4 / 2008
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Descrizione
Illegittimità costituzionale della norma che riduce contributi e carriera dei ricercatori al momento della conferma Ulteriori indicazioni della Cassazione sugli elementi presuntivi del danno da dequalificazione professionale Reintegrato dal Giudice di Roma dirigente apicale licenziato per ritorsione ad azione giudiziaria
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La conciliazione non è valida se l'assistenza del sindacalista al lavoratore non è effettiva
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A. C. ha lavorato per circa dieci anni, dal 1986 al 1996, come insegnante di lingua e letteratura tedesca alle dipendenze del Liceo linguistico europeo Oxford,istituto legalmente riconosciuto gestito dalla Sas Futura. Dopo essere stata licenziata ella ha sottoscritto in azienda, alla presenza di un sindacalista, un accordo definito, con riferimento agli artt. 410 e 411 cod. proc. civ., «verbale di conciliazione», recante la previsione del pagamento in favore della lavoratrice delle spettanze maturate a tutto il giugno 1996 oltre al Tfr e ad una somma «al solo fine di evitare l'insorgenda lite senza che ciò possa rappresentare il riconoscimento, neppure parziale di eventuali contrapposte pretese». L'accordo è stato redatto su carta recante l'intestazione del sindacato. Successivamente la lavoratrice ha impugnato l'accordo ed ha chiesto al Tribunale di Lecce di condannare la Sas Futura al pagamento della somma di circa 52 milioni di lire per differenze di retribuzione. Il Tribunale ha sentito come teste il sindacalista il quale ha dichiarato di essersi recato presso i locali della scuola, su invito di un consulente aziendale che aveva predisposto il testo del verbale; egli aveva dato lettura dell'accordo dichiarandosi disponibile per qualsiasi chiarimento ed aveva raccolto le firme. Il Tribunale ha rigettato la domanda in quanto la ha ritenuta preclusa dal verbale di conciliazione sottoscritto con l'assistenza di un sindacalista. Questa decisione è stata integralmente riformata, in grado di appello, dalla Corte di Lecce che ha escluso l'esistenza di una conciliazione redatta in sede sindacale in base agli artt. 410 e 411 cod. proc. civ. In particolare la Corte ha osservato che non sussisteva alcuna controversia tra le parti, che la lavoratrice non era iscritta al sindacato e che nessuna opera di effettiva assistenza era stata posta in essere dal sindacalista, limitatosi a svolgere il ruolo di un testimone di operazioni (elaborazione di conteggi) cui era rimasto estraneo e di fatti (ricostruzione della storia lavorativa di A. C. precedentemente ignorati); che l'ignoranza della vicenda impediva quella assistenza consapevole ed informata richiesta per la transazione sindacale. Pertanto la Corte di appello ha condannato l'azienda a pagare alla lavoratrice euro 25.000,00 circa. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Lecce per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in quanto ha ritenuto che la sentenza impugnata sia stata adeguatamente motivata sia per quanto concerne la non configurabilità  di una transazione sia l'inesistenza di un effettivo intervento del sindacato. La Cassazione ha richiamato la sua giurisprudenza secondo cui, al fine di verificare che l'accordo sia stato raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione sindacale, occorre valutare se in base alle concrete modalità  di espletamento della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la legge assegna al sindacato nella conciliazione.
Una volta autorizzata la cassa integrazione le sue modalità di applicazione non si possono modificare senza un nuovo decreto
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A. D., dipendente della Fiat Auto Spa addetto allo stabilimento di Pomigliano D'Arco,è stato collocato in cassa integrazione straordinaria in base a due accordi sindacali sottoscritti rispettivamente nel giugno 1993 e nel febbraio 1994. Egli ha chiesto al giudice del lavoro di dichiarare l'illegittimità  del provvedimento per non avere adempiuto agli obblighi di comunicazione e consultazione previsti dall'art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991 e per non avere attuato il dovuto meccanismo di rotazione. La legge prevede all'art. 1, comma 7, che i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità  della rotazione devono formare oggetto di comunicazione alle organizzazioni sindacali e di esame congiunto e all'art. 1, comma 8, che la mancata adozione di meccanismi di rotazione debba formare oggetto di autorizzazione ministeriale. In primo grado la domanda è stata rigettata. In grado di appello la Corte di Napoli ha invece ritenuto fondata la domanda proposta dal lavoratore ed ha condannato l'azienda alla corresponsione delle differenze fra ciò che era stato percepito dal dipendente e la normale retribuzione. La Corte ha rilevato che il provvedimento di sospensione non poteva reputarsi legittimo perché l'azienda non aveva esercitato il suo potere di gestione della crisi economica nell'osservanza della procedura prevista dall'art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 del 1991, tra l'altro modificando, in base ad un accordo sindacale successivo all'autorizzazione ministeriale, i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, nonché quanto stabilito in materia di rotazione. La Fiat Spa ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione impugnata per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso affermando il seguente principio di diritto: «La cassa integrazione straordinaria ' prevista in presenza di ristrutturazioni, riorganizzazioni e conversioni aziendali ovvero di crisi aziendali riguardanti situazioni occupazionali in ambito territoriale o situazioni produttive di settore ' viene autorizzata dal ministero del Lavoro a seguito dell'approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle ragioni dell'impresa importanti l'esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l'attuazione del suddetto programma funzionale all'efficienza produttiva dell'impresa stessa. Ne consegue che nel corso della sua durata non è consentito ' seppure con la copertura negoziale tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto, pena l'invalidità  della intera procedura di messa in cassa integrazione con le consequenziali ricadute in termini risarcitori ' determinare un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere con l'abbandono di quelli iniziali previsti nel programma e la contestuale adozione, invece, di criteri di scelta diversi e privi di razionalità  e congruità  rispetto alla causa integrabile, potendosi un mutamento delle regole selettive operare solo a seguito di un decreto di proroga volta ad accertare la compatibilità  di tale cambiamento con la regolare esecuzione del programma stesso ovvero a seguito di una distinta domanda di integrazione salariale e di un successivo decreto autorizzativo sulla base di un nuovo e distinto programma».
Le modalità di pagamento della retribuzione possono essere modificate se cambiano gli usi locali
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L'Enel Spa fino al dicembre 1996 ha pagato le retribuzioni mensili dei dipendenti a mezzo di assegni circolari.Dal gennaio 1997 il pagamento è stato effettuato mediante bonifico bancario su conto corrente di ciascuno dei dipendenti. M. B. ed altri dipendenti dell'Enel hanno chiesto al Tribunale di Rovigo di accertare l'illegittimità  della modifica delle modalità  di pagamento della retribuzione, sostenendo che l'innovazione apportata a far tempo dal gennaio 1997 doveva ritenersi illegittima perché contrastante con la precedente prassi aziendale. Il Tribunale ha accolto la domanda ed ha ordinato all'Enel di provvedere al pagamento delle retribuzioni secondo le modalità  precedenti. Questa decisione è stata riformata integralmente, in grado di appello, dalla Corte di Venezia che ha ritenuto infondata la domanda proposta dai lavoratori. Pur ritenendo sussistente un precedente uso aziendale, nel senso del pagamento dello stipendio mediante assegni circolari, penetrato nei contratti di lavoro dei dipendenti Enel a norma dell'art. 1340 cod. civ. e pertanto modificabile solo con il consenso delle parti, la Corte di appello ha ritenuto che tale consenso sia necessario unicamente nel caso in cui si tratti di modifiche peggiorative ed ha ritenuto positiva l'innovazione operata dalla società  in quanto recante ai dipendenti un disagio minore di quello prodotto dalla precedente prassi. I lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Venezia per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La Corte ha ricordato che in base all'art. 2099 cod. civ. la retribuzione deve essere corrisposta «con le modalità  e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito» e pertanto secondo l'uso locale di fatto che si forma al di fuori del contratto di lavoro ed il cui contenuto si modifica con il mutare dei comportamenti tenuti a livello locale. Ne consegue ' ha rilevato la Corte ' che nel caso in esame, in cui è pacifico che localmente, aziendalmente e addirittura in maniera generalizzata a livello nazionale (come è notorio) le prassi prevalenti sono diventate da tempo quelle del pagamento delle retribuzioni mediante accredito su conto corrente bancario, queste vanno applicate. Peraltro ' ha affermato la Corte ' alla stessa conclusione si perviene ove si ritenga che la materia fosse disciplinata dalla prassi: la natura di fonte sociale dell'uso aziendale implica infatti la sua modificabilità  ad opera delle fonti collettive sopraordinate nonché per effetto di un uso successivo più favorevole. In proposito ' ha rilevato la Cassazione ' il giudice di appello, con adeguata motivazione ha ritenuto di maggior favore l'uso successivo.
L’addebito disciplinare deve essere riferito a fatti specifici - La contestazione è immutabile
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Il giornalista corrispondente da New York ha diritto al trattamento di capo servizio anche se non è responsabile dell'ufficio
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Il giornalista C. D. dipendente dell'Ansa, con qualifica di redattore, ha lavorato per circa due anni nell'ufficio di corrispondenza di New York.Egli ha chiesto all'azienda il trattamento economico di capo servizio, richiamando l'art. 11 del contratto nazionale di lavoro giornalistico: «Ai corrispondenti dell'estero residenti nelle seguenti capitali: Parigi, Londra, Bonn, Bruxelles, Washington, Mosca, Pechino, Tokio, New York, Berlino e Ginevra è riconosciuta agli effetti del presente contratto l'equiparazione con la posizione categoriale di capo servizio». Poiché l'azienda non ha accolto la sua richiesta, il giornalista si è rivolto al Tribunale di Roma per ottenere il riconoscimento del suo diritto. L'azienda si è difesa richiamando l'art. 5 del Cnlg secondo cui per gli uffici di corrispondenza da Roma, dalle capitali estere e da New York è obbligatoria l'assunzione di giornalisti professionisti «ai quali spetterà  la qualifica di redattore»; essa ha sostenuto che l'equiparazione al capo servizio poteva essere riconosciuta solo ai responsabili degli uffici di corrispondenza e non anche agli altri giornalisti che ne facevano parte senza avere un ruolo direttivo. Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda, condannando l'Ansa al pagamento delle richieste differenze di retribuzione. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Roma. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Applicando correttamente i canoni legali di ermeneutica contrattuale ' ha osservato la Cassazione ' la Corte territoriale, con una lettura coordinata del tenore letterale delle due norme, ha ritenuto con una congrua ed esauriente motivazione, che la seconda, a differenza della prima, riguardi la definizione del trattamento economico dei redattori, tra i quali, ai corrispondenti dall'estero residenti a New York è riconosciuta a tali fini l'equiparazione al capo servizio. In tal modo ' ha affermato la Suprema Corte ' la sentenza impugnata risolve in maniera adeguata l'apparente contraddizione, dedotta anche in appello dalla ricorrente e rappresentata dal fatto che poiché l'art. 5 qualificherebbe «redattore» il corrispondente operante nell'ufficio di corrispondenza di New York, l'art. 11 non potrebbe nel medesimo testo contrattuale attribuire ad ogni corrispondente dalle capitali estere e da New York la diversa qualifica di capo servizio. La Corte di Roma ' ha rilevato la Cassazione ' ha infatti correttamente, da un lato, individuato lo scopo principale dell'art. 5 in quello di imporre in determinate strutture giornalistiche la presenza di giornalisti professionisti qualificati come redattori e, dall'altro, la finalità  dell'art. 11 in quella di stabilire per le vie categorie di redattori il relativo trattamento economico, anche equiparando, a tali fini, l'una all'altra categoria di redattori in presenza di determinate condizioni, tra le quali, con riguardo ai corrispondenti dalle principali capitali e da New York, la Corte non ha ritenuto che sia stata inserita anche quella per cui il corrispondente dalle maggiori capitali e da New York debba essere isolato per fruire dell'equiparazione al redattore capo servizio; la ragione del trattamento privilegiato cosà stabilito per tali corrispondenti (del resto operanti normalmente in uffici articolati, data l'importanza della sede) è stata infine ravvisata in maniera congrua dalla Corte di Roma nel fatto che le parti collettive hanno valutato che «in ragione dell'esperienza professionale occorrente e della natura della prestazione svolta presso taluni uffici di corrispondenza (principali capitali estere o grandi metropoli, come appunto New York) fosse congruo equiparare quoad mercedem il corrispondente al capo servizio, senza automatica attribuzione della corrispondente qualifica».
