Descrizione
Illegittimità costituzionale della norma che riduce contributi e carriera dei ricercatori al momento della conferma Ulteriori indicazioni della Cassazione sugli elementi presuntivi del danno da dequalificazione professionale Reintegrato dal Giudice di Roma dirigente apicale licenziato per ritorsione ad azione giudiziariaLa conciliazione non è valida se l'assistenza del sindacalista al lavoratore non è effettiva
A. C. ha lavorato per circa dieci anni, dal 1986 al 1996, come insegnante di lingua e letteratura tedesca alle dipendenze del Liceo linguistico europeo Oxford,istituto legalmente riconosciuto gestito dalla Sas Futura. Dopo essere stata licenziata
ella ha sottoscritto in azienda, alla presenza di un sindacalista, un accordo definito, con riferimento agli
artt. 410 e 411 cod. proc. civ., «verbale di conciliazione», recante la previsione del pagamento
in favore della lavoratrice delle spettanze maturate a tutto il giugno 1996 oltre al Tfr
e ad una somma «al solo fine di evitare l'insorgenda lite senza che ciò possa rappresentare
il riconoscimento, neppure parziale di eventuali contrapposte pretese». L'accordo è
stato redatto su carta recante l'intestazione del sindacato. Successivamente la lavoratrice
ha impugnato l'accordo ed ha chiesto al Tribunale di Lecce di condannare la Sas Futura al
pagamento della somma di circa 52 milioni di lire per differenze di retribuzione. Il Tribunale
ha sentito come teste il sindacalista il quale ha dichiarato di essersi recato presso i locali
della scuola, su invito di un consulente aziendale che aveva predisposto il testo del verbale;
egli aveva dato lettura dell'accordo dichiarandosi disponibile per qualsiasi chiarimento
ed aveva raccolto le firme. Il Tribunale ha rigettato la domanda in quanto la ha ritenuta
preclusa dal verbale di conciliazione sottoscritto con l'assistenza di un sindacalista.
Questa decisione è stata integralmente riformata, in grado di appello, dalla Corte di Lecce
che ha escluso l'esistenza di una conciliazione redatta in sede sindacale in base agli artt.
410 e 411 cod. proc. civ. In particolare la Corte ha osservato che non sussisteva alcuna controversia
tra le parti, che la lavoratrice non era iscritta al sindacato e che nessuna opera di
effettiva assistenza era stata posta in essere dal sindacalista, limitatosi a svolgere il ruolo
di un testimone di operazioni (elaborazione di conteggi) cui era rimasto estraneo e di fatti
(ricostruzione della storia lavorativa di A. C. precedentemente ignorati); che l'ignoranza
della vicenda impediva quella assistenza consapevole ed informata richiesta per la transazione
sindacale. Pertanto la Corte di appello ha condannato l'azienda a pagare alla lavoratrice
euro 25.000,00 circa. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione
della Corte di Lecce per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso in quanto ha ritenuto che la sentenza impugnata
sia stata adeguatamente motivata sia per quanto concerne la non configurabilità di una
transazione sia l'inesistenza di un effettivo intervento del sindacato. La Cassazione ha richiamato
la sua giurisprudenza secondo cui, al fine di verificare che l'accordo sia stato
raggiunto con un'effettiva assistenza del lavoratore da parte di esponenti della propria organizzazione
sindacale, occorre valutare se in base alle concrete modalità di espletamento
della conciliazione, sia stata correttamente attuata quella funzione di supporto che la
legge assegna al sindacato nella conciliazione.
Una volta autorizzata la cassa integrazione le sue modalità di applicazione non si possono modificare senza un nuovo decreto
A. D., dipendente della Fiat Auto Spa addetto allo stabilimento di Pomigliano D'Arco,è stato collocato in cassa integrazione straordinaria in base a due accordi sindacali
sottoscritti rispettivamente nel giugno 1993 e nel febbraio 1994. Egli ha chiesto al giudice
del lavoro di dichiarare l'illegittimità del provvedimento per non avere adempiuto agli obblighi
di comunicazione e consultazione previsti dall'art. 1, comma 7, della legge n. 223
del 1991 e per non avere attuato il dovuto meccanismo di rotazione. La legge prevede all'art.
1, comma 7, che i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere nonché le modalità
della rotazione devono formare oggetto di comunicazione alle organizzazioni sindacali
e di esame congiunto e all'art. 1, comma 8, che la mancata adozione di meccanismi
di rotazione debba formare oggetto di autorizzazione ministeriale. In primo grado la domanda
è stata rigettata. In grado di appello la Corte di Napoli ha invece ritenuto fondata
la domanda proposta dal lavoratore ed ha condannato l'azienda alla corresponsione delle
differenze fra ciò che era stato percepito dal dipendente e la normale retribuzione. La
Corte ha rilevato che il provvedimento di sospensione non poteva reputarsi legittimo perché
l'azienda non aveva esercitato il suo potere di gestione della crisi economica nell'osservanza
della procedura prevista dall'art. 1, commi 7 e 8, della legge n. 223 del 1991, tra
l'altro modificando, in base ad un accordo sindacale successivo all'autorizzazione ministeriale,
i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, nonché quanto stabilito in materia
di rotazione. La Fiat Spa ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione impugnata
per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso affermando il seguente principio di diritto: «La cassa
integrazione straordinaria ' prevista in presenza di ristrutturazioni, riorganizzazioni e
conversioni aziendali ovvero di crisi aziendali riguardanti situazioni occupazionali in ambito
territoriale o situazioni produttive di settore ' viene autorizzata dal ministero del Lavoro
a seguito dell'approvazione di un programma ed a seguito della valutazione delle ragioni
dell'impresa importanti l'esclusione di meccanismi di rotazione, al fine di rendere l'attuazione
del suddetto programma funzionale all'efficienza produttiva dell'impresa stessa. Ne
consegue che nel corso della sua durata non è consentito ' seppure con la copertura negoziale
tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto, pena l'invalidità della intera procedura
di messa in cassa integrazione con le consequenziali ricadute in termini risarcitori '
determinare un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere con l'abbandono
di quelli iniziali previsti nel programma e la contestuale adozione, invece, di criteri di
scelta diversi e privi di razionalità e congruità rispetto alla causa integrabile, potendosi un
mutamento delle regole selettive operare solo a seguito di un decreto di proroga volta ad
accertare la compatibilità di tale cambiamento con la regolare esecuzione del programma
stesso ovvero a seguito di una distinta domanda di integrazione salariale e di un successivo
decreto autorizzativo sulla base di un nuovo e distinto programma».
Le modalità di pagamento della retribuzione possono essere modificate se cambiano gli usi locali
L'Enel Spa fino al dicembre 1996 ha pagato le retribuzioni mensili dei dipendenti a mezzo di assegni circolari.Dal gennaio 1997 il pagamento è stato effettuato mediante bonifico bancario
su conto corrente di ciascuno dei dipendenti. M. B. ed altri dipendenti
dell'Enel hanno chiesto al Tribunale di Rovigo di accertare l'illegittimità della modifica
delle modalità di pagamento della retribuzione, sostenendo che l'innovazione apportata
a far tempo dal gennaio 1997 doveva ritenersi illegittima perché contrastante con
la precedente prassi aziendale. Il Tribunale ha accolto la domanda ed ha ordinato all'Enel
di provvedere al pagamento delle retribuzioni secondo le modalità precedenti. Questa decisione
è stata riformata integralmente, in grado di appello, dalla Corte di Venezia che ha
ritenuto infondata la domanda proposta dai lavoratori. Pur ritenendo sussistente un precedente
uso aziendale, nel senso del pagamento dello stipendio mediante assegni circolari,
penetrato nei contratti di lavoro dei dipendenti Enel a norma dell'art. 1340 cod. civ. e
pertanto modificabile solo con il consenso delle parti, la Corte di appello ha ritenuto che
tale consenso sia necessario unicamente nel caso in cui si tratti di modifiche peggiorative
ed ha ritenuto positiva l'innovazione operata dalla società in quanto recante ai dipendenti
un disagio minore di quello prodotto dalla precedente prassi. I lavoratori hanno proposto
ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Venezia per vizi di motivazione
e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La Corte ha ricordato che in base all'art. 2099 cod.
civ. la retribuzione deve essere corrisposta «con le modalità e nei termini in uso nel luogo
in cui il lavoro viene eseguito» e pertanto secondo l'uso locale di fatto che si forma al di fuori
del contratto di lavoro ed il cui contenuto si modifica con il mutare dei comportamenti tenuti
a livello locale. Ne consegue ' ha rilevato la Corte ' che nel caso in esame, in cui è pacifico
che localmente, aziendalmente e addirittura in maniera generalizzata a livello nazionale
(come è notorio) le prassi prevalenti sono diventate da tempo quelle del pagamento
delle retribuzioni mediante accredito su conto corrente bancario, queste vanno applicate.
Peraltro ' ha affermato la Corte ' alla stessa conclusione si perviene ove si ritenga che la
materia fosse disciplinata dalla prassi: la natura di fonte sociale dell'uso aziendale implica
infatti la sua modificabilità ad opera delle fonti collettive sopraordinate nonché per effetto
di un uso successivo più favorevole. In proposito ' ha rilevato la Cassazione ' il giudice di
appello, con adeguata motivazione ha ritenuto di maggior favore l'uso successivo.
Il giornalista corrispondente da New York ha diritto al trattamento di capo servizio anche se non è responsabile dell'ufficio
Il giornalista C. D. dipendente dell'Ansa, con qualifica di redattore, ha lavorato per circa due anni nell'ufficio di corrispondenza di New York.Egli ha chiesto all'azienda il trattamento economico di capo servizio, richiamando l'art. 11
del contratto nazionale di lavoro giornalistico: «Ai corrispondenti dell'estero residenti nelle seguenti capitali:
Parigi, Londra, Bonn, Bruxelles, Washington, Mosca, Pechino, Tokio, New York, Berlino
e Ginevra è riconosciuta agli effetti del presente contratto l'equiparazione con la posizione
categoriale di capo servizio». Poiché l'azienda non ha accolto la sua richiesta, il giornalista
si è rivolto al Tribunale di Roma per ottenere il riconoscimento del suo diritto. L'azienda
si è difesa richiamando l'art. 5 del Cnlg secondo cui per gli uffici di corrispondenza
da Roma, dalle capitali estere e da New York è obbligatoria l'assunzione di giornalisti professionisti
«ai quali spetterà la qualifica di redattore»; essa ha sostenuto che l'equiparazione al capo servizio
poteva essere riconosciuta solo ai responsabili degli uffici di corrispondenza
e non anche agli altri giornalisti che ne facevano parte senza avere un ruolo direttivo.
Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda, condannando l'Ansa al pagamento
delle richieste differenze di retribuzione. Questa decisione è stata confermata, in grado di
appello, dalla Corte di Roma. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la
decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Applicando correttamente i canoni legali di ermeneutica
contrattuale ' ha osservato la Cassazione ' la Corte territoriale, con una lettura
coordinata del tenore letterale delle due norme, ha ritenuto con una congrua ed esauriente
motivazione, che la seconda, a differenza della prima, riguardi la definizione del
trattamento economico dei redattori, tra i quali, ai corrispondenti dall'estero residenti a
New York è riconosciuta a tali fini l'equiparazione al capo servizio. In tal modo ' ha affermato
la Suprema Corte ' la sentenza impugnata risolve in maniera adeguata l'apparente
contraddizione, dedotta anche in appello dalla ricorrente e rappresentata dal fatto che
poiché l'art. 5 qualificherebbe «redattore» il corrispondente operante nell'ufficio di corrispondenza
di New York, l'art. 11 non potrebbe nel medesimo testo contrattuale attribuire
ad ogni corrispondente dalle capitali estere e da New York la diversa qualifica di capo servizio.
La Corte di Roma ' ha rilevato la Cassazione ' ha infatti correttamente, da un lato,
individuato lo scopo principale dell'art. 5 in quello di imporre in determinate strutture
giornalistiche la presenza di giornalisti professionisti qualificati come redattori e, dall'altro,
la finalità dell'art. 11 in quella di stabilire per le vie categorie di redattori il relativo trattamento
economico, anche equiparando, a tali fini, l'una all'altra categoria di redattori in
presenza di determinate condizioni, tra le quali, con riguardo ai corrispondenti dalle principali
capitali e da New York, la Corte non ha ritenuto che sia stata inserita anche quella
per cui il corrispondente dalle maggiori capitali e da New York debba essere isolato per
fruire dell'equiparazione al redattore capo servizio; la ragione del trattamento privilegiato
cosà stabilito per tali corrispondenti (del resto operanti normalmente in uffici articolati,
data l'importanza della sede) è stata infine ravvisata in maniera congrua dalla Corte di Roma
nel fatto che le parti collettive hanno valutato che «in ragione dell'esperienza professionale
occorrente e della natura della prestazione svolta presso taluni uffici di corrispondenza
(principali capitali estere o grandi metropoli, come appunto New York) fosse congruo
equiparare quoad mercedem il corrispondente al capo servizio, senza automatica attribuzione
della corrispondente qualifica».
