1 / 2011
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Descrizione
Anche gli extracomunitari hanno diritto ai servizi sociali del sistema integrato regionale La Cassazione rimette alla Consulta la forfettizzazione retroattiva del danno da contratto a termine illegittimo Procedura di concertazione sindacale e condotta antisindacale di ente locale avanti il Tribunale dì Modica
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L’attività di istruttore di «body building» svolta durante un’assenza per malattia può essere ritenuta non compatibile
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La situazione di precarietà occupazionale pregiudica l’esercizio dei diritti tutelati dall’art. 21 Cost.
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È lecita l’assunzione a termine per un programma televisivo non specifico, in quanto consentita da un accordo sindacale
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Il licenziamento di una lavoratrice disabile durante il periodo di prova può essere ritenuto illegittimo
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I. M., disabile, è stata assunta con patto di prova dalla Srl Policlinico San Marco,per collocamento obbligatorio. Successivamente, nel luglio del 2003, al termine del periodo di prova, ella è stata licenziata per mancato superamento della stessa; ha quindi impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Bergamo, facendo presente di avere sempre correttamente svolto le mansioni assegnatele. Il Tribunale, con sentenza del dicembre 2004, ha rigettato la domanda, ma la sua decisione è stata riformata, in grado di appello, dalla Corte di Brescia che, con sentenza del marzo 2006, ha dichiarato illegittimo il licenziamento e ha condannato l'azienda al risarcimento del danno, in misura pari alle retribuzioni non percepite sino all'intervenuto reperimento di altra occupazione. La Corte territoriale ha osservato che il licenziamento doveva ritenersi elusivo delle disposizioni poste a tutela dei lavoratori disabili, atteso che la la-voratrice aveva sin dall'inizio del giudizio sostenuto di aver svolto del tutto correttamente le mansioni affidatele, senza alcun richiamo o contestazione, e che tale circostanza non solo non era stata contrastata dalla controparte, ma era stata data per certa dallo stesso giudizio di primo grado; ragion per cui doveva ritenersi che la prova aveva avuto esito positivo. La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte di Brescia non avrebbe dovuto limitarsi a condannare l'azienda al risarcimento del danno, ma avrebbe dovuto ordinare la sua reintegrazione nel posto di lavoro, in base all'art. 18 Stat. lav. L'azienda ha resistito proponendo ricorso incidentale e sostenendo di avere correttamente esercitato il diritto di recesso nel periodo di prova e che incombeva alla lavoratrice provare l'eventuale illiceità  del motivo del licenziamento. La Suprema Corte ha rigettato entrambi i ricorsi. Se il licenziamento del lavoratore in prova, per effetto dell'art. 10 legge n. 604/66, rientra nell'area della recedibilità  acausale ' ha affermato la Corte ' non per questo può ammettersi che l'esercizio del diritto potestativo riconosciuto al datore di lavoro possa risolversi nel mero arbitrio del suo titolare, dal momento che l'ordinamento, comunque, assegna «garanzia costituzionale al diritto di non subire un licenziamento arbitrario» (Corte Cost. n. 541/2000); ne deriva che, pur restando l'atto di recesso del datore di lavoro estraneo al regime comune del licenziamento ' fra l'altro in punto di motivazione, oneri probatori e di sanzioni ' il lavoratore potrà  sempre dimostrare che l'atto di recesso sia stato determinato da motivi illeciti, fra i quali ben può rientrare lo svolgimento della prova in mansioni incompatibili con lo stato di invalidità  o la finalizzazione del recesso, adottato nonostante il positivo superamento dell'esperimento, alla mera elusione della disciplina sul collocamento dei disabili, dovendosi qualificare per definizione (come avvertito dalla stessa Corte Costituzionale), licenziamento in frode alla legge quello finalizzato al solo obiettivo di aggirare il sistema delle assunzioni obbligatorie. In tal contesto ' ha affermato la Cassazione ' è riservato al giudice di merito, il cui apprezzamento, se correttamente motivato, resta esente dal sindacato di legittimità , verificare l'effettiva idoneità  dei fatti allegati dal lavoratore a dar conto, anche attraverso presunzioni, del superamento dei limiti posti al potere dell'imprenditore. Nel caso in esame ' ha osservato la Cassazione ' la Corte territoriale ha accertato che, avendo la ricorrente sin dall'atto introduttivo allegato di aver svolto correttamente tutte le mansioni affidatele, senza ricevere alcun richiamo o contestazione, tale circostanza non solo non aveva rinvenuto contestazione nelle difese della controparte, ma «era stata data per certa dallo stesso giudice» di primo grado; ragion per cui dalla mancata contestazione del datore di lavoro ben poteva inferirsi che il recesso non trovava altra motivazione «se non la stessa invalidità ». Le sanzioni applicabili in caso di licenziamento illegittimo nel periodo di prova ' ha aggiunto la Corte ' sono quelle proprie della nullità  degli atti negoziali contrari a norme di diritto (art. 1418 cod. civ.); escluso che l'illegittimità  del recesso trovi sanzioni nei rimedi ripristinatori previsti dall'art. 18 dello Statuto, ben può, tuttavia, riconoscersi, a fronte della nullità  del licenziamento, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, secondo i principi comuni (artt. 1223 ss. cod. civ.) e, quindi, tenendo conto anche delle utilità  economiche che lo stesso avrebbe percepito ove il recesso non fosse stato determinato da finalità  illecite o, comunque, fraudolente e l'esperimento avesse avuto regolare svolgimento. Più in particolare, ove si accerti, come nel caso, il positivo superamento della prova ' ha affermato la Corte ' deve ritenersi che correttamente il giudice di merito provveda a quantificare il danno con riferimento alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito ove il rapporto di lavoro avesse avuto regolare esecuzione, ricollegandosi lo scioglimento del rapporto a un comportamento antigiuridico del datore di lavoro e determinando tale comportamento un danno risarcibile qualificabile come pregiudizio da mancata assunzione.
