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Scienziati italiani all’estero: i numeri delle parole
Quali sono le condizioni per «fare scienza» e fino a che punto un’esperienza di ricerca oltre i confini nazionali può contribuire al miglioramento del sistema scientifico in patria? Nella prima parte saranno discussi i risultati di una survey somministrata a un ampio campione di scienziati italiani – 528 risposte raccolte – che si trovano in Europa e che fanno capo alle hard sciences (matematica, ingegneria, fisica). Nella seconda parte, invece, saranno analizzate, con metodi qualitativi e quantitativi, interviste in profondità condotte su un insieme selezionato di 83 scienziati italiani che lavorano all’estero. La base su cui poggia l’analisi è la mappatura sistematica dei contenuti. I dati raccolti con i due strumenti hanno fornito le informazioni necessarie per ricostruire e interpretare gli aspetti rilevanti dell’esperienza degli scienziati. Questo ha consentito di portare alla luce: le caratteristiche e le condizioni più favorevoli per fare scienza in Europa; le critiche al sistema scientifico italiano (così come percepite da coloro che hanno intrapreso percorsi di mobilità); le proposte per il miglioramento del sistema italiano di alta formazione e ricerca.
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Quali riforme fiscali per accompagnare la ripresa?
L’articolo affronta in termini generali il tema delle possibili riforme fiscali attuabili nel nostro paese in tempi di crisi e, a maggior ragione, di ripresa della crescita. Si sofferma, in particolare, sulle linee di riforma dell’Irpef e dell’Ires e sulla possibilità di compensare la riduzione di tali imposte con l’istituzione di altri tipi di prelievo gravanti su nuove forme di ricchezza. Si sottolinea, altresì, la necessità, allo stato attuale, di mettere comunque a punto un sistema tributario che garantisca il finanziamento dello Stato sociale e, nel contempo, consenta di ridurre le forti disuguaglianze. Il rilancio della produttività dovrebbe, invece, essere perseguito soprattutto attraverso la spesa per investimenti pubblici.
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Cambiare verso? Spunti di riflessione su imposte, spesa e futuro del welfare
La politica economica dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni in Italia si è orientata a un taglio delle imposte accompagnato da politiche di contenimento della spesa come ricetta per far ripartire la crescita economica. La direzione di marcia – sostenuta anche da proposte radicali di riforma portate avanti da think-tank privati – sembra essere dunque quella verso un modello di welfare state con meno Stato e un po’ più mercato. L’articolo si sofferma sulle opzioni per l’organizzazione delle politiche sociali, su cosa stiano facendo gli altri paesi, su come conciliare la visione di un welfare «assicurativo» con quella di un welfare «redistributivo», nonché sui vincoli aggiuntivi alla riforma dovuta di un modello corporativo datato per il nostro paese.
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Ripensare l’uscita dal capitalismo?
L’articolo si propone di dialogare con il volume curato da Mazzucato e Jacobs (2017), la cui intenzione è quella di ripensare la teoria economica, nella sua essenziale dimensione anche politicoeconomica. La crisi del neoliberismo è vista come l’occasione per discutere cosa sia necessario fare per «salvare» il capitalismo, instaurando una economia socialmente ed ecologicamente «sostenibile» e meno diseguale. Il merito del volume risiede nella intersezione tra l’approccio macro-monetario post keynesiano e la visione neo-schumpeteriana ed evolutiva dell’innovazione, entrambe aggiornate per una migliore comprensione del capitalismo odierno. Alcune problematicità presenti nei saggi dei diversi autori sono qui messe in rilievo e, soprattutto, viene sottoposta a scrutinio la proposta che attraversa tutto il volume, sino a porsi il quesito: la socializzazione dell’investimento comporta salvare il capitalismo o uscire dal capitalismo?