Le scorrettezze nei confronti di una società del gruppo possono costituire motivo di revoca del mandato di agenzia
L. F. agente della Fondiaria Sai Assicurazione Spa ha subito la revoca in tronco del mandato,con l'addebito di avere acquisito «numerose polizze sulla base di false attestazioni
dello stato del rischio». Analogo provvedimento è stato assunto contestualmente
nei suoi confronti dalla Spa Effevita appartenente al Gruppo della Fondiaria. Egli ha
chiesto al Tribunale di Foggia di dichiarare l'illegittimità della revoca operata dalla Fondiaria,
per genericità dell'addebito, nonché dell'analogo provvedimento adottato dalla Effevita,
sostenendo che quest'ultima non poteva ravvisare una giusta causa in scorrettezze
asseritamente verificatesi nei rapporti con altra società del suo Gruppo. Il Tribunale ha
accolto la domanda e ha condannato le due società al risarcimento del danno. In grado di
appello la Corte di Bari ha integralmente riformato la decisione di primo grado escludendo
il diritto dell'agente al risarcimento. La Corte di appello ha rilevato che nel rapporto di
agenzia, a differenza che in quello di lavoro subordinato, il recesso per giusta causa può
avvenire anche in base ad addebiti generici, riferiti peraltro a fatti conosciuti dall'agente.
La Corte ha anche ritenuto che una scorrettezza commessa dall'agente nei confronti di una
società sia idonea a far venir meno anche il rapporto fiduciario con altra società dello
stesso Gruppo. L. F. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte
di Bari per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Su un piano generale ' ha affermato la Corte ' è
da osservare che fra lavoro autonomo e lavoro subordinato sussiste differenza strutturale
e conseguente differenza di disciplina; aspetto di questa differenza è il fatto che nel rapporto
di agenzia, pur nell'applicabilità del recesso per giusta causa, il preponente non deve
far riferimento, fin dal momento della comunicazione del recesso, a fatti specifici, essendo
sufficiente che di tali fatti l'agente sia a conoscenza anche aliunde o che essi siano
dedotti e correlativamente accertati in sede giudiziaria (Cass., 16 marzo 2000, n. 3084). Aspetto
di questa differenza è anche l'intensità della fiducia che è riposta nel lavoratore. La
Corte ha pertanto affermato il seguente principio di diritto: «Pur comune fondamento del
rapporto di lavoro autonomo e del lavoro dipendente, nel lavoro autonomo la fiducia, in
corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell'attività (per luoghi, tempi, modalità
e mezzi in relazione al conseguimento delle finalità aziendali), assume maggiore intensità .
Ed in corrispondenza di questa maggiore intensità , è sufficiente un fatto di minore
consistenza per farla cessare». Il collegamento economico-funzionale fra imprese facenti
parte dello stesso gruppo, pur non costituendo un'unitaria soggettività giuridica né
essendo sufficiente a far ritenere che i successivi rapporti di uno stesso lavoratore con le
società collegate diano luogo ad un unico ininterrotto rapporto di lavoro né che gli addebiti
inerenti al rapporto di lavoro formalmente costituito con una società si estendano anche
alle altre, ' ha aggiunto la Corte ' determina tuttavia una convergenza di interessi economici.
In proposito la Corte ha enunciato un altro principio di diritto: «L'evento che determinando,
nell'ambito d'un rapporto di agenzia, la cessazione della fiducia della società
preponente nei confronti del suo agente, legittima il recesso della società dal rapporto di
lavoro, è idoneo a determinare la cessazione della fiducia di altra società appartenente allo
stesso Gruppo finanziario ed a legittimare il suo conseguente recesso dal suo distinto
rapporto di lavoro con l'agente».
Il lavoratore reintegrato si deve presentare entro trenta giorni dall'invito
W. C., dipendente della Spa Cassa di Risparmio di Fano, filiale di Ancona, licenziato nel 1997, ha ottenuto dal giudice, nel maggio del 2002,una sentenza recante l'annullamento
del licenziamento con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro. Il 27 maggio
egli ha ricevuto una lettera con la quale l'azienda gli ha comunicato di prendere servizio
in Fano presso la direzione generale, essendo stata chiusa la filiale di Ancona, senza
precisare il giorno e l'ora della presentazione in ufficio. Egli ha chiesto informazioni sulle
modalità della sua reintegrazione, ottenendole; infine il 26 giugno ha confermato via fax,
per il tramite del suo legale, la volontà di riprendere servizio. La banca, con lettera del 4
luglio, gli ha comunicato che il rapporto di lavoro doveva ritenersi risolto con effetto dal
26 giugno 2002 per mancata ripresa del servizio nel termine di trenta giorni di cui all'art.
18, quinto comma, Stat. lav. W. C. ha chiesto al Tribunale di Pesaro di dichiarare invalida
la risoluzione del rapporto di lavoro comunicatagli dalla banca, sostenendo che questa
non gli aveva indicato, nella lettera recapitatagli il 27 maggio 2002, il giorno e l'ora della
ripresa del lavoro e che egli aveva comunque comunicato tempestivamente di voler riprendere
servizio. Sia il Tribunale di Pesaro che, in grado di appello, la Corte di Ancona
hanno ritenuto la domanda priva di fondamento, affermando che la lettera ricevuta dal lavoratore
il 27 maggio era idonea a far decorrere il termine di 30 giorni per la presentazione
in servizio. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione
della Corte di Ancona per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso ricordando che l'art. 18 legge n. 300/70 dispone
al quinto comma quanto segue: «Fermo restando il diritto al risarcimento del danno cosà
come previsto al quarto comma, al prestatore di lavoro è data facoltà di chiedere al datore
di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a
quindici mensilità di retribuzione globale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni
dal ricevimento dell'invito del datore di lavoro non abbia ripreso servizio, né abbia richiesto
entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità
di cui al presente comma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei
termini predetti». La seconda parte del quinto comma ' ha osservato la Corte ' richiede,
per evitare la risoluzione del rapporto, la ripresa del servizio o la richiesta dell'indennità
sostitutiva, nel termine di trenta giorni, rispettivamente dal ricevimento dell'invito del datore
di lavoro o dal deposito della sentenza; indubbiamente, una volta comunicata l'accettazione
dell'invito a riprendere servizio, ove ciò non si renda possibile a causa di forza
maggiore o di un legittimo impedimento (quale, ad esempio, una malattia o un infortunio),
il rapporto di lavoro non si risolverà al trentesimo giorno dall'invito; ma nella fattispecie
in esame non si deduce la sussistenza di un legittimo impedimento, ma si sostiene
la sufficienza di una generica adesione all'invito, ancorché non seguita da una effettiva
ripresa del servizio, il che non è esatto. Nel caso in esame ' ha rilevato la Corte ' i giudici
del merito, cui è istituzionalmente riservata l'interpretazione degli atti di contenuto
negoziale, hanno ritenuto che la lettera di invito ricevuta dal lavoratore contenesse tutti
gli elementi rilevanti per chiarire al lavoratore come, dove e con quali mansioni avrebbe
dovuto riprendere servizio; la mancanza del giorno e dell'ora non era rilevante, derivando
dal dettato legislativo («entro trenta giorni»), con facoltà del lavoratore di riprendere servizio
in qualsiasi giorno ricompreso fra il primo ed il trentesimo, senza che il datore di lavoro
possa limitare tale facoltà con l'indicazione di un giorno determinato.
Il maggiordomo ha diritto agli aumenti di anzianità, ma non al compenso per lavoro straordinario
F. B. ha lavorato alle dipendenze della principessa E. D. come maggiordomo, unico responsabile dell'andamento dei servizi.Cessato il rapporto, egli ha chiesto, tra l'altro, al giudice del lavoro, la condanna
della principessa al pagamento di varie somme per differenze di Trattamento di fine rapporto,
aumenti di anzianità , lavoro straordinario etc. nonché al risarcimento del danno pensionistico.
La convenuta si è difesa sostenendo, tra l'altro, la non applicabilità del contratto collettivo
invocato dal lavoratore, non essendo ella iscritta nell'associazione stipulante,
e la non configurabilità del diritto a compensi
per lavoro straordinario, trattandosi di lavoro domestico, svolto inoltre con mansioni
direttive. In primo grado è stata accolta soltanto la domanda relativa alle differenze
per Tfr. In appello, la Corte di Roma ha condannato la datrice di lavoro anche al pagamento
delle differenze per aumenti di anzianità e dei compensi per lavoro straordinario,
nonché al risarcimento del danno pensionistico. E. D. ha proposto ricorso per cassazione
censurando la decisione della Corte di Roma per vizi di motivazione e violazione di
legge. La Corte ha accolto il ricorso soltanto per la parte concernente i compensi per lavoro
straordinario. L'art. 1 del r.d.l. 15 marzo 1923, n. 692, sulle limitazioni dell'orario di
lavoro, ' ha osservato la Corte ' esclude espressamente, al suo secondo comma, che
queste ultime si applichino al personale addetto ai lavori domestici, cosà come al personale
direttivo; nel caso in esame il signor F. B. era addetto alla gestione del palazzo, e
perciò rientrava nell'ambito degli addetti ai lavori domestici, e, per di più, aveva funzioni
direttive, dato che aveva il compito di sovrintendere al lavoro degli altri addetti. La durata
dell'impegno ' ha precisato la Corte ' potrebbe piuttosto costituire un ulteriore parametro
cui fare riferimento per determinare la retribuzione adeguata ai sensi dell'art. 36
della Costituzione, anche se si deve tener conto della possibile esistenza di periodi di
semplice attesa, e del fatto che nel palazzo della principessa E. D. non risulta (né viene
affermato) che venissero organizzati sistematicamente eventi (come pranzi, ricevimenti,
ecc.) che comportassero l'apertura della casa ad ospiti esterni, e richiedessero perciò la
presenza e l'attività continua di tutto personale e di chi lo dirigesse. Per quanto concerne
gli aumenti di anzianità la Corte ha ricordato che in passato è esistita una linea giurisprudenziale
contraria alla possibilità di conteggiare gli scatti di anzianità quando la contrattazione
collettiva non possa essere applicata direttamente. Essa ha tuttavia rilevato
che la giurisprudenza più recente ha ormai risolto la questione in senso contrario, in favore
dell'applicabilità degli scatti, in quanto «nella determinazione della giusta retribuzione
a norma dell'art. 36 Cost., può assumere rilevanza anche l'anzianità di servizio del
lavoratore, sul presupposto di una correlazione tra anzianità di servizio e qualità della
prestazione resa, ed il relativo apprezzamento dà luogo ad un giudizio di merito sul caso
concreto, non censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione o per
violazione di norme di diritto. Ne consegue che l'operato del giudice di merito che, nel
determinare la retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, faccia riferimento
ai minimi dei contratti collettivi del settore includendo gli aumenti corrispondenti
agli scatti di anzianità , non può considerarsi irrazionale 'a priori e in sede di giudizio di
cassazione la relativa sentenza va confermata se non ne sono dedotti specifici profili di
irrazionalità ». Questa linea ' ha concluso la Corte ' appare preferibile: anche la professionalità
acquisita nel tempo con la maggiore esperienza di lavoro fa parte della qualità
del lavoro, che deve essere retribuita in maniera adeguata. Perciò, indipendentemente
dal fatto che le norme contrattuali collettive possano, o meno, essere applicate in via diretta, '
ha affermato la Corte ' deve essere conteggiata in ogni caso una percentuale di
maggiorazione per retribuirla; questa percentuale ben può essere individuata negli scatti
di anzianità che in questo modo trovano applicazione indipendentemente dall'efficacia
diretta della contrattazione.
Il lavoratore illegittimamente trasferito ha diritto al risarcimento danno causato dall’avere dovuto ridurre l'orario di lavor
Eventuali mansioni superiori assegnate al pubblico impiegato nel finale del rapporto di lavoro non influiscono sulla buonuscita
E. P. dipendente dell'Inail con qualifica di funzionario di IX livello è stato destinato temporaneamente a mansioni dirigenziali di direttore di sede,che ha svolto sino al termine del rapporto di lavoro, senza ricevere alcuna maggiorazione retributiva.
