosso dalla specificazione dei motivi avvenuta
in corso di causa. Conclusivamente la Corte, non avendo ravvisato nell'esposizione
del primo motivo d'appello i requisiti sopra richiamati, lo dichiara inammissibile. Con il
secondo motivo la società censura la sentenza di primo grado assumendo l'inapplicabilità
della legge 223/91 «nel caso in cui la cessazione dell'attività sia conseguente ad eventi fisiologici,
come la cessazione di un appalto per la gestione di un servizio di ristorazione»
anche perché il caso di specie non rappresenterebbe «un'ipotesi di licenziamento collettivo,
bensà di licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo».
Con riferimento a tale ultima asserzione la Corte osserva che, in presenza di un riassetto
organizzativo attuato dal datore di lavoro in vista di una più economica gestione dell'azienda,
tra le fattispecie del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per riduzione
di personale non esiste una differenza qualitativa o indotta dalla tipologia delle ragioni
allegate ma una diversità limitata al profilo dimensionale, quantitativo e temporale preso
in considerazione dalla legge 23 luglio 1991, n. 223. Infatti, in assenza delle condizioni
previsti da tale legge ' dimensioni occupazionali dell'impresa (più di quindici dipendenti);
numero dei licenziamenti (almeno cinque); arco temporale entro cui sono effettuati i
licenziamenti (120 giorni) ' l'esigenza di ridurre di una o più unità il numero dei dipendenti
per ragioni inerenti all'attività produttiva normalmente concretizza di per sé un giustificato
motivo oggettivo di licenziamento individuale (cosà Cass. n. 777/2003; cfr. anche Cass.
n. 5662/1999; Cass. n. 2463/2000; Cass. n. 9045/2000; Cass. n. 535/2003; Cass. n.
5794/2004). Al contrario, negando la Corte d'Appello che la riduzione, trasformazione o
cessazione di attività o di lavoro possano avere valore causale riguardo al recesso, ne deduce
che «accertata la sussistenza degli elementi ' numerici, dimensionali e temporali
previsti ' appare superflua l'indagine volta ad appurare le ragioni delle riduzione del lavoro
(Cass. n. 2463/2000; Cass. n. 5828/2002 e altre)» risultando conseguentemente irrilevante
se la cessazione dell'appalto abbia determinato o meno un'effettiva e stabile riduzione
di attività . In particolare, a proposito degli appalti di servizi di ristorazione, la Corte
ne evidenzia la peculiarità rispetto a quelli delle imprese edili (nelle quali «il carattere
fortemente alternante del mercato edilizio e delle connesse attività dei cantieri può effettivamente
dar luogo, con maggiore frequenza e maggior grado di ineluttabilità , al licenziamento
del personale impiegato in quell'opera e al protrarsi dello stato di disoccupazione
» cosà Cass. n. 5828/2002): un'impresa che assume appalti di servizi di ristorazione
può sempre, venuto meno un appalto, verificare, insieme alle Oo.Ss. e con il concorso eventuale
di un soggetto pubblico, l'utilizzabilità presso altre strutture, da essa gestite, dei
lavoratori resisi eccedentari. Secondo la Corte d'Appello di Bologna «non averlo fatto, ricorrendo
i ricordati requisiti numerici, temporali e dimensionali, significa violare le norme
contenute nella legge 223/91 e rendere inefficaci i licenziamenti ciò nonostante effettuati
(Cass. n. 2463/2000; Cass. n. 14824/2002)». Va peraltro evidenziato che con l'art. 1 del
d.l. 29 dicembre 2007 n. 250 il Consiglio del ministri a tutela del lavoratori impiegati in società
che svolgono attività di servizi di pulizia ha statuito che l'acquisizione ' a seguito di
subentro di nuovo appaltatore ' del personale già impiegato nel medesimo appalto non
comporta l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223
nei confronti dei lavoratori riassunti dall'azienda subentrante a parità di condizioni economiche
e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore ' o di accordi collettivi
' stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Da ciò deve dedursi che ' in caso di conversione del decreto legge ' il principio di operatività
della legge 223/1991 accolto dalla Corte d'Appello dovrà e potrà valere solo nell'ipotesi
di non riassunzione di tutto il personale addetto ad un appalto di pulizie da parte
del nuovo datore subentrato nell'appalto alle condizioni sopra richiamate.
