5 / 2010
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Descrizione
Nuovo intervento della Corte Costituzionale su esposizione all'amianto e benefici contributivi Risolto il contrasto su contratti di anzianità e contratto formazione e lavoro per autoferrotranvieri e ferrovieri Contratto collettivo e oneri di produzione
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La scelta dei vincitori di un concorso per promozione deve essere adeguatamente motivata
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F. L. dipendente della Spa Banca Intesa, ha partecipato nel 1985 a un concorso interno per la copertura di sei posti di funzionario di primo grado,classificandosi al ventiduesimo posto. Egli ha ottenuto dal Tribunale di Cosenza l'annullamento della graduatoria per violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di motivazione dei provvedimenti di promozione di dipendenti con metodo comparativo. La sentenza del Tribunale di Cosenza, pronunciata nel 1994, è passata in giudicato. Con un successivo giudizio il lavoratore ha chiesto al Tribunale di Cosenza la condanna della banca al risarcimento del danno per la mancata promozione. Sia il Tribunale che, in grado di appello, la Corte di Catanzaro hanno riconosciuto il suo diritto al risarcimento per perdita di chance. In particolare la Corte ha calcolato il risarcimento in base a un criterio matematico basato sul rapporto percentuale fra il numero dei posti messi a concorso e la posizione del lavoratore nella graduatoria senza effettuare una valutazione comparativa dei titoli da lui posseduti rispetto a quelli di coloro che lo avevano preceduto in graduatoria. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza della Corte di Catanzaro per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha accolto il ricorso. Nel caso in cui il datore di lavoro non abbia rispettato, nella procedura concorsuale, i principi di correttezza e buona fede ' ha affermato la Corte ' egli è tenuto a risarcire il lavoratore escluso dei danni per la perdita di chance (perte de chance), quantificabili sulla base del tasso di probabilità  che il lavoratore medesimo aveva di risultare vincitore; in tal caso grava sul lavoratore l'onere di provare, sia pure in via presuntiva e probabilistica, la concreta possibilità  di essere selezionato e ilnesso causale fra inadempimento ed evento dannoso, attraverso l'allegazione e la prova di quegli elementi di fatto idonei a far ritenere che il regolare svolgimento della procedura selettiva avrebbe comportato una concreta, e non ipotetica, probabilità  di vittoria. Nel caso in esame ' ha osservato la Corte ' tali criteri sono stati sostanzialmente disattesi dalla corte territoriale, la quale, adottando un criterio meramente statistico, ha integralmente omesso di prendere in considerazione quanto sul punto dedotto dal ricorrente, e cioè che «dalla documentazione allegata al ricorso, relativa al curriculum del ricorrente e alle schede personali dei partecipanti al concorso, e dalla comparazione operata sulla base di detta documentazione con i punteggi attribuiti ai candidati che lo avevano preceduto nella graduatoria, si evidenziava la sottovalutazione, operata dalla Commissione, dei suoi titoli e la contestuale sopravvalutazione dei candidati meglio graduati». In tal modo ' ha rilevato la Cassazione ' la sentenza impugnata è pervenuta a conclusioni tali da parificare la posizione di tutti i partecipanti alla selezione indipendentemente dagli specifici titoli posseduti e a determinare il danno prescindendo da elementi in concreto idonei a far apprezzare la probabilità  di una utile collocazione in graduatoria del lavoratore escluso, sulla base dei criteri stessi alla cui osservanza il datore di lavoro era obbligato. La Cassazione ha rinviato la causa, per nuovo esame, alla Corte di Appello di Reggio Calabria, fissando il seguente principio di diritto: «Nelle procedure concorsuali il potere discrezionale del datore di lavoro trova limite nella necessità  che lo stesso fornisca, in conformità  ai criteri precostituiti nel bando e, comunque, di quelli di buona fede e correttezza, adeguata ed effettiva motivazione delle operazioni valutative e comparative connesse alla selezione; in difetto, il danno che al lavoratore può derivare per perdita di chance va risarcito sulla base del tasso di probabilità  che il lavoratore aveva di risultare vincitore, qualora la selezione fra i concorrenti si fosse svolta in modo corretto e trasparente, e non può, pertanto, esimere il giudice dall'apprezzare in concreto ogni elemento di valutazione e di prova ritualmente introdotto nel processo che, per inerire alla necessità  e correttezza della valutazione comparativa dei titoli del lavoratore escluso e di quelli utilmente selezionati, appaia a tal fine funzionale e coerente».
I permessi retribuiti spettano per ciascun figlio portatore di grave handicap: È possibile la moltiplicazione
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Il licenziamento per ragioni organizzative del lavoratore distaccato deve essere motivato con riferimento alla distaccante
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L. D., dopo aver lavorato dall'aprile 1997 al gennaio 1998 come impiegata alle dipendenze della Srl Skillglass è stata assunta, per passaggio diretto,con effetto dal 2 febbraio 1998, dalla società  controllante Euroimpianti che contestualmente l'ha distaccata presso la Skillglass; pertanto anche dopo l'inquadramento presso l'Euroimpianti ella ha continuato a lavorare presso la Skillglass, che successivamente è stata posta in liquidazione e ha cessato, nel dicembre del 1999, ogni attività . Ella è stata quindi licenziata dalla Euroimpianti con motivazione riferita alla cessazione dell'attività  della Skillglass per la quale aveva sempre lavorato. La lavoratrice ha chiesto al Tribunale di Vicenza di annullare il licenziamento, sostenendo che la cessazione dell'attività  della Skillglass non costituiva giustificato motivo organizzativo, dal momento che la Euroimpianti aveva continuato a operare effettuando anche alcune assunzioni. Il Tribunale di Vicenza ha ritenuto giustificato il licenziamento. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Venezia, che ha osservato tra l'altro che di fatto la lavoratrice non era mai stata inserita nell'organico vero e proprio della Euroimpianti, in quanto aveva sempre lavorato presso la Skillglass. La lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte di Venezia per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha accolto il ricorso. La Corte di Venezia ' ha affermato la Cassazione ' è incorsa in errore di diritto, non essendo certamente sufficiente a integrare il giustificato motivo oggetto di licenziamento la semplice cessazione dell'interesse al distacco o la soppressione del posto presso la società  distaccata e dovendo, peraltro, in ogni caso essere verificati gli elementi costitutivi del giustificato motivo oggettivo stesso con riferimento all'ambito aziendale del datore di lavoro (nella specie la società  distaccante), sul quale ricade anche l'onere probatorio circa la impossibilità  di répèchage, in conseguenza della scelta di procedere a tale licenziamento. Anche nell'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di lavoratore distaccato, infatti ' ha osservato la Corte ' deve applicarsi il principio più volte affermato in generale dalla giurisprudenza di legittimità , secondo cui «il datore di lavoro ha l'onere di provare, con riferimento all'organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento e anche attraverso fatti positivi, tali da determinare presunzioni semplici (come il fatto che i residui posti di lavoro riguardanti mansioni equivalenti fossero stabilmente occupati da altri lavoratori o il fatto che dopo il licenziamento e per un congruo periodo non vi siano state nuove assunzioni nella stessa qualifica del lavoratore licenziato), la impossibilità  di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, giustificandosi il recesso solo come extrema ratio, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione della possibilità  di essere adibito ad altre mansioni».
Il risarcimento del danno da demansionamento non è assoggettabile a ritenuta fiscale se non concerne il mancato guadagno
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M. L. dirigente della Spa Augusta, ha promosso davanti al Tribunale di Milanoun giudizio diretto a ottenere il risarcimento del danno per un lungo periodo di demansionamento. La controversia è stata definita con un accordo transattivo in base al quale l'azienda si è impegnata a «corrispondere al lavoratore la somma di lire 375 milioni all'esclusivo fine di risarcirgli il danno da demansionamento». Su tale somma, al momento del pagamento, l'azienda ha operato una ritenuta fiscale di lire 124.087.500. Il dirigente ha chiesto all'Amministrazione Finanziaria il rimborso dell'importo trattenutogli sostenendo che, poiché si trattava di un risarcimento, la ritenuta non avrebbe dovuto essere operata. La domanda non ha avuto risposta. Il dirigente ha proposto ricorso avverso il silenziorigetto. Il ricorso è stato rigettato sia in primo grado che, in grado di appello, dalla Commissione Regionale della Lombardia, la quale ha ritenuto la natura elusiva della pattuizione, osservando che l'appellante aveva riconosciuto di essere stato, dopo il demansionamento, licenziato per effettiva impossibilità  di reperire per lui mansioni adeguate. Ildirigente ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione impugnata per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha accolto il ricorso. In base al dettato del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2 ' ha ricordato la Corte ' le somme percepite dal contribuente a titolo risarcitorio possono costituire reddito imponibile, ma solo quando abbiano la funzione di reintegrare un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi; ne consegue che, ad esempio, non sono assoggettabili a tributo l'indennità  corrisposta dal datore di lavoro, a titolo di risarcimento del danno, per la reintegrazione delle energie psicofisiche spese dal lavoratore oltre l'orario massimo di lavoro da lui esigibile. La Commissione tributaria regionale ' ha osservato la Corte ' contraddicendo il tenore del verbale di conciliazione, nel quale si fa riferimento al ristoro del danno di demansionamento, ha affermato, cosà violando i criteri ermeneutica stabiliti dall'art. 1362 cod. civ., che la clausola sarebbe stata inserita soltanto per assecondare il lavoratore, ma non ha fornito una spiegazione adeguata delle ragioni in base alle quali si sarebbe trattato, in ogni caso, della reintegrazione di un danno concretatosi nella mancata percezione di redditi. D'altra parte ' ha rilevato la Corte ' la circostanza relativa all'ammissione, da parte del lavoratore, che sussisteva effettiva impossibilità , al momento del recesso, di assegnargli mansioni equivalenti a quelle originarie, non può assumere una valenza retroattiva, tale da colorare la natura del danno per il periodo anteriore al recesso. La Corte ha cassato la decisione impugnata con rinvio ad altra sezione della Ctr, alla quale ha affidato il compito di procedere con un accertamento più approfondito, in base alla comune intenzione delle parti, desumibile non solo dal verbale di conciliazione, ma anche dal loro complessivo comportamento.
