
Descrizione
Articolo 8 e legislazione regionale nella sentenza della Corte Costituzionale la Corte di Cassazione torna ancora sui controlli a distanza e limiti al potere disciplinare L'argomento: la giustizia secondo MarchionneLa Cassazione torna ancora sui controlli a distanza
Un lavoratore addetto ad un call centre di assistenza stradale veniva licenziato
a seguito di una contestazione disciplinarenella quale gli veniva addebitato
di avere effettuato 136 conversazioni telefoniche personali durante l'orario di lavoro
e di avere effettuato contatti telefonici con clienti per periodi insufficienti al fine di assicurare
una effettiva assistenza.
Il Tribunale di Roma rigettava la domanda di reintegra e la locale Corte di Appello
confermava la sentenza sul rilievo che il programma installato dall'azienda di monitoraggio
delle telefonate rappresentava un c.d. controllo difensivo e non costituiva un
controllo occulto a distanza della prestazione lavorativa.
La Corte di Cassazione, nel ricostruire l'evoluzione della giurisprudenza di legittimità
in tema di controlli a distanza, ha affermato, accogliendo il gravame promosso dal lavoratore,
che il divieto di controlli a distanza ex art. 4 dello Statuto dei lavoratori implica
che i controlli difensivi, diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori,
posti in essere dal datore di lavoro con un sistema informatico ricadono nell'ambito
del comma secondo della richiamata previsione ove siano idonei ad accertare l'esatto
adempimento della prestazione lavorativa.
Qualora, invero, vi siano interferenze con la predetta sfera lavorativa e non siano adottati
dal datore di lavoro sistemi idonei a non consentire di risalire alla identità del lavoratore,
i dati in tal modo acquisiti non possono essere utilizzati per provare l'inadempimento
del lavoratore medesimo.
articolo 8 e legislazione regionale
La Corte costituzionale ha stabilito la conformità a Costituzione dell'art. 8
della legge n. 148/2011relativamente alla presunta violazione del riparto di competenze
stabilito dall'art. 117 Cost. prospettata, tra le altre questioni, dal ricorso della
Regione Toscana del 14-18 novembre 2011. La questione più importante sollevata
dalla Regione Toscana atteneva alla prospettata violazione dell'art. 117, terzo comma,
Cost., secondo cui, per alcune materie ivi indicate (tra cui la «tutela e sicurezza del lavoro
») esiste una competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni in forza della
quale a queste ultime è consentito legiferare nel quadro dei principi generali stabiliti
dalla normativa statale. La Regione Toscana, quindi, ha dedotto la violazione dell'art.
117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia
di tutela del lavoro, nella parte in cui la norma impugnata «impone di considerare
preminente il contratto aziendale e/o territoriale sul contratto collettivo nazionale e
sulla legislazione statale e regionale». Più in particolare, ad avviso della ricorrente, la
norma censurata violerebbe la norma costituzionale nella parte in cui, vertendo tali intese
su materie oggetto delle azioni di politica attiva del lavoro, anche in deroga a disposizioni
di legge, statali e regionali, nonché ai contratti collettivi nazionali, invaderebbe
la competenza regionale concorrente interferendo con le disposizioni già adottate
dalla Regione in materia di lavoro. Occorre ricordare che, a norma del comma 2, le
«specifiche intese» di cui al comma 1 dell'art. 8, «possono riguardare la regolazione
delle materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento:
a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime
della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
d) alla disciplina dell'orario di lavoro;
e) alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni
coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, alla trasformazione e conversione
dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro,
fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice
in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo
di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un
anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del
congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore
ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento».
Infine, come recita il comma 2-bis dell'articolo impugnato, tali intese (o «accordi di
prossimità » stipulati a livello territoriale o aziendale) «operano anche in deroga alle
disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 e dalle relative
regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro».
