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4 / 2010
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Non è costituzionalmente illegittima la esclusione del padre libero professionista dalla indennità di maternità La Cassazione e gli ambiti di repEchage per un'azienda operante anche all'estero Giusta causa e giustificato motivo oggettivo avanti il Tribunale di Modena
L’azienda può legittimamente rifiutare l’assunzione di un lavoratore avviato al lavoro che non risponde al profilo professi
Non spetta la maternità al padre libero professionista
Non è illegittimo escludere il diritto del padre libero professionista di percepire, in alternativa alla madre biologica, l'indennità di maternità .È quanto ha stabilito la Corte Costituzionale rigettando la questione sottoposta dalle Corti d'Appello di Firenze e Venezia. In particolare, ad avviso della Corte d'Appello di Firenze la mancata possibilità per il padre libero professionista di usufruire dell'indennità di cui all'art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, in alternativa alla madre, porrebbe in essere una disparità di trattamento fra i genitori, con conseguente limitazione della tutela del preminente interesse del minore. Nel dichiarare infondata la questione, la Corte Costituzionale ha affermato che da un esame della legislazione e della giurisprudenza si evince che l'uguaglianza tra i genitori è riferita a istituti in cui l'interesse del minore riveste carattere assoluto o, comunque, preminente, e, quindi, rispetto al quale le posizioni del padre e della madre risultano del tutto fungibili tanto da giustificare identiche discipline. Diversamente, le norme poste direttamente a protezione della filiazione biologica, oltre a essere finalizzate alla protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della salute della madre nel periodo anteriore e successivo al parto, risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione di quest'ultima non è assimilabile a quella del padre. Proprio per queste ragioni, e contrariamente a quanto sostenuto dai rimettenti, la posizione del padre naturale non è assimilabile a quella della madre, potendo il primo godere del periodo di astensione dal lavoro e della relativa indennità solo in casi eccezionali e ciò proprio in ragione della diversa posizione che il padre e la madre rivestono in relazione alla filiazione biologica. Insomma, in questo caso non si ha a che fare con la fattispecie decisa con la sentenza Corte Cost. n. 1 del 1987 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 7 della legge n. 903 del 1977 nella parte in cui non prevedeva che il diritto all'astensione dal lavoro, riconosciuto alla sola madre lavoratrice, fosse attribuito anche al padre lavoratore ove l'assistenza della madre al minore fosse divenuta impossibile per decesso o grave infermità .
Non viola il diritto di difesa l’introduzione in sede di giudizio di circostanze che specificano e integrano l'addebito
requisiti per l’avvio della procedura di mobilità a seguito di una Cigs sono diversi da un accesso diretto
Termine decadenziale per assegno Inail ai superstiti
È illegittimo sottoporre al termine decadenziale di 180 giorni dal decesso dell'assicurato l'attribuzione,in favore del coniuge e dei figli superstiti di titolari di rendita per inabilità permanente di grado non inferiore al sessantacinque per cento, il diritto allo speciale assegno continuativo mensile di cui alla legge del 1976. La Corte Costituzionale ha quindi accolto la questione sottopostale dalla Corte d'Appello di Catania per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. La violazione dei suddetti parametri costituzionali deriva dalla semplice constatazione che, mentre il termine decadenziale per l'esercizio della facoltà dei superstiti di proporre domanda per ottenere la rendita di cui all'art. 85 del T.U. n. 1124 del 1965 è fatto decorrere dalla data in cui questi ultimi hanno avuto comunicazione dall'Istituto assicuratore della morte dell'infortunato (vedi sentenza Corte Cost. n. 14 del 1994), diversamente, quello relativo alla domanda per lo speciale assegno continuativo mensile di cui all'art. 1 della legge n. 248 del 1976 decorre invece dalla data del decesso dell'assicurato, e ciò a prescindere dal momento in cui gli stessi hanno avuto conoscenza della morte del loro dante causa. In effetti, secondo il giudice delle leggi, la diversità di disciplina è irragionevole ove si tenga presente che le fattispecie poste a confronto derivano entrambe dalla titolarità della rendita in capo al defunto, mentre la circostanza delle diversità sostanziali delle condizioni per avere diritto alle attribuzioni patrimoniali conseguenti al decesso non giustifica una disciplina decadenziale diversa, e ciò anche in presenza della differente durata del termine stesso, poiché ciò che rileva ai fini della tutela del diritto di difesa non è l'ampiezza di tale termine, ma la decorrenza dello stesso dal momento in cui l'interessato acquista conoscenza, tramite l'Istituto assicuratore, della morte dell'infortunato.
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