La mortificazione e l’emarginazione del lavoratore costituiscono «mobbing»
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L’immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare garantisce l’esercizio del diritto di difesa
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Il contratto a termine non è un comune strumento di assunzione al lavoro, in base al d.lgs. n. 368/2001
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L. M. è stata assunta dalle Poste italiane il 2 luglio 2002 con contratto a tempo determinato per «esigenze tecniche, organizzative e produttiveanche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all'introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonché all'attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002 congiuntamente alla necessità  di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo». Ella ha chiesto al Tribunale di Milano di dichiarare la nullità  del termine apposto al contratto e la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda, in quanto ha ritenuto generica la causale indicata nel contratto e ha pertanto ravvisato una violazione della disciplina recata dal d.lgs. n. 368 del 2001. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Milano. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte milanese per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La nuova disciplina del contratto a termine dettata dal d.lgs. n. 368/2001 in esecuzione della delega contenuta nella legge comunitaria n. 422 del 2000 (per l'attuazione della direttiva 1999/70/Ce relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall'Unice, dal Cep e dal Ces) ' ha osservato la Corte ' ha sostituito il pregresso sistema della predeterminazione di ipotesi tassative in cui è consentita per legge (legge 230/62 e successive integrazioni) o su delega di questa (art. 23 della legge n. 56/87) alla contrattazione collettiva (abilitata altresà a stabilire un limite quantitativo all'utilizzazione di tali causali) l'apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro subordinato con la previsione di una clausola generale legittimante tale apposizione. Tale nuova disciplina persegue lo scopo di riposizionare l'equilibrio del sistema, nel contemperamento degli interessi economici e sociali in possibile contrasto nella materia del contratto a tempo determinato, tenendo peraltro fermo il principio, anche di derivazione comunitaria, relativo alla centralità  del contratto di lavoro a tempo indeterminato, affermato nel «considerando» dell'accordo quadro di cui alla direttiva citata; da qui la non riconducibilità  del contratto a termine a strumento comune di assunzione al lavoro, che si esprime nella legge nel richiedere, già  in sede di formulazione in forma scritta del relativo contratto, la puntuale specificazione della concreta esigenza che giustifica l'apposizione del termine, riconducibile tra quelle riassunte nella formulazione della clausola generale enunciata al comma 1 del citato articolo di legge. Con l'espressione sopra riprodotta, di chiaro significato già  alla stregua delle parole usate ' ha affermato la Corte ' il legislatore ha infatti inteso stabilire un vero e proprio onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, perseguendo la finalità  di assicurare la trasparenza e la veridicità  di tali ragioni nonché l'immodificabilità  delle stesse nel corso del rapporto. Il decreto legislativo n. 368 del 2001, abbandonando il precedente sistema di rigida tipicizzazione delle causali che consentono l'apposizione di un termine finale al rapporto di lavoro (in parte già  oggetto di ripensamento da parte del legislatore precedente), in favore di un sistema ancorato alla indicazione di clausole generali (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), cui ricondurre le singole situazioni legittimanti come individuate nel contratto, si è infatti posto il problema, nel quadro disciplinare tuttora caratterizzato dal principio di origine comunitaria di normalità  del contratto di lavoro a tempo indeterminato, del possibile abuso insito nell'adozione di una tale tecnica. Per evitare siffatto rischio di un uso indiscriminato dell'istituto ' ha osservato la Corte ' il legislatore ha imposto la trasparenza, la riconoscibilità  e la verificabilità  della causale assunta a giustificazione del termine, già  a partire dal momento della stipulazione del contratto di lavoro, attraverso la previsione dell'onere di specificazione, vale a dire di una indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale. In altri termini, per le finalità  indicate, tali ragioni giustificatrici, devono essere sufficientemente particolareggiate, in maniera da rendere possibile la conoscenza dell'effettiva portata delle stesse e quindi il relativo controllo di effettività . Per quanto concerne la conseguenza della dichiarazione di nullità  del termine, la Corte ha confermato i suoi precedenti secondo cui «pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza di dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità  parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale nonché alla stregua dell'interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/Ce e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato tracciato dalla Corte Cost. n. 210 del 1992 e 283 del 2005, all'illegittimità  del termine e alla nullità  della clausola di apposizione dello stesso consegue l'invalidità  parziale relativa alla sola clausola e l'istaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato».
Il risarcimento del danno dovuto al lavoratore licenziato può essere ridotto in caso di mancata iscrizione al collocamento
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L. N., dipendente di un'azienda agricola, ha chiesto al Tribunale di Gorizia di annullare il licenziamento intimatole,nonché di ordinare all'azienda la reintegrazione nel posto di lavoro e di condannarla al risarcimento del danno, determinandolo, in base all'art. 18 Stat. lav., in misura pari alla retribuzione relativa al periodo del licenziamento alla reintegrazione. Il Tribunale ha annullato il licenziamento ma ha determinato l'importo del risarcimento in misura di due terzi della retribuzione, osservando che la lavoratrice non aveva provveduto a iscriversi nelle liste di collocamento pubblico o del lavoro interinale e che pertanto doveva ritenersi applicabile l'art. 1227, secondo comma, cod. civ. secondo cui, in caso di inadempimento, il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. In grado di appello, la Corte di Trieste ha invece dichiarato il diritto della lavoratrice al risarcimento del danno senza decurtazione alcuna, mancando la prova (il cui onere gravava sull'azienda) che, qualora la lavoratrice si fosse iscritta alle liste di collocamento, avrebbe reperito adeguata occupazione, nella more del giudizio, cosà da ridurre il danno patito a seguito del licenziamento illegittimo. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Trieste per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ricordando che l'art. 1227 cod. civ. contiene al primo e al secondo comma due distinte norme che regolano fattispecie diverse: il primo comma regola il concorso del danneggiato nella produzione del fatto dannoso e ha come conseguenza una ripartizione di responsabilità , rappresentando un'ipotesi particolare della più generale previsione del concorso di più autori del fatto dannoso (art. 2055 cod. civ.), nel quale uno dei coautori è lo stesso danneggiato. Il secondo comma ' ha precisato la Corte ' contempla una situazione, del tutto diversa, di danno causato dal solo debitore, e quindi non concerne problemi di nesso causale, ma solo di estensione o di evitabilità  del danno; si tratta di conseguenze dannose che si sono effettivamente verificate, ma che il creditore avrebbe potuto evitare, usando la ordinaria diligenza; quanto al contenuto dell'ordinaria diligenza esigibile, l'art. 1227, comma 2, cod. civ. non si limita a prescrivere al danneggiato un comportamento meramente negativo, consistente nel non aggravare con la propria attività  il danno già  prodottosi, ma richiede un intervento attivo e positivo, volto non solo a limitare, ma anche a evitare le conseguenze dannose. La norma che onera il danneggiato a uniformarsi a un comportamento attivo e attento dell'altrui interesse ' ha affermato la Corte ' rientra tra le fonti di integrazione del regolamento contrattuale, per cui la stessa «evitabilità » del danno è coordinata con i principi di correttezza e di buona fede oggettiva, contenuti nell'art. 1175 cod. civ., applicabile a entrambe le parti del rapporto obbligatorio e non al solo debitore, nel senso che costituisce onere sia del debitore che del creditore di salvaguardare l'utilità  dell'altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un'apprezzabile sacrificio a suo carico. Il limite all'esigibilità  del comportamento attivo ' ha aggiunto la Corte ' è costituito dalla «ordinaria» e non «straordinaria» diligenza, nel senso che le attività  che il creditore avrebbe potuto porre in essere al fine dell'evitabilità  del danno, non siano gravose o straordinarie, come esborsi apprezzabili di denaro, assunzione di rischi, apprezzabili sacrifici; in applicazione di questi principi, il lavoratore licenziato senza giusta causa, deve collocare sul mercato la propria attività  lavorativa per ridurre, ex art. 1127 cod. civ., il pregiudizio subito. La sentenza impugnata ' ha affermato la Corte ' non ha applicato tale principio, perché ha ritenuto che era onere del datore di lavoro, non già  solo ipotizzare ma dare adeguata prova che l'iscrizione nelle liste del collocamento pubblico o del lavoro interinale avrebbe, con certezza, consentito a L. N. di reperire altra occupazione confacente alla sua professionalità ; cosà argomentando, ha violato il principio secondo cui, in tema di risarcimento del danno cui è tenuto il datore di lavoro in conseguenza del licenziamento illegittimo e con riferimento alla limitazione dello stesso ex art. 1227, secondo comma cod. civ., l'onere della ordinaria diligenza nella ricerca di una nuova occupazione deve ritenersi assolto dal lavoratore con l'iscrizione nelle liste di collocamento, mentre spetta al debitore provare ulteriori elementi significativi della mancanza dell'ordinaria diligenza. Per quanto precede, il ricorso va accolto. La Corte decidendo la causa nel merito, ai sensi dell'art. 384 cod. proc. civ., ha confermato la sentenza di primo grado.
