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La contrattazione aziendale ha certamente sofferto la dura recessione che ha colpito per lungo tempo l’economia italiana, ma ha mantenuto una sua capacità di diffusione. L’Ocsel, Osservatorio sulla contrattazione di secondo livello della Cisl, ha potuto monitorare tuttavia una inversione di tendenza nell’ultimo biennio. Da contrattazione difensiva e incentrata sulla gestione delle crisi occupazionali si torna a veder prevalere negli anni 2015-2016 la definizione di premi salariali per obiettivi, la ripresa di interesse in materia di orari e mercato del lavoro, un vero e proprio salto di qualità nella diffusione del welfare contrattuale, fino a poco tempo fa residuale. La contrattazione aziendale sembra essere radicata non solo nelle aziende grandi e nei gruppi, ma mantiene il proprio ruolo regolatore anche in molte Pmi. Certamente è maggiormente diffusa nel tessuto economico del Centro-Nord, ma non è più limitata ai comparti manifatturieri tradizionali. Se ad essa affianchiamo la contrattazione territoriale di secondo livello possiamo dire che la contrattazione decentrata in Italia mantiene una sua capacità di azione e diffusione. La contrattazione decentrata supera la crisi diventando molto più fluida nella tempistica e nella durata ed evolvendo verso contenuti sempre più innovativi, cercando di regolare in modo più partecipativo le relazioni tra impresa e lavoro.. La contrattazione è destinata a misurarsi con nuovi temi sempre più centrali nel rapporto tra impresa e lavoro (organizzazione del lavoro, politiche attive, creazione delle competenze, apprendistato e rapporto con scuole tecniche e professionali, diritto alla formazione) e inediti rispetto al recente passato.
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Questo contributo intende offrire una ricostruzione critica del dibattito relativo agli effetti della contrattazione decentrata sull’occupazione e la crescita economica. La visione dominante fa propria la convinzione secondo la quale lo spostamento della negoziazione al livello di impresa e territoriale genera crescita dei salari e della produttività del lavoro. Verrà mostrato come questa impostazione risente di forti criticità sul piano teorico, messe in evidenza da molti economisti post-keynesiani. In una prospettiva teorica post-keynesiana la contrattazione decentrata tende a generare moderazione salariale, declino della produttività del lavoro e del tasso di crescita.
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È ampiamente diffusa l’opinione che il decentramento della contrattazione collettiva possa essere un elemento importante nell’introdurre innovazioni e cambiamenti sul fronte dell’organizzazione del lavoro. Il presente contributo intende fornire un approfondimento sulle tendenze e lo stato di salute della contrattazione collettiva in Italia, facendo ricorso ad analisi descrittive elaborate a partire dalle basi di dati ricavate dalla indagine Inapp-Ril (Rilevazione su imprese e lavoro), indagine condotta su un campione di circa 22.000 imprese italiane. Nella prima parte sono analizzati i dati relativi all’andamento nel periodo 2005-2015 della contrattazione collettiva nazionale e di II livello, focalizzando l’attenzione sulla sua diffusione e sulla membership associativa. Nella seconda il contributo si concentra sulla diffusione della contrattazione decentrata, sulle sue caratteristiche e sull’oggetto della contrattazione stessa nel 2015, disaggregando i dati in riferimento alla natura giuridica dell’impresa, alla dimensione aziendale, al settore produttivo e all’area geografica di appartenenza.
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Gli ultimi anni hanno visto rarefarsi i contributi sociologici sul tema della qualità del lavoro e sulle sue dimensioni: condizioni di lavoro e contenuto del lavoro. Ritenendo utile per tornare a fare ricerca sul campo recuperare il lavoro di autori classici su questo argomento vengono presi in considerazione i lavori di Marie Jahoda per gli studi sul mercato del lavoro e le condizioni di lavoro e di Kurt Lewin per quelli sull’organizzazione del lavoro e sul contenuto del lavoro.
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I processi di apprendimento sono strettamente connessi alle caratteristiche dei contesti organizzativi, sociali, tecnologici e normativi in cui le pratiche lavorative e quotidiane vengono realizzate. Più precisamente possiamo dire che l’apprendimento si sviluppa all’interno di specifici sistemi di attività (Engeström, Miettinen, Punamäki 1999) in cui diversi soggetti (reali e/o virtuali) agiscono sulla base di regole esplicite e implicite, al fine di raggiungere determinati obiettivi. Ciò avviene mediante l’uso di tecnologie di cui i contesti sono dotati e attraverso l’attivazione di saperi (codificati e/o taciti), all’interno di una determinata modalità di divisione del lavoro, all’interno di regole (implicite e/o esplicite), di ruoli definiti e attraverso meccanismi di potere. Cosa accade quando cambiano le regole di tali sistemi, i ruoli, gli artefatti, i saperi? Cosa succede ai processi di apprendimento se i contesti in cui le pratiche vengono realizzate sono iper-connessi, orizzontali, extra-organizzativi, internazionalizzati, on-line? Cosa possiamo dire dell’apprendimento quando intervengono alcune innovazioni che cambiano uno o più elementi dei sistemi di attività, quando, ad esempio, gli attori sono virtuali, quando parte dei meccanismi di potere e di divisione del lavoro prendono forma attraverso algoritmi, quando i contesti organizzativi diventano inafferrabili, quando il lavoro viene regolato e organizzato attraverso piattaforme on-line?
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