
Descrizione
Termine nullo e risarcimento del danno: Corte Costituzionale e Tribunale di Napoli sullo ius superveniens retroattivo È incostituzionale non rivalutare l'assegno per danno irreversibile da emotrasfusione La Cassazione su titolarità del rapporto e ruolo di direzione della società «capogruppo»Lo svolgimento, da parte di un impiegato del ministero della giustizia, delle mansioni di dirigente di segreteria
R. A. dipendente del ministero della Giustizia presso la Procura generale della
Repubblica di Trentocon inquadramento come direttrice di cancelleria «C3», nel periodo
del marzo 2001 al dicembre 2005 ha svolto le superiori mansioni di dirigente di segreteria.
Ella ha chiesto al Tribunale di Trento, sezione lavoro, di condannare il ministero della
Giustizia al pagamento delle differenze di retribuzione dovute con riferimento al trattamento economico previsto per la superiore posizione dirigenziale da lei ricoperta. Il Tribunale,
con sentenza del 2007, ha accolto la domanda, determinando in euro 56.000,00 le
differenze dovute alla lavoratrice. Questa sentenza è stata confermata in grado di Appello
dalla Corte di Trento, con sentenza del settembre 2008. Il ministero ha proposto ricorso
per cassazione censurando la decisione della Corte trentina per vizi di motivazione e
violazione di legge.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso. La Corte di merito è partita dalla constatazione
che a seguito di sollecitazione del Procuratore generale alla nomina di un nuovo funzionario
delegato per la gestione delle spese di giustizia, stante il trasferimento del dirigente
nominato, il ministero provvide a nominare R. A. con l'indicazione di «Dirigente segreteria
Procura generale Corte Appello di Trento», finendo, in tal modo col prendere atto
dello svolgimento delle mansioni dirigenziali già espletate in via di fatto dalla medesima
dipendente, cosà come attestato nella nota del procuratore generale; da ciò è poi giunta
alla conclusione che il mancato conferimento di obiettivi era addebitabile esclusivamente
all'amministrazione, senza che ciò potesse arrecare nocumento alla lavoratrice, la
quale aveva di fatto svolto con carattere di prevalenza le mansioni di dirigente dell'ufficio
affidatele, maturando il diritto a conseguire le relative differenze retributive. In caso
di effettivo svolgimento di mansioni superiori ' ha affermato la Cassazione ' il dipendente
ha diritto in ogni caso, anche quando non possa essergli riconosciuto il diritto all'inquadramento
nella qualifica superiore, alla corresponsione delle differenze retributive
corrispondenti alle mansioni effettivamente svolte. Questo diritto deriva direttamente
dall'art. 36 Cost., comma 1, in base al quale «il lavoratore ha diritto a una retribuzione
corrispondente alla quantità e qualità del suo lavoro». D'altronde la giurisprudenza di legittimità
ha già avuto modo di chiarire, in materia di pubblico impiego, che il dipendente
pubblico assegnato, ai sensi dell'art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, allo svolgimento
di mansioni corrispondenti a una qualifica superiore rispetto a quella posseduta
ha diritto, anche in relazione a tali compiti, a una retribuzione proporzionata e sufficiente
secondo le previsioni dell'art. 36 Cost., a condizione che dette mansioni siano state
svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in
relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati i poteri e assunte le responsabilità
correlate a esse, dovendosi ritenere estensibile a tale ipotesi la previsione di cui all'art.
2103 cod. civ. In applicazione di questo principio, si è ritenuto che, rispetto a un dipendente
del ministero delle Infrastrutture e Trasporti, avente la nona qualifica professionale
di direttore coordinatore e adibito allo svolgimento di mansioni superiori presso l'Ufficio
provinciale di Grosseto di detto ministero per circa dodici anni, dal 1993 al 2005, andasse
riconosciuto il diritto al trattamento economico corrispondente a quello di primo
dirigente di fascia B anche per il periodo successivo all'entrata in vigore del d.m. 2 agosto
2000 n. 148 con il quale erano state fissate tutte le posizioni dirigenziali degli uffici
periferici, tra le quali non era compresa quella dell'Ufficio occupato dal dipendente. In
pratica ' ha osservato la Corte ' tale precedente rappresenta l'applicazione dell'indirizzo
già segnato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 25837 dell'11 dicembre 2007 per la
quale in materia di pubblico impiego contrattualizzato ' come si evince anche dall'art.
56, comma 6, del d.lgs. n. 29 del 1993, nel testo, sostituito dall'art. 25 del d.lgs. n. 80 del
1998 e successivamente modificato dall'art. 15 del d.lgs. n. 387 del 1998, ora riprodotto
nell'art. 32 del d.lgs. n. 165 del 2001, l'impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei
casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti a una qualifica di due livelli superiori
a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte
Costituzionale (tra le altre, sentenza n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 296 del 1990;
n. 236 del 1992), a una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 Cost.
Tale principio ' ha affermato la Cassazione ' deve trovare integrale applicazione, senza
sbarramenti temporali di alcun genere, pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre
che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati
i poteri e assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni. Nel caso
concreto ' ha concluso la Cassazione ' la Corte di merito, con accertamento immune
da vizi logico-giuridici, ha potuto verificare che le superiori mansioni dirigenziali vennero
svolte da R. A. con pienezza sulla scorta delle attestazioni del procuratore generale in
merito all'effettivo svolgimento, nel periodo preso in considerazione, delle funzioni di dirigente
dell'ufficio da parte della lavoratrice.
In caso di pagamento di differenze di retribuzione il datore di lavoro non può effettuare ritenute
Questa sentenza è già stata segnalata nella rubrica «Corte di cassazione» (n.
5/2011, p. 9). Il caso si presta a essere approfondito.L. C. ha ottenuto la condanna del suo ex datore di lavoro V. D. al pagamento di differenze
di retribuzione per il lavoro in precedenza svolto per alcuni anni. In forza della sentenza
ella ha promosso un procedimento esecutivo chiedendo il pagamento dell'importo lordo
liquidato dal giudice del lavoro. V. D. ha proposto opposizione all'esecuzione, sostenendo
che dall'importo richiesto dovevano essere dedotte le ritenute previdenziali e fiscali. Il
Tribunale di Teramo ha accolto l'opposizione, escludendo la debenza degli importi relativi
alle ritenute fiscali e previdenziali. L. C. ha proposto ricorso per cassazione, censurando
la decisione impugnata per violazione di legge.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, affermando che l'accertamento e la liquidazione
dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al
lordo delle ritenute sia contributive che fiscali: effettivamente ' ha osservato la Corte ' in
caso di inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di versare i contributi previdenziali
nei termini previsti dalla legge, quest'ultimo resta obbligato in via esclusiva, senza possibilità
di rivalersi nei confronti del lavoratore; infatti, la norma che consente al datore di
lavoro di operare le ritenute contributive sulla retribuzione del lavoratore (art. 19 della legge
4 aprile 1952 n. 218) è di stretta interpretazione e, limitando il diritto di ritenuta del datore
di lavoro sulla retribuzione soltanto al caso di tempestivo pagamento della contribuzione
relativa al medesimo periodo, non consente detta forma di recupero ove i contributi
siano pagati parzialmente o in ritardo, dovendosi ricomprendere in tale ultima ipotesi il
caso del ritardato pagamento della retribuzione unitamente ai contributi a essa riferibili.