Risarcimento danni da infortunio sul lavoro – Onere prova - Avvenuto adempimento obbligo ex art. 2087 - Grava sul datore
Diritto alla qualifica superiore – Passaggio da classificazione ex d.P.R. 385/1991 a Ccnl personale Anas
Opposizione a decreto su comportamento antisindacale solo possibile - Mancato rispetto procedura sui licenziamenti collettivi
Con ricorso in opposizione avverso il decreto ex art. 28 stat. lav. con il quale il giudice del lavoro aveva respinto il ricorsocon cui era stato chiesto di dichiarare
l'antisindacalità della condotta posta in essere dalla cooperativa, i sindacati ribadivano i
propri assunti, rilevando in particolare la violazione della procedura di cui all'art. 4 legge
223/91. Deducevano sul punto di avere nel luglio 2006 ricevuto la comunicazione introduttiva
della riduzione del personale e di aver immediatamente comunicato la loro disponibilità
al confronto con l'azienda come previsto dalla normativa. A seguito di ciò, rilevavano
che la condotta sindacale si era perfezionata con la stipula di un accordo separato
con una sola delle Oo.Ss. destinatarie della comunicazione introduttiva, con la quale l'azienda
aveva concordato separatamente un incontro nel corso del quale era stata raggiunta
l'intesa. Il giudice della fase urgente aveva dichiarato inammissibile il ricorso per il
difetto della condotta antisindacale annunciata; le Oo.Ss. ricorrenti deducevano al contrario
che la condotta denunciata poteva essere reiterata, e comunque la stessa aveva in
ogni caso, dato il clima dei rapporti estremamente conflittuali tra le parti, danneggiato
gravemente il ruolo e l'immagine del sindacato. Il giudice del lavoro nella fase del gravame
respingeva l'opposizione, deducendo che nella fattispecie in questione non si fosse
prodotta alcuna lesione dei diritti sindacali con effetti perduranti nel tempo. Veniva rilevato
che poiché a seguito della adesione volontaria di un dipendente alla mobilità la cooperativa
aveva rinunciato a procedere ai licenziamenti per riduzione del personale e tenuto
conto che la partecipazione del sindacato alla procedura di licenziamento collettivo
è prevista dalla legge nell'interesse dei lavoratori al mantenimento del livello occupazionale,
era evidente che la rinuncia del datore di lavoro a procedere ai licenziamenti per riduzione
del personale producesse l'effetto di togliere attualità a qualsiasi eventuale lesione
derivata dalle Oo.Ss. ricorrenti dal mancato esame congiunto, comprese le asserite
lesioni all'immagine del sindacato. Il giudice sottolineava inoltre il fatto che la possibilità
che in una futura procedura di riduzione di personale potesse ripetersi la mancata partecipazione
delle Oo.Ss. ricorrenti costituiva solo una possibilità e non una probabilità tale
da poter essere seriamente considerata.
Un manager può rivestire la carica di rappresentante sindacale di un'organizzazione estranea alla sua categoria professionale
Nell'ambito di un procedimento per la repressione della condotta antisindacale che aveva avuto nelle fasi di merito un esito sfavorevole per l'organizzazione sindacale,la Corte di Cassazione, pur confermando la decisione dei giudici di appello, ha
comunque stabilito che il direttore amministrativo di un ente ben può assumere la qualità
di dirigente di una rappresentanza sindacale aziendale dei lavoratori costituita per la tutela
di lavoratori appartenenti ad una diversa categoria. Osserva, infatti, la Corte che l'art.
19 legge 300/1970 (nel testo modificato dal d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312) attribuisce ai lavoratori
il diritto di costituire rappresentanze sindacali aziendali in ogni unità produttiva,
«nell'ambito delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro
applicati nell'unità produttiva», dovendosi l'espressione «nell'ambito» interpretare
nel senso che queste ultime non possono limitare in alcun modo tale facoltà , restando solo
libere di accogliere o non nel proprio seno le predette rappresentanze; ne discende che
ben possono i dirigenti delle Rsa non essere iscritti al sindacato e persino appartenere a
categorie professionali non rappresentate dal sindacato.