Il lavoratore sottoposto a procedimento disciplinare ha diritto, se lo richiede, di difendersi oralmente
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M. G. dipendente di una banca, con qualifica di quadro, è stato sottoposto a procedimento disciplinarecon la contestazione in forma scritta di addebiti riferiti a operazioni creditizie non conformi ai regolamenti aziendali. Egli ha risposto con una lettera nella quale ha fornito le sue giustificazioni, aggiungendo: «Mi riservo il diritto di poter parlare oralmente alla Direzione generale». La direzione non lo ha convocato e la banca lo ha licenziato. Il lavoratore ha chiesto al Tribunale di Roma l'annullamento del licenziamento sia per infondatezza degli addebiti, sia per violazione dell'art. 7 Stat. lav., sostenendo che la banca, prima di licenziarlo, avrebbe dovuto consentirgli di esporre oralmente le sue difese. Il Tribunale ha accolto la domanda in quanto ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 7 Stat. lav., secondo cui il datore di lavoro ha l'obbligo di sentire il lavoratore, ove questi lo richieda, prima di adottare un provvedimento disciplinare. Questa decisione è stata riformata in grado di appello dalla Corte di Roma che ha ritenuto legittimo il licenziamento. La Corte ha affermato che, avendo il lavorato esposto difese scritte ampie ed esaustive, la banca non era tenuta a convocarlo per l'audizione; nel merito ha ritenuto che gli addebiti fossero fondati e che le infrazioni commesse giustificassero, per la loro gravità , il licenziamento. Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte romana per vizi di motivazione e violazione di legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso pur correggendo la motivazione della decisione impugnata nella parte concernente la regolarità  del procedimento disciplinare. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Roma ' ha affermato la Cassazione ' la tempestiva presentazione, da parte del lavoratore incolpato, di giustificazioni scritte non «consuma» l'esercizio del diritto di difesa allorché vi sia la richiesta di audizione del lavoratore medesimo, sicché permane l'obbligo del datore di lavoro di sentire oralmente il dipendente prima di irrogare la sanzione disciplinare; obbligo questo che permane in ogni caso, in presenza di espressa richiesta di audizione, anche se le giustificazioni scritte apparissero già  di per sé ampie ed esaustive. Non di meno il decisum della Corte d'Appello ' ha rilevato la Cassazione ' è nella specie corretto perché risulta testualmente dalla stessa sentenza impugnata ' e è pacifico tra le parti ' che il ricorrente, nel fornire le giustificazioni scritte alla prima lettera di contestazione degli addebiti, ebbe ad aggiungere: «mi riservo il diritto di poter parlare oralmente alla Direzione generale»; quindi egli si era meramente riservato di esercitare la facoltà  di chiedere l'audizione a difesa ma non l'aveva effettivamente richiesta. Qualora, a seguito della contestazione di un addebito disciplinare, il lavoratore fornisca, alla scadenza dei cinque giorni a tal fine a sua disposizione, una giustificazione scritta e intenda al contempo essere sentito ' ha ricordato la Corte ' lo stesso ha l'onere di comunicare la propria volontà  in termini univoci, a tutela dell'affidamento del datore di lavoro. Per quanto attiene alla fondatezza degli addebiti, la Cassazione ha ritenuto che la Corte di Roma abbia adeguatamente motivato la sua decisione.
La frustrazione nei rapporti con i colleghi è una componente del danno da dequalificazione da liquidare equitativamente
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E. L., dipendente dell'Eni Spa con qualifica impiegatizia, a far tempo dal gennaio 2000 è stato privato delle sue mansioni.Egli ha pertanto chiesto al Tribunale di Milano l'accertamento della illegittimità  del trattamento subito e la condanna dell'Eni al risarcimento del danno. L'azienda si è difesa sostenendo di avere offerto al lavoratore vari incarichi professionali. Il Tribunale ha accolto la domanda, condannando l'azienda al risarcimento del danno, equitativamente determinato nella misura di un terzo della retribuzione mensile per il periodo della dequalificazione. Questa decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Milano. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte milanese sia per avere ravvisato una illegittima dequalificazione, sia per aver ritenuto provato il danno da demansionamento. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. Il giudice di appello ' ha osservato la Cassazione ' previa valutazione delle risultanze testimoniali, ha accertato che E. L. per il periodo successivo al 2000 fu lasciato inattivo di fronte ai suoi superiori e colleghi di lavoro e subà un indubbio danno da dequalificazione, tanto più che lo stesso aveva raggiunto un elevato livello di specializzazione e avrebbe dovuto continuare l'esercizio delle mansioni per affinare il suo bagaglio professionale; il giudice di appello, nel liquidare il danno, ha proceduto alla sua quantificazione in base a una molteplicità  di elementi, quali la durata e la gravità  della lesione professionale, la difficoltà  nel reinserimento nel mondo del lavoro e la frustrazione dello stesso lavoratore nei rapporti con i superiori e colleghi di lavoro. In questa situazione ' ha concluso la Cassazione ' correttamente il giudice di appello ha fatto ricorso alla valutazione di tipo equitativo, non contravvenendo peraltro al principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità , in tema di prova del danno da dequalificazione, avendo ritenuto che il lavoratore avesse assolto all'onus probandi in punto di danno alla vita professionale.
L’assenza del lavoratore al controllo di malattia è giustificata dalla necessità di assistere affettivamente la madre ricove
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Gare a evidenza pubblica aventi a oggetto forme di previdenza complementare
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L'Autorità  Garante ha formulato delle osservazioni sulle modalità  di affidamento da parte dei comuni del servizio di previdenza integrativa a favore dei propri dipendenti.La prassi in materia appare, infatti, piuttosto variegata sia in ordine alla scelta dei comuni di ricorrere a procedure selettive tra più operatori, in luogo dell'affidamento diretto, sia nella formulazione specifica degli eventuali bandi e degli altri atti di gara. Al riguardo, l'Autorità  rileva che le gare a evidenza pubblica, o altre modalità  di selezione che comunque consentano la partecipazione di più operatori, sono lo strumento più appropriato per favorire il più ampio confronto competitivo nell'offerta dei servizi di previdenza complementare. Proprio l'ampia diffusione di procedure basate sulla partecipazione di una pluralità  di imprese e sul confronto tra le offerte potrebbe incentivare la concorrenza tra gli operatori, con benefici in termini di maggiore scelta tra i prodotti offerti e riduzioni di prezzo degli stessi. Ad avviso dell'Autorità  appare pertanto opportuno che vi sia un più ampio ricorso a procedure che consentano il confronto competitivo, siano esse gare a evidenza pubblica specificatamente disciplinate dal decreto legislativo n. 163/06, Codice dei contratti pubblici, siano esse procedure selettive di altra natura che meglio si possono adattare alle realtà  territoriali di minori dimensioni. Inoltre, i bandi, il capitolato speciale e, in genere, tutti gli atti delle procedure di selezione, in coerenza con quanto segnalato dall'Autorità  in molti settori economici, dovrebbero essere formulati in modo da richiedere soltanto i requisiti e le condizioni di partecipazione strettamente necessari in ragione della tipologia del servizio oggetto di gara e delle specifiche esigenze dell'ente locale interessato. Ciò al fine di favorire la massima partecipazione da parte delle imprese e, quindi, il più ampio confronto competitivo anche tra le diverse forme di previdenza complementare. Infatti, l'imposizione di requisiti economici, tecnici o di altra natura, laddove non necessaria, scoraggia la partecipazione alle gare e ha, quindi, effetti negativi in termini concorrenziali. Ciò vale ad esempio con riferimento agli oneri economici di partecipazione, ai requisiti comprovanti la pregressa esperienza, alla tipologia di prodotti offerti. In questa prospettiva, anche nell'ambito di queste procedure, sarebbe auspicabile un ampio confronto competitivo tra le diverse forme di previdenza complementare e, quindi, anche tra le imprese offerenti, quali imprese di assicurazioni e le società  di gestione del risparmio.
Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali
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Il decreto detta disposizioni in materia di spettacolo e attività  culturali.L'articolo 3, comma 1 stabilisce che il personale dipendente dalle fondazioni liricosinfoniche, previa autorizzazione del sovrintendente, può svolgere attività  di lavoro autonomo per prestazioni di alto valore artistico e professionale. Nelle more della sottoscrizione del contratto collettivo nazionale di lavoro sono vietate tutte le prestazioni di lavoro autonomo rese da tale personale a decorrere dal 1°gennaio 2011. Decorso un anno dalla data di entrata in vigore del decreto legge e fino alla stipulazione del nuovo Ccnl e dei successivi contratti integrativi, il trattamento economico aggiuntivo, derivante dalla contrattazione integrativa aziendale, in godimento ai dipendenti delle fondazioni medesime, è ridotto del cinquanta per cento. Il comma 5 stabilisce che a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto e fino al 31 dicembre 2012, alle fondazioni lirico-sinfoniche è fatto divieto di procedere ad assunzioni a tempo indeterminato, nonché di indire procedure concorsuali per tale scopo, fatto salvo che per quelle professionalità  artistiche, di altissimo livello, necessarie per la copertura di ruoli di primaria importanza indispensabili per l'attività  produttiva. A decorrere dall'anno 2013 le assunzioni a tempo indeterminato sono annualmente contenute in un contingente complessivamente corrispondente a una spesa non superiore a quella relativa al personale cessato nel corso dell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità  da assumere non potrà  essere superiore a quello delle unità  cessate nell'anno precedente. Le assunzioni a tempo determinato, a copertura dei posti vacanti in organico, con esclusione delle prestazioni occasionali d'opera professionale dei lavoratori cosà detti aggiunti, non possono superare il quindici per cento dell'organico approvato. Per le assunzioni a tempo determinato le fondazioni lirico-sinfoniche possono avvalersi delle tipologie contrattuali disciplinate dal decreto legislativo n. 276/2003. Il comma 7, invece, abroga l'articolo 4, comma 13, del decreto legislativo n. 182/1997 prevedendo che per i lavoratori dello spettacolo, appartenenti alle categorie dei tersicorei e ballerini, l'età  pensionabile è fissata per uomini e donne al compimento del quarantacinquesimo anno di età  anagrafica. (Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 2010)
Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica
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Il decreto introduce misure in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività  economica.L'articolo 3 autorizza la Presidenza del Consiglio dei ministri a eliminare posti negli organici dirigenziali. L'articolo 6, invece, prevede che la partecipazione a taluni organi collegiali è onorifica e può dar luogo soltanto a un eventuale rimborso delle spese sostenute e che, a decorrere dal 1° gennaio 2011, le indennità , i compensi, i gettoni, le retribuzioni o le altre utilità  sono ridotte del 10 per cento. La riduzione non si applica al trattamento retributivo di servizio. Il comma 7 dispone che, a decorrere dall'anno 2011, la spesa annua per studi e incarichi di consulenza sostenuta dalle pubbliche amministrazioni (incluse le autorità  indipendenti ed escluse le università , gli enti e le fondazioni di ricerca e gli organismi equiparati), non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009. L'affidamento di incarichi in assenza di tali presupposti costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità  erariale. Il comma 8, invece, prevede che, a decorrere dal 1° luglio 2010, il personale che partecipa all'organizzazione di convegni, di giornate e feste celebrative, nonché di cerimonie di inaugurazione e di altri eventi similari, delle Amministrazioni dello Stato e delle Agenzie, nonché degli enti e delle strutture da esse vigilati, non ha diritto a percepire compensi per lavoro straordinario ovvero indennità  a qualsiasi titolo, né a fruire di riposi compensativi. Il comma 13, poi, prevede che, a decorrere dall'anno 2011, la spesa annua per attività  di formazione sostenuta dalle amministrazioni pubbliche non deve essere superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'aiuto 2009. L'articolo 7, invece, dispone la soppressione di alcuni enti (a) l'Ipsema e l'Ispesl; b) l'Ipost; c) l'Istituto affari sociali; d) l'Enappsmsad; e) l'Isae; f) l'Eim; g) l'Insean) con attribuzione delle loro funzioni enti che succedono in tutti i rapporti attivi e passivi. L'articolo 8, comma 12, con riferimento alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, differisce al 31 dicembre 2010 il termine di applicazione delle disposizioni in materia di rischio da stress lavorocorrelato, mentre il comma 13 posticipa l'aggiornamento dei compensi e delle indennità  di cui all'articolo 36, della legge n. 289/2002. L'articolo 9, poi, detta disposizioni sul contenimento delle spese in materia di impiego pubblico. In particolare il comma 1 introduce, per gli anni 2011, 2012 e 2013, un tetto al trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, ivi compreso il trattamento accessorio prevedendo che non può superare, in ogni caso, il trattamento in godimento nell'anno 2010, fatta salva l'erogazione dell'indennità  di vacanza contrattuale. Il comma 2, invece, prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, superiori a 90.000 euro lordi annui sono ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro. Il trattamento economico complessivo non può essere comunque inferiore 90.000 euro lordi annui. Sono altresà ridotte del 10 per cento le indennità  corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri. Le riduzioni, però, non operano ai fini previdenziali. Inoltre, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto e sino al 31 dicembre 2013, nell'ambito delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari degli incarichi dirigenziali, anche di livello generale, non possono essere stabiliti in misura superiore a quella indicata nel contratto stipulato dal precedente titolare ovvero, in caso di rinnovo, dal medesimo titolare, ferma restando la riduzione prevista dal decreto stesso. Il comma 3, poi, prevede che a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ai titolari di incarichi di livello dirigenziale generale delle amministrazioni pubbliche, non si applicano le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione di una quota dell'importo derivante dall'espletamento di incarichi aggiuntivi. Il comma 4, invece, prevede che i rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 e i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono, in ogni caso, determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento. Tale disposizione si applica anche ai contratti e agli accordi stipulati prima della data di entrata in vigore del decreto. Le clausole difformi contenute nei predetti contratti e accordi sono inefficaci a decorrere dalla mensilità  successiva alla data di entrata in vigore del decreto e i trattamenti retributivi saranno adeguati. Il comma 5, invece, proroga al quadriennio 2010-2013 l'efficacia della norma che dà  alle amministrazioni la facoltà  di procedere, per ciascun anno, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità , ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. Conseguentemente il comma 7 prevede che, soltanto a partire dal 2014, le amministrazioni possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità , ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. Il comma 8, poi, prevede che a decorrere dall'anno 2015 le amministrazioni possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità , ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità  di personale da assumere non può eccedere quello delle unità  cessate nell'anno precedente. Il comma 9, invece, prevede che per il 2010 gli enti di ricerca possono procedere, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità , ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nei limiti di cui all'articolo 1, comma 643, della legge n. 296/2006, n. 296. Per il triennio 2011-2013 gli enti di ricerca possono procedere, per ciascun anno, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità , ad assunzioni di personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato entro il limite dell'80 per cento delle proprie entrate correnti complessive, purché entro il limite del 20 per cento delle risorse relative alla cessazione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato intervenute nell'anno precedente. La predetta facoltà  assunzionale è fissata nella misura del 50 per cento per l'anno 2014 e del 100 per cento a decorrere dall'anno 2015. Il comma 17, poi, prevede che «17. Non si dà  luogo, senza possibilità  di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012 del personale di cui all'articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni. È fatta salva l'erogazione dell'indennità  di vacanza contrattuale nelle misure previste a decorrere dall'anno 2010 in applicazione dell'articolo 2, comma 35, della legge 22 dicembre 2008, n. 203». Il comma 21 prevede che i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato non si applicano per gli anni 2011, 2012 e 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 165/2001, n. 165, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 165/2001 le progressioni di carriera comunque denominate eventuamente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Per il personale contrattualizzato le progressioni di carriera comunque denominate e i passaggi tra le aree eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici. Il successivo comma 22 introduce modifiche alla disciplina sulle provvidenze del personale di magistratura. Il comma 23, invece, prevede che: «Per il personale docente, amministrativo, tecnico e ausiliario (A.T.A.) della Scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti». Il comma 25, inoltre, dispone che le unità  di personale eventualmente risultanti in soprannumero all'esito delle riduzioni previste dall'articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge n. 194/2009, non costituiscono eccedenze ai sensi dell'articolo 33 del decreto-legislativo n. 165/2001 e restano temporaneamente in posizione soprannumeraria, nell'ambito dei contingenti di ciascuna area o qualifica dirigenziale. I successivi commi 26, 27 e 28 prevedono che al fine di rispondere alle esigenze di garantire la ricollocazione del personale in soprannumero e la funzionalità  degli uffici delle amministrazioni pubbliche interessate dalle misure di riorganizzazione di cui all'articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge n.194/2009, queste ultime possono stipulare accordi di mobilità , anche intercompartimentale. Fino al completo riassorbimento alle amministrazioni interessate è fatto divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualunque titolo e con qualsiasi contratto in relazione alle aree che presentino soprannumeri e in relazione a posti resi indisponibili in altre aree. A decorrere dall'anno 2011 le amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo, le agenzie (incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo n. 300/1999), gli enti di ricerca, le università  e gli enti pubblici (di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo n.165/2001), possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità  nell'anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio, non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità  nell'anno 2009. Il mancato rispetto di tali limiti costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità  erariale. Il comma 31, poi, prevede che al fine di agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi delle