1 / 2010
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Descrizione
La Corte Costituzionale e la tutela dell'aggravamento nelle malattie professionali Contratto a termine: oneri e limiti per esigenze sostitutive ed esigenze oggettive Revirement della Cassazione sull'azione ordinaria di risarcimento danni da licenziamento
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Configura danno esistenziale dover procrastinare l’attività lavorativa per un comportamento che impedisce la quiescenza
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Revirement della Cassazione che esclude la possibilità di una ordinaria azione di risarcimento danni per il licenziamento
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Alcuni lavoratori adivano il magistrato del lavoro di Venezia al fine di vedere accertata l'illegittimità  del licenziamento intimato loro per esubero del personale.Nel costituirsi in giudizio la società  convenuta eccepiva l'intervenuta decadenza dall'azione per mancata impugnazione nel termine di 60 giorni. Il locale magistrato del lavoro accoglieva la domanda con sentenza confermata in sede di appello sul rilievo che la mancata impugnazione non era ostativa a una normale azione ordinaria di risarcimento danni. La Corte di Cassazione pur dando atto del precedente orientamento in forza del quale la mancata impugnativa non determinando la liceità  del recesso condizionava esclusivamente l'azione di reintegra nel posto di lavoro ha ritenuto di rimeditare il proprio orientamento sul rilievo che l'ordinamento prevede per il licenziamento illegittimo una disciplina speciale del tutto diversa da quella ordinaria. Sulla base di tale rilievo i giudici di legittimità  hanno affermato che al lavoratore che non abbia impugnato nel termine di 60 giorni il licenziamento è precluso il diritto di far accertare in sede giudiziale la illegittimità  del recesso per le motivazioni previste dalle leggi speciali e di conseguire il risarcimento del danno nella misura prevista dalla suddetta normativa. Se tale onere non viene assolto, tuttavia, il giudice ' prosegue la Corte ' non può conoscere della legittimità  del licenziamento neppure per ricollegare al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune. La decadenza incide quindi anche sul diritto di veder accertare l'illegittimità  della condotta che costituisce il presupposto dell'azione ordinaria civilistica risarcitoria. Sulla base di tali rilievi la Cassazione ha quindi affermato che l'azione risarcitoria civilistica che può essere alternativamente esercitata rispetto all'azione speciale in caso di tempestiva impugnazione può essere, inoltre, esercitata anche in caso di decadenza soltanto in via residuale per far valere profili di illegittimità  del licenziamento o che siano diversi da quelli della disciplina speciale
Aggravamento malattie professionali
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Nel caso in cui vi sia aggravamento della malattia professionale causata dal protrarsi dell'esposizione al medesimo rischio professionaleanche decorsi quindici anni dalla costituzione della rendita iniziale, non si applica l'art. 137 del T.U. n. 1124/1965, bensà gli artt. 80 e 131 del medesimo. A parere della Corte Costituzionale, infatti, l'articolo 137, che impedisce la richiesta di aggravamento della rendita trascorsi 15 anni dalla costituzione, riguarda l'ipotesi della «naturale» evoluzione della originaria malattia. Nel caso in cui, come nella fattispecie, il lavoratore titolare di rendita per malattia professionale per ipoacusia abbia subito un aggravamento della malattia indennizzata a causa della persistenza dell'esposizione allo stesso rischio patogeno che aveva comportato la costituzione della rendita, le norme applicabili sono gli artt. 80 e 131 del menzionato T.U. Secondo la Corte Costituzionale: «Le due norme, riferendosi all'ipotesi di 'nuova malattia professionale, devono essere interpretate nel senso che esse riguardano anche il caso in cui, dopo la costituzione di una rendita per una determinata malattia professionale ('vecchia, quindi, in contrapposizione alla 'nuova), il protrarsi dell'esposizione al medesimo rischio patogeno determini una 'nuova inabilità  che risulti superiore a quella già  riconosciuta». Tale interpretazione, quindi, assicura idonea tutela alla fattispecie in esame e, pertanto, non è ravvisabile la violazione dei principi dettati dagli artt. 3, 32 e 38 della Costituzione.
Contribuzione di malattia
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Non è illegittima l'interpretazione autentica, fornita dalla disposizione impugnata, che esclude dalla corresponsione del contributo di malattia all'Inps gli imprenditoriche, per legge o per contratto collettivo, abbiano corrisposto direttamente ai lavoratori il trattamento economico di malattia (con conseguente esonero dell'Istituto dall'erogazione della relativa indennità ). Il giudice di Trento aveva ritenuto irragionevole la discriminazione risultante nei confronti dei datori di lavoro che nel frattempo avessero adempiuto l'obbligo di versamento all'Inps. La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione sollevata sottolineando che la norma impugnata «introduce una nuova disciplina del contributo previdenziale relativo all'assicurazione contro le malattie. Essa, pertanto, costituisce espressione della discrezionalità  di cui gode il legislatore nella conformazione dell'obbligazione contributiva. In tale discrezionalità  rientra anche la contestuale estensione retroattiva della nuova disciplina, la cui legittimità  costituzionale non è inficiata dalla previsione dell'irripetibilità  delle contribuzioni versate per i periodi anteriori al 1° gennaio 2009». Tuttavia resta del tutto aperta la questione relativa all'esclusione della restituzione delle somme già  versate all'Inps a titolo di contribuzione di malattia (esclusione prevista nella parte della norma non censurata dal Tribunale di Trento). Si profila quindi, in futuro, una nuova questione da porre al vaglio del giudice delle leggi
Incarichi dirigenziali alla Regione Piemonte
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È illegittimo, da parte della Regione Piemonte, l'aver conferito gli incarichi dirigenziali, entro il limite del 30 per cento dei posti, a persone esterne all'amministrazione regionaleLa Corte Costituzionale, seguendo la propria giurisprudenza consolidata secondo cui le deroghe al principio dell'accesso all'impiego pubblico mediante concorso devono essere limitate in modo rigoroso (sent. n. 215 del 2009; sent. n. 363 del 2006), ha accolto la questione promossa dal Governo. Le deroghe, infatti, sono legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sent. n. 81 del 2006). In altre parole, la deroga al principio del concorso pubblico deve essere essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione (sent. n. 293 del 2009). La disposizione regionale impugnata, oltre a prevedere assunzioni a tempo determinato, con contratto che può avere una durata massima di cinque anni e che è rinnovabile senza alcun limite, e a non richiedere la ricorrenza di alcun presupposto oggettivo perché un incarico di direttore regionale sia affidato a un soggetto esterno piuttosto che a un dirigente appartenente ai ruoli dell'amministrazione, contempla una deroga al principio del concorso pubblico di notevole consistenza (30 per cento dei posti di direttore regionale). Il fatto che tale deroga non sia stata circoscritta a casi nei quali ricorrano specifiche esigenze di interesse pubblico, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte, comporta la dichiarazione di illegittimità  dell'art. 24, comma 2, legge regionale Piemonte n. 23 del 2008, per violazione dell'art. 97 della Costituzione.
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