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Innovazione e capitalismo
L’articolo riassume, nella prima parte, il volume di Mazzucato e Jacobs (2017) seguendo la ricostruzione fatta dai curatori nell’introduzione. Nella seconda parte sintetizza e analizza riticamente il saggio di Lazonick mettendo in evidenza il limite di un concetto di innovazione senza una direzione, ben presentata da altri contributi, in particolar modo quello di Mazzucato. Viene, infine, criticata l’idea che sia possibile un processo di trasformazione sociale basato sulla contrapposizione tra aziende innovative e no. Il carattere sistemico e interconnesso del capitalismo, infatti, richiede politiche radicali di sistema come sostenuto da molti dei contributi del volume.
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I giovani sono populisti? Collusioni e collisioni tra questione populista e cultura politica dei giovani
Il populismo oggi appare, ancor prima che un’ideologia precisa, un repertorio di stili di azione e di comunicazione a cui è difficile per qualunque soggetto politico non fare ricorso. Anche perché, nelle diverse democrazie occidentali, diventa sempre più significativa la linea di frattura che oppone la classe politica tradizionale alla protesta anti-establishment. Una frattura che si intreccia con i temi della globalizzazione neoliberale, per cui se da una parte ci sono i «globalisti», ovvero i sostenitori delle élite (politiche, economiche, culturali, mediatiche) che ne governano i processi, dall’altra monta la rabbia dei «perdenti della globalizzazione», ovvero di quegli strati sociali che hanno maturato un distacco sempre più ampio rispetto alle élite, al loro linguaggio e alle loro politiche, incapaci di porre rimedio all’impoverimento dei ceti medi e all’aumento delle diseguaglianze. Si tratta di cambiamenti che incidono profondamente nel modificare «l’offerta» politica in senso, appunto, populista. In questa chiave è interessante chiedersi quale incontro si possa verificare tra offerta e domanda, in particolare rispetto a un segmento specifico della domanda, ovvero i giovani, che rappresentano l’avanguardia del cambiamento sociale. Obiettivo di questo contributo è quindi quello di rintracciare possibili contiguità e differenziazioni tra questione populista e cultura politica dei giovani.
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Quale destino per i diritti sociali in Europa?
L’articolo analizza l’importanza dello Stato rispetto all’innovazione sociale concentrandosi su due temi collegati: il rapporto fra innovazione e conoscenza e il ruolo dello Stato come istituzione per la conoscenza pubblica. Innovazione sociale è un quasi-concetto, dai contorni e dai significati vaghi. Ciò lo rende malleabile e adattabile a punti di vista differenti e al tempo stesso sfuggente e ambiguo. In effetti la realtà empirica dell’innovazione è caratterizzata da un’elevata eterogeneità. Dopo aver messo in evidenza in che modo le istituzioni e lo Stato intervengono in questo quadro, il saggio discute la dimensione conoscitiva e ideazionale dell’innovazione sociale. L’obiettivo è delineare il profilo di uno Stato innovatore e i problemi che esso incontra alla luce dei cambiamenti dell’azione pubblica in atto negli ultimi decenni. Oltre che supportare processi di upscaling e far fronte al rischio dell’incertezza, questo profilo implicherebbe: mediare e redistribuire poteri ideazionali; sostenere le capacità sociali di configurare nuove connessioni fra problemi e soluzioni; aprire alla discussione pubblica le basi informative delle decisioni.
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Divari sociali e mercato del lavoro: un approccio «macro-micro» e «micro-macro»
L’articolo concentra l’attenzione sui processi di dualizzazione nel mercato del lavoro della cura. Il lavoro nella cura e nei servizi di welfare è costantemente cresciuto in questi anni. Di fatto rappresenta uno dei settori che più stanno contribuendo a creare occupazione. Questa crescita è messa tuttavia sotto tensione dall’acuirsi di divari sociali e vincoli istituzionali che tendono a limitare l’azione delle organizzazioni di rappresentanza. L’articolo sottolinea come nell’analizzare la segmentazione, la dualizzazione, o più in generale le disuguaglianze nei mercati del lavoro, sia indispensabile valutare gli effetti dei divari sociali distinguendo in modo sistematico tra il livello macro delle politiche del mercato del lavoro, le relazioni industriali e gli istituti del welfare e il livello micro (e meso) legato alle condizioni di lavoro, ai diritti sociali dei lavoratori e alle strategie degli attori sociali, compresi i sindacati. Nella prima parte l’articolo prende le mosse da alcune considerazioni critiche sull’attuale dibattito socio-economico e sociopolitico in tema di segmentazione e dualizzazione. Prosegue fornendo le motivazioni che sono alla base della proposta di un approccio combinato macro-micro e micromacro. Nel concludere, propone alcune riflessioni metodologiche basate su un’analisi dei rapporti tra macro e micro-livelli.