pubbliche amministrazioni, a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, i trattenimenti in servizio possono essere disposti esclusivamente nell'ambito delle facoltà  assunzionali consentite dalla legislazione vigente in base alle cessazioni del personale e con il rispetto delle relative procedure autorizzatorie. Sono fatti salvi i trattenimenti in servizio aventi decorrenza anteriore al 1° gennaio 2011, disposti prima dell'entrata in vigore del presente decreto. I trattenimenti in servizio aventi decorrenza successiva al 1° gennaio 2011, disposti prima dell'entrata in vigore del presente decreto, sono privi di effetti. Il successivo comma 32 prevede che a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto le pubbliche amministrazioni che alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale non intendono confermare l'incarico conferito al dirigente, conferiscono al medesimo dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Il comma 36, invece, prevede che per gli enti di nuova istituzione, limitatamente al quinquennio decorrente dall'istituzione, le nuove assunzioni, previo esperimento delle procedure di mobilità , possono essere effettuate nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo e, comunque nel limite complessivo del 60% della dotazione organica. L'articolo 10, invece, introduce norme sulla riduzione della spesa in materia di invalidità . In particolare, il comma 1, prevede che per le domande presentate dal 1° giugno 2010 la percentuale di invalidità  è elevata nella misura pari o superiore all'85 per cento. Il comma 2 estende alle prestazioni di invalidità  civile, cecità  civile, sordità  civile, handicap e disabilità , nonché alle prestazioni di invalidità  a carattere previdenziale erogate dall'Inps la disciplina sulla rettifica per errore. L'articolo 12, poi, detta disposizioni in materia previdenziale, prevedendo che «1. I soggetti che a decorrere dall'anno 2011 maturano il diritto all'accesso al pensionamento di vecchiaia a 65 anni per gli uomini e a 60 anni per le lavoratrici del settore privato ovvero all'età  di cui all'articolo 22-ter, comma 1, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 convertito con modificazioni con legge 3 agosto 2009, n. 102 e successive modificazioni e integrazioni per le lavoratrici del pubblico impiego, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico: a) coloro per i quali sono liquidate le pensioni a carico delle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti, trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti; b) coloro i quali conseguono il trattamento di pensione a carico delle gestioni per gli artigiani, i commercianti e i coltivatori diretti nonché della gestione separata di cui all'articolo 1, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, trascorsi diciotto mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti; c) per il personale del comparto scuola si applicano le disposizioni di cui al comma 9 dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449. 2. Con riferimento ai soggetti che maturano i previsti requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2011 per l'accesso al pensionamento ai sensi dell'articolo 1, comma 6 della legge 23 agosto 2004, n. 243, e successive modificazioni e integrazioni, con età  inferiori a quelle indicate al comma 1: a) coloro per i quali sono liquidate le pensioni a carico delle forme di previdenza dei lavoratori dipendenti, trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti; b) coloro i quali conseguono il trattamento di pensione a carico delle gestioni per gli artigiani, i commercianti e i coltivatori diretti nonché della gestione separata di cui all'articolo 1, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, trascorsi diciotto mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti; c) per il personale del comparto scuola si applicano le disposizioni di cui al comma 9 dell'articolo 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449». Il comma 3 modifica l'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo n. 42/2006, che, nel nuovo testo, prevede che ai trattamenti pensionistici derivanti dalla totalizzazione si applicano le medesime decorrenze previste per i trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità , la vecchiaia e i superstiti. In caso di pensione ai superstiti la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di decesso del dante causa. In caso di pensione di inabilità  la pensione decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda di pensione in regime di totalizzazione. I commi 4 e 5, invece, introducono un regime transitorio. Il comma 7, con riferimento ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, regolamenta la corresponsione del riconoscimento dell'indennità  di buonuscita, dell'indennità  premio di servizio, del trattamento di fine rapporto e di ogni altra indennità  equipollente corrisposta una-tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a vario titolo dall'impiego. Tali disposizioni, però, ai sensi del successivo comma 9, non si applicano con riferimento alle prestazioni derivanti dai collocamenti a riposo per raggiungimento dei limiti di età  entro la data del 30 novembre 2010, nonché alle prestazioni derivanti dalle domande di cessazione dall'impiego presentate e accolte prima della data di entrata in vigore del decreto a condizione che la cessazione dell'impiego avvenga entro il 30 novembre 2010. L'articolo 13 istituisce, presso l'Inps, il «Casellario dell'Assistenza» per la raccolta, la conservazione e la gestione dei dati, dei redditi e di altre informazioni relativi ai soggetti aventi titolo alle prestazioni di natura assistenziale. (Gazzetta Ufficiale n. 125 del 31 maggio 2010 ' Suppl. ordinario n. 114)
Giudizi offensivi sulle qualità personali dei quadri aziendali espressi da un sindacalista, possono configurare diffamazione
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X. Y. sindacalista, in una lettera inviata alla direzione di un'azienda, ha attribuitoai capi servizi della medesima «incapacità , ignoranza, insulti, istigazioni discriminatorie e persecuzioni che creavano un clima di tensione e confusione sul lavoro». Egli è stato ritenuto responsabile del reato di diffamazione sia in primo grado che in appello; la pena è stata determinata in euro 300 di multa. La Suprema Corte ha rigettato il suo ricorso. Benché le frasi si calino nel contesto della polemica sindacale che dilata il confine di continenza ' ha osservato la Corte ' esse operano un'attribuzione generica e indiscriminata di difetti e comportamenti delle persone, senza riferimento a episodi per sé oggetto di critica; come tali non sono scriminate, in quanto investono le qualità  personali di coloro cui si riferiscono.
Riforma dell’ordinamento relativo alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura
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In caso di riduzione di personale il ritardo nella comunicazione finale puo’ costituire coportamento antisindacale
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Ostacolare l’ingresso in azienda di un collega durante uno sciopero è illegittimo ma non giustifica il licenziamento
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L’esercizio in via continuativa del potere direttivo da parte del datore non è requisito indispensabile della subordinazione
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Modifiche e integrazioni al d.lgs. 30 maggio 2008 n. 118
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Il decreto introduce modifiche e integrazioni al decreto legislativo n. 118/2008. In particolare all'articolo 5, comma 3,del citato decreto è aggiunto il comma 3-bis ove è stabilito che «3-bis Quando è in corso di accertamento la responsabilità  del controllore del traffico aereo in un incidente o inconveniente grave ovvero quando in ordine alla competenza professionale del controllore del traffico aereo sussista ragionevole dubbio da parte dell'Ente fornitore dei servizi di traffico aereo, l'Ente medesimo può disporne la sospensione cautelare dall'impiego operativo». I commi 4 e 5 del medesimo articolo sono sostituiti dai seguenti: «4. La licenza, le abilitazioni e le specializzazioni, sono sospese dall'Enac, per un periodo non superiore a sei mesi quando sia accertata la negligenza professionale del controllore del traffico aereo. 5. La licenza è revocata in caso di: a) accertamento di grave negligenza o imprudenza o imperizia professionale che abbia determinato il verificarsi di un incidente; b) violazione dolosa di leggi o regolamenti relativi al controllo del traffico aereo; c) condotte che hanno determinato l'applicazione della sanzione della sospensione, non inferiore a sei mesi, per due volte nell'arco di due anni». Dopo il comma 5 sono inseriti i commi da 5-bis a 5-nonies che regolamentano il procedimento disciplinare. (Gazzetta Ufficiale n. 107 del 10 maggio 2010)
Strumentalità dei servizi di pulizia rispetto al trasporto pubblico locale e regolamentazione provvisoria applicabile
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La Commissione ha espresso l'avviso che lo sciopero degli addetti al servizio esclusivo di pulizia dei mezzi adibiti al trasporto pubblicodi persone non è soggetto alla disciplina della Regolamentazione provvisoria delle prestazioni indispensabili per il settore del trasporto pubblico locale (adottata con delibera del 31 gennaio 2002, n. 02/13), ma alla normativa che disciplina l'esercizio del diritto di sciopero nel settore pulizie e servizi integrati/multiservizi. Al riguardo la Commissione ha rilevato che lo sciopero nel settore del trasporto pubblico locale è disciplinato da una Regolamentazione provvisoria delle prestazioni indispensabili (adottata con delibera del 31 gennaio 2002, n. 02/13) preordinata sostanzialmente alla tutela della libertà  di circolazione e del diritto alla mobilità  degli utenti. L'art. 1 della citata Regolamentazione provvisoria si applica «altresà ai soggetti di cui all'art. 2-bis della legge e ai servizi della mobilità , ai servizi accessori strumentali, ausiliari comunque gestiti, cosà come individuati nelle intese attuative aziendali, qualora necessari all'esercizio di servizio di trasporto pubblico»; pertanto nell'ipotesi in cui l'attività  svolta dalle imprese di pulizia e servizi integrati/multiservizi possa essere configurata come un servizio strumentale al servizio di trasporto pubblico locale, tale attività  è assoggettata, secondo il consolidato orientamento della Commissione, alla disciplina prevista per il servizio principale. Tuttavia, devono ritenersi «accessorie strumentali», nel senso di strettamente funzionali al servizio del Tpl, le sole attività  svolte dalle predette imprese che incidano effettivamente sul regolare esercizio dei mezzi addetti al trasporto di persone, quali il rifornimento di carburante, il rabbocco dei liquidi e il controllo meccanico di efficienza, la movimentazione dei mezzi ecc., e quindi non quella di mera pulizia. Anche il servizio di pulizie costituisce di per sé un servizio pubblico essenziale ai sensi e per gli effetti della legge 12 giugno 1990 n. 146 in quanto concerne la tutela della vita, della salute e della sicurezza della persona e, più in generale, l'erogazione di tutti i servizi pubblici essenziali rispetto ai quali il servizio di pulizie si pone come servizio strumentale». Ma ' secondo l'avviso della Commissione ' lo sciopero dei lavoratori delle imprese di pulizia e servizi integrati/multiservizi, le quali svolgono mera pulizia dei mezzi di trasporto locale di persone, è regolato esclusivamente dall'Accordo nazionale del 15 gennaio 2002 di regolamentazione dell'esercizio del diritto di sciopero per i lavoratori dipendenti dalle imprese di pulizia e servizi integrati/multiservizi, valutato idoneo dalla Commissione di garanzia con deliberazione del 7 febbraio 2002, n. 02/22.