Le scorrettezze nei confronti di una società del gruppo possono costituire motivo di revoca del mandato di agenzia
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L. F. agente della Fondiaria Sai Assicurazione Spa ha subito la revoca in tronco del mandato,con l'addebito di avere acquisito «numerose polizze sulla base di false attestazioni dello stato del rischio». Analogo provvedimento è stato assunto contestualmente nei suoi confronti dalla Spa Effevita appartenente al Gruppo della Fondiaria. Egli ha chiesto al Tribunale di Foggia di dichiarare l'illegittimità  della revoca operata dalla Fondiaria, per genericità  dell'addebito, nonché dell'analogo provvedimento adottato dalla Effevita, sostenendo che quest'ultima non poteva ravvisare una giusta causa in scorrettezze asseritamente verificatesi nei rapporti con altra società  del suo Gruppo. Il Tribunale ha accolto la domanda e ha condannato le due società  al risarcimento del danno. In grado di appello la Corte di Bari ha integralmente riformato la decisione di primo grado escludendo il diritto dell'agente al risarcimento. La Corte di appello ha rilevato che nel rapporto di agenzia, a differenza che in quello di lavoro subordinato, il recesso per giusta causa può avvenire anche in base ad addebiti generici, riferiti peraltro a fatti conosciuti dall'agente. La Corte ha anche ritenuto che una scorrettezza commessa dall'agente nei confronti di una società  sia idonea a far venir meno anche il rapporto fiduciario con altra società  dello stesso Gruppo. L. F. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Bari per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Su un piano generale ' ha affermato la Corte ' è da osservare che fra lavoro autonomo e lavoro subordinato sussiste differenza strutturale e conseguente differenza di disciplina; aspetto di questa differenza è il fatto che nel rapporto di agenzia, pur nell'applicabilità  del recesso per giusta causa, il preponente non deve far riferimento, fin dal momento della comunicazione del recesso, a fatti specifici, essendo sufficiente che di tali fatti l'agente sia a conoscenza anche aliunde o che essi siano dedotti e correlativamente accertati in sede giudiziaria (Cass., 16 marzo 2000, n. 3084). Aspetto di questa differenza è anche l'intensità  della fiducia che è riposta nel lavoratore. La Corte ha pertanto affermato il seguente principio di diritto: «Pur comune fondamento del rapporto di lavoro autonomo e del lavoro dipendente, nel lavoro autonomo la fiducia, in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell'attività  (per luoghi, tempi, modalità  e mezzi in relazione al conseguimento delle finalità  aziendali), assume maggiore intensità . Ed in corrispondenza di questa maggiore intensità , è sufficiente un fatto di minore consistenza per farla cessare». Il collegamento economico-funzionale fra imprese facenti parte dello stesso gruppo, pur non costituendo un'unitaria soggettività  giuridica né essendo sufficiente a far ritenere che i successivi rapporti di uno stesso lavoratore con le società  collegate diano luogo ad un unico ininterrotto rapporto di lavoro né che gli addebiti inerenti al rapporto di lavoro formalmente costituito con una società  si estendano anche alle altre, ' ha aggiunto la Corte ' determina tuttavia una convergenza di interessi economici. In proposito la Corte ha enunciato un altro principio di diritto: «L'evento che determinando, nell'ambito d'un rapporto di agenzia, la cessazione della fiducia della società  preponente nei confronti del suo agente, legittima il recesso della società  dal rapporto di lavoro, è idoneo a determinare la cessazione della fiducia di altra società  appartenente allo stesso Gruppo finanziario ed a legittimare il suo conseguente recesso dal suo distinto rapporto di lavoro con l'agente».
Il lavoratore reintegrato si deve presentare entro trenta giorni dall'invito
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W. C., dipendente della Spa Cassa di Risparmio di Fano, filiale di Ancona, licenziato nel 1997, ha ottenuto dal giudice, nel maggio del 2002,una sentenza recante l'annullamento del licenziamento con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro. Il 27 maggio egli ha ricevuto una lettera con la quale l'azienda gli ha comunicato di prendere servizio in Fano presso la direzione generale, essendo stata chiusa la filiale di Ancona, senza precisare il giorno e l'ora della presentazione in ufficio. Egli ha chiesto informazioni sulle modalità  della sua reintegrazione, ottenendole; infine il 26 giugno ha confermato via fax, per il tramite del suo legale, la volontà  di riprendere servizio. La banca, con lettera del 4 luglio, gli ha comunicato che il rapporto di lavoro doveva ritenersi risolto con effetto dal 26 giugno 2002 per mancata ripresa del servizio nel termine di trenta giorni di cui all'art. 18, quinto comma, Stat. lav. W. C. ha chiesto al Tribunale di Pesaro di dichiarare invalida la risoluzione del rapporto di lavoro comunicatagli dalla banca, sostenendo che questa non gli aveva indicato, nella lettera recapitatagli il 27 maggio 2002, il giorno e l'ora della ripresa del lavoro e che egli aveva comunque comunicato tempestivamente di voler riprendere servizio. Sia il Tribunale di Pesaro che, in grado di appello, la Corte di Ancona hanno ritenuto la domanda priva di fondamento, affermando che la lettera ricevuta dal lavoratore il 27 maggio era idonea a far decorrere il termine di 30 giorni per la presentazione in servizio. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Ancona per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ricordando che l'art. 18 legge n. 300/70 dispone al quinto comma quanto segue: «Fermo restando il diritto al risarcimento del danno cosà come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data facoltà  di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità  pari a quindici mensilità  di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità  di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti». La seconda parte del quinto comma ' ha osservato la Corte ' richiede, per evitare la risoluzione del rapporto, la ripresa del servizio o la richiesta dell'indennità  sostitutiva, nel termine di trenta giorni, rispettivamente dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro o dal deposito della sentenza; indubbiamente, una volta comunicata l'accettazione dell'invito a riprendere servizio, ove ciò non si renda possibile a causa di forza maggiore o di un legittimo impedimento (quale, ad esempio, una malattia o un infortunio), il rapporto di lavoro non si risolverà  al trentesimo giorno dall'invito; ma nella fattispecie in esame non si deduce la sussistenza di un legittimo impedimento, ma si sostiene la sufficienza di una generica adesione all'invito, ancorché non seguita da una effettiva ripresa del servizio, il che non è esatto. Nel caso in esame ' ha rilevato la Corte ' i giudici del merito, cui è istituzionalmente riservata l'interpretazione degli atti di contenuto negoziale, hanno ritenuto che la lettera di invito ricevuta dal lavoratore contenesse tutti gli elementi rilevanti per chiarire al lavoratore come, dove e con quali mansioni avrebbe dovuto riprendere servizio; la mancanza del giorno e dell'ora non era rilevante, derivando dal dettato legislativo («entro trenta giorni»), con facoltà  del lavoratore di riprendere servizio in qualsiasi giorno ricompreso fra il primo ed il trentesimo, senza che il datore di lavoro possa limitare tale facoltà  con l'indicazione di un giorno determinato.
Il maggiordomo ha diritto agli aumenti di anzianità, ma non al compenso per lavoro straordinario
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F. B. ha lavorato alle dipendenze della principessa E. D. come maggiordomo, unico responsabile dell'andamento dei servizi.Cessato il rapporto, egli ha chiesto, tra l'altro, al giudice del lavoro, la condanna della principessa al pagamento di varie somme per differenze di Trattamento di fine rapporto, aumenti di anzianità , lavoro straordinario etc. nonché al risarcimento del danno pensionistico. La convenuta si è difesa sostenendo, tra l'altro, la non applicabilità  del contratto collettivo invocato dal lavoratore, non essendo ella iscritta nell'associazione stipulante, e la non configurabilità  del diritto a compensi per lavoro straordinario, trattandosi di lavoro domestico, svolto inoltre con mansioni direttive. In primo grado è stata accolta soltanto la domanda relativa alle differenze per Tfr. In appello, la Corte di Roma ha condannato la datrice di lavoro anche al pagamento delle differenze per aumenti di anzianità  e dei compensi per lavoro straordinario, nonché al risarcimento del danno pensionistico. E. D. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge. La Corte ha accolto il ricorso soltanto per la parte concernente i compensi per lavoro straordinario. L'art. 1 del r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692, sulle limitazioni dell'orario di lavoro, ' ha osservato la Corte ' esclude espressamente, al suo secondo comma, che queste ultime si applichino al personale addetto ai lavori domestici, cosà come al personale direttivo; nel caso in esame il signor F. B. era addetto alla gestione del palazzo, e perciò rientrava nell'ambito degli addetti ai lavori domestici, e, per di più, aveva funzioni direttive, dato che aveva il compito di sovrintendere al lavoro degli altri addetti. La durata dell'impegno ' ha precisato la Corte ' potrebbe piuttosto costituire un ulteriore parametro cui fare riferimento per determinare la retribuzione adeguata ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, anche se si deve tener conto della possibile esistenza di periodi di semplice attesa, e del fatto che nel palazzo della principessa E. D. non risulta (né viene affermato) che venissero organizzati sistematicamente eventi (come pranzi, ricevimenti, ecc.) che comportassero l'apertura della casa ad ospiti esterni, e richiedessero perciò la presenza e l'attività  continua di tutto personale e di chi lo dirigesse. Per quanto concerne gli aumenti di anzianità  la Corte ha ricordato che in passato è esistita una linea giurisprudenziale contraria alla possibilità  di conteggiare gli scatti di anzianità  quando la contrattazione collettiva non possa essere applicata direttamente. Essa ha tuttavia rilevato che la giurisprudenza più recente ha ormai risolto la questione in senso contrario, in favore dell'applicabilità  degli scatti, in quanto «nella determinazione della giusta retribuzione a norma dell'art. 36 Cost., può assumere rilevanza anche l'anzianità  di servizio del lavoratore, sul presupposto di una correlazione tra anzianità  di servizio e qualità  della prestazione resa, ed il relativo apprezzamento dà  luogo ad un giudizio di merito sul caso concreto, non censurabile in sede di legittimità  se non per vizio di motivazione o per violazione di norme di diritto. Ne consegue che l'operato del giudice di merito che, nel determinare la retribuzione proporzionata alla quantità  e qualità  del lavoro, faccia riferimento ai minimi dei contratti collettivi del settore includendo gli aumenti corrispondenti agli scatti di anzianità , non può considerarsi irrazionale 'a priori e in sede di giudizio di cassazione la relativa sentenza va confermata se non ne sono dedotti specifici profili di irrazionalità ». Questa linea ' ha concluso la Corte ' appare preferibile: anche la professionalità  acquisita nel tempo con la maggiore esperienza di lavoro fa parte della qualità  del lavoro, che deve essere retribuita in maniera adeguata. Perciò, indipendentemente dal fatto che le norme contrattuali collettive possano, o meno, essere applicate in via diretta, ' ha affermato la Corte ' deve essere conteggiata in ogni caso una percentuale di maggiorazione per retribuirla; questa percentuale ben può essere individuata negli scatti di anzianità  che in questo modo trovano applicazione indipendentemente dall'efficacia diretta della contrattazione.