La Cassazione non è vincolata all'analisi della correttezza ermeneutica della clausola del C.C. effettuata dal giudice di merit
Avverso una decisione del Tribunale di Roma che nel decidere pregiudizialmente il significato di una norma collettivaescludeva il diritto del lavoratore a vedere riconosciuto
un elemento della retribuzione nell'ambito di un assegno personale pensionabile,
il dipendente promuoveva un ricorso di Cassazione al fine di vedere accertata la corretta
interpretazione della norma. La Suprema Corte nell'accogliere il ricorso ha affermato
che nel proprio giudizio ex art. 420 cod. proc. civ. la cassazione non è vincolata all'opzione
ermeneutica del giudice di merito pur fondata su una motivazione congrua e corretta
potendo la stessa Corte, a seguito di una propria scelta autonoma e sulla base di una
complessiva lettura dei contratti collettivi nazionali, addivenire ad una diversa decisione
rispetto a quella del primo giudice non solo per quanto attiene la validità ed efficacia
del contratto ma anche in relazione alla sua interpretazione attraverso un sua interpretazione
degli elementi di fatto già vagliati dal giudice di merito. Tale conclusione ' affermano
i giudici di legittimità ' si impone ai sensi della funzione nomofilattica al cui rafforzamento
è volta la speciale disposizione di rito per la quale la certezza e la stabilità delle statuizioni
giurisprudenziali, non consentono che possano darsi ad una identica disposizione
contrattuale interpretazioni corrette quanto a motivazioni e criteri di ermeneutica ed al
tempo stesso contrastanti. In tale ottica, tuttavia, al fine di non snaturare il processo di legittimità
la Corte di Cassazione deve decidere sulla base del materiale probatorio acquisito
al ritualmente in primo grado e non potrà assumere nuove iniziative istruttorie.
Solo le clausole alla base della domanda dell’attore sono assoggettate al procedimento di interpretazione in sede di legittimi
I limiti di sindacabilità giudiziale delle scelte organizzative aziendali
Un lavoratore dopo essere stato assunto in qualità di direttore di uno stabilimento in fase di ristrutturazione dopo pochi mesi veniva licenziatodall'azienda
con risoluzione giustificata con la soppressione di responsabile dello stabilimento. Il Tribunale
di Arezzo riteneva pretestuosa la motivazione sulla base della considerazione che
nel breve lasso di tempo dell'assunzione il lavoratore non era stato posto in condizioni di
adottare le misure per incidere sulla crisi dello stabilimento. I giudici della locale Corte di
Appello di Firenze confermavano la decisione evidenziando l'irrazionalità e contraddittorietà
della soppressione effettuata senza aver permesso al lavoratore di aver attuato le
misure correttive. La Corte di Cassazione richiamando i principi in materia di licenziamento
per giustificato motivo oggettivo ha ricordato che il motivo oggettivo di licenziamento
determinato da ragioni inerenti l'attività produttiva è rimesso alla valutazione del datore
di lavoro le cui scelte sono espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art.
41 della Cost. senza che il giudice possa sindacarle sotto il profilo della congruità e
opportunità . La Corte, quindi, nell'accogliere il ricorso promosso dalla società ha ritenuto
che i giudici di merito avevano violato il limite al sindacato giurisdizionale nella parte in
cui avevano motivato l'annullamento del licenziamento sul rilievo dell'inopportunità di
modificare l'assetto aziendale dopo pochi mesi dall'assunzione del lavoratore che di fatto
aveva impedito di attuare i correttivi alla crisi dello stabilimento per la brevità del periodo
lavorativo.
