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Trib. Taranto 06.10.2020 – Risarcimento danni da decesso, impedimenti Covid
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Data: 06/10/2020
Tipologia: altro
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TRIBUNALE DI TARANTO – SEZ. LAVORO N. 2141/2020 DEL 06/10/2020 DEP. 06/10/2020 (EST. DE NAPOLI) EREDI G.R. / F. S.P.A.
OGGETTO: RISARCIMENTO DANNI DA DECESSO. IMPEDIMENTI DIFENSIVI PROVOCATI DALLA EPIDEMIA COVID.
ART. 2087 C.C., ART. 41 C.P., ART. 83 CO.1 D.L. 17.03.2020 N. 18

Con ricorso introduttivo depositato il 01 ottobre 2019 i ricorrenti, in qualità di eredi del de cuius, chiedevano innanzi al Tribunale di Taranto in funzione del Giudice del Lavoro, la condanna di F. s.p.a, al risarcimento iure hereditatis del danno biologico in misura di euro 500.000,00 e del danno morale in misura di euro 400.000,00. Tale pretesa si fondava sulla circostanza che il de cuius, in virtù dell’attività lavorativa espletata presso lo Stabilimento Siderurgico di Taranto, aveva contratto un carcinoma polmonare (che ne è stata la causa della morte) determinato dagli agenti inquinanti presenti negli ambienti ove aveva prestato attività lavorativa e della mancata adozione di cautele da parte del datore di lavoro.
Si costituiva la resistente chiedendo il rigetto della domanda.
Istruita la causa mediante ctu medico-legale nonché prova testimoniale, il Giudice del lavoro così fondava la sua decisione.
Preliminarmente procedeva alla disamina delle eccezioni formulate dalle parti. Per quanto concerne la disamina delle eccezioni di nullità della consulenza tecnica formulata da parte ricorrente sotto tre profili statuiva come di seguito. In primo luogo, ha ritenuto infondata l’eccezione di nullità della consulenza per quanto concerne l’impedimento delle parti a parteciparvi per via delle limitazioni di circolazione e dei divieti di riunione imposti dalla emergenza covid in quanto tale omissione costituisce una mera irregolarità formale della relazione peritale e non motivo di nullità. Per quanto concerne il secondo profilo, sempre con riguardo alla nullità della consulenza, ovvero la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali disposta dall’art. 83 co.1 d.l. 17.03.2020 n. 18, il Giudice del Lavoro ritenne infondata anche tale doglianza sostenendo che tale norma non riguardasse le operazioni peritali. Infine, nel terzo profilo, gli istanti lamentavano che il consulente non avesse atteso le controdeduzioni del consulente di parte ricorrente, depositando la relazione peritale definitiva. Con riguardo a tale ultimo profilo, ha ritenuto infondata tale doglianza affermando che <le osservazioni della parte ricorrente sono state per l’appunto comunicate al c.t.u. il 07.04.2020 così che rituale si appalesa il deposito della relazione definitiva, contenente le repliche alle suddette affermazioni, in data 8.4.2020, laddove la riserva è stata formulata con riferimento non già ad eventuali osservazioni integrative, bensì ad una “perizia di parte”, ovvero a un diverso atto, peraltro nel caso di specie proveniente da professionista che non risulta mai ritualmente nominato quale consulente di tecnico di parte.>
Per quanto concerne, invece, le eccezioni formulate dalla convenuta, ha ritenuto parzialmente fondata l’eccezione di esonero di responsabilità ed infondata l’eccezione concernente il difetto di prova del nesso causale tra l’attività lavorativa e le patologie contratte dal de cuius avendo questi lavorato anche alle dipendenze di altre imprese.
In particolare, per quanto concerne la prima eccezione, ritenuta parzialmente fondata, il Giudice ha rilevato che “la responsabilità civile del datore di lavoro sussiste limitatamente al danno biologico differenziale, oltre che in relazione alle altre voci di danno non coperte dall’Inail, quale il danno morale”. Mentre per quanto concerne la seconda eccezione ritenuta infondata, il Giudice adito ha rilevato che il periodo lavorativo alle dipendenze della convenuta era sufficiente a determinare la insorgenza delle patologie denunciate, che la prova testimoniale aveva confermato l’esposizione a sostanze nocive e che nel periodo per cui è causa “l’Inail ha dichiarato, ex art. 13 co. 8 l. 257/1992, l’esposizione qualificata ad amianto del dante causa degli istanti nel periodo dal 2.8.1980 al 31.12.1992, in cui ha lavorato esclusivamente alle dipendenze della convenuta.