Inoltre l'indennità di buonuscita gli è stata liquidata con riferimento alla retribuzione
prevista per la qualifica di funzionario di IX livello. Egli si è rivolto al Tribunale di
Barcellona, sostenendo di avere diritto, per le mansioni svolte nella fase finale del rapporto,
alla retribuzione e all'indennità di buonuscita nella misura prevista per i dirigenti
e chiedendo la condanna dell'Inail al pagamento delle relative differenze. Il Tribunale di
Barcellona ha rigettato le domande, ma la sua decisione è stata integralmente riformata
dalla Corte di appello di Messina, che ha accolto sia la domanda relativa alle differenze
di retribuzione che quella concernente l'indennità di buonuscita. L'Inail ha proposto ricorso
per cassazione, censurando la decisione della Corte di Messina per vizi di motivazione
e violazione di legge; egli ha sostenuto che per le mansioni superiori svolte il funzionario
non aveva diritto all'intera differenza tra quanto percepito e la retribuzione del
dirigente, bensà al minor compenso aggiuntivo previsto dal contratto collettivo per lo
svolgimento di mansioni di reggenza di strutture di livello dirigenziale e che l'indennità
di buonuscita andava commisurata alla qualifica di IX livello, rivestita dal dipendente al
momento della cessazione del rapporto.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso. L'art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29 (ora art.
52 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165), pur nelle varie formulazioni susseguitesi nel tempo,
recependo una costante norma del pubblico impiego, esclude ' ha osservato la Corte '
che dallo svolgimento delle mansioni superiori possa in alcun caso conseguire l'automatica
attribuzione della qualifica superiore; poiché lo svolgimento di mansioni superiori
non determina l'attribuzione della superiore qualifica, il dipendente che tali mansioni
svolga, conserva la qualifica di appartenenza; consegue che in tali ipotesi, ove lo svolgimento
delle mansioni corrispondenti al superiore livello si sia protratto fino alla cessazione
dal servizio (ed indipendentemente dal tempo di protrazione di tale svolgimento), la
base retributiva dell'indennità di buonuscita, la quale sia normativamente commisurata
alla retribuzione corrispondente alla qualifica rivestita dall'atto della cessazione dal servizio,
non è costituita dalla retribuzione prevista per la qualifica superiore, bensà da quella
corrispondente alla qualifica di appartenenza. Per il temporaneo svolgimento delle
mansioni superiori ' ha affermato la Corte ' il dipendente «ha diritto al trattamento corrispondente
dall'attività svolta» (art. 2103 cod. civ.). Questo diritto, esteso al pubblico impiego
in generale ' ha precisato la Corte ' non si traduce necessariamente in un rigido automatismo
che conduca ad attribuire al pubblico dipendente l'esatto trattamento economico
corrispondente alle mansioni superiori: è sufficiente che vi sia un compenso aggiuntivo
rispetto alla retribuzione della qualifica di appartenenza; in tale quadro, la retribuzione
per il temporaneo svolgimento di mansioni superiori può essere determinata, nei
limiti del principio costituzionale, anche dalla norma collettiva.
La Cassazione, rinviando la causa, per nuovo esame, alla Corte di appello di Messina ha
enunciato i seguenti principi di diritto: a) «Per il temporaneo esercizio, nel pubblico impiego,
di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza, il dipendente
ha diritto ad un compenso aggiuntivo, che, nell'osservanza dell'art. 36 Cost., può
non corrispondere alla differenza con la retribuzione prevista per il superiore livello, e può
essere determinato anche dalla norma collettiva»; b) «Poiché l'esercizio di fatto di mansioni
più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento
del lavoratore nella superiore qualifica, la base retributiva dell'indennità
di buonuscita, che sia normativamente costituita dalla retribuzione corrispondente all'ultima
qualifica legittimamente rivestita dall'interessato all'atto della cessazione dal servizio,
non è da riferire alla retribuzione corrispondente alla superiore qualifica, bensà a quella
corrispondente all'inferiore qualifica di appartenenza».
Risarcimento del danno in favore di un lavoratore per perdita dell'indennità di mobilità derivante dall'errore di un funzionar
L. S. ed altri lavoratori dipendenti della ditta Roxxon Fashion s0no stati licenziati nel luglio del 1993 per cessazione di attività .Essi hanno chiesto all'Inps l'indennità di disoccupazione, che è stata loro concessa,
e nel contempo hanno impugnato il licenziamento davanti al pretore di Nardò
chiedendo la reintegrazione in via d'urgenza, per mancato rispetto,
da parte dell'azienda, della procedura prevista dalla legge n. 223/91
per il licenziamenti collettivi. Il pretore ha ritenuto i licenziamenti inefficaci ed ha accolto la domanda,
disponendo la reintegrazione. L'azienda è fallita. Il curatore del fallimento ha dapprima
collocato i lavoratori in cassa integrazione straordinaria per 12 mesi, ottenendo il relativo
trattamento, che è stato concesso dall'Inps previa revoca dell'attribuzione dell'indennità
di disoccupazione. Cessato il periodo di Cigs, il curatore, nel giugno del 1995, ha licenziato
i lavoratori, comunicando all'Urlmo i relativi dati ai fini dell'ammissione dei benefici
dell'indennità di mobilità in base agli articoli 7 e 10 legge n. 223/91. I lavoratori hanno
presentato le domande di indennità di mobilità al locale Ufficio del lavoro, ma il funzionario
responsabile del medesimo ha rifiutato di riceverle, sostenendo che esse non erano necessarie,
in quanto ai fini del trattamento di mobilità erano sufficienti le domande di indennità
di disoccupazione presentate nel 1993. Questa teoria si è poi rivelata infondata in
quanto è risultato che i lavoratori avrebbero dovuto presentare tempestivamente le domande
di indennità di mobilità ; conseguentemente questa è stata negata dall'Inps. I lavoratori
hanno chiesto al Tribunale di Lecce di condannare il ministero del Lavoro al risarcimento
del danno, sostenendo di aver perso l'indennità di mobilità a seguito del rifiuto,
da parte del funzionario addetto all'Ufficio del lavoro, di ricevere le loro domande.
Il Tribunale ha rigettato le domande. In grado di appello la Corte di Lecce ha invece affermato
la responsabilità del ministero e lo ha condannato al risarcimento del danno in misura pari a
quella dell'indennità di mobilità negata. Il ministero ha proposto ricorso per cassazione,
censurando la decisione della Corte di Lecce per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La sentenza impugnata ' ha osservato la Corte '
ha correttamente accertato la responsabilità dell'Amministrazione sulla base della erronea
informazione e del rifiuto di ricevere la domanda dei lavoratori da parte del dipendente
del ministero; è, infatti, risultato provato, secondo i giudici di appello, che l'impiegato
dell'Ufficio del lavoro ebbe a rifiutare la presentazione delle domande dei lavoratori,
ritenendo che fossero valide quelle presentate in precedenza. È evidente, pertanto ' ha
affermato la Corte ' che per il rifiuto da parte del funzionario di ricevere le domande sussiste
responsabilità dell'Amministrazione di appartenenza, essendo tale rifiuto del tutto
ingiustificato.
I consiglieri di amministrazione di un ente pubblico possono essere chiamati a rispondere della spesa per una serata di gala
Nell'aprile del 2001 il Consiglio di amministrazione dell'Unire, Unione nazionale per l'incremento delle razze equineha concesso all'associazione per iniziative umanitarie «Sempre insieme per la pace»
l'incarico di organizzare una serata di gala, denominata «Maggio dell'ippica»
per un costo presunto di lire 150 milioni, da imputare sul capitolo
di bilancio «spese promozionali e di propaganda». La delibera, avente ad oggetto
l'attuazione di una «piano strategico di rilancio dell'immagine» è stata motivata con riferimento
a varie esigenze e finalità : a) necessità di prevedere il coinvolgimento di personaggi
pubblici, opinion makers e altri rappresentanti del mondo della cultura e della imprenditoria,
attraverso cui creare una rete di sostenitori, patrocinanti e divulgatori del
messaggio e della filosofia di cui, per finalità istituzionale, l'Unire deve essere l'interprete;
b) disponibilità del presidente della Associazione per iniziative umanitarie «Sempre insieme
per la pace», M.P. F., ad organizzare una serata di gala esclusivamente per l'Unire,
intitolata «Maggio dell'ippica» per il 16 maggio 2001; c) affidabilità di detta associazione
per il perseguimento delle finalità proprie dell'ente; d) urgenza di assicurare, per tempo,
conferma della presenza di elevate personalità di settori di rilievo istituzionale, politico, economico
e sociale.
Il procuratore generale della Corte dei Conti per il Lazio ha promosso nei confronti dei consiglieri
di amministrazione dell'Unire un giudizio di responsabilità , sostenendo che: a) l'affidamento
a «Sempre insieme per la pace» di organizzare una serata di gala esclusivamente
per l'Unire sarebbe stato surrettiziamente motivato dalla addotta vasta rete di conoscenze
della presidentessa di tale associazione, mentre il sotteso vero scopo apparirebbe
impenetrabile e comunque inspiegabile con la promozione dell'attività ippica, specie
di carattere agonistico, che per la sua specifica peculiarità , non troverebbe alcuna relazione
con la creazione di una rete di conoscenze altolocate; b) la serata di gala era stata
organizzata al di fuori dell'apporto dei consulenti esterni; c) la stessa non era prevista
dal piano strategico triennale di rilancio dell'ippica; d) l'Unire sarebbe stata in grado di organizzare
la serata di gala facendo ricorso alle proprie risorse, avvalendosi dell'opera dei
due esperti in materia promozionale e anche dell'attività di pubbliche relazioni, affidata
alla dott.ssa D. M., nominata responsabile dell'area «Vip»; e) l'Unire non aveva tratto alcun
vantaggio dalla organizzazione della serata.
Svolta l'istruttoria, la Corte dei Conti ha affermato la responsabilità dei consiglieri per colpa
grave e li ha condannati al pagamento di euro 15.494 ciascuno, in quanto ha ritenuto
che la serata di gala sia stata organizzata per finalità esorbitanti da quelle istituzionali dell'Unire
e con scopi diversi da quelli determinati per legge. L'appello proposto dai consiglieri
dell'Unire contro questa decisione è stato rigettato. I consiglieri hanno proposto ricorso
per cassazione censurando la decisione della Corte dei Conti per violazione di legge
e difetto di giurisdizione.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, dichiarando la giurisdizione per materia della Corte
dei Conti. Questa nella sua qualità di giudice contabile ' ha affermato la Cassazione '
può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell'ente pubblico.
Infatti, se da un lato, in base all'art. 1, primo comma, della legge n. 20 del 1994, l'esercizio
in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera
di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della Corte dei Conti,
dall'altro lato, l'art. 1, primo comma, della legge n. 241 del 1990
stabilisce che l'esercizio dell'attività amministrativa deve ispirarsi ai criteri di «economicità
» e di «efficacia», che costituiscono specificazione del più generale principio sancito
dall'art. 97 Cost. e assumono rilevanza sul piano della legittimità (non della mera opportunità )
dell'azione amministrativa. Pertanto ' ha affermato la Cassazione ' la verifica della
legittimità dell'attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto
tra gli obiettivi conseguiti e i costi sostenuti; nella specie la Corte dei Conti, pur ritenendo,
in tesi, compatibile l'organizzazione di una «serata di gala» per promuovere i fini
dell'Unire, ha accertato in linea di fatto: che l'ente, per l'organizzazione della serata in
questione, ha erogato all'associazione «Sempre insieme per la pace» la somma di lire 180
milioni (dell'anno 2001); e che hanno partecipato alla serata 120 persone; l'Unire, per l'effetto,
ha sostenuto per ogni «partecipazione», la somma di lire 1.500.000. Dal momento
che, come prima menzionato, l'art. 1, primo comma, della legge n. 241 del 1990 stabilisce
che l'esercizio dell'attività amministrativa deve ispirarsi ai criteri di «economicità » e di «efficacia
», che costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall'art. 97 Cost.
e assumono rilevanza sul piano della legittimità (non della mera opportunità ) dell'azione
amministrativa, ' ha affermato la Suprema Corte ' è di palmare evidenza la illegittimità
dell'operato dei consiglieri Unire, nell'organizzazione la serata de qua affidandone la
realizzazione alla Associazione iniziative umanitarie «Sempre insieme per la pace». È rimasto
inoltre accertato ' ha osservato la Cassazione ' che molte delle 120 persone che
hanno partecipato (con un onere per l'ente di lire 1.500.000 per ciascun intervenuto) non
avevano alcuna necessità di essere raggiunte da alcun messaggio pubblicitario, gran parte
dei partecipanti, infatti, erano «amministratori, dipendenti dell'enti e loro familiari o
(soggetti) comunque già dipendenti nel mondo dell'ippica»; non è stato in alcun modo dimostrato
' e neppure dedotto ' quale sia stata (con riferimento agli intervenuti alla serata
estranei all'Unire e al mondo dell'ippica) la ricaduta ex post dell'evento, sull'immagine
dell'Unire; a ciò si aggiunga che le finalità dell'Unire sono diverse da quelle dell'associazione
incaricata di organizzare la manifestazione.