Analogamente ' ha aggiunto la Corte ' quanto alle ritenute fiscali, il meccanismo di queste
inerisce a un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle
spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il
giudice chiamato all'accertamento e alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire;
del resto, il lavoratore le vedrà assoggettate, secondo il criterio cd. di cassa e non di
competenza, a tassazione soltanto una volta che le avrà percepite, facultato oltretutto a
scegliere modalità di applicazione di aliquote più favorevoli in rapporto al carattere eccezionale
della fonte di reddito nel caso concreto; ne consegue che, allorché il datore di lavoro
sia inadempiente agli obblighi di versamento delle ritenute previdenziali e fiscali,
quanto alle previdenziali egli non ha più titolo di rivalersi nei confronti del lavoratore,
mentre, quanto alle fiscali, soccorrerà il consueto meccanismo della tassazione dei redditi
arretrati, sui quali incomberà al lavoratore, dopo averli materialmente percepiti e dichiarati,
corrispondere, su liquidazione del competente ufficio, le relative imposte: pertanto,
legittimamente l'esecuzione ha luogo per l'importo dovuto, al lordo cioè di dette ritenute,
tanto previdenziali che fiscali.
pertura di una procedura di riduzione del personale deve soddisfare un’oggettiva esigenza di trasparenza
Eziologia professionale del mesotelioma pleurico in presenza di accertato rischio da amianto negli ambienti di lavoro
Il giudice del lavoro di Torino, adito per la rivendicazione del diritto alla rendita
per morte azionato dalla vedova di un lavoratore dipendente della F. A. Spa di
Rivalta,il quale aveva espletato mansioni di manutentore, saldatore ed elettricista rimanendo esposto al rischio da amianto, in quanto il decesso era ascrivibile a mesotelioma
pleurico, dopo avere ammesso ed espletato la prova testimoniale e acquisito documentazione
che in effetti comprovava la sussistenza del predetto fattore di rischio lavorativo, sia
pure con motivazione stringata, accoglie la domanda senza preventivo espletamento di Ctu
medico-legale.
Il Tribunale decide dunque in concreta applicazione del principio di presunzione legale
dell'eziologia professionale delle patologie tabellate, come è il mesotelioma pleurico in
rapporto all'esposizione lavorativa ad amianto. È infatti sufficiente, nelle fattispecie considerate
dal T.U. 1124/1965 a tali fini, che il lavoratore fornisca la prova dell'esistenza del
fattore di rischio professionale e del'esistenza della patologia, salva la prova di una causalità
extralavorativa, che, tuttavia, incombe sull'Inail.
Qualificazione della natura risarcitoria o retributiva della indennità per inabilità temporanea corrisposta dall’Inail
Rivalutazione contributiva per esposizione al rischio da amianto negli ambienti di lavoro
Interviene ancora autorevolmente il giudice del lavoro di Taranto in tema di esposizione
al rischio da amianto successiva al 1992di un lavoratore collocato in
pensione prima del 1° gennaio 2008, che chiede anche la liquidazione dei miglioramenti
pensionistici per esclusione delle contribuzioni figurative per mobilità e minori, che gli
danneggiano la pensione, in considerazione della possibilità di utilizzare la contribuzione
per «amianto» al fine di raggiungere la soglia minima contributiva per il collocamento
in pensione. Il giudice innanzitutto esclude la rilevanza della disciplina di cui all'art.
1, commi 20 e 21, legge n. 247/2007 trattandosi di disciplina sopravvenuta che limita
solo la efficacia certificativa degli atti di indirizzo ma non esclude l'applicabilità del beneficio
in presenza della dimostrazione dei presupposti dell'esposizione qualificata al
rischio. Considera, inoltre, che, in riferimento allo ius superveniens costituito dalla introduzione
retroattiva della decadenza triennale ex comma 1, lett. D n. 1, art. 38 d.l. 6
luglio 2011 n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011 n. 111, non è precluso, come vorrebbe
l'Inps, il diritto o l'azione per conseguire la prestazione se proposta oltre il termine
triennale dall'adempimento parziale, ma stante la confermata vigenza dell'art. 6 d.l.
n. 103/1991, solo il diritto di percepire i ratei maturati anteriormente al decorso del suddetto
termine di decadenza computato a ritroso dal momento del deposito del ricorso
giudiziario.
Il giudice del lavoro di Taranto, dunque, con sentenza n. 6433 del 2011, ha respinto le eccezioni
dell'Inps, affermando che, nonostante la portata retroattiva della disposizione in
esame, «deve farsi applicazione del principio secondo il quale il termine triennale di decadenza,
nell'ipotesi di prestazioni previdenziali erogate a ratei, non investe l'intera domanda,
bensà comporta l'estinzione del diritto (solo) ai ratei maturati anteriormente al
decorso del termine di decadenza compitato a ritroso dal momento della proposizione
della domanda giudiziale, mentre non compromette il diritto ai ratei maturati nel periodo
compreso tra tale momento e lo spirare del termine stesso cosà computato». Non pare,
in effetti che la nuova disposizione abbia abrogato quella prevista dalla seconda parte
del primo comma dell'art. 6 del d.l. n. 103 del 1991, che per l'appunto prescrive che la
decadenza sia limitata, nel caso di prestazioni pensionistiche, ai rate antecedenti il triennio
e non al diritto.
Per l'effetto, eseguita la Ctu, il giudice adito ha riconosciuto, cosà come richiesto, il diritto
alla rivalutazione del periodo contributivo 1° gennaio 1993-3 novembre 1996 e ha condannato
l'Inps alla riliquidazione della pensione con esclusione della contribuzione non determinante
' considerata al pari della effettiva quella derivante dalle maggiorazioni scaturite
della rivalutazione per amianto ' ai fini del perfezionamento dello stesso diritto a pensione,
che in concreto danneggiava la stessa pensione. La somma in favore del ricorrente
è stata determinata in euro 10.835,94.
ernie discali contratte da conducente auto
Affidato l'incarico peritale il Ctu aveva accertato la riferibilità della malattia
denunciatadal lavoratore assicurato, dipendente dell'azienda municipalizzata per la raccolta
dei rifiuti urbani di Taranto, all'attività lavorativa svolta come autista degli auto-compattatori.
Il giudice, richiamandosi per relationem all'analisi condotta dal Ctu che aveva affermato il
nesso tra la ripetuta esposizione a sollecitazioni e microtraumi del rachide conseguenti all'attività
di guida e le ernie sofferte dal ricorrente, gli riconosce il diritto all'indennizzo ex
art. 13 d.l. n. 38/2000 nella misura del 12%.
Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquina
In attesa della definizione di un complessivo sistema di qualificazione delle imprese
e dei lavoratori autonomicome previsto dagli articoli 6, comma 8, lettera g),
e 27 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, il regolamento di cui al d.P.R. 14 settembre
2011, n. 177 disciplina il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori
autonomi destinati ad operare nel settore degli ambienti sospetti di inquinamento o
confinati, quale di seguito individuato.
(Gazzetta Ufficiale, n. 260 del 8 novembre 2011)
Invalidità da lavoro stress correlata – Individuazione della disciplina applicabile ratione temporis
mancato pagamento dell’indennità opzionale – Il sistema dell’art. 18 Stat. lav. si fonda sul principio di effettiva tutel
L’idea embrionale e vaga di un programma televisivo non è tutelabile come «format» per carenza dei requisiti di creatività
Eziologia professionale del carcinoma della vescica
Il Tribunale di Saluzzo accoglie il ricorso di un ex lavoratore della Michelin di
Cuneocolpito da carcinoma vescicale aderendo al principio della presunzione legale del
rischio perché tabellate sia le sostanze morbigene dedotte nel ricorso ' polveri e fumi della
lavorazione della gomma ' che la patologia, senza disporre accertamento peritale sul
nesso di causalità , bensà solo per la determinazione dei postumi, cosà riconoscendogli,
sulla scorta della deposizioni testimoniali le quali tutte avevano comprovato la sussistenza
dei fattori di rischio nell'ambiente di lavoro, il diritto alla rendita nella misura del 19%.