Dopo essersi pronunciato sulle preliminari eccezioni formulate dalle parti, il Giudice del Lavoro procedeva ad una disamina nel merito nella domanda e attraverso un argomentato percorso logico giuridico ha ritenuto fondata la pretesa attorea. In particolare, preliminarmente, il Giudice richiama i principi ormai consolidatesi in giurisprudenza in materia di risarcimento danni da lavoro, affermando che onere della parte ricorrente è quello di provare “l’esistenza di tale danno, la mancata adozione di determinate misure di sicurezza specifiche o generiche e il nesso causale tra questi due elementi.” (cfr. tra le tante Cass. 23.7.2004 n. 13887). Quando il lavoratore abbia provato tali elementi grava sul datore del datore l’onere di provare di aver adottato tutte le misure necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia. Nel caso di specie, è principio consolidato in giurisprudenza, argomenta il Giudice, che “la pericolosità dell’uso di amianto era conosciuta già sin dai primi anni del ‘900.”
Con riguardo alle risultanze istruttorie, il Giudice adito rilevò come la prova testimoniale ha confermato l’esposizione del de cuius ad agenti nocivi ed in particolare all’amianto (il de cuius lavorava detta sostanza in quanto, tra le altre attività che svolgeva , puliva, eseguiva attività di manutenzione e decoibentazione di tubi, caldaie e forni rivestiti in amianto), e la mancata adozione di misure di sicurezza da parte del datore di lavoro (gli unici DPI erano mascherine di carta usa e getta). Per quanto concerne invece la consulenza tecnica espletata, l’ausiliare ritenne l’esistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa espletata e il carcinoma polmonare contratto dal de cuius. Alla luce di quanto poc’anzi esposto, il Giudice del Lavoro sostenne quindi che “deve affermarsi che l’insorgenza del carcinoma polmonare da cui era affetto il de cuius è ascrivibile alla colpa della convenuta, con conseguente diritto degli istanti al risarcimento del danno non patrimoniale iure hereditatis.”
Ritenuto sussistere il nesso causale tra il carcinoma polmonare e l’attività lavorativa svolta dal de cuius, il Giudice di Taranto procedette all’accertamento della riconducibilità del decesso alla suddetta patologia che avrebbe rilevato ai fini l’individuazione dei criteri di determinazione del danno risarcibile. Al riguardo, il Giudice del lavoro ritenne di non condividere l’elaborato del consulente nella parte in cui gli non riconduceva il decesso alla malattia professionale cui era affetto il de cuius. Ciò in forza dello stesso excursus del percorso sanitario, giacchè la sindrome di Brugada (indicata dall’ausiliare come causa del decesso) non era mai stata accertata. Rilevò inoltre che “l’edema polmonare non è determinato esclusivamente da eventi cardiaci ma anche, come rilevato dal consulente di parte ricorrente, da cause extracardiache”.
Affermato quindi che la causa del decesso era riconducibile alla malattia professionale, il Giudice procedette alla definizione del quantum debeatur, rilevando che la patologia si è manifestata per la prima volta nel maggio 2013 e il decesso è intervenuto nel maggio 2018. Appaiono quindi configurarsi il c.d. danno biologico terminale nonché il c.d. danno morale terminale. In ordine al danno biologico terminale, stante l’applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano, questo deve determinarsi nella misura massima giornaliera di euro 147,00 e pertanto , ritenuto che il danno, nel caso di specie, deve ritenersi massimo nella sua intensiva ed entità, deve liquidarsi nella misura di 268.275,00 euro. Con riferimento invece, al danno morale terminale consistente nella “sofferenza psichica determinata dalla coscienza della gravità della malattia e dalla consapevolezza della propria fine imminente, e da liquidarsi con criterio equitativo puro, ancorchè puntualmente correlato alle circostanze del caso concreto, che tenga della enormità del pregiudizio: cfr. Cass. 21.3.2013 n. 7126, Cass. 13.6.2014 n. 13537” ed altre, tenutosi conto delle caratteristiche della patologia nonché dell’età de cuius, il Giudice procedette a determinarlo nella misura di 500,00 giornalieri, pari ad euro 49.000 complessivi. Inoltre, tale danno, non essendo riconducibile alla copertura assicurativa dell’Inail, si afferma essere a totale carico del datore di lavoro.
Terminava l’On. Giudice rilevando che “deve tuttavia evidenziarsi che, in considerazione delle altre gravi patologie (di origine però extralavorativa) da cui pure, come si è già rilevato, era affetto il de cuius, ovvero il carcinoma uroteliale, il linfoma non Hodgkin di tipo B e il carcinoma papillare della tiroide, il complessivo importo di euro (268.275,00 + 49.000,00=) 317.275,00, in astratto dovuto deve essere ridotto ad un quarto del totale, e pertanto ad euro 79.318,75”.
Alla luce di tutto ciò, il Giudice del Lavoro condannava la resistente a pagare ai ricorrenti la somma di euro 79.318,75 e poneva a carico della convenuta, in virtù del principio della soccombenza, del pagamento delle spese di giudizio.

Parole chiave:
Salute, Sicurezza sul lavoro