Proroga di termini
La legge, che converte il decreto-legge 3 giugno 2008 n. 97,proroga al 1° gennaio 2009 le disposizioni del decreto legislativo n. 81/2008,
in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, relative al divieto da parte del medico competente
di effettuare le visite in fase preassuntiva e alla comunicazione all'Inail,
o all'Ipsema, in relazione alle rispettive competenze, a fini statistici e informativi,
i dati relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza dal lavoro
di almeno un giorno, escluso quello dell'evento e, a fini assicurativi,
le informazioni relative agli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza dal lavoro
superiore a tre giorni. Inoltre il punteggio massimo degli esami di ammissione ai corsi di
laurea universitari ad accesso programmato, di cui all'articolo 1 della legge n. 264/1999,
come modificato dal decreto legislativo n. 21/2008 (80 punti sono assegnati sulla base del
risultato del test di ingresso e 25 punti sono assegnati agli studenti che abbiano conseguito
risultati scolastici di particolare valore, appositamente certificati dai dirigenti scolastici,
nell'ultimo triennio continuativo e nell'esame di Stato), si applicherà a decorrere dall'anno
accademico 2009/2010.
(Gazzetta Ufficiale n. 180 del 2 agosto 2008)
Accertamento del danno da dequalificazione
questa sentenza è già stata citata in altra rubrica in questo stesso numero (retro, p. 7).S. C. dipendente della Spa Telecom Italia, con mansioni di assistente ad attività
specialistiche ed inquadramento nel V livello contrattuale, è stato destinato, nel luglio del
1994, alle mansioni inferiori di «addetto ad attività specialistiche di tecniche numeriche»,
propria del IV livello, senza alcuna variazione della qualifica. Nel giugno del 2001 egli ha
chiesto al Tribunale di Oristano di accertare la dequalificazione da lui subita e di condannare
l'azienda a restituirgli le mansioni di «assistente ad attività specialistiche», nonché
al risarcimento del danno da demansionamento. L'azienda si è difesa sostenendo che
l'assegnazione al lavoratore di nuove mansioni non aveva comportato dequalificazione.
Essa ha inoltre eccepito che dal danno asseritamente subito dal lavoratore non veniva offerta
alcuna prova. Il Tribunale, dopo aver sentito alcuni testimoni, ha condannato l'azienda
ad assegnare il lavoratore alle mansioni di «assistente ad attività specialistiche»
nonché al risarcimento del danno, determinato equitativamente in una somma pari ad un
terzo della retribuzione globale netta relativa a tutto il periodo del demansionamento.
Questa decisione è stata parzialmente riformata, in grado di appello, dalla Corte di Cagliari
che ha confermato l'accertamento della dequalificazione, ma ha escluso il diritto del
lavoratore al risarcimento, osservando che egli non aveva dato le prove del danno. Sia il
lavoratore che l'azienda hanno proposto ricorso per cassazione censurando la decisione
della Corte di Cagliari per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell'azienda, osservando che la Corte di Cagliari ha
correttamente accertato la dequalificazione subita dal lavoratore con riferimento sia al suo
livello di inquadramento, sia all'arretramento da lui subito nella gerarchia aziendale. Il ricorso
del lavoratore, concernente il diniego al risarcimento del danno è stato invece accolto
dalla Suprema Corte, che ha richiamato la sua giurisprudenza in materia. Il danno derivante
da dequalificazione ' ha affermato la Cassazione ' può assumere diversa natura, potendosi
tradurre in un impoverimento della capacità lavorativa acquisita dal lavoratore e
dal mancato raggiungimento di una più elevata capacità , o nel pregiudizio derivante da
perdita di chance (cioè possibilità di maggiori guadagni), o ancora nella lesione della propria
integrità psicofisica, o, più in generale, in una lesione alla salute ovvero alla vita di relazione,
cui è riconducibile la fattispecie del danno esistenziale, derivante dalla lesione del
diritto fondamentale alla libera esplicazione della propria personalità nel luogo di lavoro
(artt. 1, 2 Cost.). Orbene, la molteplicità degli indicati possibili pregiudizi ' ha osservato la
Corte ' spiega la necessità che il lavoratore indichi in maniera specifica il tipo di danno che
assume di avere subito e poi fornisca la prova dei pregiudizi da tale tipo di danno in concreto
scaturiti; prova che può essere fornita anche ex art. 2729 cod. civ. attraverso presunzioni
gravi, precise e concordanti, sicché a tal fine possono, ad esempio, essere valutate nel
caso di dedotto danno da demansionamento, quali elementi presuntivi, la qualità e quantità
dell'attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata
del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa dopo la lamentata dequalificazione.
Grava sul lavoratore ' ha affermato la Cassazione ' l'onere di fornire, in primo
luogo, l'indicazione del tipo di danno subito, restando in ogni caso affidato al giudice
di merito ' le cui valutazioni, se sorrette da congrua motivazione sono incensurabili in sede
di legittimità ' il compito di verificare di volta in volta se, in concreto, il suddetto danno
sussista, dopo l'individuazione, appunto, della specie, e determinandone l'ammontare, eventualmente
con liquidazione equitativa. La sentenza impugnata ' ha affermato la Corte
' merita la censura che le è stata mossa; S. C., infatti, si duole che la Corte territoriale, nell'escludere
il lamentato danno da demansionamento, non abbia considerato la presenza
nella vicenda in controversia di elementi probatori presuntivi quali la durata del demansionamento
(nella specie, protrattosi sin dal luglio 1994) e la netta differenziazione delle mansioni
corrispondenti alle figure di «assistente ad attività specialistiche» e «addetto ad attività
di tecniche numeriche» sia dal punto di vista della professionalità che dell'autonomia,
responsabilità e posizione gerarchica all'interno dell'azienda. Non vi è dubbio ' ha rilevato
la Cassazione ' che l'indagine del giudice di merito andava portata anche e soprattutto su
questo versante; viceversa, la sentenza impugnata omette qualsiasi giudizio sulla idoneità
degli elementi di fatto acquisiti alla causa ai fini di una valutazione per presunzione.
La Suprema Corte ha cassato la decisione impugnata rinviando la causa,
per nuovo esame, alla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.
Cumulo tra pensione e redditi, rapporti di lavoro, libro unico del lavoro, orario di lavoro, pubblico impiego
La legge, che converte il decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008,titolato «disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività ,
la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria», contiene
anche numerose modifiche agli interventi in materia di lavoro attuati nel corso della precedente legislatura.
A decorrere dal sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge, le società
che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, ma non quotate in
mercati regolamentati, adottano, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento
del personale e per il conferimento degli incarichi (articolo 18). Dal 1° gennaio
2009 tutte le pensioni dirette di anzianità , a carico dell'assicurazione generale obbligatoria
e delle forme sostitutive ed esclusive, sono interamente cumulabili con i redditi da lavoro
dipendente ed autonomo. Sono, altresà, cumulabili con i redditi di lavoro dipendente
od autonomo le pensioni dirette conseguite nel regime contributivo in via anticipata rispetto
ai 65 anni per gli uomini ed ai 60 per le donne, ivi comprese quelle maturate presso
la gestione separata (art. 1, comma 26, della legge n. 335/1995), a condizione che il
soggetto abbia maturato i requisiti ex lege n. 243/2004 e fermo restando il regime delle
decorrenze dei trattamenti. Sono, altresà, cumulabili con i redditi di lavoro dipendente sia
le pensioni di vecchiaia liquidate con un'anzianità pari o superiore a 40 anni, che quelle di
vecchiaia liquidata a soggetti di età pari o superiore a 65 anni se uomo o a 60 se donna,
mentre restano fuori le pensioni di reversibilità (articolo 19). I datori di lavoro che hanno
corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico
di malattia, con conseguente esonero dell'Inps dall'erogazione della predetta
indennità , non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all'Istituto medesimo.
Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque
versate per i periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009. Dal 1° gennaio 2009, le
imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto sono
tenute a versare, secondo la normativa vigente la contribuzione per maternità e la contribuzione
per malattia per gli operai. Nei procedimenti relativi a controversie in materia
di previdenza e assistenza sociale, a fronte di una pluralità di domande o di azioni esecutive
che frazionano un credito relativo al medesimo rapporto, comprensivo delle somme
eventualmente dovute per interessi, competenze e onorari e ogni altro accessorio, la riunificazione
è disposta d'ufficio dal giudice ai sensi dell'articolo 151 delle disposizioni per
l'attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto
18 dicembre 1941, n. 1368. In mancanza della riunificazione l'improcedibilità delle domande
successive alla prima è dichiarata dal giudice, anche d'ufficio, in ogni stato e grado
del procedimento. Analogamente, il giudice dichiara la nullità dei pignoramenti successivi
al primo in caso di proposizione di più azioni esecutive. Il giudice, ove abbia notizia
che la riunificazione non è stata osservata, anche sulla base dell'eccezione del convenuto,
sospende il giudizio e l'efficacia esecutiva dei titoli eventualmente già formatisi e fissa
alle parti un termine perentorio per la riunificazione a pena di improcedibilità della domanda.
Dal 1° gennaio 2009, l'assegno sociale (legge n. 335/1995, art. 3, comma 6) è corrisposto
agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa,
per almeno dieci anni nel territorio nazionale. Entro tre mesi dalla data di entrata
in vigore della legge l'Inps mette a disposizione dei Comuni modalità telematiche di trasmissione
per le comunicazioni relative ai decessi e alle variazioni di stato civile da effettuarsi
obbligatoriamente entro due giorni dalla data dell'evento. In caso di ritardo nella
trasmissione dei dati il responsabile del procedimento, ove ne derivi pregiudizio, risponde
a titolo di danno erariale (articolo 20). L'articolo 21, modificando alcuni articoli del decreto
legislativo n. 368/2001 in materia di rapporto di lavoro a tempo determinato, specifica
che è possibile instaurare rapporti di lavoro a tempo determinato anche con motivazioni
riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. Viene introdotta una disposizione
transitoria concernente l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione
e di proroga del termine (art. 4-bis del decreto legislativo n. 368/2001: «con riferimento
ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte
salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli
articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro
con un'indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei
mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo
8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni». Inoltre viene data
la possibilità alla contrattazione collettiva, anche aziendale, di ridurre gli intervalli temporali
intercorrenti tra un rapporto di lavoro a tempo determinato ed un altro e di derogare
il diritto di precedenza nelle assunzioni da parte di chi vanta la titolarità di rapporti di lavoro
a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro. L'articolo 22 specifica in quali
casi è possibile ricorrere al contratto occasionale di tipo accessorio: «a) di lavori domestici;
b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti;
c) dell'insegnamento privato supplementare; d) di manifestazioni sportive, culturali
o caritatevoli o di lavori di emergenza o di solidarietà ; e) dei periodi di vacanza da parte
di giovani con meno di 25 anni di età , regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l'università
o un istituto scolastico di ogni ordine e grado; f) di attività agricole di carattere
stagionale effettuate da pensionati e da giovani di cui alla lettera e) ovvero delle attività
agricole svolte a favore dei soggetti di cui all'articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente
della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; g) dell'impresa familiare di cui all'articolo
230-bis del codice civile, limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi; h) della
consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica». È
stato quindi abrogato l'articolo 71 del decreto legislativo n. 276/2003 che individuava soltanto
alcuni soggetti che potevano ricorrere al lavoro accessorio. L'articolo 23 modifica alcuni
articoli del decreto legislativo n. 276/2003 in materia di apprendistato. Innanzitutto
viene eliminata la durata minima dei contratti di apprendistato permanendo solamente la
durata massima di sei anni. Se la formazione viene erogata a livello aziendale i profili formativi,
la durata e le modalità di erogazione della formazione, le modalità di riconoscimento
della qualifica professionale ai fini contrattuali e la registrazione nel libretto formativo
saranno definiti dalla contrattazione collettiva anziché dalle regioni. Viene esteso
ai dottorati di ricerca l'apprendistato per percorsi di alta formazione. Sono abrogate le
norme che imponevano: a) al datore di lavoro di comunicare i dati relativi all'apprendista
e al tutore aziendale ai servizi regionali o provinciali per l'impiego; b) al datore di lavoro
di comunicare ai servizi per l'impiego il raggiungimento della qualifica professionale; c) la
visita medica per gli apprendisti, che permane solo per i minorenni. L'articolo 29 inserisce
il comma 1-bis all'articolo 34 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui
al decreto legislativo n. 196/2003: «Per i soggetti che trattano soltanto dati personali non
sensibili e che trattano come unici dati sensibili quelli costituiti dallo stato di salute o malattia
dei propri dipendenti e collaboratori anche a progetto, senza indicazione della relativa
diagnosi, ovvero dall'adesione ad organizzazioni sindacali o a carattere sindacale, la
tenuta di un aggiornato documento programmatico sulla sicurezza è sostituita dall'obbligo
di autocertificazione, resa dal titolare del trattamento ai sensi dell'articolo 47 del testo
unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di trattare
soltanto tali dati in osservanza delle altre misure di sicurezza prescritte. In relazione
a tali trattamenti, nonché a trattamenti comunque effettuati per correnti finalità amministrative
e contabili, in particolare presso piccole e medie imprese, liberi professionisti e artigiani,
il Garante, sentito il ministro per la semplificazione normativa, individua con proprio
provvedimento, da aggiornare periodicamente, modalità semplificate di applicazione
del disciplinare tecnico». I datori di lavoro privati, con l'eccezione di quelli domestici, debbono
istituire il libro unico del lavoro che sostituisce il libro matricola e paga, nel quale
vanno riportati tutti i lavoratori subordinati, i collaboratori coordinati e continuativi
e gli associati in partecipazione con apporto lavorativo. Per ciascun lavoratore devono essere
indicati il nome e cognome, il codice fiscale e, ove ricorrano, la qualifica e il livello, la retribuzione
base, l'anzianità di servizio, nonché le relative posizioni assicurative, nonché
deve essere effettuata ogni annotazione relativa a dazioni in danaro o in natura corrisposte
o gestite dal datore di lavoro, comprese le somme a titolo di rimborso spese, le trattenute
a qualsiasi titolo effettuate, le detrazioni fiscali, i dati relativi agli assegni per il nucleo
familiare, le prestazioni ricevute da enti e istituti previdenziali. Le somme erogate a
titolo di premio o per prestazioni di lavoro straordinario devono essere indicate specificatamente.