Singolarmente il giudice di Saluzzo riconosce al ricorrente la rifusione non solo degli onorari
di avvocato ma anche delle spese sostenute per la consulenza tecnica di parte
Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di previdenza sociale
L'art. 3, n. 1, della direttiva 79/7/Ceedev'essere interpretato nel senso che un regime
di perequazione annuale delle pensioni rientra nell'ambito di applicazione di tale
direttiva ed è quindi soggetto al divieto di discriminazione sancito all'art. 4, n. 1,
della stessa.
L'art. 4, n. 1, della direttiva 79/7 dev'essere interpretato nel senso che, tenuto conto
dei dati statistici prodotti dinanzi al giudice del rinvio, e in mancanza di elementi contrari,
tale giudice può aver ragione di dichiarare che tale norma osta a una disposizione
nazionale che porta a escludere da un aumento straordinario delle pensioni una
percentuale notevolmente più elevata di pensionati di sesso femminile che di sesso
maschile.
L'art. 4, n. 1, della direttiva 79/7 dev'essere interpretato nel senso che, qualora, nell'ambito
dell'esame che il giudice del rinvio deve effettuare al fine di fornire una risposta
alla seconda questione, esso debba pervenire alla conclusione che, in realtà , una
percentuale notevolmente più elevata di pensionati di sesso femminile piuttosto che
di sesso maschile può avere subito uno svantaggio a causa dell'esclusione delle pensioni
minime dall'aumento straordinario previsto dal regime di perequazione di cui alla
causa principale, tale svantaggio non può essere giustificato dal fatto che le donne
che hanno prestato attività lavorativa accedono prima al godimento della pensione o
che esse percepiscono la pensione più a lungo, né dal fatto che l'importo di riferimento
per l'integrazione compensativa è stato esso stesso oggetto di un aumento straordinario
per il medesimo anno 2008.
Sistemi di localizzazione dei veicoli e controlli sui lavoratori
Il Garante è stato chiamato a pronunciarsi sulla liceità dei sistemi di localizzazione
e di comunicazione della posizione rilevata installati,con sempre maggior
frequenza, a bordo dei veicoli impiegati da datori di lavoro pubblici e privati per soddisfare
esigenze organizzative e produttive ovvero per la sicurezza sul lavoro nell'ambito della
fornitura di servizi di trasporto di persone o cose, i quali comportano ovvi riflessi sulla possibilità
di localizzare la posizione dei lavoratori assegnatari dei veicoli medesimi. La problematica
sottesa alla richiesta insiste sul fatto che i dati relativi all'ubicazione dei veicoli,
in quanto (direttamente o indirettamente) associati ai lavoratori, possono costituire anche
informazioni personali riferibili a questi ultimi (art. 4, comma 1, lett. b), del Codice) con
la conseguenza che al trattamento di tali informazioni trova applicazione la disciplina contenuta
nel Codice. La disciplina di protezione dei dati personali non trova invece applicazione
ove le informazioni concernenti la gestione del parco automezzi (quali quelle relative
al consumo di carburante e commisurazione delle distanze percorse dai singoli veicoli,
utilizzate di regola al fine di programmare un'efficiente manutenzione) siano trattate
senza poter essere in alcun modo ricondotte ai lavoratori. Il Garante ha ritenuto che in tali
ipotesi, considerato che la localizzazione dei veicoli può effettivamente comportare una
forma di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori, oltre alla disciplina di protezione
dei dati personali deve, altresà, essere rispettata la disciplina dettata dall'art. 4 della legge
20 maggio 1970 n. 300. In particolar modo, se i datori di lavoro adottano correttamente
le garanzie previste dall'art. 4, comma 2, legge n. 300/1970 gli stessi, indifferentemente
dal fatto che siano privati ovvero enti pubblici economici, possono effettuare lecitamente
il trattamento dei dati personali (diversi da quelli sensibili) relativi all'ubicazione dei
propri dipendenti per soddisfare esigenze organizzative e produttive ovvero per la sicurezza
sul lavoro (oltre che sulla base di uno degli altri presupposti di cui all'art. 24 del Codice),
anche in assenza del consenso degli interessati e in applicazione della disciplina sul
cd. bilanciamento di interessi (art. 24, comma 1, lett. g), del Codice) la quale, come noto,
individua un legittimo interesse al trattamento di tale tipologia di dati. Per tale bilanciamento
si è, altresà, tenuto conto delle garanzie che la legge n. 300/1970 prevede per il controllo
a distanza presupponendo non il consenso degli interessati, ma un accordo con le
rappresentanze sindacali o, in difetto, l'autorizzazione del competente organo periferico
del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, cd. Legge di stabilità 2012
L'art. 5 della legge n. 183/2011, cd. Legge di stabilità 2012, detta disposizioni in
materia di trattamenti pensionisticistabilendo che «1. Ferma restando la disciplina
vigente in materia di decorrenza del trattamento pensionistico e di adeguamento dei
requisiti di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita ai
sensi dell'art. 12 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, per i lavoratori e le lavoratrici la
cui pensione è liquidata a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme
esclusive e sostitutive della medesima, nonché della gestione separata di cui all'art. 2,
comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, i requisiti anagrafici per l'accesso alla
pensione di vecchiaia nel sistema retributivo e misto e i requisiti anagrafici di cui all'art.
1, comma 6, lettera b), della legge 23 agosto 2004, n. 243, come modificati, per le lavoratrici,
dall'art. 22-ter, comma 1, del d.l. 10 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni,
dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni, e dall'art. 18, comma
l, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,
n. 111, e successive modificazioni, devono essere tali da garantire un'età minima di accesso
al trattamento pensionistico non inferiore a 67 anni, tenuto conto del regime delle
decorrenze, per i soggetti in possesso dei predetti requisiti, che maturano il diritto alla
prima decorrenza utile del pensionamento dall'anno 2026. Qualora, per effetto degli
adeguamenti dei predetti requisiti agli incrementi della speranza di vita ai sensi dell'art.
