• Nel corso degli ultimi anni la questione della disoccupazione giovanile ha assunto una rilevanza sempre più crescente a fronte del persistere della recessione economica. In tale quadro, l’Italia presenta tradizionalmente un modello «sotto-protetto» nella transizione dei giovani nel mercato del lavoro, in cui uno degli elementi principali riguarda l’assenza di integrazione fra scuola e lavoro. A partire da queste premesse, l’articolo si focalizza su due recenti iniziative di integrazione scuola-lavoro implementate a livello di sistema educativo (l’alternanza scuola-lavoro nella scuola secondaria e gli istituti tecnici superiori nella formazione terziaria), al fine di favorire l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Rispetto a questo fenomeno, i dati empirici mostrano un quadro di diffusione crescente seppur, tuttavia, con elementi di criticità che riguardano una certa differenziazione territoriale e il debole coinvolgimento (anche in termini finanziari) delle imprese. Inoltre, un rischio potenziale è quello di un impatto limitato di questi programmi nel favorire l’occupazione giovanile, in un contesto in cui i nodi strutturali di fondo dell’economia italiana rimangono intatti.
  • Nel 2015 il d.lgs. n. 81 – uno degli otto decreti attuativi della legge delega 183/2014 nota come Jobs Act – riscrive, ancora una volta e in maniera significativa, le regole dell’apprendistato istituito in Italia nel 1955. Ma per quanti aggiustamenti e provvedimenti siano stati emanati fino a oggi in Italia, l’apprendistato rimane uno strumento di inserimento scarsamente efficace, che non ha raggiunto obiettivi soddisfacenti in termini di occupazione. Nell’articolo si illustra attraverso quali e quanti cambiamenti normativi si è proceduto nel corso degli anni, per individuare quali elementi hanno impedito finora che esso diventasse lo strumento incisivo per migliorare l’incontro fra la domanda e l’offerta di lavoro giovanile in Italia: da un complicato assetto normativo all’assenza di raccordo fra standard professionali e standard formativi, dalla debolezza di un sistema di validazione degli apprendimenti non formali a un debole coinvolgimento delle parti sociali e delle imprese stesse, fino alla mancanza di una certificazione delle competenze. Eppure un buon sistema di apprendistato potrebbe garantire ai giovani le competenze necessarie per entrare nel mercato del lavoro e agli imprenditori la manodopera qualificata adeguata ai fabbisogni aziendali di cui risultano continuamente alla ricerca. L’ultimo intervento in materia di apprendistato dichiara nelle intenzioni di volere affrontare alcuni di questi nodi problematici.
  • Il sistema universitario italiano è stato caratterizzato per un lungo periodo da elevati tassi di mancato completamento degli studi, anche se i dati aggregati mostrano una lieve riduzione degli abbandoni negli ultimi anni. La più diretta spiegazione teorica di questo fenomeno chiama in causa la riduzione dei «costi opportunità» dello studio conseguente alla crisi, ma rischia di essere fuorviante. In questo articolo, tramite l’applicazione di tecniche di decomposizione a un campione di studenti universitari iscritti in differenti anni accademici, si mostra come il «miglioramento» del background familiare degli studenti abbia giocato un ruolo fondamentale nella recente riduzione del tasso di abbandono degli studi.
  • Nel contributo si analizzano le gravi tendenze al declino dell’università italiana negli ultimi anni. Per effetto del forte disinvestimento delle politiche pubbliche nell’alta formazione – in termini di minori finanziamenti, riduzione dei docenti e del personale tecnico, dei corsi di laurea e degli immatricolati – oggi l’università italiana, per la prima volta nella sua storia, è significativamente più piccola e di minore qualità rispetto al passato e agli altri paesi sviluppati. Inoltre, per effetto delle recenti e perverse regole di governo, si stanno accentuando i divari tra università, in particolare tra alcuni atenei «forti» del Nord, strutturalmente più dotati e insediati in contesti territoriali sviluppati, e gli atenei più «deboli» del Centro-Sud, sottodotati in termini finanziari, di docenti e di strutture e localizzati in aree socio-economiche gracili. Nonostante le conseguenze rilevanti sull’economia e sulla società nazionale del declino universitario, il confronto pubblico è modesto e dominato da pregiudizi negativi spesso poco fondati; di contro le decisioni sono concentrate in pochi gruppi di potere che operano all’interno di agenzie pubbliche o di ministeri. Gli autori auspicano una discussione ampia e informata sulle condizioni del sistema universitario, in primo luogo nella sede più propria, ossia nel Parlamento.
  • Da parecchi anni, la sanità pubblica italiana si sta indebolendo, complice l’indifferenza nei confronti di restrizioni economiche che, accolte con rassegnato distacco rispetto al diritto fondamentale alla tutela della salute, aggravano le difficoltà di accesso alle cure di molti cittadini. In tale contesto, paradossalmente, il tema più dibattuto non è quello delle diseguaglianze che ne conseguono bensì quello della inefficienza della spesa sanitaria privata e della presunta necessità di una maggiore intermediazione. Su tale tema, molte affermazioni discendono da luoghi comuni incapaci di mettere a fuoco il vero quesito cui dovremmo dare risposta: quali soluzioni sono praticabili nell’interesse dell’individuo e della collettività? L’analisi indaga i fattori che giustificano il comportamento degli italiani poco inclini ad acquistare una copertura assicurativa o a partecipare a fondi sanitari.