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Riformare diritti sociali iniqui con uno sguardo all’Europa? La sfida dell’indennità di accompagnamento
Il contributo analizza lo stato delle politiche di tutela della non autosufficienza (Ltc) in Italia, focalizzando l’attenzione sulla principale misura di sostegno ai bisogni di cura delle persone non autosufficienti: l’indennità di accompagnamento (IdA). Pur configurandosi come misura universalistica, l’IdA presenta diversi elementi di criticità, che investono la dimensione dei diritti sociali per come si sono sviluppati nel caso italiano. Nelle conclusioni, vengono individuati quattro punti centrali per una riforma dell’IdA che tenda ad un maggiore allineamento di questa misura ai principali schemi europei di Ltc.
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Digitalizzazione e lavoro: nuove sfide per il social investment approach
I cambiamenti tecnologici in corso hanno un impatto significativo (sia quantitativo che qualitativo) sul lavoro e sulla struttura socio-economica, che influenzano conseguentemente i sistemi di welfare. Dopo aver affrontato la questione di ciò che si intende con il termine «digitalizzazione», viene esaminata in primo luogo la letteratura internazionale sugli effetti di tali cambiamenti sul mercato del lavoro e sulla qualità del lavoro e, in secondo luogo, anche la letteratura sull’impatto di tale trasformazione sulla struttura socio-economica e la «riduzione della classe media». Infine, si analizza il ruolo dell’approccio degli investimenti sociali nel rispondere a questi cambiamenti, evidenziando forze e debolezze.
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Verso un reddito minimo dignitoso: qual è il ruolo dell’Europa?
In questo articolo ci si interroga su come dare maggiore incisività alla governance dell’Agenda sociale europea e maggiore «socializzazione» all’attuale strategia verso gli obiettivi di Europa 2020. Le autrici sostengono che le carenze del Metodo aperto di coordinamento europeo sono legate alla vaghezza del legame tra obiettivi e politiche degli Stati membri. In questo quadro il coordinamento sociale europeo si riduce a programmi di lavoro tecnici senza un fattivo collegamento con gli input delle politiche. Come primo passo in questa direzione la proposta delle autrici è quella di integrare i cosiddetti «indicatori ausiliari di risultato (output)» con i relativi «indicatori di input». L’inserimento di input di questo tipo consentirebbe alla governance europea di emanare raccomandazioni più equilibrate e coerenti, sostenendo gli sforzi dei paesi membri nell’elevare gli standard delle politiche di contrasto della povertà.
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Reddito minimo nel Sud Europa. Quali sviluppi con la Grande Recessione?
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RPS Reddito minimo nel Sud Europa. Quali sviluppi con la Grande Recessione? Marcello Natili Tradizionalmente gli schemi di reddito minimo costituivano gli strumenti di politica sociale meno sviluppati tra i paesi appartenenti al cosiddetto modello Sud europeo di welfare. La Grande Recessione ha tuttavia portato con sé riforme che hanno contribuito a modificare – e in alcuni casi a erodere drasticamente – i sistemi di protezione sociale in questi paesi. Il presente contributo mira a verificare se questi eventi sono seguiti da un rafforzamento delle reti di sicurezza di ultima istanza, e se questo sia avvenuto in maniera simile in Grecia, Italia, Portogallo e Spagna.
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