12 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, e successive modificazioni, la predetta età minima di accesso non fosse
assicurata, sono ulteriormente incrementati gli stessi requisiti, con lo stesso decreto direttoriale
di cui al citato art. 12, comma 12-bis, da emanare entro il 31 dicembre 2023,
al fine di garantire, per i soggetti, in possesso dei predetti requisiti, che maturano il diritto
alla prima decorrenza utile del pensionamento dall'anno 2026, un'età minima di
accesso al trattamento pensionistico comunque non inferiore a 67 anni, tenuto conto
del regime delle decorrenze. Resta ferma la disciplina vigente di adeguamento dei requisiti
di accesso al sistema pensionistico agli incrementi della speranza di vita ai sensi
dell'articolo 12 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge
30 luglio 2010, n. 122, per gli adeguamenti successivi a quanto previsto dal penultimo
periodo del presente comma». L'art. 16 della legge, invece, introduce disposizioni in
tema di mobilità e collocamento in disponibilità dei dipendenti pubblici. Il comma 1 della
norma citata sostituisce il testo dell'art. 33 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 che nella
versione novellata prevede che «Art. 33. ' (Eccedenze di personale e mobilità collettiva)
' 1. Le pubbliche amministrazioni che hanno situazioni di soprannumero o rilevino
comunque eccedenze di personale, in relazione alle esigenze funzionali o alla situazione
finanziaria, anche in sede di ricognizione annuale prevista dall'art. 6, comma 1, terzo
e quarto periodo, sono tenute ad osservare le procedure previste dal presente articolo
dandone immediata comunicazione al Dipartimento della funzione pubblica. 2. Le
amministrazioni pubbliche che non adempiono alla ricognizione annuale di cui al comma
1 non possono effettuare assunzioni o instaurare rapporti di lavoro con qualunque
tipologia di contratto pena la nullità degli atti posti in essere. 3. La mancata attivazione
delle procedure di cui al presente articolo da parte del dirigente responsabile è valutabile
ai fini della responsabilità disciplinare. 4. Nei casi previsti dal comma 1 del presente
articolo il dirigente responsabile deve dare un'informativa preventiva alle rappresentanze
unitarie del personale e alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo
nazionale del comparto o area. 5. Trascorsi dieci giorni dalla comunicazione di
cui al comma 4, l'amministrazione applica l'art. 72, comma 11, del d.l. 25 giugno 2008,
n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in subordine, verifica la ricollocazione totale o parziale del personale in situazione di soprannumero o
di eccedenza nell'ambito della stessa amministrazione, anche mediante il ricorso a forme
flessibili di gestione del tempo di lavoro o a contratti di solidarietà , ovvero presso
altre amministrazioni, previo accordo con le stesse, comprese nell'ambito della regione
tenuto anche conto di quanto previsto dall'art. 1, comma 29, del d.l. 13 agosto 2011, n.
138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, nonché del
comma 6. 6. I contratti collettivi nazionali possono stabilire criteri generali e procedure
per consentire, tenuto conto delle caratteristiche del comparto, la gestione delle eccedenze
di personale attraverso il passaggio diretto ad altre amministrazioni al di fuori del
territorio regionale che, in relazione alla distribuzione territoriale delle amministrazioni
o alla situazione del mercato del lavoro, sia stabilito dai contratti collettivi nazionali. Si
applicano le disposizioni dell'art. 30. 7. Trascorsi novanta giorni dalla comunicazione di
cui al comma 4 l'amministrazione colloca in disponibilità il personale che non sia possibile
impiegare diversamente nell'ambito della medesima amministrazione e che non
possa essere ricollocato presso altre amministrazioni nell'ambito regionale, ovvero che
non abbia preso servizio presso la diversa amministrazione secondo gli accordi di mobilità .
8. Dalla data di collocamento in disponibilità restano sospese tutte le obbligazioni
inerenti al rapporto di lavoro e il lavoratore ha diritto ad un'indennità pari all'80 per
cento dello stipendio e dell'indennità integrativa speciale, con esclusione di qualsiasi
altro emolumento retributivo comunque denominato, per la durata massima di ventiquattro
mesi. I periodi di godimento dell'indennità sono riconosciuti ai fini della determinazione
dei requisiti di accesso alla pensione e della misura della stessa. È riconosciuto
altresà il diritto all'assegno per il nucleo familiare di cui all'art. 2 del d.l. 13 marzo
1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153». Il comma
2 dell'art. 16 estende le procedure di cui all'art. 33 del d.lgs. n. 165 del 2001 anche
ai casi previsti dall'art. 15 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla
legge 15 luglio 2011, n. 111 mentre il comma 3 della stessa norma esclude l'applicazione
della nuova disciplina ai concorsi già banditi e alle assunzioni già autorizzate alla
data di entrata in vigore della legge n. 183 del 2011. L'art. 22 della legge n. 183 del 2011
introduce incentivi fiscali e contributivi per promuovere gli istituti dell'apprendistato,
del contratto di inserimento, del part-time e del telelavoro. La legge di stabilità 2012,
poi, introduce anche norme di carattere processuale. In particolare l'art. 25 disciplina
l'impiego della posta elettronica certificata nel processo civile mentre l'art. 26 introduce
misure straordinarie per la riduzione del contenzioso civile pendente davanti alla
Corte di Cassazione e alle corti di appello. Tale norma prevede che «1. Nei procedimenti
civili pendenti davanti alla Corte di Cassazione, aventi ad oggetto ricorsi avverso le
pronunce pubblicate prima della data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n.
69, e in quelli pendenti davanti alle corti di appello da oltre due anni prima della data di
entrata in vigore della presente legge, la cancelleria avvisa le parti costituite dell'onere
di presentare istanza di trattazione del procedimento, con l'avvertimento delle conseguenze
di cui al comma 2. 2. Le impugnazioni si intendono rinunciate se nessuna delle
parti, con istanza sottoscritta personalmente dalla parte che ha sottoscritto il mandato,
dichiara la persistenza dell'interesse alla loro trattazione entro il termine perentorio di
sei mesi dalla ricezione dell'avviso di cui al comma 1. 3. Nei casi di cui al comma 2 il presidente
del Collegio dichiara l'estinzione con decreto». L'art. 27 delle legge n. 183 del
2012 introduce modifiche al codice di procedura civile per l'accelerazione del contenzioso
civile pendente in grado di appello stabilendo «1. Al codice di procedura civile sono
apportate le seguenti modificazioni: a) all'art. 283 è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Se l'istanza prevista dal comma che precede è inammissibile o manifestamente
infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha
proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro
10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio»; b) all'art 350, primo comma, dopo le parole: «la trattazione dell'appello è collegiale», sono inserite
le seguenti: «ma il presidente del collegio può delegare per l'assunzione dei mezzi
istruttori uno dei suoi componenti»; c) all'art. 351: 1) al primo comma, dopo le parole:
«il giudice provvede con ordinanza» sono inserite le seguenti: «non impugnabile»; 2) è
aggiunto, in fine, il seguente comma: «Il giudice, all'udienza prevista dal primo comma,
se ritiene la causa matura per la decisione, può provvedere ai sensi dell'art. 281-sexies.
Se per la decisione sulla sospensione è stata fissata l'udienza di cui al terzo comma, il
giudice fissa apposita udienza per la decisione della causa nel rispetto dei termini a
comparire»; d) all'art. 352 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Quando non provvede
ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell'art.
281-sexies»; e) all'art. 431 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Se l'istanza per
la sospensione di cui al terzo ed al sesto comma è inammissibile o manifestamente
infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha
proposta ad una pena pecuniaria non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro
10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio»; f) all'art.
445-bis è aggiunto, in fine, il seguente comma: «La sentenza che definisce il giudizio
previsto dal comma precedente è inappellabile». 2. Le disposizioni di cui al presente articolo
si applicano decorsi trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge
». L'art. 28, invece, introduce modifiche in materia di spese di giustizia stabilendo che
l'importo del contributo unificato è aumentato della metà per i giudizi di impugnazione
ed è raddoppiato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione. Inoltre la parte quando
modifica la domanda o propone domanda riconvenzionale o formula chiamata in causa,
cui consegue l'aumento del valore della causa, è tenuta a farne espressa dichiarazione
e a procedere al contestuale pagamento integrativo. Le altre parti, quando modificano
la domanda o propongono domanda riconvenzionale o formulano chiamata in
causa o svolgono intervento autonomo, sono tenute a farne espressa dichiarazione e a
procedere al contestuale pagamento di un autonomo contributo unificato, determinato
in base al valore della domanda proposta.