Il patto di prova contenuto nella lettera di assunzione è nullo se la sottoscrizione avviene dopo l’inizio del rapporto
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NOTA
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Con Nota del 25 novembre 2010 il Segretario generale del ministero del Lavoro e delle Politiche socialiha dettato le prime istruzioni operative per dare attuazione all'art. 31 della legge n. 183 del 2010, cd. Collegato lavoro, relativo alle Conciliazioni presso le Direzioni provinciali del lavoro.
CIRCOLARE N. 41
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La Circolare n. 41 del 2010detta al personale ispettivo istruzioni operative in ordine all'accesso ispettivo, al potere di diffida e la verbalizzazione unica di cui all'art. 33 della legge n. 183 del 2010, cd. Collegato lavoro.
La liquidazione di sinistri inesistenti non può essere giustificata da pressioni mafiose
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N. R., dipendente dalla Spa Fondiaria Sai, addetto all'Ispettorato sinistri di Caserta,è stato sottoposto a procedimento disciplinare con l'addebito, tra l'altro, di avere proceduto alla liquidazione di sinistri senza una adeguata verifica e di non avere mai tenuto conto di situazioni gravemente sospette, di concatenazione di sinistri e di coinvolgimento delle stesse persone, in termini risarcitori, in un numero molto elevato di incidenti, omettendo altresà di segnalare tali anomalie alla direzione. Il lavoratore si è difeso sostenendo che si era venuto a trovare in una situazione di indebito condizionamento a causa della forte pressione di organizzazioni criminali. L'azienda non ha accolto le giustificazioni e ha licenziato il dipendente. Questi ha chiesto al Tribunale di Napoli di annullare il licenziamento. L'azienda, costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto dalla domanda e, in via riconvenzionale, la condanna del lavoratore al risarcimento del danno derivatole dall'indebita liquidazione di sinistri. Il Tribunale, dopo aver sentito alcuni testimoni, ha rigettato sia la domanda principale che quella riconvenzionale. Questa decisione è stata parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Napoli che ha annullato il licenziamento, in quanto ha ritenuto che l'azienda conoscesse la realtà  della situazione lavorativa e che la liquidazione dei sinistri fosse stata previamente verificata dai superiori dell'ispettore. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Napoli per difetto di motivazione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, rilevando, tra l'altro, che la Corte di Napoli non aveva adeguatamente considerato la nota del 1° dicembre 94 indirizzata dall'azienda agli ispettori liquidatori di Caserta, nella quale si prescrivevano una serie di raccomandazioni legate «all'attuale fenomenologia delittuosa in accoglimento di alcune istanze emerse in sede associativa Ania nella riunione tenutasi a Napoli il 13 ottobre 94; estrarre fotocopia carta di circolazione, scattare fotografie con data, effettuare pagamenti con quietanze separate, a mezzo bonifico o comunque senza diretta consegna di assegni pro manibus, estrarre fotocopia documento d'identità  del percipiente o del beneficiario in caso che il pagamento tramite bonifico non possa essere effettuato, favorire lo scambio d'informazioni e di documentazioni nonché la partecipazione di liquidatori di zona a incontri periodici per concordare iniziative operative comuni». La liquidazione di sinistri palesemente inesistenti ' ha affermato la Corte ' è certamente circostanza che va a minare irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra il dipendente e il datore di lavoro e che, dunque, giustifica l'intimazione di licenziamento per giusta causa; l'analisi delle risultanze istruttorie, compiuta dai giudici di secondo grado, in nessun modo si è incentrata sulla persona di N. R. e sui suoi comportamenti nei riguardi della società , risolvendosi, invece, nella disamina in termini generali delle difficoltà  nello svolgimento dell'attività  assicurativa nell'area di Caserta, con pressoché totale condanna dei comportamenti della Compagnia. Sennonché ' ha osservato la Corte ' l'imperversare della crimi-nalità  non può giustificare la liquidazione di falsi sinistri, effettuata senza alcuna tempestiva richiesta di intervento della società  e senza la denuncia dei singoli casi agli organi di polizia giudiziaria. In conclusione la Corte ha affermato il principio secondo cui «costituisce illecito disciplinare il ripetuto pagamento di indennizzi da parte del liquidatore dipendente di una società  di assicurazioni, con pacifica irregolarità  delle relative procedure e a causa di attività  estorsiva da parte di associazioni delinquenziali, quando il liquidatore non abbia tempestivamente informato dei singoli fatti, ossia delle pressioni ricevute, la datrice di lavoro né gli organi di polizia, e quand'anche la detta attività  delinquenziale costituisse fatto genericamente notorio». La Corte ha cassato la sentenza impugnata, accertando la legittimità  del licenziamento e rinviando la causa, per l'esame della domanda di risarcimento del danno, che la datrice di lavoro ha proposto in riconvenzionale, alla Corte d'Appello di Napoli in diversa composizione.