Il lavoratore illegittimamente trasferito ha diritto al risarcimento danno causato dall’avere dovuto ridurre l'orario di lavor
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Eventuali mansioni superiori assegnate al pubblico impiegato nel finale del rapporto di lavoro non influiscono sulla buonuscita
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E. P. dipendente dell'Inail con qualifica di funzionario di IX livello è stato destinato temporaneamente a mansioni dirigenziali di direttore di sede,che ha svolto sino al termine del rapporto di lavoro, senza ricevere alcuna maggiorazione retributiva. Inoltre l'indennità  di buonuscita gli è stata liquidata con riferimento alla retribuzione prevista per la qualifica di funzionario di IX livello. Egli si è rivolto al Tribunale di Barcellona, sostenendo di avere diritto, per le mansioni svolte nella fase finale del rapporto, alla retribuzione e all'indennità  di buonuscita nella misura prevista per i dirigenti e chiedendo la condanna dell'Inail al pagamento delle relative differenze. Il Tribunale di Barcellona ha rigettato le domande, ma la sua decisione è stata integralmente riformata dalla Corte di appello di Messina, che ha accolto sia la domanda relativa alle differenze di retribuzione che quella concernente l'indennità  di buonuscita. L'Inail ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Messina per vizi di motivazione e violazione di legge; egli ha sostenuto che per le mansioni superiori svolte il funzionario non aveva diritto all'intera differenza tra quanto percepito e la retribuzione del dirigente, bensà al minor compenso aggiuntivo previsto dal contratto collettivo per lo svolgimento di mansioni di reggenza di strutture di livello dirigenziale e che l'indennità  di buonuscita andava commisurata alla qualifica di IX livello, rivestita dal dipendente al momento della cessazione del rapporto. La Suprema Corte ha accolto il ricorso. L'art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (ora art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165), pur nelle varie formulazioni susseguitesi nel tempo, recependo una costante norma del pubblico impiego, esclude ' ha osservato la Corte ' che dallo svolgimento delle mansioni superiori possa in alcun caso conseguire l'automatica attribuzione della qualifica superiore; poiché lo svolgimento di mansioni superiori non determina l'attribuzione della superiore qualifica, il dipendente che tali mansioni svolga, conserva la qualifica di appartenenza; consegue che in tali ipotesi, ove lo svolgimento delle mansioni corrispondenti al superiore livello si sia protratto fino alla cessazione dal servizio (ed indipendentemente dal tempo di protrazione di tale svolgimento), la base retributiva dell'indennità  di buonuscita, la quale sia normativamente commisurata alla retribuzione corrispondente alla qualifica rivestita dall'atto della cessazione dal servizio, non è costituita dalla retribuzione prevista per la qualifica superiore, bensà da quella corrispondente alla qualifica di appartenenza. Per il temporaneo svolgimento delle mansioni superiori ' ha affermato la Corte ' il dipendente «ha diritto al trattamento corrispondente dall'attività  svolta» (art. 2103 cod. civ.). Questo diritto, esteso al pubblico impiego in generale ' ha precisato la Corte ' non si traduce necessariamente in un rigido automatismo che conduca ad attribuire al pubblico dipendente l'esatto trattamento economico corrispondente alle mansioni superiori: è sufficiente che vi sia un compenso aggiuntivo rispetto alla retribuzione della qualifica di appartenenza; in tale quadro, la retribuzione per il temporaneo svolgimento di mansioni superiori può essere determinata, nei limiti del principio costituzionale, anche dalla norma collettiva. La Cassazione, rinviando la causa, per nuovo esame, alla Corte di appello di Messina ha enunciato i seguenti principi di diritto: a) «Per il temporaneo esercizio, nel pubblico impiego, di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza, il dipendente ha diritto ad un compenso aggiuntivo, che, nell'osservanza dell'art. 36 Cost., può non corrispondere alla differenza con la retribuzione prevista per il superiore livello, e può essere determinato anche dalla norma collettiva»; b) «Poiché l'esercizio di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore nella superiore qualifica, la base retributiva dell'indennità  di buonuscita, che sia normativamente costituita dalla retribuzione corrispondente all'ultima qualifica legittimamente rivestita dall'interessato all'atto della cessazione dal servizio, non è da riferire alla retribuzione corrispondente alla superiore qualifica, bensà a quella corrispondente all'inferiore qualifica di appartenenza».
Risarcimento del danno in favore di un lavoratore per perdita dell'indennità di mobilità derivante dall'errore di un funzionar
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L. S. ed altri lavoratori dipendenti della ditta Roxxon Fashion s0no stati licenziati nel luglio del 1993 per cessazione di attività .Essi hanno chiesto all'Inps l'indennità  di disoccupazione, che è stata loro concessa, e nel contempo hanno impugnato il licenziamento davanti al pretore di Nardò chiedendo la reintegrazione in via d'urgenza, per mancato rispetto, da parte dell'azienda, della procedura prevista dalla legge n. 223/91 per il licenziamenti collettivi. Il pretore ha ritenuto i licenziamenti inefficaci ed ha accolto la domanda, disponendo la reintegrazione. L'azienda è fallita. Il curatore del fallimento ha dapprima collocato i lavoratori in cassa integrazione straordinaria per 12 mesi, ottenendo il relativo trattamento, che è stato concesso dall'Inps previa revoca dell'attribuzione dell'indennità  di disoccupazione. Cessato il periodo di Cigs, il curatore, nel giugno del 1995, ha licenziato i lavoratori, comunicando all'Urlmo i relativi dati ai fini dell'ammissione dei benefici dell'indennità  di mobilità  in base agli articoli 7 e 10 legge n. 223/91. I lavoratori hanno presentato le domande di indennità  di mobilità  al locale Ufficio del lavoro, ma il funzionario responsabile del medesimo ha rifiutato di riceverle, sostenendo che esse non erano necessarie, in quanto ai fini del trattamento di mobilità  erano sufficienti le domande di indennità  di disoccupazione presentate nel 1993. Questa teoria si è poi rivelata infondata in quanto è risultato che i lavoratori avrebbero dovuto presentare tempestivamente le domande di indennità  di mobilità ; conseguentemente questa è stata negata dall'Inps. I lavoratori hanno chiesto al Tribunale di Lecce di condannare il ministero del Lavoro al risarcimento del danno, sostenendo di aver perso l'indennità  di mobilità  a seguito del rifiuto, da parte del funzionario addetto all'Ufficio del lavoro, di ricevere le loro domande. Il Tribunale ha rigettato le domande. In grado di appello la Corte di Lecce ha invece affermato la responsabilità  del ministero e lo ha condannato al risarcimento del danno in misura pari a quella dell'indennità  di mobilità  negata. Il ministero ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Lecce per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La sentenza impugnata ' ha osservato la Corte ' ha correttamente accertato la responsabilità  dell'Amministrazione sulla base della erronea informazione e del rifiuto di ricevere la domanda dei lavoratori da parte del dipendente del ministero; è, infatti, risultato provato, secondo i giudici di appello, che l'impiegato dell'Ufficio del lavoro ebbe a rifiutare la presentazione delle domande dei lavoratori, ritenendo che fossero valide quelle presentate in precedenza. È evidente, pertanto ' ha affermato la Corte ' che per il rifiuto da parte del funzionario di ricevere le domande sussiste responsabilità  dell'Amministrazione di appartenenza, essendo tale rifiuto del tutto ingiustificato.
I consiglieri di amministrazione di un ente pubblico possono essere chiamati a rispondere della spesa per una serata di gala
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Nell'aprile del 2001 il Consiglio di amministrazione dell'Unire, Unione nazionale per l'incremento delle razze equineha concesso all'associazione per iniziative umanitarie «Sempre insieme per la pace» l'incarico di organizzare una serata di gala, denominata «Maggio dell'ippica» per un costo presunto di lire 150 milioni, da imputare sul capitolo di bilancio «spese promozionali e di propaganda». La delibera, avente ad oggetto l'attuazione di una «piano strategico di rilancio dell'immagine» è stata motivata con riferimento a varie esigenze e finalità : a) necessità  di prevedere il coinvolgimento di personaggi pubblici, opinion makers e altri rappresentanti del mondo della cultura e della imprenditoria, attraverso cui creare una rete di sostenitori, patrocinanti e divulgatori del messaggio e della filosofia di cui, per finalità  istituzionale, l'Unire deve essere l'interprete; b) disponibilità  del presidente della Associazione per iniziative umanitarie «Sempre insieme per la pace», M.P. F., ad organizzare una serata di gala esclusivamente per l'Unire, intitolata «Maggio dell'ippica» per il 16 maggio 2001; c) affidabilità  di detta associazione per il perseguimento delle finalità  proprie dell'ente; d) urgenza di assicurare, per tempo, conferma della presenza di elevate personalità  di settori di rilievo istituzionale, politico, economico e sociale. Il procuratore generale della Corte dei Conti per il Lazio ha promosso nei confronti dei consiglieri di amministrazione dell'Unire un giudizio di responsabilità , sostenendo che: a) l'affidamento a «Sempre insieme per la pace» di organizzare una serata di gala esclusivamente per l'Unire sarebbe stato surrettiziamente motivato dalla addotta vasta rete di conoscenze della presidentessa di tale associazione, mentre il sotteso vero scopo apparirebbe impenetrabile e comunque inspiegabile con la promozione dell'attività  ippica, specie di carattere agonistico, che per la sua specifica peculiarità , non troverebbe alcuna relazione con la creazione di una rete di conoscenze altolocate; b) la serata di gala era stata organizzata al di fuori dell'apporto dei consulenti esterni; c) la stessa non era prevista dal piano strategico triennale di rilancio dell'ippica; d) l'Unire sarebbe stata in grado di organizzare la serata di gala facendo ricorso alle proprie risorse, avvalendosi dell'opera dei due esperti in materia promozionale e anche dell'attività  di pubbliche relazioni, affidata alla dott.ssa D. M., nominata responsabile dell'area «Vip»; e) l'Unire non aveva tratto alcun vantaggio dalla organizzazione della serata. Svolta l'istruttoria, la Corte dei Conti ha affermato la responsabilità  dei consiglieri per colpa grave e li ha condannati al pagamento di euro 15.494 ciascuno, in quanto ha ritenuto che la serata di gala sia stata organizzata per finalità  esorbitanti da quelle istituzionali dell'Unire e con scopi diversi da quelli determinati per legge. L'appello proposto dai consiglieri dell'Unire contro questa decisione è stato rigettato. I consiglieri hanno proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte dei Conti per violazione di legge e difetto di giurisdizione. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, dichiarando la giurisdizione per materia della Corte dei Conti. Questa nella sua qualità  di giudice contabile ' ha affermato la Cassazione ' può e deve verificare la compatibilità  delle scelte amministrative con i fini dell'ente pubblico. Infatti, se da un lato, in base all'art. 1, primo comma, della legge n. 20 del 1994, l'esercizio in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della Corte dei Conti, dall'altro lato, l'art. 1, primo comma, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che l'esercizio dell'attività  amministrativa deve ispirarsi ai criteri di «economicità  » e di «efficacia», che costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall'art. 97 Cost. e assumono rilevanza sul piano della legittimità  (non della mera opportunità ) dell'azione amministrativa. Pertanto ' ha affermato la Cassazione ' la verifica della legittimità  dell'attività  amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti; nella specie la Corte dei Conti, pur ritenendo, in tesi, compatibile l'organizzazione di una «serata di gala» per promuovere i fini dell'Unire, ha accertato in linea di fatto: che l'ente, per l'organizzazione della serata in questione, ha erogato all'associazione «Sempre insieme per la pace» la somma di lire 180 milioni (dell'anno 2001); e che hanno partecipato alla serata 120 persone; l'Unire, per l'effetto, ha sostenuto per ogni «partecipazione», la somma di lire 1.500.000. Dal momento che, come prima menzionato, l'art. 1, primo comma, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che l'esercizio dell'attività  amministrativa deve ispirarsi ai criteri di «economicità » e di «efficacia », che costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall'art. 97 Cost. e assumono rilevanza sul piano della legittimità  (non della mera opportunità ) dell'azione amministrativa, ' ha affermato la Suprema Corte ' è di palmare evidenza la illegittimità  dell'operato dei consiglieri Unire, nell'organizzazione la serata de qua affidandone la realizzazione alla Associazione iniziative umanitarie «Sempre insieme per la pace». È rimasto inoltre accertato ' ha osservato la Cassazione ' che molte delle 120 persone che hanno partecipato (con un onere per l'ente di lire 1.500.000 per ciascun intervenuto) non avevano alcuna necessità  di essere raggiunte da alcun messaggio pubblicitario, gran parte dei partecipanti, infatti, erano «amministratori, dipendenti dell'enti e loro familiari o (soggetti) comunque già  dipendenti nel mondo dell'ippica»; non è stato in alcun modo dimostrato ' e neppure dedotto ' quale sia stata (con riferimento agli intervenuti alla serata estranei all'Unire e al mondo dell'ippica) la ricaduta ex post dell'evento, sull'immagine dell'Unire; a ciò si aggiunga che le finalità  dell'Unire sono diverse da quelle dell'associazione incaricata di organizzare la manifestazione.