(Gazzetta Ufficiale n. 265 del 14 novembre 2011)
CIRCOLARE MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI N. 27 24 OTTOBRE 2011
Con la circolare n. 27 del 24 ottobre 2011il ministero del Lavoro ha fornito chiarimenti
in ordine all'interpretazione dell'art. 5, comma 8, della legge 12 marzo 1999, n.
68 novellato dall'art. 9 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni,
nella legge 14 settembre 2011, n. 148 in tema di collocamento obbligatorio e regime
delle compensazioni.
Titolari di pensioni dovute ai sensi della legislazione di diversi Stati membri – Mantenimento dei diritti acquisiti nello Sta
Sanzionabilità diretta dei lavoratori
La Commissione ha ribadito l'orientamento già espresso da questa stessa Commissione
con delibera n. 08/518secondo cui, nel caso di un'astensione improvvisa e
spontanea dal lavoro indetta dai dipendenti di un'azienda operante nell'ambito dei servizi
pubblici essenziali, laddove la stessa abbia comportato rilevanti disagi all'utenza e non
sia in alcuno modo riconducile a una sigla sindacale di riferimento, il datore di lavoro deve
adottare i provvedimenti disciplinari direttamente nei confronti di coloro che si siano
arbitrariamente astenuti dal lavoro.
Autorità garante della
Disposizioni restrittive della concorrenza nel trasporto scolastico
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha formulato alcune osservazioni
in relazione alle disposizioni della legge regionale Campania1° agosto
2011, n. 13, recante norme in materia di trasporto scolastico. L'Autorità , pur condividendone
la ratio della legge citata ' ovvero quella di sottrarre i servizi di trasporto
scolastico alla gestione in esclusiva, soggiacendoli a un regime di concorrenza «nel
mercato», tramite il ricorso all'istituto dell'autorizzazione ' ha osservato che la stessa
appare presentare profili di contrasto con la normativa a tutela della concorrenza di cui
alla legge n. 287/90. Suscita particolari perplessità , in primo luogo, l'ampia discrezionalità
riconosciuta ai Comuni nella scelta del numero di autorizzazioni da attribuire,
dei titoli valutabili e dei criteri di valutazione degli stessi (art. 4 della l.r. n. 13/11). Appare
essenziale, a tal fine, garantire che i Comuni provvedano a esercitare tali funzioni
sulla base di criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori, se del caso, ispirati a
quelli disciplinati dall'art. 16 del decreto legislativo n. 422/97 per la determinazione
dei servizi minimi di trasporto pubblico locale. Ulteriormente censurabile appare l'art.
6 della legge che se, da un lato, obbliga i Comuni a stabilire «l'entità della tariffa a carico
degli utenti del servizio di trasporto scolastico», dall'altro, non chiarisce i termini
del rapporto economico intercorrente tra l'Ente, i trasportatori, gli istituti di istruzione
interessati e gli utenti del servizio. A tal fine, l'art. 1, comma 2, prevede che il compenso
sia versato «dalla persona trasportata o dal comune organizzatore del trasporto»
lasciando, pertanto, alla discrezionalità del Comune la scelta tra un modello contrattuale
cd. net cost (senza oneri per l'Ente) o gross cost (con rischio imprenditoriale a carico
dell'Ente). L'autorità rileva, infatti, che ove la fissazione delle tariffe a opera dell'Ente
locale sottintenda l'adozione del modello contrattuale gross cost vi sarebbe il rischio
che la presenza di più operatori allineati sulle stesse tariffe possa tradursi in forme
di ripartizione del mercato a danno degli utenti e dell'amministrazione. La concorrenza
tra i diversi soggetti potenzialmente autorizzabili a fornire i servizi potrebbe esprimersi,
nella migliore delle ipotesi, solo sul livello dei corrispettivi richiesti all'Ente
locale e sulla qualità dei servizi resi piuttosto che sulle tariffe pagate dagli utenti. In tale
accezione, pertanto, la norma rischia di sterilizzare i possibili guadagni di efficienza
ricollegabili al passaggio da un sistema di concessione in esclusiva a un meccanismo
di autorizzazione. L'autorità ha, infatti, osservato che sarebbe preferibile che sulla base
dell'effettiva richiesta di mobilità , poste le caratteristiche di fruizione e qualità dei
servizi, l'Ente locale stabilisse a monte il numero di autorizzazioni da attribuire e provvedesse
a fissare, se necessario, tariffe massime sulle quali i diversi soggetti potrebbero
competere al ribasso. Il contratto di servizio, in tal caso, potrebbe prevedere eventuali compensazioni a fronte dell'assolvimento di specifici obblighi di servizio pubblico
trasparenti e non discriminatori. In conclusione, l'Autorità ha auspicato che le osservazione
cosà formulate possano costituire un valido spunto al fine di un riesame
della materia da parte della Regione Campania.
Libera circolazione – Divieto di lasciare il territorio nazionale a causa di condanna penale in un altro paese – Traffico di
Mobbing – Danno biologico, danno patrimoniale, danno non patrimoniale – Demansionamento – Perdita di chance
Inadempimento di uno Stato – Sentenza della Corte che accerta un inadempimento – Mancata esecuzione – Sanzioni pecuniarie
Impugnazione graduatoria provinciale ruoli scolastici – Diritto immissione in ruolo – Pagamento retribuzioni e/o differenze
Contratto a tempo determinato – Ragione dell’apposizione del termine – Indicazione – Mancanza – Nullità della clausol
Reclamo avverso ordinanza – Licenziamento collettivo – Esclusione – Successione di appalti – Riconoscimento
Lavoro pubblico – Revoca di titolarità della posizione organizzativa – Demansionamento – Diritto alla reintegra
Libera circolazione – Divieto di lasciare il territorio nazionale a causa del mancato pagamento di un debito tributario – or
insolvenza del datore di lavoro
Gli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987/Cee,relativa alla tutela dei lavoratori subordinati
in caso d'insolvenza del datore di lavoro, devono essere interpretati nel senso
che ostano a una normativa nazionale che obbliga i lavoratori, in caso di insolvenza del
loro datore di lavoro, a farsi registrare quali persone in cerca di lavoro per poter esercitare
pienamente il loro diritto al pagamento dei crediti retributivi insoluti, come quelli
controversi nella causa principale.
ferie annuali e malattia
L'art. 7, n. 1, della direttiva 2003/88/Ce, concernente taluni aspetti dell'organizzazione
dell'orario di lavoro, deve essere interpretato nel senso che non osta a norme o
a prassi nazionali, quali i contratti collettivi, che, prevedendo un periodo di riporto di
quindici mesi allo scadere del quale il diritto alle ferie annuali retribuite si estingue, limitano
il cumulo dei diritti a tali ferie di un lavoratore inabile al lavoro durante più periodi
di riferimento consecutivi.