Il rifiuto di eseguire una delle prestazioni lavorative dovute può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari
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Un’annunciatrice traduttrice assunta con contratto di «lavoro autonomo» può essere ritenuta lavoratrice subordinata
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Estensione dei benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto
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D.P.C.M.
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Con il d.p.c.m. n. 226 del 2010 è stato adottato il Regolamento per dare attuazione alla previsione dell'articolo 74,comma 3, del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in relazione al Titolo IV, Capi I, IV e V del medesimo decreto legislativo. Il Regolamento determina limiti e modalità  di applicazione delle disposizioni, anche inderogabili, del decreto legislativo n. 150 del 2009, anche con riferimento alla definizione del comparto autonomo di contrattazione collettiva.
La dequalificazione è lecita se attuata per evitare il licenziamento e accettata dal lavoratore
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V. T., dipendente della Spa editoriale Friuli Venezia Giulia come impiegato di alto livello addetto all'ufficio grafici,al rientro in azienda dopo un periodo di cassa integrazione è stato destinato, in base a un accordo sindacale, ai servizi generali con mansioni di fattorino e centralinista. Dopo un periodo di adibizione a tali mansioni, nettamente inferiori a quelle in precedenza svolte, egli ha chiesto al Tribunale di Trieste di condannare l'azienda al risarcimento del danno da dequalificazione professionale. Sia il Tribunale che, in grado di appello, la Corte di Trieste hanno ritenuto la domanda priva di fondamento, rilevando che il demansionamento doveva ritenersi giustificato dall'esigenza di conservare il posto di lavoro, dopo la soppressione del servizio grafico ed era stato attuato in base a un accordo sindacale, accettato dal lavoratore. V. T. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Trieste per vizi di motivazione e violazione di legge. In particolare egli ha sostenuto che l'accordo sindacale diretto a consentire il rientro anticipato dalla Cigs con assegnazione di mansioni inferiori non poteva disporre dei diritti dei singoli lavoratori, tutelati dall'art. 2103 cod. civ. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Le deduzioni del ricorrente ' ha osservato la Corte ' sono esatte nella parte in cui sostengono che la nullità  di patti contrari al divieto di declassamento di mansioni, previsto dal capoverso dell'art. 2103 cod. civ., si applica anche alla contrattazione collettiva, come si desume, in positivo, dal dettato normativo dell'art. 40 della legge n. 300 del 1970, che fa salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali solo se più favorevoli ai lavoratori, nonché, «a contrario», da altre disposizioni con cui, eccezionalmente, il legislatore ha autorizzato la contrattazione collettiva a introdurre una disciplina in deroga al disposto del comma primo dell'art. 2103 cod. civ., quale l'art. 4, comma 11, della legge n. 223 del 1991, secondo cui «gli accordi sindacali stipulati nel corso delle procedure di cui al presente articolo, che prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti, possono stabilire, anche in deroga al comma secondo dell'art. 2103 cod. civ., la loro assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte». Tuttavia ' ha ricordato la Corte ' la giurisprudenza di legittimità  è ormai definitivamente orientata nel senso che l'impossibilità  della prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato (art. 1 e 3 legge n. 604 del 1966 e art. 1463 e 1464 cod. civ.) non è ravvisabile per effetto della sola ineseguibilità  dell'attività  attualmente svolta dal prestatore di lavoro, perché può essere esclusa dalla possibilità  di adibire il lavoratore a una diversa attività , che sia riconducibile ' alla stregua di un'interpretazione del contratto secondo buona fede ' alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103 cod. civ.) o, se ciò è impossibile, a mansioni anche inferiori, purché tale diversa attività  sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore. Si è anche precisato che il cosiddetto patto di dequalificazione, quale unico mezzo per conservare il rapporto di lavoro, costituisce non già  una deroga all'art. 2103 cod. civ., norma diretta alla regolamentazione dello jus variandi del datore di lavoro e, come tale, inderogabile secondo l'espresso disposto del comma secondo delle stesso articolo, bensà un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, sorretto dal consenso e dall'interesse del lavoratore; pertanto, la validità  del patto presuppone l'impossibilità  sopravvenuta di assegnare mansioni equivalenti alle ultime esercitate e la manifestazione ' sia pure in forma tacita ' della disponibilità  del lavoratore ad accettarle. La sentenza impugnata ' ha affermato la Corte ' non si è discostata dai richiamati principi e ha fondato la decisione sopra accertamenti di fatto correttamente eseguiti o comunque non contestati dal ricorrente; in primo luogo, la sentenza menziona l'accordo sindacale avente a oggetto la possibile assegnazione a mansioni di livello inferiore, ma non lo considera fonte del patto in deroga; l'impossibilità  di adibire V. T. alle stesse mansioni o ad altre equivalenti viene espressamente esclusa dal giudice del merito, che ritiene la dequalificazione unica alternativa al licenziamento senza che sul punto vi siano censure del ricorrente; la disponibilità  del dipendente alla continuazione del rapporto di lavoro è stata desunta dalla mancata reazione immediata al trasferimento ai servizi generali, con assegnazione a mansioni inferiori.
