• All’indomani della Seconda guerra mondiale il sindacalismo italiano si presenta sulla nuova scena nazionale in forma unitaria per poi dividersi con l’inizio della Guerra fredda. In questo stesso periodo anche gli anarchici italiani riorganizzano il proprio movimento e guardano verso il mondo del lavoro e della sua rappresentanza. Gli anarchici e quei militanti che si impegnano nel mondo sindacale italiano vivono esperienze diverse che non riescono a raggiungere una sintesi, ma – pur in una posizione minoritaria – fanno anch’essi parte di quell’area sindacale interna alla Cgil o raccolta nei Cds, nella nuova Usi o nei Gaa, che guarda con forza a una piena autonomia e a una vera unità fra tutti i lavoratori in funzione di una reale trasformazione dei rapporti economici e sociali nati attraverso quel compromesso politico e istituzionale raggiunto fra i partiti, e cristallizzato negli anni della contrapposizione ideologica.
  • La Prima guerra mondiale rappresenta un evento centrale nella storia contemporanea e in occasione dei cento anni dalla deflagrazione del conflitto in Italia, la Fondazione Giuseppe Di Vittorio ha deciso di dedicare una considerevole parte della propria attività del prossimo triennio, 2015-2018, all’approfondimento dei temi legati alla Grande guerra. Il saggio, a partire dai risultati raggiunti dalla storiografia, sintetizza i principali filoni di ricerca avviati dalla Fondazione sul tema legati all’evoluzione della storia sindacale in quegli anni, ma anche alla crisi verticale che investì il socialismo europeo incapace di dar seguito ai propri propositi internazionalisti e pacifisti. Infatti, obiettivo della Fondazione è, in collaborazione con altri centri culturali, di aprirsi ai nuovi temi di ricerca concernenti la storia sociale con particolare riferimento a: la crisi politica del socialismo europeo del 1914; il ruolo dei sindacati e l’esperienza del mondo del lavoro contadino e industriale negli anni della guerra; il ruolo delle donne.
  • L’idea di una politica europea sul salario minimo mira essenzialmente a far sì che ogni lavoratore in Europa possa ricevere una retribuzione equa e dignitosa. Oggi invece in molti paesi europei i salari minimi sono fissati a livelli bassi e in ogni caso non sufficienti a porre al riparo dalla povertà. Considerate le forti differenze fra i vari livelli oggi esistenti, un salario minimo europeo non può consistere nella determinazione di uno stesso ammontare per tutti i paesi, ma deve piuttosto tradursi in un accordo intorno a un comune principio normativo. Esso potrebbe stabilire una certa soglia minima in rapporto percentuale al salario medio o mediano nazionale. Oggi una norma sul salario minimo europeo equivalente ad almeno il 60% delle medie nazionali coprirebbe qualcosa come 28 milioni di lavoratori europei, pari al 16% del totale della forza lavoro. L’implementazione di una politica di questo tipo dovrebbe in ogni caso rispettare le tradizioni nazionali e i rispettivi sistemi di formazione del salario.
  • Il saggio analizza il progetto di legge italiano sul salario minimo legale. Innanzitutto l’autore affronta il problema della garanzia di un salario minimo per tutti i contratti di lavoro, sia subordinati sia autonomi. In secondo luogo, il saggio esamina il rapporto fra salario minimo legale e i requisiti del salario previsti nell’art. 36 della Costituzione italiana. La tesi esposta è che il salario minimo legale è sicuramente funzionale a una politica di inclusione sociale e di tutela delle forme di sfruttamento del lavoro; nondimeno, il salario minimo legale è coerente con la tendenza a spostare il livello principale di contrattazione collettiva da quello nazionale di categoria a quello aziendale. In questo senso, il salario minimo legale ha una precisa funzione economica coerente con le misure di austerità imposte agli Stati membri dell’Unione Europea.
  • Molti anni di ricerca sulla povertà hanno dimostrato che i sistemi sviluppati di welfare non riescono più a ridurre la povertà tra la popolazione in età lavorativa, e ciò a dispetto della crescita dell’occupazione, dei livelli costantemente elevati di spesa sociale e della continua, seppure rallentata, crescita economica. Tenuto conto di questo scenario, analizzeremo ciò che è accaduto in Europa per quanto concerne le reti di sicurezza per le persone abilitate a percepire il reddito minimo durante il passato decennio. In primo luogo, prenderemo in esame il ruolo delle misure di contrasto alla povertà e quello dell’assistenza sociale nell’ambito degli obiettivi e del modus operandi della sicurezza sociale. In seguito illustreremo i servizi forniti alle persone in età lavorativa abilitate a percepire il reddito minimo nei paesi dell’Unione Europea, discutendo in dettaglio le tendenze relative ai livelli di prestazione garantiti. Infine, daremo conto di alcuni indicatori selezionati delle attuali politiche di attivazione mirate alle persone in età lavorativa abilitate a percepire il reddito minimo. La nostra conclusione è che fino al 2012 la tutela del reddito minimo per le persone in età lavorativa che ne avevano titolo è stata ampiamente insufficiente, malgrado gli incrementi reali registrati nel precedente decennio. Tutti gli attuali schemi di reddito minimo in Europa, inoltre, incorporano elementi di condizionalità per poter accedere ai benefici.
  • Dopo una prima parte dedicata all’illustrazione delle conseguenze della recente crisi sulla povertà tra le famiglie italiane, l’articolo ripercorre le motivazioni che rendono urgente e praticabile l’introduzione di uno schema universale di reddito minimo di inserimento contro la povertà. Vengono infine quantificati costi ed effetti distributivi di un reddito minimo dal disegno molto semplice, ma sufficientemente vicino ad analoghi strumenti in vigore in altri paesi europei.
  • A maggio del 2014 è mancato Vittorio Rieser, uno degli intellettuali più acuti e originali del movimento operaio italiano della seconda metà del secolo scorso. La sua attività di studio e di ricerca si è intrecciata per oltre mezzo secolo con la militanza nelle organizzazioni politiche della sinistra di classe e nel sindacato. Tra i suoi molteplici filoni di ricerca spiccano i contributi sull’impostazione della ricerca sociale, sulle trasformazioni del lavoro dipendente, sulla crisi della fabbrica fordista e sul post-fordismo, sulle relazioni sindacali nei luoghi di lavoro, sulla memoria e la coscienza di classe. Dotato di molti talenti e di vastissima cultura, il suo insegnamento rimane tuttora attuale per comprendere i cambiamenti del lavoro e i comportamenti dei lavoratori.