Franchigia elettorale negli accordi federelettrica e federgasacqua
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Sia l'accordo Federelettrica dell'11 novembre 1991 sia l'Accordo nazionale Federgasacqua del 27 marzo 1997prevedono come periodo di franchigia elettorale «la settimana coincidente con qualsiasi tipo di elezione nazionale, regionale e comunale, referendum nazionali e locali, comprensiva dei giorni di votazione e scrutinio». Detti accordi, però, non indicano quali siano i sette giorni nei quali non è consentito scioperare, ma solo che tra essi debbano ritenersi compresi i giorni di votazione e scrutinio. La Commissione, ritenuto opportuno articolare la settimana di franchigia elettorale prevedendo che la stessa abbia inizio prima della data della consultazione, onde consentire ai servizi interessati il puntuale compimento delle attività  preparatorie, e termini qualche giorno dopo lo svolgimento delle operazioni di voto per consentire l'esecuzione delle attività  connesse con l'effettuazione degli scrutini e il rilevamento dei risultati, ha deliberato che, in via generale, le astensioni dal lavoro in questi settori non potranno essere effettuate nel periodo che va dal terzo giorno precedente il primo giorno di votazione (e, dunque, a partire dal giovedà che precede la domenica nella quale si effettuano le consultazioni) al terzo giorno successivo al primo giorno di votazione (e, dunque, fino al mercoledà successivo alla domenica nella quale si vota).
Offerte ingannevoli di lavoro previa iscrizione a corsi di formazione a pagamento
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L'Autorità  Garante è stata chiamata a valutare la diffusione da parte di un professionista di alcuni messaggi pubblicitari direttia sollecitare la partecipazione a procedure di selezione di soggetti interessati a svolgere attività  nel settore della vigilanza privata, previa frequenza di un corso di formazione. Un consumatore ha lamentato che, soltanto dopo aver sottoscritto il contratto con lo studio professionale, avrebbe appreso dal personale dello studio stesso che l'offerta pubblicitaria riguardava la partecipazione a un corso di formazione a pagamento, senza alcuna successiva garanzia d'impiego, contrariamente a quanto indicato nella comunicazione pubblicitaria. A sostegno dell'asserita veridicità  del messaggio pubblicitario il professionista ha prodotto una comunicazione nella quale un Istituto di vigilanza convenzionato prospetta un piano di inserimento di Guardie Giurate nelle proprie filiali di Milano, Lecco, Como, Bologna, Genova, Brescia e Varese. Ad avviso dell'Autorità  garante la fattispecie presenta profili di ingannevolezza idonei a indurre in errore i destinatari circa l'effettiva natura e finalità  della procedura di selezione oggetto dei messaggi pubblicitari in esame. In particolare, l'affermazione «Garanzia lavoro», contenuta nei messaggi senza ulteriori specificazioni, lascia intendere ai destinatari ' soggetti alla ricerca di un'occupazione professionale e quindi particolarmente sensibili a simili iniziative ' che la partecipazione al corso di formazione sia finalizzata a un sicuro inserimento lavorativo. In realtà , tale inserimento non consegue automaticamente alla frequenza dei corsi formativi organizzati dal professionista, ma è subordinato a una valutazione discrezionale dell'eventuale futuro datore di lavoro e a una specifica autorizzazione prefettizia. Dalla documentazione acquisita nel corso del procedimento è emerso pertanto che il professionista si limita, al più, a favorire, in esito al corso di formazione, il contatto tra le aziende e i propri allievi, senza tuttavia poter garantire, come invece prospettato nei messaggi pubblicitari, un sicuro inserimento lavorativo. Tale fuorviante prospettazione è suscettibile di incidere in misura apprezzabile sul comportamento economico dei destinatari dei messaggi, inducendoli ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso. Come rilevato dal giudice amministrativo in analoghe circostanze, deve infatti ritenersi ingannevole «il messaggio che, per le espressioni utilizzate, può indurre in errore i destinatari in quanto la possibilità  di lavoro al termine del corso è prospettata in termini di certezza con conseguente attitudine a pregiudicare il comportamento economico dei consumatori che, verosimilmente, potranno essere portati a preferire quel corso di formazione proprio per le aspettative ingenerate sugli sbocchi professionali» (Tar Lazio, sez. I, 10 aprile 2006, n. 2521). Né vale a rimuovere la riscontrata ingannevolezza dei messaggi la circostanza che una percentuale di allievi abbia effettivamente trovato un'occupazione al termine dei corsi; infatti, come osservato dal giudice amministrativo nella medesima occasione, non rileva «la circostanza che l'allievo abbia effettivamente trovato un'occupazione, in quanto nei messaggi de quibus l'opportunità  lavorativa non è presentata come eventuale ma come sostanzialmente certa» (Tar Lazio, sez. I, 10 aprile 2006, n. 2521). Sulla base di queste considerazioni l'Autorità  ha ritenuto che detti messaggi pubblicitari integrino una fattispecie di pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20 e 21 del Codice del Consumo, in quanto diretti a promuovere l'adesione a un corso di formazione a pagamento, lasciando intendere ai consumatori, contrariamente al vero, che la partecipazione al corso garantisca la certezza di un successivo inserimento lavorativo.