La qualificazione errata del tipo di comporto a base di un licenziamento non determina l’invalidità del recesso
Il passaggio del personale dipendente di un ente locale ai ruoli statali non costituisce una cessione di ramo di azienda
Il rapporto di lavoro di un lavoratore già dipendente di un ente locale ed assegnato presso un istituto scolastico veniva trasferitoalle dipendenze dell'amministrazione
dello Stato nell'ambito di una previsione che prevedeva il trasferimento del
personale preposto alle scuole secondarie nell'ambito dei ruoli statali. Il passaggio riconosceva
esclusivamente il maturato economico mentre non prevedeva il riconoscimento
dell'anzianità maturata presso l'ente di provenienza. Il lavoratore rivendicava quindi il riconoscimento
dell'anzianità pregressa innanzi al Tribunale di Ancona che accoglieva la
domanda con decisione integralmente riformata in sede di appello. I Giudici del gravame
nel pervenire alla decisione di riforma ritenevano che la norma interpretativa degli effetti
del passaggio, intervenuta successivamente alla previsione originaria, rendeva legittimo
il riconoscimento del solo maturato economico e non della anzianità maturata. La Corte di
Cassazione nel rigettare il ricorso del lavoratore in consapevole dissenso con altri precedenti
specifici ha affrontato la compatibilità della normativa interpretativa con la direttiva
comunitaria in materia di cessione di rami di azienda pervenendo alla conclusione che il
passaggio graduale di personale dai ruoli comunali ai ruoli statali non determina una fattispecie
di cessione di azienda tale da giustificare una remissione della questione alla Corte
di Giustizia al fine di verificare la compatibilità della normativa nazionale con quella comunitaria.
Nel pervenire alla conclusione di rigetto del ricorso i giudici di legittimità , pur
dando atto dell'evoluzione della nozione di cessione di ramo d'azienda ipotizzabile anche
in assenza di un rapporto negoziale ed anche in assenza di elementi materiali essendo
sufficiente una organizzazione di persone dotate di un proprio know how, ha comunque
chiarito che il requisito indefettibile della fattispecie legale tipica delineata dal diritto comunitario
e dall'art. 2112 cod. civ. resta comunque anche in siffatte ipotesi l'elemento dell'organizzazione,
intesa come legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti
al gruppo interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili.
Il solo trasferimento dei rapporti di lavoro ' conclude la Corte ' da un soggetto
ad un altro riscontrabile nella normativa oggetto del giudizio di merito, ha invece carattere
neutro e non può integrare di per sé la fattispecie del trasferimento di attività .
Un rapporto interinale fuori dalle ipotesi previste non determina la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato
Un lavoratore assunto fuori dalle ipotesi previste dalla legge adiva il Pretore di Prato al fine di vedere costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminatoalle dipendenze della società utilizzatrice. Il giudice di primo grado con sentenza confermata
in sede di appello nell'accogliere il ricorso dichiarava costituito un rapporto a tempo
indeterminato alle dipendenze della società fruitrice delle prestazioni. La Corte di Cassazione
nel cassare in parte la decisione del Collegio ha accolto il gravame dell'azienda
che lamentava la costituizione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nonostante
la pacifica sussistenza di un rapporto di lavoro interinale a tempo determinato. I giudici
di legittimità hanno infatti ritenuto che la decisione della Corte di Appello contrastava
con quanto stabilito in materia di regime sanzionatorio dalla cd. legge Treu. Afferma infatti
la Cassazione che l'art. 10, comma 1, della legge 196/97 dispone che in caso di violazione
del disposto dell'art. 1, comma 4, lettera a), nei confronti dell'impresa utilizzatrice continua
a trovare applicazione la legge 23 ottobre 1960 n. 1369. Il secondo comma della norma
' proseguono i giudici di legittimità ' per i casi di inosservanza della forma scritta prevede
invece la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Le differenti
conseguenze ' conclude la Cassazione ' ricollegate dalla legge alle due ipotesi non possono
superficialmente ricondursi ad un erroneo coordinamento delle disposizioni all'interno
del medesimo testo normativo. A maggior ragione non possono spiegarsi ritenendo
del tutto pleonastico il richiamo alla legge 1369/60 contenuto nel primo comma. Alla luce
di tali rilievi la Corte di Cassazione ha affermato che se il legislatore ha tenuto distinte le
due ipotesi di illecito sanzionandole diversamente all'interprete spetta il compito di spiegare
la ratio e la portata di tale distinzione. Alla luce di una interpretazione complessiva
dell'art. 10 della legge 196/97, la Corte di Cassazione ha quindi concluso che il contratto
di lavoro interinale ancorché irregolarmente costituito come rapporto a tempo determinato
mantiene il suo carattere anche a seguito della modificazione soggettiva del datore
di lavoro ravvisabile nelle violazioni del primo comma, diversamente da quanto previsto
per la carenza di forma prevista dal comma secondo.