Astensioni spontanee: limiti ed effetti della valutazione negativa della commissione
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La Commissione ha ribadito che, quando dai dati in suo possesso non emerga la partecipazione di soggetti collettivinell'organizzazione dell'astensione dal lavoro, bensà l'attuazione improvvisa di quest'ultima da parte dei lavoratori che si sono rifiutati di rendere la prestazione lavorativa, non ricorrono i presupposti per una valutazione del comportamento di organizzazioni sindacali o di altri soggetti collettivi. A ogni modo, secondo l'orientamento espresso dalla Commissione con delibera n. 08/518, «nel caso di astensioni spontanee collettive di lavoratori in relazione alle quali non sia possibile individuare il soggetto promotore, la Commissione, riscontrata l'illegittimità  dell'astensione, inviterà  il datore di lavoro ad adottare i previsti provvedimenti disciplinari». La Commissione, dunque, deve invitare il legale rappresentante dell'azienda ad adottare i provvedimenti disciplinari a carico di tutti i lavoratori che si sono astenuti dalle prestazioni lavorative aderendo allo sciopero illegittimo. Il legale rappresentante della stessa azienda è poi tenuto a comunicare alla Commissione, ai sensi dell'art. 2, c. 6, legge n. 146 del 1990, l'esito del procedimento disciplinare avviato nei confronti dei lavoratori, fornendone prova documentale entro trenta giorni dalla conclusione del procedimento medesimo. La Commissione, in caso di inottemperanza dell'azienda a questi obblighi, è legittimata ad applicare le sanzioni previste dall'art. 4, c. 4-sexies, legge n. 146 del 1990 nei confronti del datore di lavoro.
Nuovo piano tariffario dei taxi del comune di Roma
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L'Autorità  ha formulato alcune osservazioni in merito al Regolamento per il servizio di trasporto pubblico non di lineaapprovato con deliberazione del Consiglio comunale n. 58 del 14 luglio 2010 e alla conseguente deliberazione dell'Assemblea capitolina n. 21 del 19/20 novembre 2010, che ha rimesso alla Giunta comunale l'istituzione di una Commissione tecnica con l'incarico di verificare analiticamente la congruità  delle tariffe previste. L'Autorità  ha rammentato di esser più volte intervenuta per suggerire la rimozione di misure ingiustificatamente restrittive relativamente alla prestazione del servizio di trasporto tramite taxi. In particolare, le preoccupazioni dell'Autorità  si sono concentrate sui vincoli posti a un aumento delle licenze e alla conseguente carenza di taxi per cittadino (particolarmente marcata se confrontata con quanto accade in larga parte delle altre città  europee), sui criteri con i quali sono organizzati i turni e sui riflessi negativi che tali criteri producono nelle ore e nei luoghi ad alta domanda, sulla totale assenza di spazi per una competizione di prezzo, almeno per i servizi che possono consentirla (ad es. i collegamenti da e per gli aeroporti di Fiumicino e Ciampino, che prevedono il pagamento di tariffe a forfait). Con specifico riguardo alla competizione di prezzo, l'Autorità  è intervenuta più volte sulle problematiche concorrenziali derivanti dalla definizione di prezzi minimi e massimi. La fissazione di prezzi costituisce, come è noto, una delle più rilevanti tipologie di restrizione del gioco concorrenziale; infatti, secondo i consolidati orientamenti giurisprudenziali comunitari e nazionali, il prezzo rappresenta una delle principali variabili competitive e numerose sono state, nel corso del tempo, le pronunce volte a stigmatizzare la fissazione dei prezzi dei servizi. Se la determinazione per via amministrativa di un livello minimo delle tariffe per lo svolgimento del servizio taxi non può trovare alcuna giustificazione sul piano della tutela della concorrenza, l'imposizione amministrativa di livelli tariffari massimi ' cosà come individuati dal Comune di Roma nel caso di specie 'può secondo la valutazione dell'Autorità , almeno in linea di principio, trovare giustificazione nella necessità  di tutelare il consumatore quale parte debole del rapporto. In quest'ottica l'Autorità  ha rilevato che la deliberazione del Consiglio comunale di riforma del sistema tariffario del servizio taxi nel Comune di Roma presenta alcuni profili migliorativi sotto il profilo concorrenziale rispetto alla situazione attuale laddove, da un lato, stabilisce espressamente che il livello delle tariffe fissato in via in via regolamentare è quello «massimo» e i conducenti in astratto sono liberi di applicare tariffe inferiori, dall'altro, non prevede più la necessità  di richiedere l'autorizzazione all'Amministrazione Comunale per l'applicazione di sconti rispetto alla tariffa massima. Anche la maggiore trasparenza tariffaria, con l'introduzione dell'obbligo a carico del conducente di emettere ricevute automatiche complete di numero di licenza, giorno e ora del viaggio, durata in chilometri e minuti, tariffe effettivamente applicate e specifici riferimenti per eventuali reclami, appare sicuramente una misura apprezzabile sotto il profilo concorrenziale. Tuttavia, ad avviso dell'Autorità , le potenzialità  di tali misure rischiano di essere completamente vanificate dai criteri stabiliti dalla deliberazione dell'Assemblea capitolina n. 21 del 20 novembre 2010 che la Commissione tecnica è chiamata a utilizzare per la valutazione di congruità  degli aumenti tariffari. L'Autorità , in particolare, ritiene che il criterio per cui eventuali modifiche tariffarie dovrebbero tener conto del «rapporto domanda e offerta a seguito dell'ampliamento dell'organico con rilascio di nuove licenze» non può che essere interpretato nel senso di suggerire riduzioni delle tariffe massime a seguito di aumenti dell'offerta. Qualsiasi altra interpretazione ' aumenti tariffari giustificati da un aumento del numero delle licenze ' sarebbe volta esclusivamente a mantenere rendite di posizione e quindi in contrasto con i principi più volte richiamati dalla stessa Autorità  per ottenere una migliore organizzazione del servizio e dinamiche virtuose in termini di prezzo nell'interesse dei consumatori. L'Autorità  ha dunque auspicato che le osservazioni formulate possano essere utilmente tenute in considerazione nell'ambito dell'emanazione definitiva della riforma del trasporto pubblico locale non di linea con riguardo al trasporto passeggeri con taxi.