Licenziamento del socio di cooperativa e delibera di esclusione – Competenza funzionale del giudice del lavoro – Licenziamen
Contratti di somministrazione a tempo determinato – Causali – Genericità – Illegittimità – Conseguenze: diritto alle r
Contratto di lavoro a termine – Successione di contratti – Assenza di ragioni giustificative – Atto risolutorio discrimina
Contratto a termine – Risoluzione del rapporto per «giusta causa » – Risarcimento del danno derivante dalla risoluzione an
Il contratto a tempo determinato stipulato successivamente a un periodo di lavoro di fatto è tamquam non esset e, di conseguenz
Il giudice del lavoro di Roma, espletata la prova per testi, ha accolto la domanda
della lavoratriceche aveva iniziato a lavorare per la società convenuta senza
alcun formale contratto. Solo successivamente le parti avevano stipulato un contratto
a tempo determinato. Il giudice accertata e dichiarata la sussistenza di un rapporto
di lavoro subordinato fin dall'inizio del rapporto non regolarizzato, ha ritenuto,
come conseguenza, che il rapporto a tempo determinato «innestatosi» su rapporto a
tempo indeterminato è tamquam non esset. Per tale ragione ha ritenuto, inapplicabilità
al caso di specie della posta risarcitoria contenuta nella novella introdotta con il
cd. Collegato lavoro, accogliendo, cosà, la domanda della lavoratrice non solo in ordine
alla nullità /inefficacia/illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro e al ripristino
del rapporto, ma anche condannando la società convenuta al pagamento di tutte
le retribuzioni dalla messa in mora alla data dell'effettiva riammissione in servizio.
Personale precario della scuola – Illegittimità contratti a termine – Diritto al risarcimento – Misura: parametro offerto
Il ruolo di direzione della capogruppo costituisce indice della effettiva titolarità del rapporto di lavoro
Un direttore generale di una società australiana, controllata da un'azienda automobilistica
italiana,adiva il Tribunale di Torino al fine di vedere accertare l'esistenza
del rapporto di lavoro in capo alla società capogruppo, quale effettiva titolare del potere
organizzativo e direttivo.
Il Tribunale di Torino rigettava la domanda con sentenza riformata dalla locale Corte di Appello,
che osservava che la società capogruppo aveva in concreto gestito l'attività lavorativa
del dipendente, sia sotto l'aspetto organizzativo che gerarchico ed economico, e aveva,
altresà, usufruito delle relative prestazioni, assumendo nei confronti dello stesso la veste
di effettivo datore di lavoro, in luogo della società controllata estera.
La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso della società , ha rilevato che la direzione
e il coordinamento, che compete alla società capogruppo e che qualifica ' ora anche
in sede normativa ' il fenomeno dell'integrazione societaria, può evolversi in forme molteplici,
che possono riflettere una ingerenza talmente pervasiva da annullare l'autonomia
organizzativa delle singole società operative (accreditando un uso puramente strumentale
o, in altri termini, puramente «opportunistico» della struttura di gruppo), ovvero
un rilevante, ma fisiologico, livello di integrazione che può costituire il presupposto
per una valutazione differenziata, che la rilevanza dell'«interesse unitario di gruppo» manifesta
rispetto all'adempimento dell'obbligazioni, quali risultano funzionali alla realizzazione
di tale interesse.
In questo contesto, con specifico riferimento alle problematiche lavoristiche ' osserva la
Suprema Corte ' del tutto decisivo appare il riferimento alle forme di utilizzazione del
personale dipendente, potendo l'ingerenza della società dominante, nella gestione del
rapporto di lavoro, spingersi sino al punto di determinare una utilizzazione del tutto indistinta
e promiscua della forza lavoro all'interno del gruppo, accreditando una situazione
di «confusione contrattuale», tale da far constatare, in realtà , l'esistenza di una impresa
unitaria, solo apparentemente organizzata in forma di gruppo.
Sulla base di tali rilievi, è stata ritenuta legittima la decisione della Corte territoriale, che
aveva attribuito rilevanza sia all'effettivo beneficiario della prestazione, ricavabile dagli
obiettivi assegnati al dirigente, non riconducibili all'attività della controllata, sia all'effettivo
titolare del potere di indirizzo economico e organizzativo, ravvisato in capo alla capogruppo
Ai fini dell’attivazione della mobilità è sufficiente l’intenzione di effettuare almeno cinque licenziamenti
Nei contratti di associazione in partecipazione la difformità dal modello legale determina la trasformazione del rapporto in un
Un centro sociale gestiva all'interno di un circolo ricreativo un bar,il cui addetto
prestava la propria attività sulla base di un contratto di associazione in partecipazione,
svolgendo mansioni del tutto simili a quelle di un prestatore di lavoro subordinato.
Nel corso di una verifica ispettiva, il rapporto di associazione veniva contestato e, all'esito
del giudizio che scaturiva dall'accertamento, il Tribunale di Firenze e la locale
Corte di Appello ritenevano l'illegittimità del contratto di associazione e la sussistenza
di un lavoro subordinato.
La Corte di Cassazione, nel respingere il gravame, ha affermato che, in tema di distinzione
fra contratto di associazione in partecipazione, con apporto di prestazione lavorativa
da parte dell'associato, e contratto di lavoro subordinato, con retribuzione collegata
agli utili dell'impresa, il giudizio impone di verificare la sussistenza degli elementi
costitutivi del rapporto associativo.
In assenza di un rendiconto periodico e di un concreto rischio di impresa ' non limitato
alla mera perdita della retribuzione ' con salvezza del diritto alla retribuzione minima
proporzionata, il rapporto di lavoro subordinato deve ritenersi sussistere.
Nella valutazione del tipo di rapporto effettivamente voluto dalle parti ' precisa la Cassazione
' la possibilità che l'apporto dell'associato abbia connotazioni del tutto analoghe
a quelle dell'espletamento della prestazione lavorativa in regime di lavoro subordinato,
comporta che il fulcro dell'indagine si sposti sulla verifica dell'autenticità
del rapporto di associazione.
La Cassazione conclude che, ove la prestazione sia inserita nel contesto dell'organizzazione
produttiva senza partecipazione al rischio di impresa e senza ingerenza nella
gestione, si ricade nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, in ragione di un generale
favore accordato dall'art. 35 Cost., che tutela il lavoro in tutte le sue forme.
Il licenziamento per scadenza del periodo di comporto è valido anche dopo il rientro del lavoratore
Un lavoratore veniva licenziato dopo aver ampiamente superato il periodo di
comporto e, dopo 19 giorni che era, tuttavia, rientrato in azienda.Nel corso del
giudizio promosso dal lavoratore, il Tribunale di Roma, con sentenza riformata dalla
Corte capitolina, annullava il licenziamento disponendo la reintegra del dipendente nel
posto di lavoro. La Corte di Cassazione ha affermato che non può essere considerato, come legittima aspettativa del lavoratore, il fatto che l'azienda abbia provveduto al licenziamento,
dopo 19 giorni dal rientro in azienda.
La Cassazione, pertanto, nel richiamare il proprio orientamento, ha affermato che, nell'ipotesi
del licenziamento per superamento del periodo di comporto, l'interesse del
lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole
spatium deliberandi da riconoscersi al datore di lavoro, affinché possa valutare, convenientemente,
la compatibilità di una rinnovata presenza del lavoratore in rapporto
agli interessi aziendali.
Sulla base di tali rilievi, consegue ' ad avviso dei giudici di legittimità ' che, in tale evenienza,
la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico
fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità , che il giudice di merito
deve operare di volta in volta, con riferimento all'intero contesto delle circostanze
potenzialmente significative, se del caso, valutando detta tempestività in relazione,
non al momento in cui spira il termine interno del comporto, bensà a quello di rientro
in servizio del lavoratore.
Dunque, ai fini della verifica della tempestività del recesso, la giurisprudenza di questa
Suprema Corte rimette al giudice di merito sia l'apprezzamento dell'entità dello spatium
deliberandi a disposizione del datore di lavoro (influenzata, com'è noto, dalle dimensioni
aziendali e da ogni altra circostanza del caso), sia la concreta individuazione del dies a
quo del margine temporale entro cui si debba decidere se licenziare il dipendente.
