• A maggio del 2014 è mancato Vittorio Rieser, uno degli intellettuali più acuti e originali del movimento operaio italiano della seconda metà del secolo scorso. La sua attività di studio e di ricerca si è intrecciata per oltre mezzo secolo con la militanza nelle organizzazioni politiche della sinistra di classe e nel sindacato. Tra i suoi molteplici filoni di ricerca spiccano i contributi sull’impostazione della ricerca sociale, sulle trasformazioni del lavoro dipendente, sulla crisi della fabbrica fordista e sul post-fordismo, sulle relazioni sindacali nei luoghi di lavoro, sulla memoria e la coscienza di classe. Dotato di molti talenti e di vastissima cultura, il suo insegnamento rimane tuttora attuale per comprendere i cambiamenti del lavoro e i comportamenti dei lavoratori.
  • Il saggio, scritto da Vittorio Rieser nel 1990 e qui riproposto, affronta il tema del controllo dei lavoratori nell’impresa capitalistica. Facendo interagire lo schema di analisi marxista con quello weberiano, si sostiene che il regime autoritario della fabbrica capitalistica non risiede solo nella proprietà privata dei mezzi di produzione, ma anche nella presenza di una burocrazia tecnico-manageriale. Ne discende che il conflitto tra capitale e lavoro è rivolto a ridurre l’asimmetria di potere, costitutiva dell’impresa capitalistica, attraverso una strategia di controllo, capace di innescare elementi di democratizzazione parziale della vita sociale e politica. Viene delineata una prospettiva di democrazia industriale ancorata a forme di autogoverno e di controllo dal basso, di cui sono rintracciabili elementi embrionali nell’attuale mondo del lavoro.
  • Il saggio prende avvio dalla ricostruzione del ruolo del movimento sindacale nella storia dell’Italia contemporanea e anche nello sviluppo della sua identità. Allo stesso tempo, in linea con le trasformazioni dello scenario nazionale e internazionale, viene sottolineata la necessità di ridefinire il ruolo e le funzioni del sindacato. Si sostiene, infatti, che la profonda debolezza e il declino del paese, e più in generale dell’Europa, sia strettamente legata alle sfide poste dalla crisi e, dunque, alla necessità di individuare a livello europeo un nuovo modello di sviluppo.
  • L’articolo si focalizza sull’insicurezza soggettiva, o cognitive job insecurity, definita come la percezione di una minaccia per la continuità della propria situazione lavorativa e come il senso di impotenza o di mancanza di potere di fronte a tale minaccia. Utilizzando i dati di un’indagine nazionale sulle condizioni di lavoro degli occupati italiani, esplora in che modo alcune caratteristiche socio-anagrafiche, professionali, del contesto lavorativo e istituzionale influenzano tale percezione, comparando quanto avviene tra i lavoratori con rapporti non-standard e tra quelli assunti a tempo indeterminato (scontato è l’effetto esercitato dal tipo di relazione di lavoro). Per entrambi i gruppi viene confermata l’importanza del livello della retribuzione, delle responsabilità familiari, così come del far parte di un’organizzazione di lavoratori. Al contrario, poco significative risultano, tra coloro che hanno rapporti atipici, variabili solitamente ritenute importanti, come le competenze e la professione; che in questi casi sembrano proteggere in modo assai limitato dall’insicurezza e dal senso di impotenza circa la continuità (desiderata) della propria situazione lavorativa.
  • L’elaborato analizza la storia e il ruolo svolto dall’Istituto di promozione dei lavoratori della Provincia autonoma di Bolzano. Ci si sofferma, in particolare, sul legame tra l’Istituto altoatesino e le Arbeiterkammer austriache, dalle quali l’Istituto trae ispirazione. Viene analizzata la struttura dell’Istituto a partire dalla legge istitutiva e dallo Statuto che ne disciplina gli organi e il funzionamento. Vengono quindi illustrate le materie di cui si occupa l’Istituto e le attività svolte, che sono principalmente la formazione, la ricerca e la consulenza. L’analisi della realtà dell’Istituto di promozione dei lavoratori conduce a un ragionamento più generale sull’importanza di un buon sistema di relazioni industriali, basato sulla partecipazione, per poter coniugare le esigenze delle imprese che chiedono maggiore produttività e innovazione e le esigenze dei lavoratori che, attraverso la contrattazione decentrata, possono ottenere benefit economici legati all’andamento della produzione. Si analizzano, infine, punti di forza e di debolezza dell’Istituto per rendere l’Alto Adige un nuovo modello di relazioni industriali partecipative.
  • Il saggio ha un doppio livello di analisi. Il primo è focalizzato sulla recente crisi dell’Europa, sia economica sia politica, e sulla proposta della Dgb di un «Nuovo Piano Marshall » per un’effettiva ricostruzione dell’Europa. Il secondo è di carattere storico ed è legato alla ricostruzione del Piano Marshall, a partire dal ruolo rivestito sul piano economico, politico e culturale nella ricostruzione delle economie europee occidentali nel secondo dopoguerra, oltre che sulle relazioni transatlantiche.
  • Negli ultimi anni, durante la crisi, la politica di svalutazione caricata sul lavoro non ha fatto altro che aggravare gli effetti negativi dell’austerità sulla domanda interna. Eppure la Commissione europea, anche nelle ultime Raccomandazioni, continua a prescrivere continuità nelle politiche di flessibilità del mercato del lavoro, contrattuali e retributive. Il recente risultato elettorale europeo non appare aver modificato l’equilibrio politico nel Parlamento europeo, e la politica economica sembra rimanere saldamente sotto il controllo di chi ha gestito la crisi e l’ha aggravata applicando le regole del rigore senza crescita. In Italia, il Governo Renzi pensa di contrastare il record di disoccupazione con un Jobs Act che solo nel nome richiama quello americano. Ma le sue riforme del lavoro, con le modifiche ai contratti a termine, estesi a tre anni senza causale, sono la stessa cura applicata dalla fine degli anni novanta che hanno così negativamente colpito l’economia italiana e il mondo del lavoro.
  • I movimenti collettivi del XXI secolo – come 15M-Indignados, Occupy Wall Street e Gezi Park – denunciano il potere delle forze sistemiche che – come la finanza globale – controllano gli orientamenti dello sviluppo e condizionano l’evoluzione dell’esistenza di singoli e gruppi. Essi non sono attori di un conflitto sociale centrale, come il conflitto strutturato tra movimento dei lavoratori e imprenditori nella società industriale. Essi consistono in azioni svolte in comune da singoli soggetti per asserire la propria dignità e il diritto di essere umani di divenire esclusivi controllori del loro vissuto economico, sociale, culturale e politico. I movimenti collettivi tentano così di costruire conflitti con le forze sistemiche e sperimentare nuove forme di democrazia.
  • La rivoluzione egiziana, come le altre rivolte arabe, era iniziata con il motto della «non violenza», della giustizia sociale e dell’apertura economica. Si è conclusa con la violenza e con il ritorno dell’autoritarismo. Cosa è successo in mezzo? L’articolo si propone di dimostrare come il solco tra attori laici (i «neo-secolari») e islamisti sia stato ampliato dal governo inetto del presidente della Fratellanza musulmana, Mohamed Morsi, e come l’incapacità di scendere a compromessi, associata al ruolo prominente dell’esercito egiziano, abbia messo fine al breve periodo della democratizzazione caotica. Il risultato è stato un nuovo autoritarismo seguito al colpo di Stato militare.