Previdenza sociale – «personale assimilato» agli impiegati pubblici – Contratto concluso con una pubblica amministrazione
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Parità di trattamento tra uomini e donne – caso di discriminazione diretta fondata sul sesso
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avvocato – Normativa nazionale che vieta l’esercizio concomitante della professione e di un impiego come lavoratore pubblico
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Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)
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La cd. legge di stabilità  2011 contiene disposizioni in materia lavoro che riguardano, essenzialmente, i controlli di contratti di solidarietà  difensiviex art. 5, comma 5, della legge n. 236/1993 e le casse integrazioni in deroga. In attesa della riforma organica degli ammortizzatori sociali, all'articolo 1, comma 30, viene autorizzata per tutto il 2011 la concessione per un massimo di dodici mesi, in deroga alla normativa vigente e senza soluzione di continuità , di trattamenti di Cig, mobilità  e disoccupazione speciale, anche con riferimento ad aree regionali e settori produttivi. È poi prevista la possibilità  di prorogare i trattamenti concessi ex art. 2, comma 138, della legge n. 191/2009, per un massimo di dodici mesi, sulla base di accordi stipulati a livello governativo e con decreto «concertato» tra Lavoro ed economia. La misura del trattamento è ridotta del 10% nel caso di prima proroga, del 30% in caso di seconda proroga e del 40% in caso di ulteriori proroghe. Dopo la seconda proroga il trattamento integrativo è condizionato esclusivamente alla frequenza di corsi finalizzati al reimpiego o alla riqualificazione professionale. Il comma 31, invece, si occupa dei criteri necessari per il godimento della Cig e della mobilità  in deroga: sono gli stessi previsti per la casistica generale (90 giorni di rapporto per il godimento di Cig) e 12 mesi (di cui 6 di lavoro effettivo ' art. 16, comma 1, della legge n. 223/1991) per la mobilità , comprensive delle eventuali mensilità  contributive versate alla gestione separata (art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995) a seguito di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa in regime di mono committenza con un reddito superiore a 5.000 euro. Inoltre è stabilito che anche per il 2011 sono riconosciuti gli incentivi per chi assume lavoratori in trattamento in deroga (licenziati o sospesi per cessazione totale o parziale dell'attività  o per intervento di procedura concorsuale al di fuori delle ipotesi indicate dall'art. 3 della legge n. 223/1991). Il comma 37 allarga la platea di lavoratori in mobilità  ai quali non si applicano le nuove disposizioni che regolano l'accesso alla pensione, rinviando a un decreto «concertato» del ministro del Lavoro con quello dell'Economia. Il comma 39, invece, abroga il comma 10 dell'art. 1 della legge n. 247/2007, norma che prevedeva, a far data dal 1° gennaio 2011, l'aumento dell'aliquota contributiva per i lavoratori subordinati dello 0,09%.
Riconoscimento di diplomi – «esperienza professionale »
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CIRCOLARE N. 3 13 GENNAIO 2011
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Con la Circolare n. 3 del 2011 il ministro del Lavoro e delle Politiche socialiha fornito chiarimenti operativi attinenti alle novità  normative contenute nella legge 4 novembre 2010, n. 183 (cd. Collegato lavoro) in materia di regimi di autorizzazione all'incontro tra la domanda e l'offerta di lavoro di cui agli artt. 4, 5, 6 e 15 del d.lgs. 276/2003.
