5 / 2012
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Articolo 8 e legislazione regionale nella sentenza della Corte Costituzionale la Corte di Cassazione torna ancora sui controlli a distanza e limiti al potere disciplinare L'argomento: la giustizia secondo Marchionne
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La Cassazione torna ancora sui controlli a distanza
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Un lavoratore addetto ad un call centre di assistenza stradale veniva licenziato a seguito di una contestazione disciplinarenella quale gli veniva addebitato di avere effettuato 136 conversazioni telefoniche personali durante l'orario di lavoro e di avere effettuato contatti telefonici con clienti per periodi insufficienti al fine di assicurare una effettiva assistenza. Il Tribunale di Roma rigettava la domanda di reintegra e la locale Corte di Appello confermava la sentenza sul rilievo che il programma installato dall'azienda di monitoraggio delle telefonate rappresentava un c.d. controllo difensivo e non costituiva un controllo occulto a distanza della prestazione lavorativa. La Corte di Cassazione, nel ricostruire l'evoluzione della giurisprudenza di legittimità  in tema di controlli a distanza, ha affermato, accogliendo il gravame promosso dal lavoratore, che il divieto di controlli a distanza ex art. 4 dello Statuto dei lavoratori implica che i controlli difensivi, diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, posti in essere dal datore di lavoro con un sistema informatico ricadono nell'ambito del comma secondo della richiamata previsione ove siano idonei ad accertare l'esatto adempimento della prestazione lavorativa. Qualora, invero, vi siano interferenze con la predetta sfera lavorativa e non siano adottati dal datore di lavoro sistemi idonei a non consentire di risalire alla identità  del lavoratore, i dati in tal modo acquisiti non possono essere utilizzati per provare l'inadempimento del lavoratore medesimo.
Il differimento del termine di audizione per motivi di salute è vincolante per l’azienda
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articolo 8 e legislazione regionale
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La Corte costituzionale ha stabilito la conformità  a Costituzione dell'art. 8 della legge n. 148/2011relativamente alla presunta violazione del riparto di competenze stabilito dall'art. 117 Cost. prospettata, tra le altre questioni, dal ricorso della Regione Toscana del 14-18 novembre 2011. La questione più importante sollevata dalla Regione Toscana atteneva alla prospettata violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., secondo cui, per alcune materie ivi indicate (tra cui la «tutela e sicurezza del lavoro ») esiste una competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni in forza della quale a queste ultime è consentito legiferare nel quadro dei principi generali stabiliti dalla normativa statale. La Regione Toscana, quindi, ha dedotto la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo della competenza concorrente regionale in materia di tutela del lavoro, nella parte in cui la norma impugnata «impone di considerare preminente il contratto aziendale e/o territoriale sul contratto collettivo nazionale e sulla legislazione statale e regionale». Più in particolare, ad avviso della ricorrente, la norma censurata violerebbe la norma costituzionale nella parte in cui, vertendo tali intese su materie oggetto delle azioni di politica attiva del lavoro, anche in deroga a disposizioni di legge, statali e regionali, nonché ai contratti collettivi nazionali, invaderebbe la competenza regionale concorrente interferendo con le disposizioni già  adottate dalla Regione in materia di lavoro. Occorre ricordare che, a norma del comma 2, le «specifiche intese» di cui al comma 1 dell'art. 8, «possono riguardare la regolazione delle materie inerenti all'organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento: a) agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie; b) alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale; c) ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà  negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; d) alla disciplina dell'orario di lavoro; e) alle modalità  di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite Iva, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio, il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età  del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento». Infine, come recita il comma 2-bis dell'articolo impugnato, tali intese (o «accordi di prossimità » stipulati a livello territoriale o aziendale) «operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 e dalle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro». La formulazione letterale delle disposizioni riportate hanno aperto la strada a numerosi dubbi sia di legittimità  costituzionale (tra cui quelli per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. in ragione della «atomizzazione» a livello territoriale-aziendale delle norme ' fino ad ora ' inderogabili di legge e di contratto collettivo nazionale), sia di interpretazione su quali siano, in concreto, le materie oggetto di deroga «di prossimità ». Per quanto riguarda l'elenco di materie di cui al comma 2 dell'art. 8, pur di fronte ad un testo che obiettivamente è piuttosto ambiguo e polisenso (basti pensare alla latitudine della locuzione «disciplina del rapporto di lavoro» di cui alla lettera e), la dottrina prevalente si è sforzata di attribuire all'elencazione un carattere il più possibile «tassativo», considerando la delicatezza della materia e i possibili cedimenti dell'ordinamento giuslavoristico nel suo complesso. La Corte costituzionale, da questo punto di vista, sembra aver dato una risposta abbastanza chiara, laddove, esplicitamente, ha affermato che «contrariamente a quanto ritiene la ricorrente, il suddetto elenco ha carattere tassativo, come si desume sia dall'espressione utilizzata dal legislatore ('con riferimento alle specifiche materie indicate), sia ' ed ancor più chiaramente ' dal dettato dell'art. 8, comma 2-bis, alla stregua del quale 'le specifiche intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro». Nonostante questa presa di posizione, tuttavia, non è possibile evitare di rilevare come, ad esempio, nell'elencazione in parola, la già  citata locuzione «modalità  di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro» assuma un significato tutto da scoprire e difficilmente delimitabile nel suo contenuto