L'affidamento del dipendente scaturisce solo dalla effettiva ripresa del lavoro per un
periodo tale da fare maturare l'aspettativa legittima in capo al lavoratore.
Sulla base di tale prospettiva, la Corte di Cassazione ha, quindi, concluso affermando
che, sino a quando il lavoratore non sia rientrato in servizio, la pura e semplice inerzia
dell'imprenditore è ancora un contegno neutro, di per sé non significativo della volontà
di rinunciare alla facoltà di recesso e, quindi, inidoneo a determinare l'altrui incolpevole
affidamento.
La dimora del lavoratore costituisce una dipendenza
Una lavoratrice nell'agire in giudizio adiva il Tribunale di Venezia al fine di rivendicare
l'illegittimità di un trasferimento di azienda.Nel costituirsi in giudizio la società convenuta contestava la competenza del locale magistrato
deducendo che nel circondario del Tribunale non sussisteva alcuna struttura aziendale
in quanto il lavoratore svolgeva la propria prestazione dal proprio domicilio con il
proprio pc quale informatore farmaceutico responsabile di area.
Il giudice dichiarava la propria incompetenza con sentenza riformata in sede di regolamento
di competenza dalla Corte di Cassazione
Nell'accogliere il ricorso i giudici di legittimità hanno infatti richiamato il proprio orientamento
che nel caso delle prestazioni degli informatori farmaceutici è necessario considerare
una nozione di dipendenza particolarmente ampia.
In tale prospettiva la Cassazione ha rilevato che ormai da tempo l'evoluzione dell'organizzazione
del lavoro tende a rendere elastico il rapporto tra lavoro e luoghi e strutture materiali
in quanto molti lavori, specie nei servizi, vengono svolti fuori dai luoghi tradizionali
e vengono svolti con l'ausilio di pochi mezzi e strumenti materiali. Molte persone lavorano
a casa propria e solo con un personal computer e tuttavia lavorano alle dipendenze
di una organizzazione aziendale flessibile ma non per questo evanescente.
I giudici nell'affermare la possibilità di delocalizzazione dell'azienda rese possibili dalle
moderne tecnologie affermano la necessità in capo all'interprete di tenere conto dell'evoluzione che assicura penetranti possibilità di controllo dei tempi e dei contenuti della prestazione
che un collegamento informatico consente.
a Cassazione afferma la sindacabilità delle procedure meritocratiche
Un lavoratore di un'azienda di credito contestava innanzi al magistrato del lavoro
di Napoli le valutazioni negative di rendimentoespresse con le note di qualifica
in forza delle quali non aveva ottenuto alcun incentivo economico e in ordine alle quali
non aveva avuto alcun riscontro alla richiesta di motivazione dei giudizi.
Il Tribunale partenopeo rigettava la domanda ritenendo meramente discrezionali i giudizi
dell'istituto bancario.
La decisione veniva riformata dalla locale Corte territoriale per la quale l'istituto di credito
era tenuto a fornire idonea motivazione.
La Corte di Cassazione pur riformando la decisione in ordine alla prova dell'esistenza di
un danno da perdita di chance ha affermato, relativamente ai giudizi meritocratici, che le
valutazioni del datore di lavoro in ordine al rendimento e alla capacità professionale del
lavoratore, espresse con le note di qualifica sono sindacabili dal giudice con riferimento a
parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo e agli obblighi contrattuali di correttezza
e buona fede con la conseguenza che al datore di lavoro grava l'onere di motivare le
note allo scopo di permettere il controllo da parte del giudice dell'osservanza di siffatti parametri.
Nel precisare l'ambito del controllo giudiziale la Suprema Corte ha inoltre precisato che la
verifica non si limita a un mero controllo di coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo ma
ha a oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del giudizio.
La Cassazione ribadisce il riparto dell’onere della prova sulle modalità di cessazione del rapporto di lavoro
contratto di somministrazione e contratto a termine – Illegittimità per omessa indicazione specifica delle ragioni – Conseg
Rivalutazione indennizzi legge n. 210/1992
In caso di danno irreversibile da emotrasfusione, il soggetto danneggiato ha
diritto alla piena rivalutazione dell'assegno sulla base del tasso di inflazione
programmato.È quanto ha stabilito la Corte Costituzionale accogliendo la questione
relativa alle norme che escludevano dalla rivalutazione l'indennità integrativa
speciale, componente principale dell'assegno. L'art. 11, comma 13, dispone infatti che
«Il comma 2 dell'articolo 2 della legge 25 febbraio 1992 n. 210 e successive modificazioni
si interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennità integrativa
speciale non è rivalutata secondo il tasso d'inflazione». Il successivo comma
14 stabilisce, inoltre, che: «Fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in
giudicato, per i periodi da esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente
decreto cessa l'efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma
di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi
fino alla data di entrata in vigore del presente decreto». Tale normativa deve essere
coordinata con quanto previsto dalla legge n. 210 del 1992, modificata dalla legge n.
238 del 1997, la quale stabilisce che chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni
obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità ,
dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psicofisica,
ha diritto a un indennizzo da parte dello Stato. L'indennizzo in esame consiste in un assegno,
reversibile per quindici anni, ed è cumulabile con ogni altro emolumento a
qualsiasi titolo percepito ed è rivalutato annualmente sulla base del tasso d'inflazione
programmato. L'art. 2, comma 2, della medesima legge, infine, prevede che l'indennizzo
in questione sia integrato da una somma corrispondente all'importo dell'indennità
integrativa speciale, di cui alla legge 27 maggio 1959 n. 324. Sebbene le scelte del legislatore
rientrino ' ad avviso della Corte ' nella sfera della sua discrezionalità , compete
al giudice delle leggi verificare che esse non siano affette da palese arbitrarietà o
irrazionalità , ovvero non comportino una lesione della parità di trattamento o del nucleo
minimo della garanzia. A tale proposito la Corte utilizza, quale tertium comparationis,
la situazione delle persone affette da sindrome da talidomide (che ha fondamento
analogo, se non identico, a quello del beneficio introdotto dall'art. 1, comma 3,
della legge n. 210 del 1992). Nella sindrome da talidomide, come nell'epatite post-trasfusionale,
i danni irreversibili subiti dai pazienti sono derivati da trattamenti terapeutici
non legalmente imposti e neppure incentivati e promossi dall'autorità nell'ambito
di una politica sanitaria pubblica. Entrambe le misure hanno natura assistenziale, basandosi
sulla solidarietà collettiva garantita ai cittadini alla stregua degli artt. 2 e 38
Cost. In questo quadro non si giustifica, e risulta, quindi, fonte di una irragionevole disparità
di trattamento in contrasto con l'art. 3, comma primo, Cost., la situazione venutasi
a creare, a seguito della normativa censurata, per le persone affette da epatite
post-trasfusionale rispetto a quella dei soggetti portatori della sindrome da talidomide.
A questi ultimi è riconosciuta la rivalutazione annuale dell'intero indennizzo, mentre
alle prime la rivalutazione (sulla base del tasso di inflazione programmato: art. 2,
comma 1, legge n. 210 del 1992) è negata proprio sulla componente diretta a coprire la
maggior parte dell'indennizzo stesso, con la conseguenza, tra l'altro, che soltanto questo
rimane esposto alla progressiva erosione derivante dalla svalutazione.
Esonero anticipato dal servizio nella scuola
Non è incostituzionale negare al personale della scuola l'esonero dal servizio
anticipato(consistente nella sospensione dal servizio per un periodo massimo di cinque
anni per i dipendenti pubblici che abbiano una anzianità contributiva vicina ai 40 anni). Il
giudice rimettente censura la disposizione in questione innanzi tutto con riferimento all'art.