Nozione di «giurisdizione nazionale» ai sensi dell’art. 234 Ce – Riconoscimento dei diplomi – Avvocato
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Università – Procedura di stabilizzazione – Controversia – Giudice amministrativo – Difetto di giurisdizione
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Contratto di apprendistato – Violazione obbligo insegnamento – Nullità – Insussistenza
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Contratto a tempo determinato – Genericità della clausola temporale – Nullità – Sussistenza
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Reintegrazione d’urgenza nelle mansioni di conduttrice del Tg1
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Trasferimento di imprese – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Nozione di «trasferimento »
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Accordo di associazione Cee-Turchia – Ricongiungimento familiare – Coniuge
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Politica sociale Principio di non discriminazione Applicazione dell’accordo quadro al personale di una comunità autonoma
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Ente locale – Determinazione in materia di dotazioni organiche – Mancato esperimento della procedura di concertazione sindac
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Licenziamento per appropriazione indebita e pagamenti non dovuti
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La società  Datalogic Spa ha convenuto in giudizio una propria dipendente, licenziata per essersi sistematicamente appropriata di rilevanti somme di denaroe aver effettuato pagamenti non dovuti, chiedendo il risarcimento dei danni e la declaratoria di giusta causa di licenziamento ovvero in subordine la conversione in licenziamento per giustificato motivo. Si costituiva nel giudizio la lavoratrice, la quale pur ammettendo di aver effettuato i prelievi contestatile, sosteneva di aver sempre prelevato il denaro su indicazione proveniente da dirigenti aziendali al fine di corrompere sistematicamente funzionari pubblici, come peraltro accertato nel corso del procedimento penale instaurato nei suoi confronti per appropriazione indebita e calunnia, archiviato dal Gip; la convenuta quindi chiedeva il rigetto delle domande aziendali e in via riconvenzionale impugnava il licenziamento per giusta causa intimatole. Il Tribunale di Bologna ha ritenuto plausibile la versione dei fatti sostenuta dalla lavoratrice accertata anche in sede penale, considerato anche che i prelievi si erano prolungati per un considerevole lasso di tempo senza che alcun rilievo le venisse mosso e che la società  comunque non aveva fornito precisi elementi tali da far ritenere che il denaro fosse finito nella personale disponibilità  della ex dipendente. Pertanto ritenendo la lavoratrice un mero strumento di soggetti a essa gerarchicamente sopra ordinati, il giudice ha rigettato la domanda di risarcimento danni, in quanto la natura meramente strumentale ed eventualmente fungibile delle sue condotte escludeva il nesso causale tra esse e il danno subito dalla società . Invece il Tribunale ha ritenuto sussistente una responsabilità  disciplinare della lavoratrice, la quale avrebbe avuto il dovere di astenersi dall'eseguire ordini illeciti, dovendo l'obbligo del lavoratore di cui al secondo comma dell'art. 2104 cod. civ. arrestarsi di fronte a ordini manifestamente illeciti; pertanto pur escludendo la giusta causa di licenziamento per l'aver la lavoratrice eseguito ordini altrui, il Tribunale di Bologna ha ritenuto comunque che il comportamento della convenuta costituisse un notevole inadempimento che giustifica la conversione del recesso in licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Contratto a tempo determinato – Inerzia nel proporre ricorso – Risoluzione per mutuo consenso – insussistenza –
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Mancanza di tempestività della sanzione disciplinare – Illegittigiudimità del licenziamento – Reintegra in via d’urgenza
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Opposizione a decreto ingiuntivo – Obbligazioni pecuniarie – Inadempimento impossibilità sopravvenuta per cause non imputab
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Inapplicabilità dell’art. 18 al socio asolo se l’esclusione dalla cooperativa sia deliberata per ragioni estranee al rappor
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Diritto di sciopero – Servizi pubblici essenziali – Individuazione dei contingenti minimi nella totalità degli addetti
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Pagamento crediti di lavoro – Responsabilità solidale del committente – Applicabilità della norma alle pubbliche amministr
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Lavoro somministrato – genericità e insussistenza delle ragioni giustificatrici – Ripristino rapporto di lavoro
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Contratto a termine Cri – Principio di parità di trattamento retributivo – Applicazione senza limiti o deroghe
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Contrasto di giurisprudenza sulla efficacia di un licenziamento in costanza di giudizio su altro licenziamento
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Un lavoratore nelle more di un giudizio avverso un licenziamento per giusta causa veniva nuovamente licenziatoda un istituto di credito per raggiungimento dei requisiti pensionistici all'esito del giudizio di legittimità  che aveva cassato la decisione della Corte di Appello disponendo contestualmente alla reintegra nel posto di lavoro un rinvio al giudice di merito per la quantificazione del danno. La Corte di Appello di Ancona adita in sede di riassunzione nel quantificare il risarcimento respingeva l'eccezione dell'i-stituto bancario che richiedeva una limitazione del danno alla data del compimento dei requisiti pensionistici e disponeva la condanna al risarcimento fino alla data del successivo licenziamento intimato all'esito del giudizio di legittimità . Nel respingere il gravame dell'istituto la Suprema Corte rilevava che la decisione doveva ritenersi conforme laddove aveva imputato alla società  gli effetti della mancata reiterazione di un licenziamento per motivi diversi prima dell'ordine di reintegrazione nonostante la pendenza del giudizio avverso il primo recesso. La Suprema Corte nel respingere il ricorso si è posta in dichiarato contrasto con precedenti della stessa sezione sul dichiarato presupposto che la continuità  e la permanenza del rapporto non osta all'irrogazione di un secondo licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ove basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice, dal quale solamente, in mancanza di tempestiva impugnazione, deriverà  l'effetto estintivo del rapporto. Sulla base di tali principi la Corte di Cassazione ha ritenuto che la reiterazione di licenziamenti è in sé astrattamente idonea a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente.