Politica sociale Disposizioni svantaggiose previste dalla normativa nazionale per gli agenti contrattuali a tempo parziale
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Il diritto dell'Unione, e segnatamente la clausola 4, punto 2, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo parzialeconcluso il 6 giugno 1997, figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/Ce, relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'Unice, dal Ceep e dalla Ces, deve interpretarsi nel senso che osta a una disposizione nazionale come l'art. 55, n. 5, della legge del Land Tirolo relativa agli agenti contrattuali (Tiroler Landes-Vertragsbedienstetengesetz) 8 novembre 2000 a norma della quale, in caso di modificazione del volume delle ore di lavoro effettuate da un lavoratore, le ferie non utilizzate sono adattate alla modifica. Con la conseguenza che al lavoratore, il quale passa da un'attività  lavorativa a tempo pieno a un'attività  lavorativa a tempo parziale, è ridotto il diritto alle ferie annuali retribuite da esso maturato, senza avere avuto la possibilità  di esercitarlo, durante il periodo di attività  lavorativa a tempo pieno, ovvero può fruire delle ferie in questione solo con un'indennità  compensativa di importo inferiore. La clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/Ce, relativa all'accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a tempo determinato, deve interpretarsi nel senso che osta a una disposizione nazionale come l'art. 1, n. 2, lett. m), della legge del Land Tirolo relativa agli agenti contrattuali 8 novembre 2000 che esclude dall'ambito di applicazione di tale legge i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di sei mesi o occupati solo occasionalmente. Infatti, la nozione di «ragioni oggettive» ai sensi della clausola 4 dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che può giustificare il diverso trattamento di un lavoratore a tempo determinato rispetto a un lavoratore a tempo indeterminato comparabile, dev'essere intesa nel senso che essa non autorizza a giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato per il fatto che quest'ultima sia prevista da una norma interna generale e astratta. Tale nozione richiede, al contrario, che la disparità  di trattamento in causa risponda a una reale necessità , sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. La clausola 2, punto 6, dell'accordo quadro sul congedo parentale, concluso il 14 dicembre 1995, figurante in allegato alla direttiva del Consiglio 3 giugno 1996, 96/34/Ce, concernente l'accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'Unice, dal Ceep e dalla Ces deve interpretarsi nel senso che osta a una disposizione nazionale come l'art. 60, ultima frase, della legge del Land del Tirolo relativa agli agenti contrattuali 8 novembre 2000, a norma della quale i lavoratori che si avvalgono del loro diritto al congedo parentale di due anni perdono, al termine di tale congedo, i diritti alle ferie annuali retribuite maturati nell'anno precedente la nascita del loro figlio. Infatti, la nozione di «diritti acquisiti o in via di acquisizione», ai sensi della clausola 2, punto 6, del suddetto accordo quadro, comprende l'insieme dei diritti e dei vantaggi, in contanti o in natura, derivanti, direttamente o indirettamente, dal rapporto di lavoro, che il lavoratore può far valere nei confronti del datore di lavoro alla data di inizio del congedo parentale. *
Inapplicabilità della legge n. 146/90 alle assemblee indette in conformità all’art. 20 legge n. 300/70 e Ccnl
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Licenziamento giustificato motivo oggettivo – Obbligo rep e^ chage insussistenza
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Mancata attuazione rotazione – Risarcimento – Sussistenza
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Licenziamento disciplinare per frasi ingiuriose – Difetto di proporzionalità – Illegittimità – Regime sanzionatorio
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competenza del giudice del lavoro a conoscere della legittimità del prelievo fiscale effettuato dal datore di lavoro
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Un dipendente dopo aver stipulato una transazione per una rivendicazione risarcitoria di danno biologicoadiva nuovamente il Tribunale di Caltanissetta al fine di vedersi riconoscere l'illegittimità  della trattenuta effettuata dall'azienda in sede di liquidazione degli importi e ottenere dalla stessa il pagamento di quanto indebitamente versato all'erario. I giudici di merito ritenevano sussistere la propria competenza giurisdizionale e accoglievano la domanda. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel richiamare il proprio recente orientamento hanno confermato la decisione della Corte di Appello affermando che le controversie tra sostituto d'imposta e sostituito relative al legittimo e corretto esercizio del diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto, volontariamente o coattivamente, non sono attratte dalla giurisdizione del giudice tributario, ma rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di diritto esercitato dal sostituito verso il sostituito nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico cui resta estraneo l'esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema della potestà  ' soggezione, proprio del rapporto tributario.
Fondo di garanzia – Preventiva escussione del debitore principale – Unico pignoramento infruttuoso – Sufficienza
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Responsabilità civile del datore di lavoro a seguito decesso per esposizione ad amianto
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Il Tribunale di Genova affronta ancora una volta il caso di cui purtroppo si troverà  a occuparesempre più spesso la giurisprudenza, quello di un lavoratore deceduto per mesotelioma pleurico e delle domande risarcitorie proposte iure hereditatis e iure proprio dagli stretti congiunti (moglie e figlia) e lo risolve con una puntuale sentenza assolutamente attenta alla elaborazione della giurisprudenza di legittimità  sia civile che penale. La sentenza si caratterizza però per due aspetti: il primo è dato dalla situazione fattuale relativa a un edificio destinato in prevalenza a uffici e nel quale l'amianto era stato abbondantemente applicato a spruzzo ed era disturbato da continui lavori di ristrutturazione e di adeguamento dei locali; il secondo per una non usuale attenzione al problema della quantificazione del danno biologico subito da un soggetto deceduto dopo un periodo di malattia non molto lungo. Quanto al primo punto, in relazione alla colpa, il Tribunale di Genova osserva che il lavoratore «non svolgeva funzioni per le quali l'uso dell'amianto fosse consigliato o utile e nemmeno attività  che, per caratteristiche proprie, comportassero una possibile esposizione ad amianto: a maggior ragione, quindi, l'esposizione avrebbe potuto essere evitata con l'adozione di semplici cautele, quali, ad esempio, l'esecuzione dei lavori di ristrutturazione al di fuori dell'orario lavorativo o il confinamento delle zone interessate dagli interventi (se non, addirittura, con la bonifica integrale del luogo di lavoro)». Ed aggiunge che, se è certo che il grado di conoscenza della pericolosità  dell'amianto è andato evolvendosi e precisandosi nel corso degli anni, è altrettanto vero che il problema nemmeno si pone allorché «si accerti che nulla o pressoché nulla era stato fatto in ordine al problema polveri». Quanto alla seconda questione il giudice prende le mosse da quella giurisprudenza secondo cui il danno biologico risarcibile in caso di morte sopravvenuta dopo un breve periodo dovrebbe essere valutato secondo i parametri propri della temporanea e non già  della permanente, in quanto le tabelle sono predisposte ipotizzando la non conoscenza della durata della sopravvivenza, mentre qui la stessa è conosciuta, per affermare che peraltro il risultato che si otterrebbe secondo tali criteri non sarebbe assolutamente convincente e la semplice considerazione di una temporanea non costituirebbe un serio ristoro del danno biologico a fronte di una malattia durata alcuni mesi (nella fattispecie 7) con un rapido decesso e altrettanto rapido e doloroso declino fisico per concludere: «Pare al giudicante che le sofferenze che il soggetto ha affrontato ' e subito ' nel giro di pochi mesi non possano considerarsi in alcun modo ristorate con la somma, assolutamente risibile, sopraindicata» (circa 7.000 euro) ma che «nella valutazione necessariamente equitativa di questa posta di danno, la sofferenza che la fase terminale della malattia e la celerità  estrema del suo decorso non possono non portare a un incremento, considerevole, dell'importo suddetto, sino alla misura di euro 50.000,00» cui viene aggiunto identico importo per danno alla persona. Trattasi di sentenza certamente apprezzabile, ma a cui l'estensore della presente nota si permette di aggiungere una diversa indicazione. La giurisprudenza richiamata si riferisce a fattispecie nelle quali la morte sopravviene dopo un lasso di tempo brevissimo rispetto all'inizio della patologia (ore piuttosto che giorni). Diverso è il caso in cui l'intervallo di tempo non sia cosà breve ma sia di diversi mesi se non anni. E allora, se è vero che le tabelle si basano sulla prospettiva di vita, è altrettanto vero che esse riportano anche la valutazione relativa a una età , cento anni, in relazione alla quale la prospettiva è venuta meno. E allora non pare assurdo utilizzare, anche in casi come quello trattato, le tabelle relative alla permanente con riferimento non all'età  effettiva del danneggiato ma all'età  convenzionale di cento anni. In tal modo si arriverebbe a una valutazione più congrua alle concrete realtà .
Il pilota che perde l’idoneità volo non ha diritto al preavviso
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L’esclusione da una scelta per la promozione a dirigente deve essere motivata e conforme a una graduatoria
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Le molestie sessuali possono essere ritenute provate anche per presunzioni derivanti da analoghi comportamenti
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Una lavoratrice adiva il tribunale di Torino al fine di richiede il risarcimento per molestie sessuali subite sul posto di lavoro.Nel corso del giudizio alcune colleghe di lavoro confermavano di avere subito dal medesimo superiore gerarchico avances non gradite analoghe a quelle descritte nel proprio ricorso dalla dipendente. I giudici di merito, ritenendo che fosse stata raggiunta la prova della molestia anche sulla base della credibilità  delle risposte fornite in sede di interrogatorio dalla lavoratrice, accoglievano la domanda con sentenza confermata anche in sede di appello. La Corte di Cassazione nel ricordare i limiti di sindacabilità  in sede di legittimità  delle valutazioni in ordine alle risultanze istruttorie effettuate dai giudici di merito ha affermato che era esente da vizi logici la decisione dei giudici di merito che avevano ritenuto provate le affermazioni della lavoratrice a partire dalle dichiarazioni rese dalla dipendente in sede di risposta all'interrogatorio, ritenute attendibili anche e soprattutto alla stregua dei riscontri probatori costituiti da testimonianze che avevano riferito di ripetuti comportamenti di molestie sessuali posti in essere dal datore di lavoro nei confronti di altre lavoratrici, valutati come univocamente significativi della veridicità  della denunzia sulla base di presunzioni semplici che trovano ingresso nel sistema processuale ai fini della formazione della prova.