Procedura di mobilità in caso di licenziamenti intimati per l’esaurirsi progressivo di una fase lavorativa di un cantiere
L’azienda cessionaria di un ramo di azienda non può avvalersi della procedura di mobilità avviata dalla cedente
Contribuzione di malattia
La Corte costituzionale ha ritenuto legittima la normativa che obbliga il datore di lavoro a versare la contribuzione previdenziale per l'indennità di malattiaanche se è obbligato, in base al contratto collettivo di lavoro, a continuare a
corrispondere ai dipendenti la retribuzione durante i periodi di assenza per malattia.
Per la Corte costituzionale, l'ampia discrezionalità cui gode il legislatore nel conformare
gli oneri della contribuzione previdenziale, è stata esercitata in modo non irragionevole.
I giudizi avevano ad oggetto la pretesa dell'Inps di ottenere il pagamento
dei contributi di malattia da parte di datori di lavoro che avevano omesso il relativo
versamento in quanto obbligati per contratto collettivo a corrispondere ai loro dipendenti
la retribuzione anche durante il periodo di malattia. Il Tribunale di Bolzano, in relazione
all'articolo 2 Cost., aveva dedotto che, seppure si deve ammettere che il sistema
previdenziale è informato al principio della solidarietà sociale, tuttavia l'attuazione
pratica di un simile principio deve essere ragionevole e non può risolversi in un'iniqua
distribuzione del peso solidaristico. Ad avviso della Corte la censura non tiene
conto del fatto che la predisposizione legislativa della tutela previdenziale evita proprio
che scatti, a carico dei datori di lavoro, l'obbligo di corrispondere ai dipendenti
malati la retribuzione o una quota di essa, obbligo previsto dall'art. 2110, primo comma,
del codice civile. Quindi, a fronte del versamento del contributo, i datori di lavoro
ottengono comunque un vantaggio (l'esonero dall'obbligo previsto dal menzionato
art. 2110). Altra questione è se poi essi, pur potendo contare su un simile beneficio, decidono
liberamente, in sede di contrattazione collettiva, di addossarsi oneri patrimoniali
superiori. Neppure sono fondati i dubbi sollevati sul rispetto del principio di uguaglianza
di cui all'art. 3 della Costituzione. È vero che, a fronte di datori di lavoro che
si obbligano nel contratto collettivo a corrispondere ai propri dipendenti malati la retribuzione,
ve ne sono altri che non si accollano lo stesso obbligo, ma è altrettanto certo
che le imprese che si sono assunte quell'obbligo lo hanno fatto liberamente e non
possono imputare all'ordinamento i maggiori costi che da quella scelta derivano.
Contratti a termine e diritto di precedenza
Sono incostituzionali le norme del decreto legislativo n. 368/2001 nella parte in cui subordinano il diritto di precedenza(nella assunzione presso la stessa azienda con la medesima qualifica dei lavoratori
assunti a termine per lo svolgimento di attività stagionali)
a due condizioni prima inesistenti: la previsione di tale diritto da
parte della contrattazione collettiva nazionale applicabile, e il mancato decorso di un
anno dalla cessazione del precedente rapporto. La Corte costituzionale ha dichiarato
fondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Rossano non accogliendo,
tuttavia, la prefigurata violazione della clausola di non regresso contenuta nella direttiva
1999/70/Ce: la disciplina dettata dalle norme censurate, sostiene la Corte, concerne
i lavori stagionali e non mira tanto a prevenire l'abusiva reiterazione di più contratti
di lavoro a tempo determinato (che è l'oggetto della direttiva Ue). L'illegittimità
costituzionale deriva, invece, dal fatto che il diritto di precedenza nelle lavorazioni stagionali
non era stato oggetto di delega legislativa conferita dalla legge 29 dicembre
2000, n. 422 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza
dell'Italia alle Comunità europee ' legge comunitaria 2000), complessivamente considerata.
L'art. 1, comma 1, di tale legge ha delegato, infatti, il Governo ad emanare «i
decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese
negli elenchi di cui agli allegati A e B» e, per quanto concerne la direttiva
1999/70/Ce relativa al caso in esame non ha dettato ' a differenza di altre ipotesi '
specifici criteri o principi capaci di ampliare lo spazio di intervento del legislatore delegato.