La Cassazione ammette le dimissioni condizionate sospensivamente
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Nell'ambito di un complesso accordo che prevedeva l'acquisizione di un pacchetto azionario di una aziendadella quale un dirigente era proprietario si concordava che all'esito della procedura di acquisto il dipendente avrebbe cessato il proprio rapporto di lavoro dimettendosi altresà da ogni carica societaria. All'esito del perfezionamento della vendita il lavoratore veniva informato dell'avvenuta cessazione del rapporto di lavoro con comunicazione che veniva impugnata innanzi al Tribunale di Genova. La domanda del lavoratore veniva respinta nei giudizi di merito nei quali veniva ritenuto valido l'accordo raggiunto in sede di vendita delle azioni. La Corte di Cassazione nel respingere il gravame del dirigente ha rilevato la piena validità  ed efficacia di dimissioni condizionate sospensivamente. Affermano, infatti, i giudici di legittimità  che l'atto di recesso condizionato a un evento futuro e incerto costituisce un atto lecito dal momento che si realizza un negozio potestativo di recesso idoneo a determinare la risoluzione del rapporto indipendentemente dalla volontà  del datore di lavoro. Le dimissioni condizionate sospensivamente devono ritenersi lecite dal momento che l'atto di recesso non deve contenere un effetto immediatamente risolutorio mentre le dimissioni condizionate risolutivamente, viceversa ' osservano i giudici di legittimità  ' devono ritenersi inammissibile dal momento che porrebbe nel nulla un effetto risolutivo già  avvenuto.
La Cassazione esclude la legittimità dello sciopero delle mansioni
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Un'organizzazione sindacale adiva il Tribunale di Cremona al fine di vedere accertare l'antisindacalità  della condotta di un'aziendaconsistente nell'applicazione di sanzioni disciplinari nei confronti di alcuni portalettere che nell'ambito di uno sciopero delle mansioni si erano astenuti dallo svolgere alcune prestazioni accessorie. La domanda dell'organizzazione sindacale veniva respinta in ogni fase e grado. La Corte di Cassazione nel confermare la decisione della Corte di Appello di Brescia ha respinto il gravame dell'organizzazione sindacale sul presupposto della illegittimità  della condotta dei portalettere non riconducibile nell'ambito del diritto di sciopero e quindi configurante un inadempimento parziale. La Suprema Corte nel pervenire a tale conclusione ha rilevato che in assenza di una definizione legislativa della nozione di sciopero i lineamenti del concetto sono stati individuati sul piano giuridico tenendo conto della storia e delle prassi delle relazioni industriali in forza della quale non può essere definita sciopero ogni manifestazione di lotta che i soggetti agenti designino tale. Sulla base di tale prospettiva la Corte di Cassazione perviene alla conclusione che lo sciopero si risolve nella mancata prestazione in forma collettiva della prestazione lavorativa con corrispondente perdita della retribuzione. L'astensione si estende ' prosegue la Corte ' a tutte le attività  richieste per una determinata unità  di tempo minima al di sotto della quale l'attività  lavorativa non ha significato esaurendosi in una erogazione di energie senza scopo. Si colloca quindi fuori dall'alveo dello sciopero ' a detta dei giudici di legittimità  ' il rifiuto di rendere la prestazione per una data unità  di tempo non integrale ma solo di uno o più compiti che il lavoratore è tenuto a svolgere. Sulla base di tale ricostruzione della nozione di sciopero costituisce mero inadempimento non già  esercizio di un diritto l'astensione di una parte di attività  dovute nell'arco di una unità  di tempo.
Impugnazione licenziamento per motivi disciplinari – domanda riconvenzionale per danni
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Infortunio sul lavoro – Risarcimento del danno differenziale
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Sono utilizzabili le riprese di una azienda terza al fine di accertare condotte illecite dei lavoratori
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Alcuni lavoratori addetti alla vigilanza presso un'azienda committente venivano ripresi da un sistema di videosorveglianza dell'aziendaappaltante mentre erano intenti a penetrare senza autorizzazione all'interno di uffici che dovevano sorvegliare per compiere condotte illegittime. All'esito di tali riprese i lavoratori venivano assoggettati a un procedimento disciplinare e licenziati per giusta causa. Nel corso del giudizio la Corte di Appello di Torino confermando la decisione del giudice di primo grado rigettava la domanda proposta dai lavoratori rilevando la legittimità  e l'efficacia probatoria del controllo difensivo. La Corte di Cassazione nel respingere il gravame dei lavoratori ha escluso che il controllo effettuato tramite le videocamere costituisse un controllo a distanza. Osserva, infatti, il collegio che non è configurabile una violazione della norma statutaria in un sistema di ripresa con finalità  difensiva attuato da un sistema di videosorveglianza a opera di un soggetto terzo, rispetto alla società  datrice di lavoro che si realizza all'interno di un ufficio non facente parte della struttura organizzativa della società  datrice di lavoro e nella quale i sorveglianti potevano accedere solo in caso di necessità 
La Cassazione torna ancora sul contratto di associazione in partecipazione
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Nel respingere un ricorso di legittimità  di un lavoratore che rivendicava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinatoaffermando l'illegittimità  del contratto di associazione in partecipazione stipulato con sola partecipazione al fatturato senza partecipazione alle perdite, la Cassazione ha stabilito che l'unico elemento rilevante ai fini della configurabilità  di un rapporto di associazione è costituito dalla sussistenza di un rischio non impedito dal patto di partecipazione al fatturato e dall'esclusione dell'associato alle perdite. Afferma, infatti, la Suprema Corte che non vale a escludere la causa del contratto di associazione in partecipazione la mancanza di una effettiva possibilità  di controllo dell'associato sulla gestione dell'impresa dal momento che il codice non disciplina le modalità  del rendiconto cosà come non vale la circostanza che la partecipazione dell'associato sia commisurata al ricavo anziché agli utili netti dell'associante. L'art. 2553 cod. civ. prevede, infatti, ' osservano i giudici ' che le parti possano determinare liberamente una partecipazione agli utili. La previsione di una clausola di miglior favore legata al fatturato cosà come quella che esclude la partecipazione alle perdite non è incompatibile con il carattere della partecipazione dell'associato.
