Descrizione
La Corte Costituzionale e la tutela dell'aggravamento nelle malattie professionali Contratto a termine: oneri e limiti per esigenze sostitutive ed esigenze oggettive Revirement della Cassazione sull'azione ordinaria di risarcimento danni da licenziamentoConfigura danno esistenziale dover procrastinare l’attività lavorativa per un comportamento che impedisce la quiescenza
Revirement della Cassazione che esclude la possibilità di una ordinaria azione di risarcimento danni per il licenziamento
Alcuni lavoratori adivano il magistrato del lavoro di Venezia al fine di vedere
accertata l'illegittimità del licenziamento intimato loro per esubero del personale.Nel costituirsi in giudizio la società convenuta eccepiva l'intervenuta decadenza dall'azione
per mancata impugnazione nel termine di 60 giorni. Il locale magistrato del lavoro
accoglieva la domanda con sentenza confermata in sede di appello sul rilievo che la
mancata impugnazione non era ostativa a una normale azione ordinaria di risarcimento
danni. La Corte di Cassazione pur dando atto del precedente orientamento in forza del
quale la mancata impugnativa non determinando la liceità del recesso condizionava esclusivamente
l'azione di reintegra nel posto di lavoro ha ritenuto di rimeditare il proprio
orientamento sul rilievo che l'ordinamento prevede per il licenziamento illegittimo una disciplina
speciale del tutto diversa da quella ordinaria. Sulla base di tale rilievo i giudici di
legittimità hanno affermato che al lavoratore che non abbia impugnato nel termine di 60
giorni il licenziamento è precluso il diritto di far accertare in sede giudiziale la illegittimità
del recesso per le motivazioni previste dalle leggi speciali e di conseguire il risarcimento
del danno nella misura prevista dalla suddetta normativa. Se tale onere non viene assolto,
tuttavia, il giudice ' prosegue la Corte ' non può conoscere della legittimità del licenziamento
neppure per ricollegare al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune. La
decadenza incide quindi anche sul diritto di veder accertare l'illegittimità della condotta
che costituisce il presupposto dell'azione ordinaria civilistica risarcitoria. Sulla base di tali
rilievi la Cassazione ha quindi affermato che l'azione risarcitoria civilistica che può essere
alternativamente esercitata rispetto all'azione speciale in caso di tempestiva impugnazione
può essere, inoltre, esercitata anche in caso di decadenza soltanto in via residuale
per far valere profili di illegittimità del licenziamento o che siano diversi da quelli
della disciplina speciale
Aggravamento malattie professionali
Nel caso in cui vi sia aggravamento della malattia professionale causata dal
protrarsi dell'esposizione al medesimo rischio professionaleanche decorsi
quindici anni dalla costituzione della rendita iniziale, non si applica l'art. 137 del T.U. n.
1124/1965, bensà gli artt. 80 e 131 del medesimo. A parere della Corte Costituzionale, infatti,
l'articolo 137, che impedisce la richiesta di aggravamento della rendita trascorsi 15
anni dalla costituzione, riguarda l'ipotesi della «naturale» evoluzione della originaria malattia.
Nel caso in cui, come nella fattispecie, il lavoratore titolare di rendita per malattia
professionale per ipoacusia abbia subito un aggravamento della malattia indennizzata a
causa della persistenza dell'esposizione allo stesso rischio patogeno che aveva comportato
la costituzione della rendita, le norme applicabili sono gli artt. 80 e 131 del menzionato
T.U. Secondo la Corte Costituzionale: «Le due norme, riferendosi all'ipotesi di 'nuova
malattia professionale, devono essere interpretate nel senso che esse riguardano anche
il caso in cui, dopo la costituzione di una rendita per una determinata malattia professionale
('vecchia, quindi, in contrapposizione alla 'nuova), il protrarsi dell'esposizione
al medesimo rischio patogeno determini una 'nuova inabilità che risulti superiore
a quella già riconosciuta». Tale interpretazione, quindi, assicura idonea tutela alla fattispecie
in esame e, pertanto, non è ravvisabile la violazione dei principi dettati dagli artt.
3, 32 e 38 della Costituzione.
Contribuzione di malattia
Non è illegittima l'interpretazione autentica, fornita dalla disposizione impugnata,
che esclude dalla corresponsione del contributo di malattia all'Inps gli
imprenditoriche, per legge o per contratto collettivo, abbiano corrisposto direttamente
ai lavoratori il trattamento economico di malattia (con conseguente esonero dell'Istituto
dall'erogazione della relativa indennità ). Il giudice di Trento aveva ritenuto irragionevole
la discriminazione risultante nei confronti dei datori di lavoro che nel frattempo avessero adempiuto l'obbligo di versamento all'Inps. La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata
la questione sollevata sottolineando che la norma impugnata «introduce una nuova
disciplina del contributo previdenziale relativo all'assicurazione contro le malattie. Essa,
pertanto, costituisce espressione della discrezionalità di cui gode il legislatore nella
conformazione dell'obbligazione contributiva. In tale discrezionalità rientra anche la contestuale
estensione retroattiva della nuova disciplina, la cui legittimità costituzionale non
è inficiata dalla previsione dell'irripetibilità delle contribuzioni versate per i periodi anteriori
al 1° gennaio 2009». Tuttavia resta del tutto aperta la questione relativa all'esclusione
della restituzione delle somme già versate all'Inps a titolo di contribuzione di malattia
(esclusione prevista nella parte della norma non censurata dal Tribunale di Trento). Si profila
quindi, in futuro, una nuova questione da porre al vaglio del giudice delle leggi
Incarichi dirigenziali alla Regione Piemonte
È illegittimo, da parte della Regione Piemonte, l'aver conferito gli incarichi dirigenziali,
entro il limite del 30 per cento dei posti, a persone esterne all'amministrazione
regionaleLa Corte Costituzionale, seguendo la propria giurisprudenza consolidata
secondo cui le deroghe al principio dell'accesso all'impiego pubblico mediante
concorso devono essere limitate in modo rigoroso (sent. n. 215 del 2009; sent. n. 363 del
2006), ha accolto la questione promossa dal Governo. Le deroghe, infatti, sono legittime
solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle
(sent. n. 81 del 2006). In altre parole, la deroga al principio del concorso pubblico
deve essere essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione
(sent. n. 293 del 2009). La disposizione regionale impugnata, oltre a prevedere assunzioni
a tempo determinato, con contratto che può avere una durata massima di cinque
anni e che è rinnovabile senza alcun limite, e a non richiedere la ricorrenza di alcun presupposto
oggettivo perché un incarico di direttore regionale sia affidato a un soggetto esterno
piuttosto che a un dirigente appartenente ai ruoli dell'amministrazione, contempla
una deroga al principio del concorso pubblico di notevole consistenza (30 per cento dei
posti di direttore regionale). Il fatto che tale deroga non sia stata circoscritta a casi nei
quali ricorrano specifiche esigenze di interesse pubblico, come richiesto dalla giurisprudenza
della Corte, comporta la dichiarazione di illegittimità dell'art. 24, comma 2, legge
regionale Piemonte n. 23 del 2008, per violazione dell'art. 97 della Costituzione.