Il libro unico del lavoro deve, altresà, contenere un calendario delle presenze, da
cui risulti, per ogni giorno, il numero di ore di lavoro effettuate da ciascun lavoratore subordinato,
nonché l'indicazione delle ore di straordinario, delle eventuali assenze dal lavoro,
anche non retribuite, delle ferie e dei riposi. Nella ipotesi in cui al lavoratore venga
corrisposta una retribuzione fissa o a giornata intera o a periodi superiori è annotata solo
la giornata di presenza al lavoro. Il libro va compilato, per il mese di riferimento, entro il
giorno 16 del mese successivo. Le modalità di tenuta del libro unico sono stabilite con decreto
del ministro del Lavoro, della Salute e degli Affari Sociali, da emanare entro 30 giorni
dall'entrata in vigore del decreto-legge. Il libro va conservato presso la sede legale dell'impresa
(o presso i professionisti individuati dalla legge n. 12/1979) e possono essere esibiti
agli organi ispettivi, intervenuti sul posto di lavoro, anche via fax o per e-mail. L'obbligo
della consegna del prospetto paga (legge n. 4/1953) è assolto dal datore di lavoro
con la consegna di copia delle scritturazioni effettuate sul libro unico del lavoro. L'articolo
39 inoltre abroga le norme relative ai libri paga e matricola, nonché la legge n. 188/1007
relativa alla procedura telematica di dimissioni da parte del lavoratore. Viene altresà reintrodotto
il lavoro intermittente (articoli da 33 a 40 del decreto legislativo n. 276/2003). All'atto
della assunzione, prima dell'inizio della attività di lavoro, i datori di lavoro pubblici
e privati, sono tenuti a consegnare ai lavoratori una copia della comunicazione anticipata
di assunzione, di cui all'articolo 9 bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510,
convertito con modificazioni nella legge 28 novembre 1996, n. 608, e successive modificazioni,
adempiendo, in tal modo, anche alla comunicazione di cui al decreto legislativo
26 maggio 1997, n. 152. L'obbligo si intende assolto nel caso in cui il datore di lavoro consegni
al lavoratore, prima dell'inizio della attività lavorativa, copia del contratto individuale
di lavoro che contenga anche tutte le informazioni previste dal decreto legislativo
26 maggio 1997, n. 152. Tale obbligo non si applica per il personale in regime di diritto
pubblico. Il comma 4 dell'articolo 40 sostituisce il comma 6 dell'articolo 9 della legge n.
68/1999, con il quale si specifica che i datori di lavoro pubblici e privati, sono tenuti ad inviare
in via telematica agli uffici competenti il prospetto informativo dal quale risultino il
numero complessivo dei lavoratori dipendenti, il numero e i nominativi dei lavoratori computabili
nella quota di riserva, nonché i posti di lavoro e le mansioni disponibili per i lavoratori
iscritti alle liste del collocamento obbligatorio. Se, rispetto all'ultimo prospetto inviato,
non avvengono cambiamenti nella situazione occupazionale tali da modificare l'obbligo
o da incidere sul computo della quota di riserva, il datore di lavoro non è tenuto ad
inviare il prospetto. L'articolo 41 modifica numerosi articoli del decreto legislativo n.
66/2003 in materia di orario di lavoro. Viene considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore
che svolga per almeno 3 ore lavoro notturno per un minimo di ottanta giorni lavorativi
all'anno. Ferma restando la durata normale dell'orario settimanale, il lavoratore
ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore. Il riposo giornaliero deve
essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro
frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità . Il lavoratore ha diritto ogni
sette giorni a un periodo di riposo di almeno ventiquattro ore consecutive, di regola in
coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero di cui all'articolo
7 il suddetto periodo di riposo consecutivo è calcolato come media in un periodo non
superiore a 14 giorni. Le disposizioni relative al riposo giornaliero, alle pause, al lavoro
notturno e alla durata massima settimanale possono essere derogate dalla contrattazione
collettiva territoriale o aziendale solo qualora non siano già state trattate a livello di
contrattazione collettiva nazionale. Le norme relative alla durata massimo dell'orario di lavoro
e al riposo giornaliero non viene applicato, al personale delle aree dirigenziali degli
Enti e delle Aziende del Servizio sanitario nazionale. Sarà la contrattazione collettiva che
definirà le modalità atte a garantire ai dirigenti condizioni di lavoro che consentano una
protezione appropriata ed il pieno recupero delle energie psicofisiche. È abrogato il comma
5, dell'articolo 4, del decreto legislativo n. 66/2003 che prevedeva l'obbligo, in caso
di superamento delle 48 ore di lavoro settimanale attraverso prestazioni di lavoro straordinario
e solo per il datore di lavoro che avesse avuto unità produttive che occupavano
più di dieci dipendenti, di informare, alla scadenza del periodo di riferimento, la Direzione
provinciale del lavoro ' Settore ispezione del lavoro competente per territorio. Inoltre è abrogato
il comma 2 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 66/2003 che prevedeva l'obbligo
in capo al datore di lavoro di informare per iscritto i servizi ispettivi della Direzione
provinciale del lavoro competente per territorio, con periodicità annuale, della esecuzione
di lavoro notturno svolto in modo continuativo o compreso in regolari turni periodici.
In caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro,
di riposo giornaliero e settimanale non può essere adottato da parte degli organi di vigilanza
del ministero del Lavoro il provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale.
Per i processi di lavoro instaurati a far tempo dall'entrata in vigore del decreto-legge,
il giudice, esaurita la discussione orale e udite le conclusioni delle parti, pronuncia
sentenza con cui definisce il giudizio dando lettura del dispositivo e della esposizione delle
ragioni di fatto e di diritto della decisione. In caso di particolare complessità della controversia,
il giudice fissa nel dispositivo un termine, non superiore a sessanta giorni, per
il deposito della sentenza. L'articolo 71 dispone in materia di assenze per malattia dei dipendenti
pubblici: a) per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti
delle pubbliche amministrazioni nei primi dieci giorni di assenza è corrisposto il trattamento
economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque
denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento
accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai
contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute
ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day
hospital, nonché per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita.
Nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e,
in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata
esclusivamente mediante presentazione di certificazione medica rilasciata da struttura
sanitaria pubblica; b) l'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza
della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto
delle esigenze funzionali e organizzative. Le fasce orarie di reperibilità del lavoratore,
entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, è dalle ore 8.00 alle
ore 13.00 e dalle ore 14 alle ore 20.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi;
c) le assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici non sono equiparate alla
presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione
integrativa; d) tali disposizioni non sono derogabili dalla contrattazione collettiva. L'articolo
72 dispone che: «Per gli anni 2009, 2010 e 2011 il personale in servizio presso le amministrazioni
dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, può chiedere di essere esonerato
dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione della anzianità
massima contributiva di 40 anni. La richiesta di esonero dal servizio deve essere
presentata dai soggetti interessati, improrogabilmente, entro il 1° marzo di ciascun anno
a condizione che entro l'anno solare raggiungano il requisito minimo di anzianità contributivo
richiesto e non è revocabile. La disposizione non si applica al personale della Scuola.
È data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze funzionali, di accogliere
la richiesta dando priorità al personale interessato da processi di riorganizzazione
della rete centrale e periferica o di razionalizzazione o appartenente a qualifiche di personale
per le quali è prevista una riduzione di organico. Durante il periodo di esonero dal
servizio al dipendente spetta un trattamento temporaneo pari al cinquanta per cento di
quello complessivamente goduto, per competenze fisse ed accessorie, al momento del
collocamento nella nuova posizione. Ove durante tale periodo il dipendente svolga in modo
continuativo ed esclusivo attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata,
presso organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di promozione
sociale, organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i
Paesi in via di sviluppo, ed altri soggetti da individuare con decreto del ministro dell'Economia
e delle Finanze da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente
decreto, la misura del predetto trattamento economico temporaneo è elevata dal cinquanta
al settanta per cento. All'atto del collocamento a riposo per raggiunti limiti di età
il dipendente ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza che sarebbe spettato se
fosse rimasto in servizio. Il trattamento economico temporaneo spettante durante il periodo
di esonero dal servizio è cumulabile con altri redditi derivanti da prestazioni lavorative
rese dal dipendente come lavoratore autonomo o per collaborazioni e consulenze con
soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche o società e consorzi dalle stesse partecipati.
In ogni caso non è consentito l'esercizio di prestazioni lavorative da cui possa derivare
un pregiudizio all'amministrazione di appartenenza. Nel caso di compimento dell'anzianità
massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni
possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in
materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto lavoro con un preavviso di
sei mesi. Tale disposizione non si applica a magistrati e professori universitari». L'articolo
73 dispone che la trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale
può essere concessa dalle amministrazioni pubbliche, eliminando cosà la precedente
automaticità della trasformazione.