Servizi sociali regionali per extracomunitari
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Anche gli extracomunitari hanno diritto ai servizi sociali previsti dal sistema integrato regionale.La Corte Costituzionale ha quindi dichiarato incostituzionale l'art. 9, comma 5, legge Regione Friuli Venezia Giulia 16 luglio 2010 n. 12, in quanto esclude dalle provvidenze in parola i cittadini extracomunitari ovvero» gli stessi cittadini europei «se non residenti da trentasei mesi nel territorio regionale. La disciplina censurata individua i requisiti soggettivi dei destinatari del sistema integrato dei servizi regionali, da collocare nel più generale ambito dei servizi sociali, attribuito alla competenza legislativa residuale delle Regioni. A giudizio della Corte si introduce una illegittima preclusione destinata a discriminare tra i fruitori del sistema integrato dei servizi concernenti provvidenze sociali fornite dalla Regione nei confronti dei cittadini extracomunitari in quanto tali, nonché dei cittadini europei non residenti da almeno trentasei mesi. Risulta quindi palesemente violato il principio di uguaglianza, giacché sono introdotti nel tessuto normativo elementi di distinzione arbitrari, mancando ogni ragionevole correlabilità  tra quelle condizioni di ammissibilità  al beneficio (la cittadinanza europea congiunta alla residenza protratta da almeno trentasei mesi, appunto) e gli altri peculiari requisiti (integrati da situazioni di bisogno e di disagio riferibili direttamente alla persona in quanto tale) che costituiscono il presupposto di fruibilità  di provvidenze che, per la loro stessa natura, non tollerano distinzioni basate né sulla cittadinanza, né su particolari tipologie di residenza. In questo modo, quindi, si escludono proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio.
Contratto a termine e forfettizzazione del danno
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Il Tribunale di Trani, con ordinanza del 20 dicembre 2010, ha sollevato questione di costituzionalità dei commi da 5 a 7 dell'articolo 32 della legge n. 183/2010 (cd. Collegato lavoro) per violazione degli art. 3, 11, 24, 101, 102, 111 e 117 della Costituzione. Il giudice pugliese ha confermato tutti i dubbi di costituzionalità  già  da più parti rilevati in relazione al nuovo regime di forfettizzazione del danno in caso di conversione del contratto a termine illegittimo in contratto di lavoro a tempo indeterminato. Con un'operazione molto simile a quella già  tentata nel 2008, il Governo Berlusconi ha infatti voluto ridurre il risarcimento del danno (da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità ) in caso di conversione del contratto, questo indipendentemente dalle retribuzioni maturate (e dovute al lavoratore) dalla scadenza del contratto illegittimo alla dichiarazione di nullità  del termine da parte del giudice. Il Tribunale ha quindi sollevato questione di costituzionalità  per violazione di molteplici parametri costituzionali, primo fra tutti, come dice lo stesso giudice nell'ordinanza, l'articolo 3 della Costituzione. Esiste infatti una irragionevole discriminazione tra il regime di risarcimento del danno per quanto riguarda l'ambito della stabilità  reale in caso di licenziamento e questo nuovo sistema di forfettizzazione del danno che punisce quei lavoratori a termine che si vedono liquidare un danno molto modesto anche di fronte di un lungo periodo in cui, pur avendo messo a disposizione del datore le proprie energie lavorative, non hanno trovato nuova occupazione.
La transazione sindacale implica la presenza contestuale del rappresentante dei lavoratori
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Nell'ambito di un giudizio finalizzato al pagamento di differenze retributive un'azienda eccepiva la sussistenza di una conciliazione sindacalerelativamente a un periodo di tempo oggetto della rivendicazione del lavoratore. Il giudice di Napoli, nell'accogliere la domanda del lavoratore, riteneva l'inidoneità  del verbale di conciliazione a produrre gli effetti estintivi dei diritti rivendicati dal lavoratore non risultando il deposito del verbale presso la sede sindacale ed essendo emerso che la firma del rappresentante sindacale non era contestuale a quella del dipendente. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici partenopei che avevano escluso il carattere sindacale al verbale di transazione in quanto non sottoscritto contestualmente e in presenza del rappresentante sindacale sul rilievo che l'assenza di una effettiva assistenza sindacale, a prescindere dal luogo in cui viene formalizzato, l'atto conciliativo è inidoneo a produrre gli effetti tipici di una conciliazione sindacale.
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