Proroga di termini
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La legge, che converte il decreto-legge 3 giugno 2008 n. 97,proroga al 1° gennaio 2009 le disposizioni del decreto legislativo n. 81/2008, in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, relative al divieto da parte del medico competente di effettuare le visite in fase preassuntiva e alla comunicazione all'Inail, o all'Ipsema, in relazione alle rispettive competenze, a fini statistici e informativi, i dati relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza dal lavoro di almeno un giorno, escluso quello dell'evento e, a fini assicurativi, le informazioni relative agli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza dal lavoro superiore a tre giorni. Inoltre il punteggio massimo degli esami di ammissione ai corsi di laurea universitari ad accesso programmato, di cui all'articolo 1 della legge n. 264/1999, come modificato dal decreto legislativo n. 21/2008 (80 punti sono assegnati sulla base del risultato del test di ingresso e 25 punti sono assegnati agli studenti che abbiano conseguito risultati scolastici di particolare valore, appositamente certificati dai dirigenti scolastici, nell'ultimo triennio continuativo e nell'esame di Stato), si applicherà  a decorrere dall'anno accademico 2009/2010. (Gazzetta Ufficiale n. 180 del 2 agosto 2008)
Accertamento del danno da dequalificazione
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questa sentenza è già  stata citata in altra rubrica in questo stesso numero (retro, p. 7).S. C. dipendente della Spa Telecom Italia, con mansioni di assistente ad attività  specialistiche ed inquadramento nel V livello contrattuale, è stato destinato, nel luglio del 1994, alle mansioni inferiori di «addetto ad attività  specialistiche di tecniche numeriche», propria del IV livello, senza alcuna variazione della qualifica. Nel giugno del 2001 egli ha chiesto al Tribunale di Oristano di accertare la dequalificazione da lui subita e di condannare l'azienda a restituirgli le mansioni di «assistente ad attività  specialistiche», nonché al risarcimento del danno da demansionamento. L'azienda si è difesa sostenendo che l'assegnazione al lavoratore di nuove mansioni non aveva comportato dequalificazione. Essa ha inoltre eccepito che dal danno asseritamente subito dal lavoratore non veniva offerta alcuna prova. Il Tribunale, dopo aver sentito alcuni testimoni, ha condannato l'azienda ad assegnare il lavoratore alle mansioni di «assistente ad attività  specialistiche» nonché al risarcimento del danno, determinato equitativamente in una somma pari ad un terzo della retribuzione globale netta relativa a tutto il periodo del demansionamento. Questa decisione è stata parzialmente riformata, in grado di appello, dalla Corte di Cagliari che ha confermato l'accertamento della dequalificazione, ma ha escluso il diritto del lavoratore al risarcimento, osservando che egli non aveva dato le prove del danno. Sia il lavoratore che l'azienda hanno proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Cagliari per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell'azienda, osservando che la Corte di Cagliari ha correttamente accertato la dequalificazione subita dal lavoratore con riferimento sia al suo livello di inquadramento, sia all'arretramento da lui subito nella gerarchia aziendale. Il ricorso del lavoratore, concernente il diniego al risarcimento del danno è stato invece accolto dalla Suprema Corte, che ha richiamato la sua giurisprudenza in materia. Il danno derivante da dequalificazione ' ha affermato la Cassazione ' può assumere diversa natura, potendosi tradurre in un impoverimento della capacità  lavorativa acquisita dal lavoratore e dal mancato raggiungimento di una più elevata capacità , o nel pregiudizio derivante da perdita di chance (cioè possibilità  di maggiori guadagni), o ancora nella lesione della propria integrità  psicofisica, o, più in generale, in una lesione alla salute ovvero alla vita di relazione, cui è riconducibile la fattispecie del danno esistenziale, derivante dalla lesione del diritto fondamentale alla libera esplicazione della propria personalità  nel luogo di lavoro (artt. 1, 2 Cost.). Orbene, la molteplicità  degli indicati possibili pregiudizi ' ha osservato la Corte ' spiega la necessità  che il lavoratore indichi in maniera specifica il tipo di danno che assume di avere subito e poi fornisca la prova dei pregiudizi da tale tipo di danno in concreto scaturiti; prova che può essere fornita anche ex art. 2729 cod. civ. attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, sicché a tal fine possono, ad esempio, essere valutate nel caso di dedotto danno da demansionamento, quali elementi presuntivi, la qualità  e quantità  dell'attività  lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità  coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa dopo la lamentata dequalificazione. Grava sul lavoratore ' ha affermato la Cassazione ' l'onere di fornire, in primo luogo, l'indicazione del tipo di danno subito, restando in ogni caso affidato al giudice di merito ' le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione sono incensurabili in sede di legittimità  ' il compito di verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno sussista, dopo l'individuazione, appunto, della specie, e determinandone l'ammontare, eventualmente con liquidazione equitativa. La sentenza impugnata ' ha affermato la Corte ' merita la censura che le è stata mossa; S. C., infatti, si duole che la Corte territoriale, nell'escludere il lamentato danno da demansionamento, non abbia considerato la presenza nella vicenda in controversia di elementi probatori presuntivi quali la durata del demansionamento (nella specie, protrattosi sin dal luglio 1994) e la netta differenziazione delle mansioni corrispondenti alle figure di «assistente ad attività  specialistiche» e «addetto ad attività  di tecniche numeriche» sia dal punto di vista della professionalità  che dell'autonomia, responsabilità  e posizione gerarchica all'interno dell'azienda. Non vi è dubbio ' ha rilevato la Cassazione ' che l'indagine del giudice di merito andava portata anche e soprattutto su questo versante; viceversa, la sentenza impugnata omette qualsiasi giudizio sulla idoneità  degli elementi di fatto acquisiti alla causa ai fini di una valutazione per presunzione. La Suprema Corte ha cassato la decisione impugnata rinviando la causa, per nuovo esame, alla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.
Cumulo tra pensione e redditi, rapporti di lavoro, libro unico del lavoro, orario di lavoro, pubblico impiego
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La legge, che converte il decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008,titolato «disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività , la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria», contiene anche numerose modifiche agli interventi in materia di lavoro attuati nel corso della precedente legislatura. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge, le società  che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, ma non quotate in mercati regolamentati, adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità  per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi (articolo 18). Dal 1° gennaio 2009 tutte le pensioni dirette di anzianità , a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive, sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro dipendente ed autonomo. Sono, altresà, cumulabili con i redditi di lavoro dipendente od autonomo le pensioni dirette conseguite nel regime contributivo in via anticipata rispetto ai 65 anni per gli uomini ed ai 60 per le donne, ivi comprese quelle maturate presso la gestione separata (art. 1, comma 26, della legge n. 335/1995), a condizione che il soggetto abbia maturato i requisiti ex lege n. 243/2004 e fermo restando il regime delle decorrenze dei trattamenti. Sono, altresà, cumulabili con i redditi di lavoro dipendente sia le pensioni di vecchiaia liquidate con un'anzianità  pari o superiore a 40 anni, che quelle di vecchiaia liquidata a soggetti di età  pari o superiore a 65 anni se uomo o a 60 se donna, mentre restano fuori le pensioni di reversibilità  (articolo 19). I datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell'Inps dall'erogazione della predetta indennità , non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all'Istituto medesimo. Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009. Dal 1° gennaio 2009, le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto sono tenute a versare, secondo la normativa vigente la contribuzione per maternità  e la contribuzione per malattia per gli operai. Nei procedimenti relativi a controversie in materia di previdenza e assistenza sociale, a fronte di una pluralità  di domande o di azioni esecutive che frazionano un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle somme eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro accessorio, la riunificazione è disposta d'ufficio dal giudice ai sensi dell'articolo 151 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368. In mancanza della riunificazione l'improcedibilità  delle domande successive alla prima è dichiarata dal giudice, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento. Analogamente, il giudice dichiara la nullità  dei pignoramenti successivi al primo in caso di proposizione di più azioni esecutive. Il giudice, ove abbia notizia che la riunificazione non è stata osservata, anche sulla base dell'eccezione del convenuto, sospende il giudizio e l'efficacia esecutiva dei titoli eventualmente già  formatisi e fissa alle parti un termine perentorio per la riunificazione a pena di improcedibilità  della domanda. Dal 1° gennaio 2009, l'assegno sociale (legge n. 335/1995, art. 3, comma 6) è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge l'Inps mette a disposizione dei Comuni modalità  telematiche di trasmissione per le comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile da effettuarsi obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell'evento. In caso di ritardo nella trasmissione dei dati il responsabile del procedimento, ove ne derivi pregiudizio, risponde a titolo di danno erariale (articolo 20). L'articolo 21, modificando alcuni articoli del decreto legislativo n. 368/2001 in materia di rapporto di lavoro a tempo determinato, specifica che è possibile instaurare rapporti di lavoro a tempo determinato anche con motivazioni riferibili alla ordinaria attività  del datore di lavoro. Viene introdotta una disposizione transitoria concernente l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine (art. 4-bis del decreto legislativo n. 368/2001: «con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un'indennità  di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità  dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni». Inoltre viene data la possibilità  alla contrattazione collettiva, anche aziendale, di ridurre gli intervalli temporali intercorrenti tra un rapporto di lavoro a tempo determinato ed un altro e di derogare il diritto di precedenza nelle assunzioni da parte di chi vanta la titolarità  di rapporti di lavoro a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro. L'articolo 22 specifica in quali casi è possibile ricorrere al contratto occasionale di tipo accessorio: «a) di lavori domestici; b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti; c) dell'insegnamento privato supplementare; d) di manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli o di lavori di emergenza o di solidarietà ; e) dei periodi di vacanza da parte di giovani con meno di 25 anni di età , regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università  o un istituto scolastico di ogni ordine e grado; f) di attività  agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani di cui alla lettera e) ovvero delle attività  agricole svolte a favore dei soggetti di cui all'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; g) dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile, limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi; h) della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica». È stato quindi abrogato l'articolo 71 del decreto legislativo n. 276/2003 che individuava soltanto alcuni soggetti che potevano ricorrere al lavoro accessorio. L'articolo 23 modifica alcuni articoli del decreto legislativo n. 276/2003 in materia di apprendistato. Innanzitutto viene eliminata la durata minima dei contratti di apprendistato permanendo solamente la durata massima di sei anni. Se la formazione viene erogata a livello aziendale i profili formativi, la durata e le modalità  di erogazione della formazione, le modalità  di riconoscimento della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo saranno definiti dalla contrattazione collettiva anziché dalle regioni. Viene esteso ai dottorati di ricerca l'apprendistato per percorsi di alta formazione. Sono abrogate le norme che imponevano: a) al datore di lavoro di comunicare i dati relativi all'apprendista e al tutore aziendale ai servizi regionali o provinciali per l'impiego; b) al datore di lavoro di comunicare ai servizi per l'impiego il raggiungimento della qualifica professionale; c) la visita medica per gli apprendisti, che permane solo per i minorenni. L'articolo 29 inserisce il comma 1-bis all'articolo 34 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196/2003: «Per i soggetti che trattano soltanto dati personali non sensibili e che trattano come unici dati sensibili quelli costituiti dallo stato di salute o malattia dei propri dipendenti e collaboratori anche a progetto, senza indicazione della relativa diagnosi, ovvero dall'adesione ad organizzazioni sindacali o a carattere sindacale, la tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza è sostituita dall'obbligo di autocertificazione, resa dal titolare del trattamento ai sensi dell'articolo 47 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di trattare soltanto tali dati in osservanza delle altre misure di sicurezza prescritte. In relazione a tali trattamenti, nonché a trattamenti comunque effettuati per correnti finalità  amministrative e contabili, in particolare presso piccole e medie imprese, liberi professionisti e artigiani, il Garante, sentito il ministro per la semplificazione normativa, individua con proprio provvedimento, da aggiornare periodicamente, modalità  semplificate di applicazione del disciplinare tecnico». I datori di lavoro privati, con l'eccezione di quelli domestici, debbono istituire il libro unico del lavoro che sostituisce il libro matricola e paga, nel quale vanno riportati tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Per ciascun lavoratore devono essere indicati il nome e cognome, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione base, l'anzianità  di servizio, nonché le relative posizioni assicurative, nonché deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte o gestite dal datore di lavoro, comprese le somme a titolo di rimborso spese, le trattenute a qualsiasi titolo effettuate, le detrazioni fiscali, i dati relativi agli assegni per il nucleo familiare, le prestazioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Le somme erogate a titolo di premio o per prestazioni di lavoro straordinario devono essere indicate specificatamente. Il libro unico del lavoro deve, altresà, contenere un calendario delle presenze, da cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato, nonché l'indicazione delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro, anche non retribuite, delle ferie e dei riposi. Nella ipotesi in cui al lavoratore venga corrisposta una retribuzione fissa o a giornata intera o a periodi superiori è annotata solo la giornata di presenza al lavoro. Il libro va compilato, per il mese di riferimento, entro il giorno 16 del mese successivo. Le modalità  di tenuta del libro unico sono stabilite con decreto del ministro del Lavoro, della Salute e degli Affari Sociali, da emanare entro 30 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge. Il libro va conservato presso la sede legale dell'impresa (o presso i professionisti individuati dalla legge n. 12/1979) e possono essere esibiti agli organi ispettivi, intervenuti sul posto di lavoro, anche via fax o per e-mail. L'obbligo della consegna del prospetto paga (legge n. 4/1953) è assolto dal datore di lavoro con la consegna di copia delle scritturazioni effettuate sul libro unico del lavoro. L'articolo 39 inoltre abroga le norme relative ai libri paga e matricola, nonché la legge n. 188/1007 relativa alla procedura telematica di dimissioni da parte del lavoratore. Viene altresà reintrodotto il lavoro intermittente (articoli da 33 a 40 del decreto legislativo n. 276/2003). All'atto della assunzione, prima dell'inizio della attività  di lavoro, i datori di lavoro pubblici e privati, sono tenuti a consegnare ai lavoratori una copia della comunicazione anticipata di assunzione, di cui all'articolo 9 bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni nella legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni, adempiendo, in tal modo, anche alla comunicazione di cui al decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152. L'obbligo si intende assolto nel caso in cui il datore di lavoro consegni al lavoratore, prima dell'inizio della attività  lavorativa, copia del contratto individuale di lavoro che contenga anche tutte le informazioni previste dal decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152. Tale obbligo non si applica per il personale in regime di diritto pubblico. Il comma 4 dell'articolo 40 sostituisce il comma 6 dell'articolo 9 della legge n. 68/1999, con il quale si specifica che i datori di lavoro pubblici e privati, sono tenuti ad inviare in via telematica agli uffici competenti il prospetto informativo dal quale risultino il numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili nella quota di riserva, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori iscritti alle liste del collocamento obbligatorio. Se, rispetto all'ultimo prospetto inviato, non avvengono cambiamenti nella situazione occupazionale tali da modificare l'obbligo o da incidere sul computo della quota di riserva, il datore di lavoro non è tenuto ad inviare il prospetto. L'articolo 41 modifica numerosi articoli del decreto legislativo n. 66/2003 in materia di orario di lavoro. Viene considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga per almeno 3 ore lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi all'anno. Ferma restando la durata normale dell'orario settimanale, il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività  caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità . Il lavoratore ha diritto ogni sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all'articolo 7 il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non superiore a 14 giorni. Le disposizioni relative al riposo giornaliero, alle pause, al lavoro notturno e alla durata massima settimanale possono essere derogate dalla contrattazione collettiva territoriale o aziendale solo qualora non siano già  state trattate a livello di contrattazione collettiva nazionale. Le norme relative alla durata massimo dell'orario di lavoro e al riposo giornaliero non viene applicato, al personale delle aree dirigenziali degli Enti e delle Aziende del Servizio sanitario nazionale. Sarà  la contrattazione collettiva che definirà  le modalità  atte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psicofisiche. È abrogato il comma 5, dell'articolo 4, del decreto legislativo n. 66/2003 che prevedeva l'obbligo, in caso di superamento delle 48 ore di lavoro settimanale attraverso prestazioni di lavoro straordinario e solo per il datore di lavoro che avesse avuto unità  produttive che occupavano più di dieci dipendenti, di informare, alla scadenza del periodo di riferimento, la Direzione provinciale del lavoro ' Settore ispezione del lavoro competente per territorio. Inoltre è abrogato il comma 2 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 66/2003 che prevedeva l'obbligo in capo al datore di lavoro di informare per iscritto i servizi ispettivi della Direzione provinciale del lavoro competente per territorio, con periodicità  annuale, della esecuzione di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici. In caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale non può essere adottato da parte degli organi di vigilanza del ministero del Lavoro il provvedimento di sospensione dell'attività  imprenditoriale. Per i processi di lavoro instaurati a far tempo dall'entrata in vigore del decreto-legge, il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità  della controversia, il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per il deposito della sentenza. L'articolo 71 dispone in materia di assenze per malattia dei dipendenti pubblici: a) per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità  o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita. Nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante presentazione di certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica; b) l'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative. Le fasce orarie di reperibilità  del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, è dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14 alle ore 20.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi; c) le assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici non sono equiparate alla presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa; d) tali disposizioni non sono derogabili dalla contrattazione collettiva. L'articolo 72 dispone che: «Per gli anni 2009, 2010 e 2011 il personale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, può chiedere di essere esonerato dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione della anzianità  massima contributiva di 40 anni. La richiesta di esonero dal servizio deve essere presentata dai soggetti interessati, improrogabilmente, entro il 1° marzo di ciascun anno a condizione che entro l'anno solare raggiungano il requisito minimo di anzianità  contributivo richiesto e non è revocabile. La disposizione non si applica al personale della Scuola. È data facoltà  all'amministrazione, in base alle proprie esigenze funzionali, di accogliere la richiesta dando priorità  al personale interessato da processi di riorganizzazione della rete centrale e periferica o di razionalizzazione o appartenente a qualifiche di personale per le quali è prevista una riduzione di organico. Durante il periodo di esonero dal servizio al dipendente spetta un trattamento temporaneo pari al cinquanta per cento di quello complessivamente goduto, per competenze fisse ed accessorie, al momento del collocamento nella nuova posizione. Ove durante tale periodo il dipendente svolga in modo continuativo ed esclusivo attività  di volontariato, opportunamente documentata e certificata, presso organizzazioni non lucrative di utilità  sociale, associazioni di promozione sociale, organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, ed altri soggetti da individuare con decreto del ministro dell'Economia e delle Finanze da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, la misura del predetto trattamento economico temporaneo è elevata dal cinquanta al settanta per cento. All'atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età  il dipendente ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza che sarebbe spettato se fosse rimasto in servizio. Il trattamento economico temporaneo spettante durante il periodo di esonero dal servizio è cumulabile con altri redditi derivanti da prestazioni lavorative rese dal dipendente come lavoratore autonomo o per collaborazioni e consulenze con soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche o società  e consorzi dalle stesse partecipati. In ogni caso non è consentito l'esercizio di prestazioni lavorative da cui possa derivare un pregiudizio all'amministrazione di appartenenza. Nel caso di compimento dell'anzianità  massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto lavoro con un preavviso di sei mesi. Tale disposizione non si applica a magistrati e professori universitari». L'articolo 73 dispone che la trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dalle amministrazioni pubbliche, eliminando cosà la precedente automaticità  della trasformazione. (Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 ' suppl. ordinario n. 196)
Autorizzazione n. 1/2008 al trattamento dei dati sensibili nei rapporti di lavoro
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Il Garante ha adottato una nuova autorizzazione generale per il trattamento dei dati sensibili finalizzatoalla gestione dei rapporti di lavoro. L'autorizzazione è automaticamente rilasciata: a) alle persone fisiche e giuridiche, alle imprese, anche sociali, agli enti, alle associazioni e agli organismi che sono parte di un rapporto di lavoro o che utilizzano prestazioni lavorative anche atipiche, parziali o temporanee, o che comunque conferiscono un incarico professionale; b) ad organismi paritetici o che gestiscono osservatori in materia di lavoro, previsti dalla normativa comunitaria, dalle leggi, dai regolamenti o dai contratti collettivi anche aziendali. L'autorizzazione riguarda anche l'attività  svolta: dal medico competente in materia di igiene e di sicurezza del lavoro, in qualità  di libero professionista o di dipendente dei soggetti di cui alla lettera a) o di strutture convenzionate, dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, anche territoriale e di sito ed infine da associazioni, organizzazioni, federazioni o confederazioni rappresentative di categorie di datori di lavoro. Il trattamento può riguardare i dati sensibili attinenti: a) a lavoratori subordinati, anche se parti di un contratto di apprendistato, o di formazione e lavoro, o di inserimento, o di lavoro ripartito, o di lavoro intermittente o a chiamata, ovvero prestatori di lavoro nell'ambito di un contratto di somministrazione, o in rapporto di tirocinio, ovvero ad associati anche in compartecipazione e, se necessario, ai relativi familiari e conviventi; b) a consulenti e a liberi professionisti, ad agenti, rappresentanti e mandatari; c) a soggetti che effettuano prestazioni coordinate e continuative, anche nella modalità  di lavoro a progetto, o ad altri lavoratori autonomi in rapporto di collaborazione, anche sotto forma di prestazioni di lavoro accessorio; d) a candidati all'instaurazione dei rapporti di lavoro di cui alle lettere precedenti; e) a persone fisiche che ricoprono cariche sociali o altri incarichi nelle persone giuridiche, negli enti, nelle associazioni e negli organismi di rappresentanza; f) a terzi danneggiati nell'esercizio dell'attività  lavorativa o professionale dai soggetti di cui alle precedenti lettere. Il trattamento dei dati sensibili per essere considerato autorizzato deve essere indispensabile: a) per adempiere o per esigere l'adempimento di specifici obblighi o per eseguire specifici compiti previsti dalla normativa comunitaria, da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi anche aziendali, in particolare ai fini dell'instaurazione, gestione ed estinzione del rapporto di lavoro, nonché dell'applicazione della normativa in materia di previdenza ed assistenza anche integrativa, o in materia di igiene e sicurezza del lavoro o della popolazione, nonché in materia fiscale, sindacale, di tutela della salute, dell'ordine e della sicurezza pubblica; b) anche fuori dei casi di cui alla lettera a), in