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    Riformabilità o irriformabilità del capitalismo? Un confronto tra Colin Crouch e Wolfgang Streeck

    I due libri vengono discussi a partire dalla cruciale questione della «riformabilità» o «irriformabilità» del capitalismo e della validità o meno dell’approccio ricostruttivo della «variety of capitalism», con la connessa possibilità o impossibilità di riferirsi a una pluralità di «tipi di capitalismo». Streeck pensa che sia in atto un processo travolgente e inarrestabile di «convergenza» delle economie di tutto il mondo – ma in particolare di quelle sviluppate – verso un modello unico, quello neoliberistico anglosassone, il che toglie validità all’approccio della «variety of capitalism» e, soprattutto, rende difficile al limite dell’impossibile ogni opzione di riformabilità del capitalismo. Crouch, invece, crede nella riformabilità del capitalismo e nella persistente pluralità dei «tipi di capitalismo», tanto più complessa se si considera l’articolazione che tale varietà assume nei paesi al di fuori dell’area occidentale dove si affermano anche inquietanti forme di modernità illiberale e una molteplicità di nazionalismi (quello russo, quello cinese, quello indiano, quello brasiliano, quello arabo). Su questa base rilancia alla grande l’obiettivo ambizioso della «riforma del capitalismo», con accenti che richiamano il Keynes che negli anni trenta individua al centro del nuovo liberalismo, con cui sostituire il vecchio, le azioni umane non determinate dal profitto e dunque il lavoro fonte di un nuovo umanesimo.
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  • Segnaposto

    Ma il socialismo europeo non è (comunque) neoliberale

    L’autore parte da una considerazione assai positiva del lavoro di Colin Crouch, specie per quanto riguarda la serie di argomentazioni che confutano la superiorità della varietà di capitalismo nordamericana e anglosassone rispetto a quella europea influenzata da sindacati forti e partiti di estrazione socialista democratica. L’autore poi rileva che Crouch, però, non trae dal suo ragionamento tutte le conseguenze utili per la sinistra democratica europea. Ad esempio, Crouch sembra postulare che, anche se la sinistra europea deve liberarsi dell’eredità blairiana, essa è ormai comunque neoliberale (anche se progressista). L’autore elenca una serie di ragioni storico-critiche, teoriche e metodologiche per cui invece è vitale riprendere il cammino del socialismo europeo. Per quanto in modo ovviamente fortemente rinnovato.
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    Disuguaglianze e democrazia economica

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    Presentazione

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  • Segnaposto

    Luoghi comuni e distorsioni insidiose nel dibattito sulla sanità pubblica

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    Il diritto alla salute nei sistemi socio-sanitari europei. La tragedia greca

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    Prevenzione della corruzione e trasparenza in sanità

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    La «filiera dell’assistenza sanitaria»: tra diritto alla salute e leggi di mercato

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  • Segnaposto

    Formazione, università e diritto alla salute

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    La sanità digitale: per una nuova governance dei processi di innovazione

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  • Segnaposto

    Le implicazioni della legge 180 per il campo generale della sanità pubblica

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  • Segnaposto

    Lo sviluppo dell’assistenza primaria in Italia: proposte ed esperienze per il cambiamento

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  • Segnaposto

    La formazione degli operatori delle Case della Salute nell’Ausl di Bologna

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    Lavorare per il diritto alla salute

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    Quale futuro per la non autosufficienza

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  • Segnaposto

    Principi di buon governo per la revisione della governance dell’Inps

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  • Segnaposto

    I problemi di una nuova governance nei servizi di interesse generale

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  • Segnaposto

    Il «problema» dei ricchi in una prospettiva sociologica

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    Molte buone ragioni per (pre)occuparci dei ricchi fra miti da sfatare e interessanti proposte

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  • Segnaposto

    La percezione della diseguaglianza in Europa tra riforma del welfare e crisi economica

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    Diritto alla salute e sanità pubblica

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    Presentazione

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  • Segnaposto

    All’Italia serve il Jobs Act?

    A poco più di due anni dall’ultima «riforma» del mercato del lavoro, la legge 92/2012 più nota come Riforma Fornero, anziché prendere atto dell’esito del monitoraggio che la stessa legge 92/2012 prevedeva, l’attuale Governo ha ritenuto di intervenire nuovamente sul mercato del lavoro con un primo decreto, oggi legge 78/2014, e successivamente con un d.d.l. delega cosiddetto «Jobs Act», oggi legge 183/2014. L’articolo analizza le linee guida degli interventi del Governo sulla base della situazione reale del mercato del lavoro che si è determinata con la precedente riforma e sulle caratteristiche di precarietà dei contratti di lavoro. Analizzando gli effetti delle misure governative anche in termini di semplificazione e riorganizzazione dei meccanismi che sono alla base del mercato del lavoro, risultano illusori gli obiettivi di innovazione e creazione di nuovi posti, mentre si sta rendendo evidente una progressiva modificazione del modello di impresa e più in generale delle scelte imprenditoriali che si modellano sulla base delle norme di vantaggio introdotte. Infine vengono descritte le risposte della Cgil che si articoleranno su due piani: quello della contrattazione diretta e quello della battaglia politica generale per la conquista di nuovi diritti anche sotto forma di un nuovo Statuto delle lavoratrici e dei lavoratori.
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    Aspettando il Jobs Act: il mercato del lavoro italiano tra anomalie e decreti

    L’obiettivo cognitivo del contributo è fornire un quadro aggiornato del mercato del lavoro italiano in chiave di comparazione europea e di constatazione dei possibili effetti dell’evoluzione del quadro normativo. Dall’analisi condotta sui dati delle Forze di lavoro vengono restituite le tradizionali anomalie del mercato in termini di bassi tassi di occupazione femminile ed elevate disparità territoriali, accanto alla elevata quota di lavoratori in proprio. Il dato che emerge dall’esame delle Comunicazioni Obbligatorie è l’elevatissimo numero (complessivamente, circa 20 milioni all’anno) di attivazioni e cessazioni, per la metà relative a rapporti di lavoro dalla durata non superiore ai tre mesi. Tale elemento coesiste con una quota non elevata, nel confronto europeo, del tempo determinato nell’occupazione dipendente.
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