3 Cost., sottolineando come l'esclusione dell'intera categoria dei dipendenti pubblici
del «comparto scuola» dalla agevolazione dell'esonero anticipato dal servizio, di cui alla
prima parte della norma, non sia «sufficiente a rispettare i canoni di uguaglianza e ragionevolezza
», non venendo in rilievo motivi evidenti che possano giustificare tale esclusione.
La Corte Costituzionale, nel rigettare la questione, ha sottolineato che il legislatore,
attraverso una molteplicità di interventi ' quali quelli in tema di blocco delle assunzioni
nel pubblico impiego, ove si è operata, di frequente, un'eccezione per il settore scolastico
', ha riservato al «comparto scuola», nell'ambito del pubblico impiego, un trattamento
non necessariamente omogeneo rispetto alle altre categorie di dipendenti pubblici.
Ciò in quanto la normativa di tale comparto presenta talune specificità legate, in particolare,
all'esigenza di garantire il rispetto dell'ordinamento didattico e la continuità dell'insegnamento,
tali da rendere necessaria una regolamentazione derogatoria di quella vigente
per altri comparti dell'impiego alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. In
questo contesto si inserisce la disposizione di cui all'ultima parte del primo comma dell'art.
72 del decreto-legge n. 112 del 2008, che esclude il personale scolastico dalla facoltà
di accedere alla procedura di collocamento a riposo anticipato, delineata dai commi da 1
a 6 dell'articolo stesso. Tale scelta limitativa deve ritenersi dettata dalla necessità di rispettare,
anche nel caso di cessazione dal servizio, i criteri informatori della normativa in
questo settore, in base ai quali, in caso di collocamenti a riposo, è necessario procedere
alle sostituzioni del personale cessato dal servizio mediante il ricorso a supplenze o all'immissione
in ruolo di altri docenti iscritti nelle graduatorie permanenti. Risulta pertanto evidente
come non siano confrontabili, da un lato, la posizione dei dipendenti pubblici appartenenti
agli altri comparti di contrattazione collettiva e, dall'altro, quella dei dipendenti
della scuola, dal momento che gli interventi normativi che riguardano l'ingresso e la cessazione
dal servizio di questi ultimi devono tenere necessariamente conto di esigenze e
ragioni organizzative differenziate, che rendono giustificabile la denunciata diversità di discipline
normative per quanto attiene alla previsione dell'esonero anticipato di cui alla disposizione
in commento. Deve, inoltre, essere esclusa anche la violazione dell'art. 97 Cost.:
la disposizione di esclusione del personale scolastico dall'area di operatività dell'art.
72 del decreto-legge in questione si presenta, infatti, in sintonia con il disegno del legislatore,
che pur essendo volto a realizzare una riduzione del numero dei dipendenti pubblici,
tiene conto tuttavia della necessità di effettuare, nel comparto scolastico, una razionale
revisione delle dotazioni organiche.
Forfetizzazione del danno nella conversione del contratto a termine
In caso di conversione del contratto a termine illegittimo, non è incostituzionale
prevedere un'indennità forfetaria(da 2,5 a 12 mensilità ) a favore del lavoratore.
La Corte Costituzionale, dichiarando infondate le questioni sollevate dal Tribunale di
Trani e dalla Cassazione, ha fornito un'interpretazione del dettato normativo poco convincente
che lascia aperti interrogativi giuridicamente assai rilevanti (tanto è vero che il
Tribunale di Napoli ha già contestato apertamente la pronuncia in commento). La Corte
Costituzionale, nella sentenza n. 303 afferma che «l'indennità onnicomprensiva assume
una chiara valenza sanzionatoria» in quanto «essa è dovuta in ogni caso, al limite anche
in mancanza di danno». Non sembra condivisibile l'opzione interpretativa della Corte Costituzionale
secondo cui l'indennità «copre soltanto il periodo cosiddetto «intermedio»,
[â?¦] dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara
la conversione del rapporto». Al contrario appare preferibile quanto affermato dalla giurisprudenza
di merito (Tribunale di Napoli, 16 novembre 2011 nonché le precedenti n.
18261 e n. 18262 del 16 giugno 2011) secondo cui la corretta interpretazione dell'art. 32,
comma 5, della legge n. 183/10, conduce a ritenere che l'indennizzo copra il periodo dalla
cessazione del rapporto di lavoro sino alla data di proposizione del ricorso. Per giungere
a tale conclusione si deve avere presente che l'art. 32, comma 5, legge n. 183/2010
fissa l'indennità «risarcitoria» tra le 2,5 e le 12 mensilità , ma non indica quale periodo di
tempo copra. Se è certo il momento iniziale (interruzione del rapporto), non è indicata in
alcun modo la data finale «coperta» dall'indennità risarcitoria. La Corte Costituzionale afferma
che «la regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa
al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale», purché sia
garantita l'adeguatezza del risarcimento. Sta di fatto, però, che in molti casi, il lavoratore
deve attendere molto tempo prima che il giudice sancisca la conversione del suo contratto.
A tale proposito non sembra condivisibile l'osservazione della Corte Costituzionale
secondo cui l'omologazione di situazioni diverse provocate dalla rapidità o meno del
processo costituirebbe un inconveniente eventuale e di mero fatto tale da non incidere
sulla legittimità delle disposizioni legislative censurate. Al contrario, proprio la considerazione
che il processo deve essere neutro rispetto alla tutela offerta, impone una interpretazione
della disposizione in esame (art. 32, comma 5) atta a neutralizzare la durata
del processo, in maniera tale da consentire alla parte che ha ragione di ottenere una tutela
analoga a quella che avrebbe ottenuto ove avesse avuto ragione nel momento della
proposizione del giudizio. L'affermazione della Corte Costituzionale conduce il lavoratore
a trovarsi in un'evidente condizione sfavorevole rispetto al datore di lavoro che
trarrà vantaggio da ogni richiesta o istanza che gli dovesse essere accolta. Sicché l'unica
interpretazione corretta dell'art. 32, comma 5, della legge n. 183/10 in ordine alla data
finale del periodo coperto dall'indennità risarcitoria, appare quella che individua il termine
finale nel deposito del ricorso. In effetti tale opzione appare coerente con i termini
di decadenza imposti dallo stesso art. 32 cit. Come ricordato dalla stessa Corte Costituzionale
«il legislatore ha pure introdotto sub art. 32, commi 1 e 3, della legge n. 183 del
2010 un termine di complessivi trecentotrenta giorni per l'esercizio, a pena di decadenza,
dell'azione di accertamento della nullità della clausola appositiva del termine al contratto
di lavoro, fissandone la decorrenza dalla data di scadenza del medesimo». Il termine
massimo di trecentotrenta giorni corrisponde all'incirca all'indennità forfetaria nella
misura massima di 12 mensilità mentre in ipotesi di assenza di danno, quando cioè il ricorso
viene depositato immediatamente, si ha un danno minimo assistito da presunzione
iuris et de iure nella misura di 2,5 mensilità . La sentenza n. 303/2011, pur nella sua «autorità », non costituisce una «pietra tombale» sulla questione del risarcimento del
danno in caso di nullità del contratto a termine: occorre che la giurisprudenza apra la
strada a un nuovo «diritto vivente» che renda possibile la proposizione di un'ulteriore
questione di costituzionalità che evidenzi le contraddizioni e le lacune dell'interpretazione
offerta dalla Corte Costituzionale con la sentenza in commento.