conformità  alla legge e per scopi determinati e legittimi, ai fini della tenuta della contabilità  o della corresponsione di stipendi, assegni, premi, altri emolumenti, liberalità  o benefici accessori; c) per perseguire finalità  di salvaguardia della vita o dell'incolumità  fisica dell'interessato o di un terzo; d) per far valere o difendere un diritto anche da parte di un terzo in sede giudiziaria, nonché in sede amministrativa o nelle procedure di arbitrato e di conciliazione nei casi previsti dalle leggi, dalla normativa comunitaria, dai regolamenti o dai contratti collettivi, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità  e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Qualora i dati siano idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, il diritto da far valere o difendere deve essere di rango pari a quello dell'interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità  o in un altro diritto o libertà  fondamentale e inviolabile; e) per esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi, nel rispetto di quanto stabilito dalle leggi e dai regolamenti in materia; f) per adempiere ad obblighi derivanti da contratti di assicurazione finalizzati alla copertura dei rischi connessi alla responsabilità  del datore di lavoro in materia di igiene e di sicurezza del lavoro e di malattie professionali o per i danni cagionati a terzi nell'esercizio dell'attività  lavorativa o professionale; g) per garantire le pari opportunità ; h) per perseguire scopi determinati e legittimi individuati dagli statuti di associazioni, organizzazioni, federazioni o confederazioni rappresentative di categorie di datori di lavoro o dai contratti collettivi, in materia di assistenza sindacale ai datori di lavoro. Il trattamento può avere per oggetto i dati strettamente pertinenti ai sopra indicati obblighi, compiti o finalità  che non possano essere adempiuti o realizzati, caso per caso, mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa, e in particolare: a) nell'ambito dei dati idonei a rivelare le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, ovvero l'adesione ad associazioni od organizzazioni a carattere religioso o filosofico, i dati concernenti la fruizione di permessi e festività  religiose o di servizi di mensa, nonché la manifestazione, nei casi previsti dalla legge, dell'obiezione di coscienza; b) nell'ambito dei dati idonei a rivelare le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere politico o sindacale, i dati concernenti l'esercizio di funzioni pubbliche e di incarichi politici, di attività  o di incarichi sindacali (sempre che il trattamento sia effettuato ai fini della fruizione di permessi o di periodi di aspettativa riconosciuti dalla legge o, eventualmente, dai contratti collettivi anche aziendali), ovvero l'organizzazione di pubbliche iniziative, nonché i dati inerenti alle trattenute per il versamento delle quote di servizio sindacale o delle quote di iscrizione ad associazioni od organizzazioni politiche o sindacali; c) nell'ambito dei dati idonei a rivelare lo stato di salute, i dati raccolti e ulteriormente trattati in riferimento a invalidità , infermità , gravidanza, puerperio o allattamento, ad infortuni, ad esposizioni a fattori di rischio, all'idoneità  psicofisica a svolgere determinate mansioni, all'appartenenza a determinate categorie protette, nonché i dati contenuti nella certificazione sanitaria attestante lo stato di malattia, anche professionale dell'interessato, o comunque relativi anche all'indicazione della malattia come specifica causa di assenza del lavoratore. Il trattamento dei dati sensibili deve essere effettuato unicamente con operazioni, nonché con logiche e mediante forme di organizzazione dei dati strettamente indispensabili in rapporto ai sopra indicati obblighi, compiti o finalità . I dati sono raccolti, di regola, presso l'interessato. La comunicazione di dati all'interessato deve avvenire di regola direttamente a quest'ultimo o a un suo delegato (fermo restando quanto previsto dall'art. 84, comma 1, del Codice), in plico chiuso o con altro mezzo idoneo a prevenire la conoscenza da parte di soggetti non autorizzati, anche attraverso la previsione di distanze di cortesia. Restano inoltre fermi gli obblighi di informare l'interessato e, ove necessario, di acquisirne il consenso scritto, in conformità  a quanto previsto dagli articoli 13, 23 e 26 del Codice. I dati sensibili possono essere conservati per un periodo non superiore a quello necessario per adempiere agli obblighi o ai compiti di gestione del rapporto di lavoro. A tal fine, anche mediante controlli periodici, deve essere verificata costantemente la stretta pertinenza, non eccedenza e indispensabilità  dei dati rispetto al rapporto, alla prestazione o all'incarico in corso, da instaurare o cessati, anche con riferimento ai dati che l'interessato fornisce di propria iniziativa. I dati che, anche a seguito delle verifiche, risultano eccedenti o non pertinenti o non indispensabili non possono essere utilizzati, salvo che per l'eventuale conservazione, a norma di legge, dell'atto o del documento che li contiene. I dati sensibili possono essere comunicati e, ove necessario, diffusi nei limiti strettamente pertinenti agli obblighi, ai compiti o alle finalità  di gestione del rapporto, a soggetti pubblici o privati, ivi compresi organismi sanitari, casse e fondi di previdenza ed assistenza sanitaria integrativa anche aziendale, istituti di patronato e di assistenza sociale, centri di assistenza fiscale, agenzie per il lavoro, associazioni ed organizzazioni sindacali di datori di lavoro e di prestatori di lavoro, liberi professionisti, società  esterne titolari di un autonomo trattamento di dati e familiari dell'interessato. Ai sensi dell'art. 26, comma 5, del Codice, i dati idonei a rivelare lo stato di salute non possono essere diffusi. Restano comunque fermi gli obblighi previsti da norme di legge o di regolamento, ovvero dalla normativa comunitaria, che stabiliscono divieti o limiti in materia di trattamento di dati personali e, in particolare, dalle disposizioni contenute: a) nell'art. 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che vieta al datore di lavoro ai fini dell'assunzione e nello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore; b) nell'art. 6 della legge 5 giugno 1990, n. 135, che vieta ai datori di lavoro lo svolgimento di indagini volte ad accertare, nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di lavoro, l'esistenza di uno stato di sieropositività ; c) nelle norme in materia di pari opportunità  o volte a prevenire discriminazioni; d) fermo restando quanto disposto dall'art. 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nell'art. 10 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che vieta alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all'orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età , all'handicap, alla razza, all'origine etnica, al colore, alla ascendenza, all'origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute e ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, nonché di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.
Sciopero tassisti: le società cooperative sono assimilate alle associazioni di rappresentanza categoriale ai fini sanzionatori
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La Commmissione ha sanzionato le cooperative di tassisti che hanno promosso l'immediata sospensione dal servizio nella città  di Romae l'assembramento nel centro cittadino il 28 novembre 2007 quale iniziativa di protesta a seguito della interruzione delle trattative in corso presso il Comune di Roma per la definizione di problematiche di carattere sindacale. La Commissione ha ribadito che ai sensi dell'art. 2-bis, legge n. 146/1990, come modificata dalla legge n. 83/2000, di essere legittimata a intervenire in presenza di astensioni collettive dalle prestazioni poste in essere da lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori a fini di protesta o di rivendicazione di categoria, che incidano sulla funzionalità  di servizi pubblici essenziali, laddove attuate in violazione di legge ovvero della disciplina di settore. In base alle notizie acquisite dalla Commissione, è risultato pacifico che il concentramento di tassisti in piazza del Campidoglio e in piazza Venezia, indipendentemente dalla qualificazione di «assemblea», ha comportato di per sé una interruzione senza preavviso del servizio taxi nella città  di Roma; ad avviso della Commissione detta interruzione del servizio, anche in quanto direttamente collegata alla rottura delle trattative sindacali in corso con il Comune di Roma, è senz'altro da considerarsi «astensione collettiva dalle prestazioni ai fini di protesta o rivendicazione di categoria», secondo la dizione dell'art. 2-bis legge n. 146/1990. Sono inoltre state ritenute provate le violazioni dell'obbligo di preavviso di 10 giorni, dell'obbligo della preventiva comunicazione delle modalità  di articolazione dell'astensione al Sindaco del comune interessato, e dell'obbligo di durata massima della prima astensione, che non può superare le 24 ore articolate all'interno dei turni di servizio. La Commissione ha disatteso la difesa dei legali rappresentanti delle cooperative secondo cui le rispettive società  non hanno titolo per essere considerate soggetti passivi nel presente procedimento, in quanto ' quali società  cooperative fornitrici ai propri soci di servizio radiotaxi ' non appartengono ad alcuna delle figure giuridiche indicate dall'art. 4, comma 4-quater, della legge n. 146/1990, come modificata dalla legge n. 83/2000, non essendo né una «organizzazione sindacale», né una «pubblica amministrazione», né una «associazione o organismo di rappresentanza dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori». La Commissione ha invece ritenuto che l'istruttoria abbia consentito di accertare che, al di là  delle qualificazioni formali, dette cooperative ben possono essere assimilate ad associazioni e/o organismi di rappresentanza dei tassisti romani, atteso che hanno partecipato ufficialmente, insieme ad altre sigle sindacali e/o associative, alle trattative con il Comune di Roma relative al numero delle nuove licenze e all'aumento delle tariffe.
Inapplicabilità della legge 146/90 all’astensione dal lavoro straordinario «non obbligatorio»
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Criteri discriminatori di selezione del personale – Onere della prova – Sanzioni
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Nozione di «lavoratore» – Organizzazione non governativa di pubblica utilità – Borsa di dottorato – Contratto di lavoro
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Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - Discriminazione diretta fondata sulla disabilità
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La direttiva n. 2000/78/Ce, che stabilisce un quadro generale per la parità  di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoroe, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1 e 2, lett. a), devono essere interpretati nel senso che i divieti di discriminazione diretta e di molestie ivi previsti non sono limitati alle sole persone che siano esse stesse disabili. Qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, in modo meno favorevole rispetto al modo in cui è, è stato o sarebbe trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia provato che il trattamento sfavorevole di cui tale lavoratore è vittima è causato dalla disabilità  del figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest'ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il divieto di discriminazione diretta enunciato al detto art. 2, n. 2, lett. a). Parimenti, qualora sia accertato che il comportamento indesiderato integrante le molestie del quale è vittima un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, è connesso alla disabilità  del figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest'ultimo ha bisogno, un siffatto comportamento viola il divieto di molestie enunciato al detto art. 2, n. 3.
Tutela cautelare - Lavoratore disabile – Recesso per mancato superamento del periodo di prova – Illegittimità
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Lavoro pubblico - Tutela cautelare – Sanzione disciplinare di sospensione dal servizio e dalla retribuzione
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Nullità contratto a termine di pubblico impiego - Conversione in rapporto a tempo indeterminato - Inapplicabilità
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A seguito di licenziamento, un medico farmacista conveniva in giudizio la Asl di Chieti per ottenere la reintegra nel posto di lavoro,previa conversione del rapporto di lavoro a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il giudice del lavoro adito, nel rigettare il ricorso, ha ribadito il principio secondo cui nel pubblico impiego non può convertirsi un rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato. La pronuncia ha quindi confermato l'orientamento consolidatosi in materia anche alla luce del disposto dell'art. 36 d.lgs. n. 165/2001 il quale esclude che la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte della p.a. possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. In riferimento al recesso della p.a. dal rapporto instaurato con il dirigente di ente pubblico, dato il particolare modo di configurarsi del rapporto di lavoro dirigenziale, il Tribunale di Chieti ha ritenuto, ai fini della giustificatezza del recesso, che ben può rilevare qualsiasi motivo purchè costituente la base di una decisione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, i quali ' secondo il giudice del lavoro ' non richiedono l'analitica verifica di specifiche condizioni, ma una globale valutazione che eslcuda l'arbitrarietà  del recesso.
