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Le nuove geografie del potere
L’ultima opera di Saskia Sassen (2015) nasce dall’ambizioso intento di leggere in chiave nuova, all’altezza delle difficili sfide poste dalla più grave crisi degli ultimi tempi, l’attuale situazione economica, politica e sociale. Nell’articolo si prenderanno in esame le linee guida della ricerca condotta da Sassen in quest’ultimo libro, nel quale l’autrice, sulla base di un’analisi interdisciplinare, coglie gli elementi costituivi dell’«epoca» odierna (il cui inizio data a partire dagli anni ottanta del secolo scorso). In particolare, si metteranno in evidenza i meccanismi che sono alla base della logica organizzativa di alcuni dei principali sistemi di governo e di dominio globali (nell’ambito finanziario e in quello di protezione ambientale), cogliendo gli elementi di novità presenti nella stessa ricerca di Sassen, volta a cartografare i processi in atto e a rendere visibili le complesse geografie del potere contemporaneo. Nell’articolo le analisi di Sassen verranno messe in tensione con quelle di quanti negli ultimi anni si sono a lungo soffermati sulle caratteristiche dell’attuale capitalismo finanziario, dell’attuale ordine neoliberista, sottolineando al contempo il nuovo metro di lettura introdotto dalla nota sociologa. A essere centrale nel volume è infatti una riflessione che ripercorre le ragioni, i mezzi, e i dispositivi degli odierni processi di valorizzazione e accumulazione del capitale e contestualmente ne rilegge le tendenze alla luce di quello che è definito l’inedito allarmante problema dell’emergere della logica dell’espulsione.
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Migranti, rifugiati e politiche sociali
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La globalizzazione delle migrazioni: un diritto di uscita senza diritto d’entrata
All’inizio di questo secolo siamo entrati in un fenomeno di globalizzazione delle migrazioni che coinvolge la maggior parte dei paesi, perchè luoghi di partenza, di accoglienza, di transito, o per tutti e tre questi elementi. Questo movimento di persone ha conosciuto un’accelerazione senza precedenti soprattutto a partire dalla fine del XX secolo anche grazie alla generalizzata possibilità di ottenere un passaporto. Ma proprio mentre il diritto di uscita si estendeva, il diritto di ingresso andava drammaticamente restringendosi. L’articolo evidenzia come uno degli elementi centrali del problema sia la trasformazione del fenomeno migratorio in fenomeno legato alla mobilità alla quale si aggiunge l’iniqua distribuzione del diritto di emigrare, la cui mancanza rappresenta oggi una delle più grandi disuguaglianze se si considera che la mobilità è la modalità utilizzata per sfuggire alla povertà e al mal governo del paese in cui si è nati.
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Migranti «economici» e rifugiati: emergenze (vere o presunte) e diritto del mare
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Le dinamiche dell’integrazione degli immigrati nel mercato del lavoro italiano nell’ultimo decennio
L’inserimento lavorativo rappresenta il principale meccanismo di integrazione per gli immigrati. Questo articolo si propone di individuare le caratteristiche preminenti dell’integrazione lavorativa degli immigrati in Italia attraverso l’esame delle statistiche dell’Indagine trimestrale delle forze lavoro pubblicate dall’Istituto nazionale di statistica. Il secondo obiettivo è quello di stabilire se queste caratteristiche sono cambiate negli ultimi dieci anni e quali sono le nuove tendenze nell’inserimento lavorativo degli immigrati. Infine, si intendono individuare i limiti e gli ostacoli all’incorporazione nel mercato del lavoro italiano per gli immigrati.
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Il lavoro gravemente sfruttato. Il caso dei lavoratori immigrati in agricoltura
L’articolo propone una riflessione sulle nuove schiavitù, intese come una trasformazione di quelle definibili «classiche». Nel far questo vengono proposte le definizioni correnti, una delle quali risale al 1930 – proposta dall’Organizzazione internazionale del lavoro – e le altre a partire dal Protocollo di Palermo contro la tratta di esseri umani del 2000. L’articolo, inoltre, poggia l’attenzione sui settori produttivi dove si registrano forme di lavoro gravemente sfruttato e sui dati ufficiali e su alcuni dati di stima (in particolare nel settore agro-alimentare), nonché sul rapporto imprenditore e caporale quale strumento illegale di intermediazione di manodopera.