(Gazzetta Ufficiale n. 195 del 21 agosto 2008 ' suppl. ordinario n. 196)
Autorizzazione n. 1/2008 al trattamento dei dati sensibili nei rapporti di lavoro
Il Garante ha adottato una nuova autorizzazione generale per il trattamento dei dati sensibili finalizzatoalla gestione dei rapporti di lavoro. L'autorizzazione è automaticamente
rilasciata: a) alle persone fisiche e giuridiche, alle imprese, anche sociali, agli
enti, alle associazioni e agli organismi che sono parte di un rapporto di lavoro o che utilizzano
prestazioni lavorative anche atipiche, parziali o temporanee, o che comunque
conferiscono un incarico professionale; b) ad organismi paritetici o che gestiscono osservatori
in materia di lavoro, previsti dalla normativa comunitaria, dalle leggi, dai regolamenti
o dai contratti collettivi anche aziendali. L'autorizzazione riguarda anche l'attività
svolta: dal medico competente in materia di igiene e di sicurezza del lavoro, in qualità di
libero professionista o di dipendente dei soggetti di cui alla lettera a) o di strutture convenzionate,
dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, anche territoriale e di sito
ed infine da associazioni, organizzazioni, federazioni o confederazioni rappresentative di
categorie di datori di lavoro. Il trattamento può riguardare i dati sensibili attinenti: a) a lavoratori
subordinati, anche se parti di un contratto di apprendistato, o di formazione e lavoro,
o di inserimento, o di lavoro ripartito, o di lavoro intermittente o a chiamata, ovvero
prestatori di lavoro nell'ambito di un contratto di somministrazione, o in rapporto di tirocinio,
ovvero ad associati anche in compartecipazione e, se necessario, ai relativi familiari
e conviventi; b) a consulenti e a liberi professionisti, ad agenti, rappresentanti e mandatari;
c) a soggetti che effettuano prestazioni coordinate e continuative, anche nella modalità
di lavoro a progetto, o ad altri lavoratori autonomi in rapporto di collaborazione, anche
sotto forma di prestazioni di lavoro accessorio; d) a candidati all'instaurazione dei
rapporti di lavoro di cui alle lettere precedenti; e) a persone fisiche che ricoprono cariche
sociali o altri incarichi nelle persone giuridiche, negli enti, nelle associazioni e negli organismi
di rappresentanza; f) a terzi danneggiati nell'esercizio dell'attività lavorativa o professionale
dai soggetti di cui alle precedenti lettere. Il trattamento dei dati sensibili per essere
considerato autorizzato deve essere indispensabile: a) per adempiere o per esigere
l'adempimento di specifici obblighi o per eseguire specifici compiti previsti dalla normativa
comunitaria, da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi anche aziendali, in particolare
ai fini dell'instaurazione, gestione ed estinzione del rapporto di lavoro, nonché dell'applicazione
della normativa in materia di previdenza ed assistenza anche integrativa, o
in materia di igiene e sicurezza del lavoro o della popolazione, nonché in materia fiscale,
sindacale, di tutela della salute, dell'ordine e della sicurezza pubblica; b) anche fuori dei
casi di cui alla lettera a), in conformità alla legge e per scopi determinati e legittimi, ai fini
della tenuta della contabilità o della corresponsione di stipendi, assegni, premi, altri emolumenti,
liberalità o benefici accessori; c) per perseguire finalità di salvaguardia della
vita o dell'incolumità fisica dell'interessato o di un terzo; d) per far valere o difendere un
diritto anche da parte di un terzo in sede giudiziaria, nonché in sede amministrativa o nelle
procedure di arbitrato e di conciliazione nei casi previsti dalle leggi, dalla normativa comunitaria,
dai regolamenti o dai contratti collettivi, sempre che i dati siano trattati esclusivamente
per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.
Qualora i dati siano idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, il diritto da far valere
o difendere deve essere di rango pari a quello dell'interessato, ovvero consistente in
un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile; e) per
esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi, nel rispetto di quanto stabilito
dalle leggi e dai regolamenti in materia; f) per adempiere ad obblighi derivanti da contratti
di assicurazione finalizzati alla copertura dei rischi connessi alla responsabilità del datore
di lavoro in materia di igiene e di sicurezza del lavoro e di malattie professionali o per i
danni cagionati a terzi nell'esercizio dell'attività lavorativa o professionale; g) per garantire
le pari opportunità ; h) per perseguire scopi determinati e legittimi individuati dagli
statuti di associazioni, organizzazioni, federazioni o confederazioni rappresentative di categorie
di datori di lavoro o dai contratti collettivi, in materia di assistenza sindacale ai datori
di lavoro. Il trattamento può avere per oggetto i dati strettamente pertinenti ai sopra
indicati obblighi, compiti o finalità che non possano essere adempiuti o realizzati, caso
per caso, mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa, e in
particolare: a) nell'ambito dei dati idonei a rivelare le convinzioni religiose, filosofiche o di
altro genere, ovvero l'adesione ad associazioni od organizzazioni a carattere religioso o filosofico,
i dati concernenti la fruizione di permessi e festività religiose o di servizi di mensa,
nonché la manifestazione, nei casi previsti dalla legge, dell'obiezione di coscienza; b)
nell'ambito dei dati idonei a rivelare le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati,
associazioni od organizzazioni a carattere politico o sindacale, i dati concernenti l'esercizio
di funzioni pubbliche e di incarichi politici, di attività o di incarichi sindacali (sempre
che il trattamento sia effettuato ai fini della fruizione di permessi o di periodi di aspettativa
riconosciuti dalla legge o, eventualmente, dai contratti collettivi anche aziendali), ovvero
l'organizzazione di pubbliche iniziative, nonché i dati inerenti alle trattenute per il
versamento delle quote di servizio sindacale o delle quote di iscrizione ad associazioni od
organizzazioni politiche o sindacali; c) nell'ambito dei dati idonei a rivelare lo stato di salute,
i dati raccolti e ulteriormente trattati in riferimento a invalidità , infermità , gravidanza,
puerperio o allattamento, ad infortuni, ad esposizioni a fattori di rischio, all'idoneità psicofisica
a svolgere determinate mansioni, all'appartenenza a determinate categorie protette,
nonché i dati contenuti nella certificazione sanitaria attestante lo stato di malattia,
anche professionale dell'interessato, o comunque relativi anche all'indicazione della malattia
come specifica causa di assenza del lavoratore. Il trattamento dei dati sensibili deve
essere effettuato unicamente con operazioni, nonché con logiche e mediante forme di
organizzazione dei dati strettamente indispensabili in rapporto ai sopra indicati obblighi,
compiti o finalità . I dati sono raccolti, di regola, presso l'interessato. La comunicazione di
dati all'interessato deve avvenire di regola direttamente a quest'ultimo o a un suo delegato
(fermo restando quanto previsto dall'art. 84, comma 1, del Codice), in plico chiuso o
con altro mezzo idoneo a prevenire la conoscenza da parte di soggetti non autorizzati, anche
attraverso la previsione di distanze di cortesia. Restano inoltre fermi gli obblighi di
informare l'interessato e, ove necessario, di acquisirne il consenso scritto, in conformità a
quanto previsto dagli articoli 13, 23 e 26 del Codice. I dati sensibili possono essere conservati
per un periodo non superiore a quello necessario per adempiere agli obblighi o ai
compiti di gestione del rapporto di lavoro. A tal fine, anche mediante controlli periodici,
deve essere verificata costantemente la stretta pertinenza, non eccedenza e indispensabilità
dei dati rispetto al rapporto, alla prestazione o all'incarico in corso, da instaurare o
cessati, anche con riferimento ai dati che l'interessato fornisce di propria iniziativa. I dati
che, anche a seguito delle verifiche, risultano eccedenti o non pertinenti o non indispensabili
non possono essere utilizzati, salvo che per l'eventuale conservazione, a norma di
legge, dell'atto o del documento che li contiene. I dati sensibili possono essere comunicati
e, ove necessario, diffusi nei limiti strettamente pertinenti agli obblighi, ai compiti o
alle finalità di gestione del rapporto, a soggetti pubblici o privati, ivi compresi organismi
sanitari, casse e fondi di previdenza ed assistenza sanitaria integrativa anche aziendale,
istituti di patronato e di assistenza sociale, centri di assistenza fiscale, agenzie per il lavoro,
associazioni ed organizzazioni sindacali di datori di lavoro e di prestatori di lavoro,
liberi professionisti, società esterne titolari di un autonomo trattamento di dati e familiari
dell'interessato. Ai sensi dell'art. 26, comma 5, del Codice, i dati idonei a rivelare lo stato
di salute non possono essere diffusi. Restano comunque fermi gli obblighi previsti da norme
di legge o di regolamento, ovvero dalla normativa comunitaria, che stabiliscono divieti
o limiti in materia di trattamento di dati personali e, in particolare, dalle disposizioni contenute:
a) nell'art. 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che vieta al datore di lavoro ai fini dell'assunzione
e nello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini,
anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore,
nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore;
b) nell'art. 6 della legge 5 giugno 1990, n. 135, che vieta ai datori di lavoro lo svolgimento di indagini
volte ad accertare, nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione
di un rapporto di lavoro, l'esistenza di uno stato di sieropositività ;
c) nelle norme in materia di pari opportunità o volte a prevenire discriminazioni;
d) fermo restando quanto disposto dall'art. 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300,
nell'art. 10 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che vieta alle agenzie
per il lavoro e agli altri soggetti privati autorizzati o accreditati di effettuare
qualsivoglia indagine o comunque trattamento
di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle
convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso,
all'orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età ,
all'handicap, alla razza, all'origine etnica, al colore, alla ascendenza, all'origine nazionale,
al gruppo linguistico, allo stato di salute e ad eventuali controversie con i precedenti datori
di lavoro, nonché di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente
attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.
Sciopero tassisti: le società cooperative sono assimilate alle associazioni di rappresentanza categoriale ai fini sanzionatori
La Commmissione ha sanzionato le cooperative di tassisti che hanno promosso l'immediata sospensione dal servizio nella città di Romae l'assembramento nel centro cittadino il 28 novembre 2007 quale iniziativa di protesta
a seguito della interruzione delle trattative in corso presso il Comune di Roma per la definizione
di problematiche di carattere sindacale. La Commissione ha ribadito che ai sensi dell'art. 2-bis,
legge n. 146/1990, come modificata dalla legge n. 83/2000, di essere legittimata a intervenire in
presenza di astensioni collettive dalle prestazioni poste in essere da lavoratori autonomi,
professionisti o piccoli imprenditori a fini di protesta o di rivendicazione di categoria, che
incidano sulla funzionalità di servizi pubblici essenziali, laddove attuate in violazione di
legge ovvero della disciplina di settore. In base alle notizie acquisite dalla Commissione,
è risultato pacifico che il concentramento di tassisti in piazza del Campidoglio e in piazza
Venezia, indipendentemente dalla qualificazione di «assemblea», ha comportato di per sé
una interruzione senza preavviso del servizio taxi nella città di Roma; ad avviso della Commissione
detta interruzione del servizio, anche in quanto direttamente collegata alla rottura
delle trattative sindacali in corso con il Comune di Roma, è senz'altro da considerarsi
«astensione collettiva dalle prestazioni ai fini di protesta o rivendicazione di categoria»,
secondo la dizione dell'art. 2-bis legge n. 146/1990. Sono inoltre state ritenute provate le
violazioni dell'obbligo di preavviso di 10 giorni, dell'obbligo della preventiva comunicazione
delle modalità di articolazione dell'astensione al Sindaco del comune interessato, e
dell'obbligo di durata massima della prima astensione, che non può superare le 24 ore articolate
all'interno dei turni di servizio. La Commissione ha disatteso la difesa dei legali
rappresentanti delle cooperative secondo cui le rispettive società non hanno titolo per essere
considerate soggetti passivi nel presente procedimento, in quanto ' quali società
cooperative fornitrici ai propri soci di servizio radiotaxi ' non appartengono ad alcuna delle
figure giuridiche indicate dall'art. 4, comma 4-quater, della legge n. 146/1990, come
modificata dalla legge n. 83/2000, non essendo né una «organizzazione sindacale», né una
«pubblica amministrazione», né una «associazione o organismo di rappresentanza dei
lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori». La Commissione ha invece ritenuto
che l'istruttoria abbia consentito di accertare che, al di là delle qualificazioni formali,
dette cooperative ben possono essere assimilate ad associazioni e/o organismi di
rappresentanza dei tassisti romani, atteso che hanno partecipato ufficialmente, insieme
ad altre sigle sindacali e/o associative, alle trattative con il Comune di Roma relative al numero
delle nuove licenze e all'aumento delle tariffe.
Nozione di «lavoratore» – Organizzazione non governativa di pubblica utilità – Borsa di dottorato – Contratto di lavoro
Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro - Discriminazione diretta fondata sulla disabilità
La direttiva n. 2000/78/Ce, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoroe, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1 e 2, lett. a), devono essere interpretati
nel senso che i divieti di discriminazione diretta e di molestie ivi previsti non sono limitati
alle sole persone che siano esse stesse disabili. Qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore,
che non sia esso stesso disabile, in modo meno favorevole rispetto al modo in cui è, è stato
o sarebbe trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia provato che il trattamento
sfavorevole di cui tale lavoratore è vittima è causato dalla disabilità del figlio, al quale presta la
parte essenziale delle cure di cui quest'ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il
divieto di discriminazione diretta enunciato al detto art. 2, n. 2, lett. a). Parimenti, qualora
sia accertato che il comportamento indesiderato integrante le molestie del quale è vittima
un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, è connesso alla disabilità del figlio,
al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest'ultimo ha bisogno, un siffatto
comportamento viola il divieto di molestie enunciato al detto art. 2, n. 3.