Contratto a tempo determinato – Successiva apposizione del termine
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Omessa allegazione Ccnl di settore – Nullità del ricorso
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Il dirigente apicale licenziato per ritorsione ha diritto alla reintegrazione
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F. F. top manager dell'Eni Spa è stato privato, nel maggio del 2000, dell'incarico di direttore del personale e dell'organizzazione,posizione fra le più elevate del gruppo. Essendo stato destinato ad incarichi di minor rilievo presso società  controllate, egli ha promosso nel luglio del 2005 davanti al Tribunale di Roma, un giudizio diretto ad ottenere la condanna dell'Eni a restituirgli le mansioni di top manager e a risarcirgli i danni da demansionamento; in particolare egli ha fatto presente di essere stato escluso, per effetto della dequalificazione, dagli aumenti di retribuzione conseguiti dai top managers del gruppo. Ricevuta la notifica del ricorso, l'Eni ha licenziato il dirigente in tronco, sostenendo che il contenuto dell'atto giudiziario era caratterizzato da apprezzamenti negativi sull'organizzazione del gruppo, tali da far venir meno il rapporto fiduciario e determinava inoltre l'impossibilità  di mantenerlo in servizio. F. F. ha impugnato il licenziamento con un secondo ricorso al Tribunale di Roma, sostenendo, tra l'altro, che il provvedimento doveva ritenersi nullo perché viziato da motivo illecito, avendo natura ritorsiva. Riunite le cause e sentiti alcuni testi, il Tribunale di Roma ha dichiarato nullo il licenziamento, ha ordinato la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro di direttore del personale e organizzazione ovvero in altro posto che comporti l'esercizio di mansioni equivalenti, ed ha condannato l'Eni a corrispondere al dirigente, a titolo di risarcimento del danno conseguente al licenziamento nullo, la retribuzione relativa al periodo successivo al recesso. Il Tribunale ha inoltre condannato l'Eni al risarcimento del danno patrimoniale da demansionamento per la perdita di possibilità  di maggiori guadagni. Il Tribunale ha ricordato la giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui la ritorsione ad un'azione giudiziaria costituisce motivo illecito che comporta la nullità  degli atti da esso viziati in quanto essa non è altro che una forma di vendetta aggravata dal fatto di dirigersi contro l'utilizzazione di uno strumento che l'ordinamento appresta ai propri consociati per la risoluzione pacifica delle loro contese. Il Tribunale ha anche affermato l'applicabilità  dell'art. 18 Stat. lav. nonostante la posizione di dirigente apicale rivestita da F. F. Secondo le stesse disposizioni dell'art. 3 della legge 11 marzo 1990 n. 108 ' ha rilevato il Tribunale ' la tutela reale in caso di licenziamento discriminatorio si applica comunque, non solo a prescindere dal c.d. requisito dimensionale ma anche ai dirigenti.
Fondi pensionistici – Diritto di opzione dei lavoratori – Obbligo di informazione del datore di lavoro
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Inclusione di indennità continuative nel tfr e nell'indennità di buonuscita degli autoferrotranivieri
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La questione da dirimere risiedeva nello stabilire se gli importi mensilmente corrisposti nel tempo agli appellati,a far data dal 31 maggio 1982, a titolo di lavoro straordinario, indennità  di mancato riposo, indennità  per feste lavorate e indennità  sostitutiva di ferie dovessero essere inclusi nella retribuzione annua ai fini del calcolo del Tfr, ai sensi dell'art. 2120 cod. civ. Sul punto, osserva la Corte, la giurisprudenza di legittimità  è costante nel ritenere che se la prestazione di lavoro non è occasionale, la relativa retribuzione debba essere compresa nel Tfr, salvo che la contrattazione collettiva apporti una eccezione a tale regola in modo chiaro ed univoco. La generale applicabilità  dell'art. 2120 cod. civ. a qualsiasi rapporto di lavoro, anche se originariamente regolamentato da discipline speciali, è affermata in maniera piena e assoluta dall'art. 4, comma 9, legge n. 297/1982, che espressamente dispone l'abrogazione di tutte le altre norme di legge o aventi forza di legge che disciplinano le forme di indennità  di anzianità , di fine rapporto, di buonuscita, comunque denominate. Il successivo comma precisa che «sono nulle e vengono sostituite di diritto dalle norme della presente legge tutte le clausole dei contratti collettivi regolanti la materia del Trattamento di fine rapporto». A fronte della tesi dell'appellante, secondo cui la nozione di retribuzione da assumere a base del computo del Tfr dovrebbe essere quella definita dai contratti collettivi nazionali di settore (nella specie art. 6 lett. c Ccnl autoferrotranvieri 23 luglio 1976 e succ. modd.), non comprensiva delle indennità  di cui sopra, il Collegio rileva, in ciò concordando col primo giudice, che le disposizioni contrattuali anteriori al 31 maggio 1982, definenti la nozione di retribuzione normale, non possono avere alcuna efficacia derogatoria rispetto alla disciplina dettata dalla legge n. 297/1982, dato che le deroghe possono essere soltanto successive e non anteriori ad essa. Per le prime vale il principio di cui all'art. 1 comma 2 legge n. 297/1982 («salvo diversa previsione dei contratti collettivi»), mentre per le seconde vale la clausola di salvaguardia citata, di cui all'art. 4 della medesima legge. Precisa la Corte territoriale che i contratti collettivi successivi, che a norma dell'art. 2120 cod. civ., comma 2, novellato, potrebbero derogare al principio di onnicomprensività , sono soltanto quelli che esplicitamente lo prevedono, e non già  quelli che richiamano contratti collettivi previgenti. Esclude inoltre il Collegio che la legge 297/1982 possa aver operato, in forza degli artt. 1423 e 1424 cod. civ. , una convalida o una conversione delle nullità  dei previgenti contratti collettivi, che derogavano all'onnicomprensività  in virtù del comma 2 dell'art. 2120 cod. civ. il quale, a seguito della novella, non prevede più tale nullità . Tale legge infatti non consente la convalida ma anzi, ai commi 11 e 12 dell'art. 4, ha previsto una esplicita sostituzione delle clausole dei precedenti contratti collettivi, di cui ha dichiarato la nullità , riconfermandola, perciò, nelle ipotesi (come quella della deroga al principio di onnicomprensività ) in cui essa era prevista in precedenza. Osserva poi il Collegio che in sede di contrattazione collettiva la rinuncia dei rappresentanti dei lavoratori ad avvalersi di una nullità  prevista dalla legge in loro favore non può essere implicitamente desunta mediante il generico richiamo a clausole di contratti collettivi previgenti, ma soltanto in maniera esplicita, con pedissequa riformulazione delle clausole nulle richiamate e con l'esplicita menzione della conoscenza della loro nullità . Il Tribunale aveva attribuito natura contrattuale all'indennità  di buonuscita degli agenti cessati dal servizio con diritto a pensione, ai sensi dell'art. 24 Ccnl 1976 e sulla scorta di un risalente orientamento della giurisprudenza fiorentina; ciò in forza del generale rinvio alla contrattazione collettiva di cui all'art. 1 r.d. n. 148/1931, con la conseguenza che la contrattazione collettiva del settore autoferrotranviario ben avrebbe potuto escludere alcune indennità  dalla base di calcolo di essa. A fondamento di una simile opzione ermeneutica il primo giudice richiamava la sentenza n. 18/1974 della Corte costituzionale, che ha ritenuto non contrario ai principi costituzionali il generale rinvio dell'art. 1 r.d. n. 148/1931 alla contrattazione collettiva, al pari della successiva sentenza n. 124/1975. Non concorda con tale orientamento il giudice di appello, il quale, fondandosi sui successivi sviluppi della giurisprudenza di legittimità , anche con riguardo al regime anteriore all'entrata in vigore della legge n. 297/1982, ha fissato il carattere imperativo delle norme di cui agli artt. 2120 e 2121 cod. civ. , che, anche nello specifico settore autoferrotranviario, non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva, con conseguente nullità  di tutte le clausole ' in particolare del Ccnl 1981 ' che escludevano dalla base di computo dell'indennità  di buonuscita una serie di emolumenti che avevano un indubbio carattere fisso e continuativo di erogazione (come l'Edr, l'indennità  di turno, l'indennità  di presenza).
Licenziamento disciplinare – Accusa di aver apposto una croce sulla fotografia del legale rappresentante della società
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Lavoratrice madre – Dequalificazione professionale – Assegnazione ferie forzate
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Licenziamento disciplinare - Violazione dell’obbligo di concorrenza: non sussiste
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Licenziamento per trasferimento ramo d’azienda di piccola impresa – Impugnativa del recesso nullo
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Pubblico impiego – Esatto inquadramento – Transito da poste a ministeri
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Demansionamento – Lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione
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Condotta antisindacale – Diritto di assemblea – Locale inidoneo
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Licenziamento per mancato superamento della prova – Impugnazione – Risarcimento del danno
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Per i licenziamenti dovuti a motivi sindacali le OO.SS. possono agire per la reintegra dei lavoratori anche se decaduti
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Le segreterie provinciali di alcune organizzazioni sindacali,ritenendo che alcuni lavoratori che non avevano impugnato tempestivamente i licenziamenti loro intimati, avessero perso il posto di lavoro a causa del loro impegno sindacale adivano con ricorso ex art. 28 legge 300/70 il locale magistrato al fine di vedere reintegrati i dipendenti. I locali giudici di merito accoglievano la domanda delle organizzazioni sindacali rigettando il rilievo della società  che contestava sia la legittimazione delle Oo.Ss. che la fondatezza della richiesta atteso che i singoli lavoratori erano stati dichiarati decaduti per inerzia nell'impugnativa. La Corte di cassazione, premessa la pacifica nullità  del licenziamento determinato per motivi sindacali, nonché la plurioffensività  della condotta per la sua idoneità  a ledere anche l'interesse collettivo alla libertà  e all'attività  sindacale ha confermato la decisione del giudice di appello. La Suprema Corte ha quindi affermato la perseguibilità  da parte del sindacato attraverso la procedura di cui all'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, anche qualora risulti inapplicabile l'istituto della reintegra, poiché la rimozione e la cessazione degli effetti della condotta antisindacale integrata dal licenziamento discriminatorio in questione sono ottenibili, pur nell'inerzia del lavoratore interessato, attraverso l'accertamento della nullità  del provvedimento espulsivo datoriale e quindi della persistente validità  ed efficacia del rapporto.
Il lavoratore è tenuto a risarcire del danno cagionato ai beni aziendali assegnategli anche se estranei alle proprie mansioni
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Un'azienda conveniva innanzi al Tribunale di Trento un lavoratore che nel corso della propria prestazione lavorativaaveva danneggiato un veicolo di proprietà  della ditta allorché veniva addetto, in violazione della propria funzione, alla consegna di materiali. La Corte di appello di Trento, nell'accogliere il gravame della società  condannava il dipendente a risarcire il danno ritenendo che la guida di un veicolo non richiedeva uno specifico addestramento. La Corte di cassazione nel respingere il ricorso di legittimità  del lavoratore ha affermato che allorché la prestazione lavorativa è da eseguire con un bene affidato dal datore di lavoro, il lavoratore è tenuto ad utilizzare il bene con una ordinaria diligenza. Il danno causato al bene aziendale è di per sé un inadempimento ed il lavoratore ha l'onere di provare la negazione dell'inadempimento dimostrando di avere utilizzato il bene con la prescritta diligenza. La valutazione di questa diligenza deve essere effettuata tenuto conto della natura e degli aspetti della prestazione. L'assegnazione ad un ruolo diverso da quello per il quale è stato assunto non costituisce elemento che esclude il profilo della responsabilità  atteso che la disposizione dell'art. 2103 cod. civ. è diretta a tutelare il lavoratore nella conservazione delle mansioni, non a limitare od escludere la diligenza cui il lavoratore è obbligato nello svolgimento delle sue attività . La violazione di tale disposizione non esclude, quindi, di per sé, l'obbligo del lavoratore di svolgere le sue mansioni con la diligenza normativamente richiesta. Tale obbligo ' conclude la Cassazione ' è limitato solo nella misura in cui la diligenza necessaria si estenda in uno spazio esterno al terreno della prestazione dovuta ed in tale ottica il lavoratore deve provare di avere agito con la diligenza richiesta e, in questo ambito, di non avere capacità  ed esperienza adeguate.