La formulazione letterale delle disposizioni riportate hanno aperto la strada a numerosi
dubbi sia di legittimità costituzionale (tra cui quelli per violazione del principio di
uguaglianza ex art. 3 Cost. in ragione della «atomizzazione» a livello territoriale-aziendale
delle norme ' fino ad ora ' inderogabili di legge e di contratto collettivo nazionale),
sia di interpretazione su quali siano, in concreto, le materie oggetto di deroga «di
prossimità ». Per quanto riguarda l'elenco di materie di cui al comma 2 dell'art. 8, pur
di fronte ad un testo che obiettivamente è piuttosto ambiguo e polisenso (basti pensare
alla latitudine della locuzione «disciplina del rapporto di lavoro» di cui alla lettera
e), la dottrina prevalente si è sforzata di attribuire all'elencazione un carattere il più
possibile «tassativo», considerando la delicatezza della materia e i possibili cedimenti dell'ordinamento giuslavoristico nel suo complesso. La Corte costituzionale, da questo
punto di vista, sembra aver dato una risposta abbastanza chiara, laddove, esplicitamente,
ha affermato che «contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, il suddetto
elenco ha carattere tassativo, come si desume sia dall'espressione utilizzata dal legislatore
('con riferimento alle specifiche materie indicate), sia ' ed ancor più chiaramente
' dal dettato dell'art. 8, comma 2-bis, alla stregua del quale 'le specifiche intese
di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano
le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei
contratti collettivi nazionali di lavoro». Nonostante questa presa di posizione, tuttavia,
non è possibile evitare di rilevare come, ad esempio, nell'elencazione in parola, la
già citata locuzione «modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro» assuma
un significato tutto da scoprire e difficilmente delimitabile nel suo contenuto
precettivo. Per quanto riguarda, invece, il punto essenziale della censura concernente
la violazione delle competenze concorrenti regionali in materia di «tutela e sicurezza
del lavoro», la Corte costituzionale ha evidenziato due aspetti importanti: il primo con
riguardo alla «finalizzazione» degli accordi (art. 8, comma 1), il secondo tendente a
identificare concretamente l'oggetto delle materie elencate nel comma 2 dell'art. 8 (ai
fini dell'individuazione delle potestà normative spettanti). Per quanto riguarda il primo
aspetto, cioè la paventata interferenza con l'ambito di attività normativa regionale
degli accordi di prossimità in ragione della loro «finalizzazione» (maggiore occupazione,
qualità dei contratti di lavoro, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori,
emersione del lavoro irregolare, incrementi di competitività e di salario, gestione delle
crisi aziendali e occupazionali, investimenti e avvio di nuove attività ), la Corte costituzionale
ha tagliato corto sostenendo che, per l'identificazione della materia da attribuire
alla competenza esclusiva o a quella concorrente, «la disciplina normativa in
esame deve essere considerata per ciò che essa dispone e non già in base alle finalità
perseguite dal legislatore (sentenze n. 411 del 2006 e n. 50 del 2005)». Il punto è assai
delicato: in realtà , nonostante la nettezza dell'argomentazione della Corte, il tema
della finalizzazione degli accordi di prossimità assume, nell'economia della valutazione
di legittimità costituzionale, un ruolo assai importante. Come è stato rilevato dalla
migliore (e prevalente) dottrina, non si può non considerare che la «gravità » dell'impianto
derogatorio degli accordi di prossimità (e la loro efficacia erga omnes) deve necessariamente
essere controbilanciata dal raggiungimento di un risultato, il cui mancato
avverarsi dovrebbe consentire al giudice un sindacato demolitorio nei confronti
di intese poi rivelatesi fondate sul nulla (o sul troppo poco...). Aspettarsi dalla Corte
costituzionale una dichiarazione di illegittimità basata su questo aspetto sarebbe stato,
forse, eccessivo, ma non vorremmo che l'assenza di qualsiasi pur minimo approfondimento
sul punto da parte del Giudice delle leggi possa legittimare l'opinione di
coloro che sostengono l'assoluta inutilità , dal punto di vista interpretativo, della «finalizzazione
» degli accordi di prossimità . Relativamente al secondo aspetto, la Corte
costituzionale ha (anche qui nettamente) affermato che le materie indicate dall'art. 8,
comma 2, «concernono aspetti della disciplina sindacale e intersoggettiva del rapporto
di lavoro, riconducibili tutti alla materia dell'ordinamento civile (art. 117, secondo
comma, lettera l, Cost.), rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato».