Contratto a tempo determinato – Illegittimità per contrasto con la normativa comunitaria in materia di contratti a termine
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Risarcimento danni da mobbing – Vizio di ultrapetizione – Danno alla professionalità e danno alla salute Criteri di liquida
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Revirement della Cassazione o in ordine al risarcimento del danno da annullamento di dimissioni per vizi della volontà
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Un lavoratore dopo aver rassegnato le proprie dimissioni adiva il Tribunale di Romaal fine di richiedere l'annullamento del proprio atto a causa di una incapacità  temporanea di intendere e di volere esistente al momento dell'esternazione della sua volontà . A seguito di una consulenza tecnica la domanda del lavoratore veniva accolta dal Tribunale con sentenza confermata in sede di appello dalla Corte di Appello di Roma che oltre a confermare il ripristino del rapporto riconosceva le retribuzioni dalla data delle dimissioni annullate. La Corte di Cassazione nel confermare la decisione dei giudici di merito accoglieva parzialmente il gravame della società  limitatamente alla data di decorrenza del risarcimento. I giudici di legittimità  pur riconoscendo che i giudici territoriali avevano stabilito il dies a quo del risarcimento dalla data dell'atto annullato e non dalla data della sentenza di annullamento come affermato dalla consolidata giurisprudenza, tuttavia, hanno ritenuto di correggere tale orientamento. A parziale modifica dell'orientamento della Cassazione deve ritenersi ' afferma la Corte di Cassazione ' che gli effetti retributivi non debbono essere riportati alla sentenza bensà alla domanda giudiziaria in ragione del principio generale per il quale la durata del processo non deve mai andare a detrimento della parte vincitrice. In ragione di tale affermazione, pertanto, la corte ha concluso affermando che l'interpretazione da seguire è quella per cui in caso di dimissioni date dal lavoratore in stato di incapacità  naturale il diritto a riprendere il lavoro nasce con la sentenza di annullamento ex art. 428 cod. civ. i cui effetti retroagiscono al momento della domanda.
La Cassazione ribadisce la specificità del patto di conglobamento
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Nel corso di un giudizio promosso innanzi al Tribunale di Roma da un lavoratoreal fine di ottenere il pagamento di prestazioni straordinarie l'azienda si opponeva alla richiesta di pagamento affermando che il compenso percepito dal lavoratore, superiore al minimo contrattuale comprendeva anche il pagamento dell'eventuale straordinario. La domanda del lavoratore, respinta in primo grado, veniva parzialmente accolta in sede di appello sul rilievo che il patto di conglobamento affermato dall'azienda non conteneva gli specifici titoli cui riferire la prestazione patrimoniale complessiva. La Corte di Cassazione nel respingere il ricorso di legittimità  ha affermato che la forfetizzazione dei compensi per l'orario straordinario postula la previa determinazione di un determinato numero di ore di lavoro compensate in tale forma. Correttamente quindi ' hanno affermato i giudici di legittimità  ' la Corte di Appello territoriale aveva ritenuto invalido il patto nel quale non era precisato l'ammontare erogato a titolo di straordinario in modo da consentire al giudice il controllo circa l'effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o in virtù della contrattazione collettiva.
La mancata comunicazione delle ragioni della non rotazione costituisce un vizio dell’atto di autorizzazione della Cigs
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L’assunzione a termine dell’invalido psichico avviato al lavoro
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La tutela del prestatore di lavoro ammalato prevale sull’impossibilità della prestazione
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La Cassazione ribadisce la esigenza di tempesti-vità nel licenziamento per superamento del periodo di comporto
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Un lavoratore dipendente di una cooperativa sociale veniva licenziato per superamento del periodo di comportodopo aver maturato 572 giorni di assenza dal lavoro sebbene il contratto prevedesse un limite di 365 giorni. Il lavoratore veniva reintegrato nel posto di lavoro dal giudice del lavoro di Messina, con sentenza confermata in sede di appello, sul rilievo che l'azienda ben consapevole della maturazione del periodo aveva tollerato il comportamento del dipendente ingenerando nell'interessato il convincimento dell'irrilevanza delle assenze. La Corte di Cassazione nel respingere il gravame ha ritenuto che la corte territoriale ha correttamente valutato il comportamento della cooperativaal fine di affermare la tardività  del licenziamento. Il criterio di tempestività  che sottende il licenziamento per superamento del periodo deve essere, infatti, valutato contemperando l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale con quella del datore di lavoro di valutare la condotta del lavoratore ai fini della prosecuzione del rapporto. In applicazione di tali principi la Corte di merito ha quindi correttamente ritenuto che l'aver tollerato per 537 giorni l'assenza del dipendente senza l'adozione di alcun provvedimento aveva legittimamente ingenerato nel lavoratore la convinzione della irrilevanza delle proprie assenze per malattia.
Apprendistato professionalizzante
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La Corte Costituzionale è intervenuta in risposta ai ricorsi di ben otto Regioniche avevano ritenuto in contrasto con la Costituzione il «canale parallelo» di formazione esclusivamente aziendale per l'apprendistato professionalizzante. I ricorsi denunciavano l'ingiustificata e illegittima menomazione delle competenze legislative regionali esclusive e concorrenti in materia di formazione rispetto a una regolamentazione dell'apprendistato, quella del decreto legge 112, che elimina il limite minimo di durata del contratto di apprendistato professionalizzante, introduce la fattispecie dell'apprendistato professionalizzante con formazione esclusivamente aziendale e, in assenza di una regolamentazione regionale dell'apprendistato di alta formazione, prevede che i datori di lavoro possano stipulare intese direttamente con gli enti formativi. Il cosiddetto «canale parallelo» (regolamentato dal comma 5-ter dell'art. 49 del d.lgs. n. 276/2003 introdotto dal d.l. n. 112/2008) demandava ai contratti collettivi la definizione stessa di che cosa fosse la «formazione esclusivamente aziendale» e le sue modalità  operative, per ciascun profilo professionale: come fare formazione, per quante ore, come riconoscere e certificare la qualifica professionale ottenuta al termine del percorso formativo. Sembra quindi chiudersi, a seguito di questa sentenza, il «canale parallelo» di formazione in apprendistato: i profili formativi sono rimessi alle intese tra le Regioni e le parti sociali, mentre rimane la possibilità  di fare formazione esclusivamente aziendale, quale opzione formativa che i contratti collettivi possono regolamentare sotto il controllo e con lo stimolo delle Regioni. È quindi escluso che, d'ora in poi, siano le parti sociali a disciplinare integralmente la fattispecie, senza alcun riferimento alle leggi regionali in materia. Preliminarmente il giudice costituzionale ha richiamato la propria sentenza n. 50 del 2005, con la quale ha affermato che la formazione aziendale rientra nel sinallagma contrattuale e dunque nelle competenze dello Stato in materia di ordinamento civile, ma anche che nella regolamentazione dell'apprendistato non è possibile separare nettamente tra di loro la formazione pubblica e quella privata. Nell'ipotesi di cui al comma 5-ter la formazione pubblica e quella privata sono legate da interferenze correlate alla naturale proiezione esterna dell'apprendistato professionalizzante e all'acquisizione da parte dell'apprendista di crediti formativi utilizzabili nel sistema dell'istruzione per l'eventuale conseguimento di un titolo di studio. In altri termini il profilo pubblico e quello privato ' e dunque le competenze regionali e quelle statali ' sarebbero legati e intersecati in un groviglio cosà fitto da non poter essere sciolto o distinto. Da ciò discende l'illegittimità  dell'estromissione delle Regioni dalla disciplina dell'apprendistato professionalizzante con formazione esclusivamente aziendale. La Corte ha invece respinto le questioni di legittimità  relative all'eliminazione del limite minimo di durata del contratto di apprendistato professionalizzante e alla possibilità , in caso di apprendistato di alta formazione, di realizzare intese direttamente tra datore di lavoro ed ente formativo in assenza di accordi regionali che disciplinino la fattispecie.
Provvidenze assistenziali per extracomunitari
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È illegittimo subordinare al requisito della titolarità  della carta di soggiorno la concessione,agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, dell'assegno mensile di invalidità  previsto dall'art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118 e di tutte le prestazioni assistenziali tese a fornire alla persona un minimo di sostentamento. Con questa importantissima sentenza la Corte ha quindi accolto le rimostranze della Corte di Appello di Torino che aveva censurato la disposizione in quanto, subordinando il diritto alle prestazioni alla titolarità  della carta di soggiorno, e dunque al requisito della presenza nel territorio dello Stato da almeno cinque anni, avrebbe introdotto un ulteriore requisito atto a generare una discriminazione dello straniero nei confronti del cittadino, in contrasto con i princà­pi enunciati dall'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà  fondamentali, e dall'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, adottato a Parigi il 20 marzo 1952, secondo l'interpretazione che di essi è stata offerta dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Da qui la violazione dell'art. 117, primo comma, della Costituzione. Come già  detto, la Corte Costituzionale ha finalmente accolto la questione facendo propria la strumentazione logica della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di discriminazioni secondo cui il trattamento diviene discriminatorio ove esso non trovi una giustificazione oggettiva e ragionevole. Alla luce di quanto detto, quindi, occorre accertare se, alla luce della configurazione normativa e della funzione sociale che è chiamato a svolgere nel sistema, lo specifico «assegno» che viene qui in discorso integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei «bisogni primari» inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto. Ove, pertanto, si versi in tema di provvidenza destinata a far fronte al «sostentamento» della persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi dalle condizioni soggettive, finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, avuto riguardo alla relativa lettura che è stata in più circostanze offerta dalla Corte di Strasburgo. Si tratta, dunque, chiaramente di una erogazione destinata a fornire alla persona un minimo di «sostentamento», atto ad assicurarne la sopravvivenza; un istituto, dunque, che si iscrive nei limiti e per le finalità  essenziali che la Corte Costituzionale ' anche alla luce degli enunciati della Corte di Strasburgo ' ha indicato come parametro di ineludibile uguaglianza di trattamento tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato.
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