Incombe all’azienda la prova della adeguatezza della mansione rispetto al profilo assegnato
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Il semplice carattere pretestuoso di un licenziamento di un dirigente non costituisce licenziamento ingiurioso
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Un dirigente di una distilleria veniva licenziato sulla base di una serie di contestazioni accertate dai locali giudici di merito come del tutto pretestuose.Ritenuta l'ingiustificatezza del licenziamento la Corte di appello di Torino nell'accogliere parzialmente il gravame della società  riduceva l'indennità  riconosciuta al dirigente dal giudice di primo grado respingendo il profilo dell'appello incidentale riferito al mancato accoglimento della pretesa risarcitoria per licenziamento ingiurioso. La Corte di cassazione nel respingere il motivo di gravame contenuto nel ricorso incidentale del dirigente ha confermato la statuizione della Corte di appello affermando che il carattere ingiurioso del recesso va rigorosamente provato e deriva unicamente dalla forma ingiuriosa in cui esso viene espresso o dalla pubblicità  o da altre modalità  lesive con cui viene adottato. Unicamente in quanto originato da tali circostanze ' conclude la Cassazione ' il danno da licenziamento ingiurioso eccede, infatti, quello risarcibile a seguito di licenziamento ingiustificato alla stregua della normativa legale e contrattuale. La mera pretestuosità  del licenziamento risolvendosi in una ingiustificatezza del licenziamento non configura l'ulteriore danno che scaturisce da una forma ingiuriosa.
Un quadro ha diritto a percepire compensi per una attività svolta ed estranea alla sua funzione
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Un lavoratore impiegato con la qualifica di quadro alle dipendenze di una azienda rivenditrice di automobilicon la funzione di assistente alle vendite adiva il magistrato del lavoro di Roma lamentando di essere stato utilizzato nel corso dei fine settimana in eventi promozionali organizzati in occasione di manifestazioni sportive senza fruire di riposi compensativi. La domanda di pagamento per l'attività  svolta veniva accolta in primo grado e ridotta in sede di appello sul rilievo che nulla era dovuto in ragione della qualifica di quadro per i periodo di lavoro svolto durante i sabati mentre la maggiorazione retributiva era dovuta in occasione di lavoro svolto nelle domeniche. Il lavoratore impugnava la decisione innanzi alla Suprema Corte affermando che i compensi di quadro non potevano ricomprendere anche attività  del tutto estranee alla qualifica alle quali era stato assegnato durante i fine settimana. La Corte di cassazione ritenendo che la mansione di promozione fosse estranea a quella di assistenza alla vendita ha quindi ritenuto, cassando sul punto la decisione della locale Corte di appello, che tali prestazioni lavorative dovessero essere adeguatamente retribuite risultando estranee a quelle compensate con la qualifica di quadro.
Contratto a termine nel settore televisivo
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Un lavoratore dopo essere stato assunto sulla base di otto contratti a termine per lo svolgimento di attività nell'ambito di specifici programmi radiofonici e televisivi adiva il giudice del lavoro di Roma al fine di vedere accertata la nullità  del termine apposto ai propri contratti di lavoro e vedere ripristinato il rapporto. La Corte di appello di Roma nel confermare la decisione del giudice di primo grado disponeva il ripristino del rapporto. Nel respingere il ricorso dell'ente radiotelevisivo la Suprema Corte ha stabilito che per essere valida una clausola limitativa del termine il lavoratore deve fornire alla trasmissione un contributo o un apporto individuale che non sia di carattere generico ma che al contrario conferisca una «impronta distintiva e di personale significato al prodotto radiotelevisivo » che non può essere garantita dal personale assunto stabilmente in azienda. La Suprema Corte ha quindi affermato che quando un dipendente è assunto con una mansione generica non è consentito l'impiego dell'assunzione a termine «se non attraverso la convergente dimostrazione del vincolo di necessarietà  diretta. Il semplice richiamo ad un programma non costituisce, pertanto, sufficiente requisito di validità  di un termine apposto al contratto di lavoro di un addetto. Il requisito della specificità  invece, comporta che il programma deve essere caratterizzato anche dalla atipicità  o singolarità  rispetto ad ogni altra trasmissione normalmente e correntemente organizzata dall'azienda nell'ambito della propria programmazione. I due requisiti della specificità  del programma e della particolarità  dell'apporto del lavoratore si integrano necessariamente al fine di rendere valida la clausola di limitazione temporale.
L’abuso dei permessi parentali legittima il licenziamento per giusta causa
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Il datore di lavoro è tenuto a controllare l’uso dei dispositivi di sicurezza da parte dei propri dipendenti
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Elementi per presumere l’esistenza di un danno da dequalificazione professionale
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Stranieri inabili civili e carta di soggiorno
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Il Tribunale di Prato ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità  costituzionaledel combinato disposto dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 e dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 9, comma 1 della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e alla legge 11 febbraio 1980, n. 18, per violazione degli articoli 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà  fondamentali (Cedu) e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, nonché degli articoli 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui tale complesso normativo prevede la necessità  del possesso della carta di soggiorno e della relativa condizione reddituale affinché gli stranieri inabili civili possano fruire della pensione di inabilità  e dell'assegno di accompagnamento, in modo del tutto irragionevole la normativa censurata, vincolando la concessione dell'indennità  di accompagnamento in favore di uno straniero al possesso della carta di soggiorno (rilasciabile solo se lo straniero riesca a dimostrare redditi non inferiori all'assegno sociale), pone una irrazionale disparità  di trattamento rispetto ai cittadini italiani presentanti i requisiti sanitari necessari, per i quali l'assegno in questione viene riconosciuto a prescindere dal reddito dagli stessi goduti, atteso che la ratio della normativa assistenziale in questione é quella di assicurare un contributo forfetario alle spese che verosimilmente l'invalido sostiene a causa della sua minorazione, e ciò a prescindere dalla situazione reddituale dello stesso e della sua famiglia. Peraltro, stante la tipologia di minorazioni che può costituire requisito sanitario sia per la pensione di inabilità  (100% di invalidità ) che per l'indennità  di accompagnamento (impossibilità  di deambulare o di compiere senza l'assistenza continua di terzi gli atti quotidiani della vita), certamente uno straniero invalido, non essendo in grado di lavorare a causa delle proprie condizioni fisiche, non potrà  neppure produrre il reddito necessario per poter ottenere il rilascio della carta di soggiorno, con conseguente concreta impossibilità  di poter fruire delle previdenze in questione e consequenziale ingiustificata abolizione.
Assegno sociale e rendita Inail
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Per determinare il limite reddituale rilevante ai fini della concessione dell'assegno socialesi deve tener conto della rendita Inail percepita dal coniuge del beneficiario. La Corte d'appello di Torino sosteneva che la disposizione censurata si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. poiché, a parità  di risorse patrimoniali e di grado di inabilità , riserva un trattamento deteriore al titolare di rendita Inail con moglie a carico rispetto al titolare della suddetta rendita senza moglie a carico, essendo il primo obbligato a destinare al mantenimento del coniuge risorse che il secondo può, invece, riservare alla funzione, prevista dalla legge, di compensare il proprio stato di inabilità  al lavoro. Ciò comporterebbe anche la violazione dell'art. 38 Cost., dato che, conseguentemente, la rendita in argomento non sarebbe più utilizzata, almeno in parte, per fornire al soggetto inabile al lavoro i mezzi necessari per vivere. A questi argomenti la Corte costituzionale ha ribattuto che la rendita Inail trova il proprio fondamento in particolari fattispecie e nei bisogni da queste sorti per l'inabilità  al lavoro derivatane; in seguito, però, come le altre prestazioni previdenziali, può avere la destinazione che il titolare vuole o deve darle, anche in adempimento di doveri familiari, a seconda della concreta situazione che, in presenza di una condizione di non inabilità , sarebbero soddisfatti con i corrispettivi dell'attività  lavorativa. Del resto, in più occasioni la Corte costituzionale ha affermato che il legislatore ' sul presupposto che «a determinati e comuni bisogni di vita possa essere data soddisfazione con le risorse del coniuge, nel contesto della solidarietà  familiare» ' può, nel prevedere interventi di tipo previdenziale o assistenziale, far riferimento ai redditi del coniuge dell'interessato, purché l'importo dei redditi cumulati preso in considerazione ai fini dell'esclusione sia adeguatamente superiore a quello dei redditi propri del soggetto (sentenze n. 127 del 1997 e n. 395 del 1999, nonché ordinanza n. 204 del 1998). E ciò accade nel caso di specie, visto che l'art. 3, comma 6, di cui si discute, stabilisce che «se il soggetto possiede redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino alla concorrenza» dell'importo stabilito, se il soggetto non è coniugato, «ovvero fino al doppio del predetto importo», nel caso di soggetto coniugato.
Contributi per tecnici laureati
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È illegittimo non riconoscere ai ricercatori universitari, all'atto della loro immissione nella fascia dei ricercatori confermati,l'attività  effettivamente prestata nelle università  in qualità  di tecnici laureati con almeno tre anni di attività  di ricerca (per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per i due terzi ai fini della carriera). La declaratoria di illegittimità  trova fondamento soprattutto nel fatto che, al contrario che per i ricercatori, a favore dei professori ordinari e associati la legge attribuisce valore pensionistico ai periodi svolti come tecnici laureati. Non resta quindi che parificare le situazioni poste a raffronto sul presupposto dell'identità  ordinamentale sottesa alla figura dei tecnici di laboratorio.
Prescrizione dei ratei di pensioni pubbliche
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Prescrizione di cinque anni anche per le rate di pensioni pubbliche non liquidateed inesigibili.La Corte costituzionale ha rigettato quindi la questione dell'art. 2 del r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, come sostituito dall'art. 2, comma 4, della legge 7 agosto 1985,n. 428, nella parte in cui assoggetta a prescrizione quinquennale non solo i ratei di pensione liquidi ed esigibili ma anche i ratei di pensione non ancora liquidi ed esigibili e, quindi, non ancora ammessi a pagamento. La Corte, dopo aver ricordato che, ad eccezione delle pensioni di guerra (in ragione della loro specifica natura risarcitoria e non previdenziale), il diritto a pensione dei pubblici dipendenti è imprescrittibile e, quindi, può essere fatto valere in ogni tempo, ha sottolineato che non può considerarsi un omogeneo termine di paragone la disciplina della prescrizione delle pensioni erogate dall'Inps, perché si tratta di regimi previdenziali diversi e in particolare il regime pensionistico dei dipendentistatali prevede regole proprie in riferimento non solo alla liquidazione della pensione, ma anche alla stessa decorrenza della prescrizione della pensione, la quale, in ogni caso, non opera mai prima del giorno in cui il relativo provvedimento di liquidazione sia portato aconoscenza dell'interessato (art. 143 del d.P.R. 1092 del 1973). Non può, dunque, il raffronto tra regimi previdenziali diversi valere, di per sé, a dimostrare la lesione del principio di eguaglianza. Infine, in materia di fissazione del termine di prescrizione dei singolidiritti ' prosegue la Corte ' il legislatore gode di ampia discrezionalità , con l'unico limitedell'eventuale irragionevolezza, qualora «esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilità  di esercizio del diritto cui si riferisce, e di conseguenza inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso»; limite che non risulta violato dalla normadi cui al denunciato art. 2, in quanto essa prevede un termine prescrizionale di cinque anni, che non può reputarsi incongruo rispetto ai suddetti fini.
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