precettivo. Per quanto riguarda, invece, il punto essenziale della censura concernente la violazione delle competenze concorrenti regionali in materia di «tutela e sicurezza del lavoro», la Corte costituzionale ha evidenziato due aspetti importanti: il primo con riguardo alla «finalizzazione» degli accordi (art. 8, comma 1), il secondo tendente a identificare concretamente l'oggetto delle materie elencate nel comma 2 dell'art. 8 (ai fini dell'individuazione delle potestà  normative spettanti). Per quanto riguarda il primo aspetto, cioè la paventata interferenza con l'ambito di attività  normativa regionale degli accordi di prossimità  in ragione della loro «finalizzazione» (maggiore occupazione, qualità  dei contratti di lavoro, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, emersione del lavoro irregolare, incrementi di competitività  e di salario, gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e avvio di nuove attività ), la Corte costituzionale ha tagliato corto sostenendo che, per l'identificazione della materia da attribuire alla competenza esclusiva o a quella concorrente, «la disciplina normativa in esame deve essere considerata per ciò che essa dispone e non già  in base alle finalità  perseguite dal legislatore (sentenze n. 411 del 2006 e n. 50 del 2005)». Il punto è assai delicato: in realtà , nonostante la nettezza dell'argomentazione della Corte, il tema della finalizzazione degli accordi di prossimità  assume, nell'economia della valutazione di legittimità  costituzionale, un ruolo assai importante. Come è stato rilevato dalla migliore (e prevalente) dottrina, non si può non considerare che la «gravità » dell'impianto derogatorio degli accordi di prossimità  (e la loro efficacia erga omnes) deve necessariamente essere controbilanciata dal raggiungimento di un risultato, il cui mancato avverarsi dovrebbe consentire al giudice un sindacato demolitorio nei confronti di intese poi rivelatesi fondate sul nulla (o sul troppo poco...). Aspettarsi dalla Corte costituzionale una dichiarazione di illegittimità  basata su questo aspetto sarebbe stato, forse, eccessivo, ma non vorremmo che l'assenza di qualsiasi pur minimo approfondimento sul punto da parte del Giudice delle leggi possa legittimare l'opinione di coloro che sostengono l'assoluta inutilità , dal punto di vista interpretativo, della «finalizzazione » degli accordi di prossimità . Relativamente al secondo aspetto, la Corte costituzionale ha (anche qui nettamente) affermato che le materie indicate dall'art. 8, comma 2, «concernono aspetti della disciplina sindacale e intersoggettiva del rapporto di lavoro, riconducibili tutti alla materia dell'ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.), rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato». Per avvalorare questa affermazione, la Corte esamina puntualmente tutte le materie indicate dal comma 2 per ricondurle nella competenza esclusiva statale: a) La fase costitutiva del rapporto di lavoro ed il suo svolgimento si fondano sulla stipulazione di contratti di diritto privato e pertanto appartengono alla materia dell'ordinamento civile: in tale area la Corte ricomprende «la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto e delle partite Iva, nonché delle vicende del rapporto inerenti alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto stesso». b) Sempre all'ambito della disciplina privatistica vanno ascritte le discipline sulla trasformazione dei contratti di lavoro (ad esempio da part-time a full-time), il regime di solidarietà  negli appalti e i «casi di ricorso alla somministrazione». c) Dalla legge (art. 2103 c.c.) e dalla contrattazione collettiva discende la normativa sulle mansioni. d) L'inquadramento del personale appartiene alla materia dell'ordinamento civile (Corte cost. n. 68/2011). e) Rientra nell'ambito sindacale, quindi nell'ordinamento civile, la norma che regola gli impianti audiovisivi (art. 4, legge n. 300/1970). Sulla base di tali argomentazioni la Corte respinge anche i rilievi, mossi dalla Regione Toscana, relativi alla necessaria considerazione delle numerose intersezioni tra profili di competenza statale e regionale, per cui sempre più spesso una stessa fattispecie presenta ambiti e profili che insistono sotto le differenti tipologie di competenze descritte nell'art. 117 Cost. (oggetto cioè di competenza concorrente, esclusiva statale, residuale regionale). A tale proposito la Corte, infatti, sostiene che queste «intersezioni» (intese come «intreccio di materie») non possono sussistere proprio perché le materie indicate nel secondo comma dell'art. 8, come evidenziato, vivono totalmente nell'alveo della competenza esclusiva dello Stato. Ragionando a contrario, sulla base dei rilievi della Regione ricorrente, le intese di prossimità  non potranno mai riguardare, ad esempio: a) la formazione esterna all'azienda nell'apprendistato (mentre quella interna, peraltro non menzionata dall'art. 8, inerisce al rapporto contrattuale); b) il collocamento; c) strumenti e modalità  d'inserimento di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro; d) limiti quantitativi alle imprese nelle assunzioni di apprendisti; e) funzioni di programmazione, monitoraggio e verifica nell'ambito del mercato del lavoro di rispettiva competenza; f) politiche attive volte a favorire l'occupazione e il lavoro. Sebbene alcune di queste materie trovino collocazione tra le «finalità » espresse dal legislatore al primo comma dell'art. 8 (come già  evidenziato), questo non toglie che, ai fini del giudizio di costituzionalità  relativo all'art. 117, 3° comma, Cost., si debba tener conto esclusivamente delle materie indicate dal secondo comma della disposizione impugnata, qualificata dalla Corte costituzionale come «norma avente carattere chiaramente eccezionale» che «non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati (art. 14, disposizioni sulla legge in generale)». In conclusione, la sentenza n. 221/2012, al di là  di quei pochi aspetti sui quali, peraltro, non sembravano esserci particolari dubbi interpretativi, ci consegna ancora una volta una Corte costituzionale assai cauta nell'offrire spunti che non vadano oltre la semplice ed asettica esegesi del dato normativo, senza alcuna intenzione di intervenire nell'acceso dibattito su quella che rimane (almeno fino ad un auspicabile radicale intervento abrogativo o ad una eventuale pronuncia di incostituzionalità ) una vera e propria «mina vagante» nel nostro ordinamento giuslavoristico.
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