  • L’universalismo dei servizi sanitari è messo in discussione a causa della lievitazione annuale della spesa superiore alla crescita del Pil. I fattori della crescita sono numerosi e complessi. Uno dei principali è l’invecchiamento della popolazione. Non sono tanto i costi dovuti all’allungamento della vita individuale a doverci impensierire, quanto la crescente quota di popolazione anziana rispetto al totale della popolazione. In Italia la popolazione in età lavorativa ha bassi livelli di occupazione soprattutto femminile e in particolare nel Mezzogiorno. Il mantenimento dell’universalismo sanitario richiede quindi politiche strutturali di incremento della partecipazione al lavoro. Prevenzione sanitaria e sociale senza eccessi di medicalizzazione, riorganizzazione dei servizi primari, uso virtuoso delle nuove tecnologie ed economie di scala possono aiutare a contenere i costi e salvare l’universalità. Ma per mettere in campo oggi le scelte che serviranno domani serve uno sguardo lungo. La competizione politica è invece dominata dal breve periodo e la comunicazione è orientata alle emozioni più che ai ragionamenti. L’invecchiamento dell’elettorato tende inoltre a far prevalere le istanze degli anziani sulle prospettive dei giovani.
  • La valorizzazione dei sistemi di istruzione rappresenta la chiave per lo sviluppo sociale ed economico del nostro paese: una vera e propria rivoluzione culturale necessaria. In un paese dove sono altissimi i livelli di dispersione scolastica e il numero dei Neet, in cui avanza l’analfabetismo funzionale degli adulti e aumentano le disuguaglianze e i divari territoriali, l’innalzamento dei livelli di istruzione, l’accesso pieno ai sistemi della conoscenza, il potenziamento del rapporto tra scuola e lavoro e l’implementazione delle reti per l’apprendimento permanente costituiscono le sfide prioritarie. La partecipazione delle parti sociali e la valorizzazione del personale della scuola, a partire dal contratto, rappresentano elementi indispensabili per costruire un progetto nuovo e positivo per la scuola italiana e per il futuro del paese.
  • La regolazione dello sviluppo a livello decentrato agevola la competitività delle imprese grazie ai beni collettivi e alle reti di collaborazione tra gli attori locali con interventi che tendono a collegare i segmenti più dinamici del settore pubblico e di quello privato. Questo processo richiede meccanismi di apprendimento in grado di attivare potenziali cambiamenti a livello decentrato – promuovendo il lavoro e valorizzando la dimensione territoriale – e l’attuazione di strumenti di policy per incentivare una cooperazione caratterizzata da alta tecnologia e da dinamiche innovative. L’articolo si concentra sulle competenze per lo sviluppo locale e la valorizzazione delle professionalità emergenti nei contesti di cambiamento organizzativo.
  • Il ruolo sociale della scuola e degli insegnanti è oggi del tutto marginale: gli insegnanti stessi subiscono passivamente le riforme definite dalla politica che mal sopportano, più per ideologia che per convinzione. Questa emarginazione è il risultato di cambiamenti sociali che non sono stati compresi dall’attuale classe politica, che ha sempre considerato la scuola un centro di potere e di conquista senza preoccuparsi di fare una seria discussione sul concetto di scuola e sul profilo professionale dei docenti. L’enorme confusione politica e organizzativa intorno alla scuola ha creato un senso di alienazione, che ha professionalmente indebolito la categoria docente privandola della sua identità, e salti innovativi. Valutazione e promozione del personale docente sono una emergenza sociale che non può essere messa in ombra, perché da essa dipende il destino culturale del nostro paese.
  • L’articolo presenta un’analisi critica dei cambiamenti che hanno interessato le politiche educative italiane negli ultimi due decenni alla luce delle spinte provenienti dall’approccio comunitario europeo in direzione del potenziamento degli investimenti in educazione e life-long learning come leva strategica di sostegno ai fattori di competitività e di contrasto alle disuguaglianze sociali. Il sistema di welfare italiano si trova lontano da una prospettiva di questo genere, per il basso livello della spesa dedicata, per l’assenza di coerenti scelte di policy, troppo spesso orientate a tradurre «retoriche» del mutamento senza conseguenti piani per l’effettiva implementazione delle innovazioni, e infine per il problema della grande varietà interna, anch’esso da riferire non solo a una questione di risorse economiche ma anche a profonde differenze nella capacità amministrativa regionale e locale. Di questi vari differenziali si occupa il presente articolo, cercando di rintracciare continuità e rotture che hanno segnato il cammino delle riforme scolastiche in Italia.
  • Attraverso una ricognizione di dati e studi italiani e stranieri sui figli delle migrazioni internazionali nella scuola e sui processi di discriminazione sociale e istituzionale che li colpiscono nel sistema scolastico, il contributo presenta alcuni ostacoli che il sistema educativo italiano pone a un’equa partecipazione degli alunni di origine straniera, in particolare: la segmentazione dei corsi di vita (con i ritardi scolastici), la canalizzazione formativa (con l’accessibilità selettiva dei percorsi educativi) e la segregazione spaziale (con segnali di concentrazione delle minoranze in alcune aree territoriali). Se ne conclude che le politiche restano un importante predittore dei processi di selezione e incorporazione degli immigrati e dei loro figli, e che il caso italiano presenta politiche strutturalmente deboli: le criticità che coinvolgono gli alunni figli dell’immigrazione rispecchiano e amplificano problemi più generali nel modo di governare traiettorie e transizioni educative.