Tutela cautelare - Lavoratore disabile – Recesso per mancato superamento del periodo di prova – Illegittimità
Lavoro pubblico - Tutela cautelare – Sanzione disciplinare di sospensione dal servizio e dalla retribuzione
Nullità contratto a termine di pubblico impiego - Conversione in rapporto a tempo indeterminato - Inapplicabilità
A seguito di licenziamento, un medico farmacista conveniva in giudizio la Asl di Chieti per ottenere la reintegra nel posto di lavoro,previa conversione del rapporto di lavoro a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Il giudice del lavoro adito, nel rigettare il ricorso, ha ribadito il principio secondo cui nel pubblico impiego
non può convertirsi un rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
La pronuncia ha quindi confermato l'orientamento consolidatosi in materia anche alla luce
del disposto dell'art. 36 d.lgs. n. 165/2001 il quale esclude che la violazione di disposizioni
imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte della p.a. possa
comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. In riferimento
al recesso della p.a. dal rapporto instaurato con il dirigente di ente pubblico, dato il particolare
modo di configurarsi del rapporto di lavoro dirigenziale, il Tribunale di Chieti ha ritenuto,
ai fini della giustificatezza del recesso, che ben può rilevare qualsiasi motivo purchè
costituente la base di una decisione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano
del diritto, i quali ' secondo il giudice del lavoro ' non richiedono l'analitica verifica di
specifiche condizioni, ma una globale valutazione che eslcuda l'arbitrarietà del recesso.
Il dirigente apicale licenziato per ritorsione ha diritto alla reintegrazione
F. F. top manager dell'Eni Spa è stato privato, nel maggio del 2000, dell'incarico di direttore del personale e dell'organizzazione,posizione fra le più elevate del gruppo. Essendo stato destinato ad incarichi di minor rilievo
presso società controllate, egli ha promosso nel luglio del 2005 davanti al Tribunale di Roma,
un giudizio diretto ad ottenere la condanna dell'Eni a restituirgli le mansioni di top manager
e a risarcirgli i danni da demansionamento; in particolare egli ha fatto presente di essere stato
escluso, per effetto della dequalificazione, dagli aumenti di retribuzione conseguiti
dai top managers del gruppo. Ricevuta la notifica del ricorso, l'Eni ha licenziato il dirigente
in tronco, sostenendo che il contenuto dell'atto giudiziario era caratterizzato da
apprezzamenti negativi sull'organizzazione del gruppo, tali da far venir meno il rapporto
fiduciario e determinava inoltre l'impossibilità di mantenerlo in servizio. F. F. ha impugnato
il licenziamento con un secondo ricorso al Tribunale di Roma, sostenendo, tra
l'altro, che il provvedimento doveva ritenersi nullo perché viziato da motivo illecito, avendo
natura ritorsiva. Riunite le cause e sentiti alcuni testi, il Tribunale di Roma ha dichiarato
nullo il licenziamento, ha ordinato la reintegrazione del ricorrente nel posto di
lavoro di direttore del personale e organizzazione ovvero in altro posto che comporti l'esercizio
di mansioni equivalenti, ed ha condannato l'Eni a corrispondere al dirigente, a
titolo di risarcimento del danno conseguente al licenziamento nullo, la retribuzione relativa
al periodo successivo al recesso. Il Tribunale ha inoltre condannato l'Eni al risarcimento
del danno patrimoniale da demansionamento per la perdita di possibilità di
maggiori guadagni. Il Tribunale ha ricordato la giurisprudenza della Suprema Corte secondo
cui la ritorsione ad un'azione giudiziaria costituisce motivo illecito che comporta
la nullità degli atti da esso viziati in quanto essa non è altro che una forma di vendetta
aggravata dal fatto di dirigersi contro l'utilizzazione di uno strumento che l'ordinamento
appresta ai propri consociati per la risoluzione pacifica delle loro contese. Il Tribunale
ha anche affermato l'applicabilità dell'art. 18 Stat. lav. nonostante la posizione di dirigente
apicale rivestita da F. F. Secondo le stesse disposizioni dell'art. 3 della legge 11
marzo 1990 n. 108 ' ha rilevato il Tribunale ' la tutela reale in caso di licenziamento discriminatorio
si applica comunque, non solo a prescindere dal c.d. requisito dimensionale
ma anche ai dirigenti.
Fondi pensionistici – Diritto di opzione dei lavoratori – Obbligo di informazione del datore di lavoro
Inclusione di indennità continuative nel tfr e nell'indennità di buonuscita degli autoferrotranivieri
La questione da dirimere risiedeva nello stabilire se gli importi mensilmente corrisposti nel tempo agli appellati,a far data dal 31 maggio 1982, a titolo di lavoro straordinario,
indennità di mancato riposo, indennità per feste lavorate e indennità sostitutiva
di ferie dovessero essere inclusi nella retribuzione annua ai fini del calcolo del Tfr,
ai sensi dell'art. 2120 cod. civ. Sul punto, osserva la Corte, la giurisprudenza di legittimità
è costante nel ritenere che se la prestazione di lavoro non è occasionale, la relativa retribuzione
debba essere compresa nel Tfr, salvo che la contrattazione collettiva apporti una
eccezione a tale regola in modo chiaro ed univoco. La generale applicabilità dell'art. 2120
cod. civ. a qualsiasi rapporto di lavoro, anche se originariamente regolamentato da discipline
speciali, è affermata in maniera piena e assoluta dall'art. 4, comma 9, legge n.
297/1982, che espressamente dispone l'abrogazione di tutte le altre norme di legge o aventi
forza di legge che disciplinano le forme di indennità di anzianità , di fine rapporto, di
buonuscita, comunque denominate. Il successivo comma precisa che «sono nulle e vengono
sostituite di diritto dalle norme della presente legge tutte le clausole dei contratti
collettivi regolanti la materia del Trattamento di fine rapporto». A fronte della tesi dell'appellante,
secondo cui la nozione di retribuzione da assumere a base del computo del Tfr
dovrebbe essere quella definita dai contratti collettivi nazionali di settore (nella specie art.
6 lett. c Ccnl autoferrotranvieri 23 luglio 1976 e succ. modd.), non comprensiva delle indennità
di cui sopra, il Collegio rileva, in ciò concordando col primo giudice, che le disposizioni
contrattuali anteriori al 31 maggio 1982, definenti la nozione di retribuzione normale,
non possono avere alcuna efficacia derogatoria rispetto alla disciplina dettata dalla
legge n. 297/1982, dato che le deroghe possono essere soltanto successive e non anteriori
ad essa. Per le prime vale il principio di cui all'art. 1 comma 2 legge n. 297/1982
(«salvo diversa previsione dei contratti collettivi»), mentre per le seconde vale la clausola
di salvaguardia citata, di cui all'art. 4 della medesima legge. Precisa la Corte territoriale
che i contratti collettivi successivi, che a norma dell'art. 2120 cod. civ., comma 2, novellato,
potrebbero derogare al principio di onnicomprensività , sono soltanto quelli che esplicitamente
lo prevedono, e non già quelli che richiamano contratti collettivi previgenti. Esclude
inoltre il Collegio che la legge 297/1982 possa aver operato, in forza degli artt. 1423
e 1424 cod. civ. , una convalida o una conversione delle nullità dei previgenti contratti collettivi,
che derogavano all'onnicomprensività in virtù del comma 2 dell'art. 2120 cod. civ.
il quale, a seguito della novella, non prevede più tale nullità . Tale legge infatti non consente
la convalida ma anzi, ai commi 11 e 12 dell'art. 4, ha previsto una esplicita sostituzione
delle clausole dei precedenti contratti collettivi, di cui ha dichiarato la nullità , riconfermandola,
perciò, nelle ipotesi (come quella della deroga al principio di onnicomprensività )
in cui essa era prevista in precedenza. Osserva poi il Collegio che in sede di contrattazione
collettiva la rinuncia dei rappresentanti dei lavoratori ad avvalersi di una nullità
prevista dalla legge in loro favore non può essere implicitamente desunta mediante il generico
richiamo a clausole di contratti collettivi previgenti, ma soltanto in maniera esplicita,
con pedissequa riformulazione delle clausole nulle richiamate e con l'esplicita menzione
della conoscenza della loro nullità . Il Tribunale aveva attribuito natura contrattuale
all'indennità di buonuscita degli agenti cessati dal servizio con diritto a pensione, ai sensi
dell'art. 24 Ccnl 1976 e sulla scorta di un risalente orientamento della giurisprudenza
fiorentina; ciò in forza del generale rinvio alla contrattazione collettiva di cui all'art. 1 r.d.
n. 148/1931, con la conseguenza che la contrattazione collettiva del settore autoferrotranviario
ben avrebbe potuto escludere alcune indennità dalla base di calcolo di essa.
A fondamento di una simile opzione ermeneutica il primo giudice richiamava la sentenza
n. 18/1974 della Corte costituzionale, che ha ritenuto non contrario ai principi costituzionali
il generale rinvio dell'art. 1 r.d. n. 148/1931 alla contrattazione collettiva, al pari della successiva
sentenza n. 124/1975. Non concorda con tale orientamento il giudice di appello,
il quale, fondandosi sui successivi sviluppi della giurisprudenza di legittimità , anche con riguardo
al regime anteriore all'entrata in vigore della legge n. 297/1982, ha fissato il carattere
imperativo delle norme di cui agli artt. 2120 e 2121 cod. civ. , che, anche nello specifico
settore autoferrotranviario, non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva,
con conseguente nullità di tutte le clausole ' in particolare del Ccnl 1981 ' che escludevano
dalla base di computo dell'indennità di buonuscita una serie di emolumenti
che avevano un indubbio carattere fisso e continuativo di erogazione
(come l'Edr, l'indennità di turno, l'indennità di presenza).
Licenziamento disciplinare – Accusa di aver apposto una croce sulla fotografia del legale rappresentante della società
Per i licenziamenti dovuti a motivi sindacali le OO.SS. possono agire per la reintegra dei lavoratori anche se decaduti
Le segreterie provinciali di alcune organizzazioni sindacali,ritenendo che alcuni lavoratori che non avevano impugnato tempestivamente i licenziamenti
loro intimati, avessero perso il posto di lavoro a causa del loro impegno sindacale adivano con ricorso
ex art. 28 legge 300/70 il locale magistrato al fine di vedere reintegrati i dipendenti. I locali
giudici di merito accoglievano la domanda delle organizzazioni sindacali rigettando il rilievo
della società che contestava sia la legittimazione delle Oo.Ss. che la fondatezza della
richiesta atteso che i singoli lavoratori erano stati dichiarati decaduti per inerzia nell'impugnativa.
La Corte di cassazione, premessa la pacifica nullità del licenziamento determinato
per motivi sindacali, nonché la plurioffensività della condotta per la sua idoneità
a ledere anche l'interesse collettivo alla libertà e all'attività sindacale ha confermato
la decisione del giudice di appello. La Suprema Corte ha quindi affermato la perseguibilità
da parte del sindacato attraverso la procedura di cui all'art. 28 dello Statuto dei lavoratori,
anche qualora risulti inapplicabile l'istituto della reintegra, poiché la rimozione e
la cessazione degli effetti della condotta antisindacale integrata dal licenziamento discriminatorio
in questione sono ottenibili, pur nell'inerzia del lavoratore interessato, attraverso
l'accertamento della nullità del provvedimento espulsivo datoriale e quindi della
persistente validità ed efficacia del rapporto.
Il lavoratore è tenuto a risarcire del danno cagionato ai beni aziendali assegnategli anche se estranei alle proprie mansioni
Un'azienda conveniva innanzi al Tribunale di Trento un lavoratore che nel corso della propria prestazione lavorativaaveva danneggiato un veicolo di proprietà della ditta allorché veniva addetto,
in violazione della propria funzione, alla consegna di materiali.