Per avvalorare questa affermazione, la Corte esamina puntualmente tutte le materie
indicate dal comma 2 per ricondurle nella competenza esclusiva statale:
a) La fase costitutiva del rapporto di lavoro ed il suo svolgimento si fondano sulla stipulazione
di contratti di diritto privato e pertanto appartengono alla materia dell'ordinamento
civile: in tale area la Corte ricomprende «la regolamentazione delle collaborazioni
coordinate e continuative a progetto e delle partite Iva, nonché delle vicende
del rapporto inerenti alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle
conseguenze del recesso dal rapporto stesso».
b) Sempre all'ambito della disciplina privatistica vanno ascritte le discipline sulla trasformazione dei contratti di lavoro (ad esempio da part-time a full-time), il regime di
solidarietà negli appalti e i «casi di ricorso alla somministrazione».
c) Dalla legge (art. 2103 c.c.) e dalla contrattazione collettiva discende la normativa
sulle mansioni.
d) L'inquadramento del personale appartiene alla materia dell'ordinamento civile
(Corte cost. n. 68/2011).
e) Rientra nell'ambito sindacale, quindi nell'ordinamento civile, la norma che regola gli
impianti audiovisivi (art. 4, legge n. 300/1970).
Sulla base di tali argomentazioni la Corte respinge anche i rilievi, mossi dalla Regione
Toscana, relativi alla necessaria considerazione delle numerose intersezioni tra profili
di competenza statale e regionale, per cui sempre più spesso una stessa fattispecie
presenta ambiti e profili che insistono sotto le differenti tipologie di competenze descritte
nell'art. 117 Cost. (oggetto cioè di competenza concorrente, esclusiva statale,
residuale regionale).
A tale proposito la Corte, infatti, sostiene che queste «intersezioni» (intese come «intreccio
di materie») non possono sussistere proprio perché le materie indicate nel secondo
comma dell'art. 8, come evidenziato, vivono totalmente nell'alveo della competenza
esclusiva dello Stato. Ragionando a contrario, sulla base dei rilievi della Regione
ricorrente, le intese di prossimità non potranno mai riguardare, ad esempio:
a) la formazione esterna all'azienda nell'apprendistato (mentre quella interna, peraltro
non menzionata dall'art. 8, inerisce al rapporto contrattuale);
b) il collocamento;
c) strumenti e modalità d'inserimento di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro;
d) limiti quantitativi alle imprese nelle assunzioni di apprendisti;
e) funzioni di programmazione, monitoraggio e verifica nell'ambito del mercato del lavoro
di rispettiva competenza;
f) politiche attive volte a favorire l'occupazione e il lavoro.
Sebbene alcune di queste materie trovino collocazione tra le «finalità » espresse dal
legislatore al primo comma dell'art. 8 (come già evidenziato), questo non toglie che, ai
fini del giudizio di costituzionalità relativo all'art. 117, 3° comma, Cost., si debba tener
conto esclusivamente delle materie indicate dal secondo comma della disposizione
impugnata, qualificata dalla Corte costituzionale come «norma avente carattere chiaramente
eccezionale» che «non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati (art.
14, disposizioni sulla legge in generale)».
In conclusione, la sentenza n. 221/2012, al di là di quei pochi aspetti sui quali, peraltro,
non sembravano esserci particolari dubbi interpretativi, ci consegna ancora una
volta una Corte costituzionale assai cauta nell'offrire spunti che non vadano oltre la
semplice ed asettica esegesi del dato normativo, senza alcuna intenzione di intervenire
nell'acceso dibattito su quella che rimane (almeno fino ad un auspicabile radicale
intervento abrogativo o ad una eventuale pronuncia di incostituzionalità ) una vera e
propria «mina vagante» nel nostro ordinamento giuslavoristico.