La Corte di appello di Trento, nell'accogliere il gravame della società condannava il
dipendente a risarcire il danno ritenendo che la guida di un veicolo non richiedeva uno
specifico addestramento. La Corte di cassazione nel respingere il ricorso di legittimità del
lavoratore ha affermato che allorché la prestazione lavorativa è da eseguire con un bene
affidato dal datore di lavoro, il lavoratore è tenuto ad utilizzare il bene con una ordinaria
diligenza. Il danno causato al bene aziendale è di per sé un inadempimento ed il lavoratore
ha l'onere di provare la negazione dell'inadempimento dimostrando di avere utilizzato
il bene con la prescritta diligenza. La valutazione di questa diligenza deve essere effettuata
tenuto conto della natura e degli aspetti della prestazione. L'assegnazione ad un ruolo
diverso da quello per il quale è stato assunto non costituisce elemento che esclude
il profilo della responsabilità atteso che la disposizione dell'art. 2103 cod. civ. è diretta a
tutelare il lavoratore nella conservazione delle mansioni, non a limitare od escludere la diligenza
cui il lavoratore è obbligato nello svolgimento delle sue attività . La violazione di
tale disposizione non esclude, quindi, di per sé, l'obbligo del lavoratore di svolgere le sue
mansioni con la diligenza normativamente richiesta. Tale obbligo ' conclude la Cassazione
' è limitato solo nella misura in cui la diligenza necessaria si estenda in uno spazio esterno
al terreno della prestazione dovuta ed in tale ottica il lavoratore deve provare di avere
agito con la diligenza richiesta e, in questo ambito, di non avere capacità ed esperienza
adeguate.
Il semplice carattere pretestuoso di un licenziamento di un dirigente non costituisce licenziamento ingiurioso
Un dirigente di una distilleria veniva licenziato sulla base di una serie di contestazioni accertate dai locali giudici di merito come del tutto pretestuose.Ritenuta l'ingiustificatezza del licenziamento la Corte di appello di Torino nell'accogliere parzialmente
il gravame della società riduceva l'indennità riconosciuta al dirigente dal giudice
di primo grado respingendo il profilo dell'appello incidentale riferito al mancato accoglimento
della pretesa risarcitoria per licenziamento ingiurioso. La Corte di cassazione nel
respingere il motivo di gravame contenuto nel ricorso incidentale del dirigente ha confermato
la statuizione della Corte di appello affermando che il carattere ingiurioso del recesso
va rigorosamente provato e deriva unicamente dalla forma ingiuriosa in cui esso viene
espresso o dalla pubblicità o da altre modalità lesive con cui viene adottato. Unicamente
in quanto originato da tali circostanze ' conclude la Cassazione ' il danno da licenziamento
ingiurioso eccede, infatti, quello risarcibile a seguito di licenziamento ingiustificato
alla stregua della normativa legale e contrattuale. La mera pretestuosità del licenziamento
risolvendosi in una ingiustificatezza del licenziamento non configura l'ulteriore
danno che scaturisce da una forma ingiuriosa.
Un quadro ha diritto a percepire compensi per una attività svolta ed estranea alla sua funzione
Un lavoratore impiegato con la qualifica di quadro alle dipendenze di una azienda rivenditrice di automobilicon la funzione di assistente alle vendite adiva il magistrato del lavoro
di Roma lamentando di essere stato utilizzato nel corso dei fine settimana
in eventi promozionali organizzati in occasione di manifestazioni sportive senza fruire
di riposi compensativi. La domanda di pagamento per l'attività svolta veniva accolta in primo
grado e ridotta in sede di appello sul rilievo che nulla era dovuto in ragione della qualifica
di quadro per i periodo di lavoro svolto durante i sabati mentre la maggiorazione retributiva
era dovuta in occasione di lavoro svolto nelle domeniche. Il lavoratore impugnava
la decisione innanzi alla Suprema Corte affermando che i compensi di quadro non potevano
ricomprendere anche attività del tutto estranee alla qualifica alle quali era stato
assegnato durante i fine settimana. La Corte di cassazione ritenendo che la mansione di
promozione fosse estranea a quella di assistenza alla vendita ha quindi ritenuto, cassando
sul punto la decisione della locale Corte di appello, che tali prestazioni lavorative dovessero
essere adeguatamente retribuite risultando estranee a quelle compensate con la
qualifica di quadro.
Contratto a termine nel settore televisivo
Un lavoratore dopo essere stato assunto sulla base di otto contratti a termine per lo svolgimento di attività nell'ambito di specifici programmi radiofonici e televisivi adiva
il giudice del lavoro di Roma al fine di vedere accertata la nullità del termine apposto
ai propri contratti di lavoro e vedere ripristinato il rapporto. La Corte di appello di
Roma nel confermare la decisione del giudice di primo grado disponeva il ripristino del
rapporto. Nel respingere il ricorso dell'ente radiotelevisivo la Suprema Corte ha stabilito
che per essere valida una clausola limitativa del termine il lavoratore deve fornire alla trasmissione
un contributo o un apporto individuale che non sia di carattere generico ma che
al contrario conferisca una «impronta distintiva e di personale significato al prodotto radiotelevisivo
» che non può essere garantita dal personale assunto stabilmente in azienda.
La Suprema Corte ha quindi affermato che quando un dipendente è assunto con una
mansione generica non è consentito l'impiego dell'assunzione a termine «se non attraverso
la convergente dimostrazione del vincolo di necessarietà diretta. Il semplice richiamo
ad un programma non costituisce, pertanto, sufficiente requisito di validità di un termine
apposto al contratto di lavoro di un addetto. Il requisito della specificità invece, comporta
che il programma deve essere caratterizzato anche dalla atipicità o singolarità rispetto
ad ogni altra trasmissione normalmente e correntemente organizzata dall'azienda
nell'ambito della propria programmazione. I due requisiti della specificità del programma
e della particolarità dell'apporto del lavoratore si integrano necessariamente al fine di rendere
valida la clausola di limitazione temporale.
Il datore di lavoro è tenuto a controllare l’uso dei dispositivi di sicurezza da parte dei propri dipendenti
Stranieri inabili civili e carta di soggiorno
Il Tribunale di Prato ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionaledel combinato disposto dell'art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000,
n. 388 e dell'art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998,
n. 286, come modificato dall'art. 9, comma 1 della legge 30 luglio 2002, n. 189,
in relazione all'art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118, e alla legge 11 febbraio 1980, n.
18, per violazione degli articoli 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 14 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu)
e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, nonché degli articoli 2 e 3 della
Costituzione, nella parte in cui tale complesso normativo prevede la necessità del possesso
della carta di soggiorno e della relativa condizione reddituale affinché gli stranieri inabili
civili possano fruire della pensione di inabilità e dell'assegno di accompagnamento,
in modo del tutto irragionevole la normativa censurata, vincolando la concessione dell'indennità
di accompagnamento in favore di uno straniero al possesso della carta di soggiorno
(rilasciabile solo se lo straniero riesca a dimostrare redditi non inferiori all'assegno
sociale), pone una irrazionale disparità di trattamento rispetto ai cittadini italiani presentanti
i requisiti sanitari necessari, per i quali l'assegno in questione viene riconosciuto a
prescindere dal reddito dagli stessi goduti, atteso che la ratio della normativa assistenziale
in questione é quella di assicurare un contributo forfetario alle spese che verosimilmente
l'invalido sostiene a causa della sua minorazione, e ciò a prescindere dalla situazione
reddituale dello stesso e della sua famiglia. Peraltro, stante la tipologia di minorazioni
che può costituire requisito sanitario sia per la pensione di inabilità (100% di invalidità )
che per l'indennità di accompagnamento (impossibilità di deambulare o di compiere
senza l'assistenza continua di terzi gli atti quotidiani della vita), certamente uno straniero
invalido, non essendo in grado di lavorare a causa delle proprie condizioni fisiche,
non potrà neppure produrre il reddito necessario per poter ottenere il rilascio della carta
di soggiorno, con conseguente concreta impossibilità di poter fruire delle previdenze in
questione e consequenziale ingiustificata abolizione.
Assegno sociale e rendita Inail
Per determinare il limite reddituale rilevante ai fini della concessione dell'assegno socialesi deve tener conto della rendita Inail percepita dal coniuge del beneficiario.
La Corte d'appello di Torino sosteneva che la disposizione censurata si pone in contrasto
con l'art. 3 Cost. poiché, a parità di risorse patrimoniali e di grado di inabilità , riserva
un trattamento deteriore al titolare di rendita Inail con moglie a carico rispetto al titolare
della suddetta rendita senza moglie a carico, essendo il primo obbligato a destinare
al mantenimento del coniuge risorse che il secondo può, invece, riservare alla funzione,
prevista dalla legge, di compensare il proprio stato di inabilità al lavoro. Ciò comporterebbe
anche la violazione dell'art. 38 Cost., dato che, conseguentemente, la rendita in argomento
non sarebbe più utilizzata, almeno in parte, per fornire al soggetto inabile al lavoro
i mezzi necessari per vivere. A questi argomenti la Corte costituzionale ha ribattuto
che la rendita Inail trova il proprio fondamento in particolari fattispecie e nei bisogni da
queste sorti per l'inabilità al lavoro derivatane; in seguito, però, come le altre prestazioni
previdenziali, può avere la destinazione che il titolare vuole o deve darle, anche in adempimento
di doveri familiari, a seconda della concreta situazione che, in presenza di una
condizione di non inabilità , sarebbero soddisfatti con i corrispettivi dell'attività lavorativa.
Del resto, in più occasioni la Corte costituzionale ha affermato che il legislatore ' sul presupposto
che «a determinati e comuni bisogni di vita possa essere data soddisfazione con
le risorse del coniuge, nel contesto della solidarietà familiare» ' può, nel prevedere interventi
di tipo previdenziale o assistenziale, far riferimento ai redditi del coniuge dell'interessato,
purché l'importo dei redditi cumulati preso in considerazione ai fini dell'esclusione
sia adeguatamente superiore a quello dei redditi propri del soggetto (sentenze n. 127
del 1997 e n. 395 del 1999, nonché ordinanza n. 204 del 1998). E ciò accade nel caso di
specie, visto che l'art. 3, comma 6, di cui si discute, stabilisce che «se il soggetto possiede
redditi propri l'assegno è attribuito in misura ridotta fino alla concorrenza» dell'importo
stabilito, se il soggetto non è coniugato, «ovvero fino al doppio del predetto importo»,
nel caso di soggetto coniugato.
Contributi per tecnici laureati
È illegittimo non riconoscere ai ricercatori universitari, all'atto della loro immissione nella fascia dei ricercatori confermati,l'attività effettivamente prestata nelle università in qualità di tecnici laureati con almeno tre anni
di attività di ricerca (per intero ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza e per i due terzi ai
fini della carriera). La declaratoria di illegittimità trova fondamento soprattutto nel fatto
che, al contrario che per i ricercatori, a favore dei professori ordinari e associati la
legge attribuisce valore pensionistico ai periodi svolti come tecnici laureati. Non resta
quindi che parificare le situazioni poste a raffronto sul presupposto dell'identità ordinamentale
sottesa alla figura dei tecnici di laboratorio.
Prescrizione dei ratei di pensioni pubbliche
Prescrizione di cinque anni anche per le rate di pensioni pubbliche non liquidateed inesigibili.La Corte costituzionale ha rigettato quindi la questione dell'art. 2 del r.d.l. 19 gennaio 1939, n. 295, come sostituito dall'art. 2, comma 4, della legge 7 agosto 1985,n. 428, nella parte in cui assoggetta a prescrizione quinquennale non solo i ratei di pensione liquidi ed esigibili ma anche i ratei di pensione non ancora liquidi ed esigibili e, quindi, non ancora ammessi a pagamento. La Corte, dopo aver ricordato che, ad eccezione delle pensioni di guerra (in ragione della loro specifica natura risarcitoria e non previdenziale), il diritto a pensione dei pubblici dipendenti è imprescrittibile e, quindi, può essere fatto valere in ogni tempo, ha sottolineato che non può considerarsi un omogeneo termine di paragone la disciplina della prescrizione delle pensioni erogate dall'Inps, perché si tratta di regimi previdenziali diversi e in particolare il regime pensionistico dei dipendentistatali prevede regole proprie in riferimento non solo alla liquidazione della pensione, ma anche alla stessa decorrenza della prescrizione della pensione, la quale, in ogni caso, non opera mai prima del giorno in cui il relativo provvedimento di liquidazione sia portato aconoscenza dell'interessato (art. 143 del d.P.R. 1092 del 1973). Non può, dunque, il raffronto tra regimi previdenziali diversi valere, di per sé, a dimostrare la lesione del principio di eguaglianza. Infine, in materia di fissazione del termine di prescrizione dei singolidiritti ' prosegue la Corte ' il legislatore gode di ampia discrezionalità , con l'unico limitedell'eventuale irragionevolezza, qualora «esso venga determinato in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce, e di conseguenza inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso»; limite che non risulta violato dalla normadi cui al denunciato art. 2, in quanto essa prevede un termine prescrizionale di cinque anni, che non può reputarsi incongruo rispetto ai suddetti fini.