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Il rapporto tra sindacati e immigrati in Italia in una prospettiva di lungo periodo
Fin dall’inizio dei processi migratori il rapporto sindacati e immigrati si è mostrato solido. I sindacati attraverso la loro attività di rappresentanza hanno svolto una funzione di difesa dei diritti degli immigrati e ne hanno rivendicato l’estensione. Allo stesso tempo, attraverso l’erogazione di servizi specifici, i sindacati hanno facilitato i percorsi di integrazione di milioni di immigrati. In altri termini i sindacati hanno immediatamente riconosciuto gli immigrati come una risorsa di potere e hanno investito strategicamente su di loro e non è un caso che il tasso di sindacalizzazione degli immigrati in Italia abbia sempre registrato livelli elevati. L’esperienza italiana in questo senso rappresenta un caso eccezionale nel panorama europeo. Negli ultimi anni, tuttavia, il rapporto tra sindacati e immigrati sembra essere soggetto a crescenti criticità. Il presente articolo ricostruisce l’evoluzione del rapporto che i sindacati e gli immigrati hanno instaurato negli ultimi trentacinque anni. L’obiettivo è cogliere e riflettere sulle linee di continuità/discontinuità del rapporto tra sindacati e immigrati e comprendere se e come è cambiato l’investimento strategico delle organizzazioni sindacali sulla questione immigrazione.
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Welfare e immigrazione: un rapporto complesso
Il rapporto tra welfare e immigrazione costituisce una problematica complessa. L’intreccio tra i due processi, lo sviluppo del welfare e i flussi migratori, mette in gioco grandi questioni: il nesso tra diritto alle prestazioni del welfare e cittadinanza; la tematica delle disuguaglianze nell’accesso al welfare che è all’origine del sistema di «stratificazione civica»; la questione della implementazione delle politiche sociali e infine le barriere che interferiscono con l’accesso e la fruibilità dei servizi per gli immigrati. L’estensione dei diritti sociali di cittadinanza (cioè dei benefici del welfare) ai non cittadini è una conquista mai realizzata completamente. E questo sta diventando più difficile per effetto del prevalere della ideologia neoliberista che è alla base delle attuali politiche economiche e sociali. Partendo dalla visione dei migranti come soggetti titolari di un diritto esigibile e non oggetto di una missione umanitaria della società d’arrivo, si propone un percorso di riflessione a partire dal concetto di discriminazione e da come questa influenzi le politiche migratorie e l’accoglienza degli immigrati nel welfare italiano in una fase di progressivo ridimensionamento del welfare pubblico quale garante dei diritti sociali.
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L’inserimento scolastico dei figli degli immigrati: una questione aperta
Dopo oltre un trentennio di immigrazione straniera, la società italiana è ormai da tempo multietnica e multiculturale. Gli stranieri rappresentano circa il 10 per cento della popolazione che vive nel paese e i figli degli immigrati, anch’essi in aumento, costituiscono una componente rilevante degli alunni e studenti delle scuole italiane. Sulla base delle statistiche ufficiali disponibili, questo articolo mostra come il loro inserimento scolastico rimanga una questione aperta. Maggiore dispersione scolastica, minore successo negli studi, frequentissimo ritardo scolastico e concentrazione in percorsi formativi più votati all’immediata immissione nel mercato del lavoro sono segnali evidenti di una difficoltà di inserimento che meriterebbe maggiore attenzione da parte dei policy maker e degli operatori del settore.
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Il contributo di Hyman Minsky alla teoria economica
L’articolo richiama l’analisi di Minsky, dalla interpretazione di Keynes alla teoria delle crisi e del money manager capitalism, e la proposta di considerare lo Stato come datore di lavoro di ultima istanza, sottolineando in particolare la severità dei controlli sul lavoro necessari in questo caso come nel caso dell’esercito del lavoro di Ernesto Rossi.
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La tight full employment di Minsky. Cosa ci suggerisce?
La rilevanza del contributo di Minsky per la comprensione della dinamica del capitalismo dei suoi e dei nostri tempi – di quel Wall Street capitalism dalle ormai consolidate dimensioni globali – è ampiamente nota. Tuttavia gli interventi di Minsky raccolti in Combattere la povertà. Lavoro non assistenza, tradotto e pubblicato dalla Ediesse (2014), affrontano una questione, come combattere la disoccupazione, che sembra distaccarsi dai temi a lui più propri; ma è un’impressione erronea poiché instabilità finanziaria e carenza occupazionale sono questioni tra loro strettamente connesse. La rilettura dei suoi saggi e il confronto tra la sua realtà e quella odierna stimolano un’opportuna riflessione sulla possibilità che la sua proposta per una piena occupazione «in senso stretto» costituisca uno strumento di una «politica per il lavoro» dei nostri giorni.
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Per una nuova politica economica: riformulare il fine, riformulando i mezzi
Il contributo introduce la discussione sul libro di Pennacchi (2015) che si caratterizza per il proficuo intreccio tra discipline differenti: economia, filosofia, antropologia, sociologia. Un rapporto quello tra etica ed economia fondamentale per costruire un «nuovo modello di sviluppo» e mostrare che il soggetto non è homo oeconomicus. Dopo una lunga stagione di «disincanto», è possibile dare vita a un nuovo «reincantamento», riarticolando un discorso neoumanistico sui «fini» e liberando il pathos sottostante a una nuova apertura affettiva verso il mondo. Resta da chiedersi quale sinistra abbia la cultura politica in grado di farlo. Una sinistra di massa, fondata su una critica al capitalismo contemporaneo, che ne persegue la riforma radicale ma su una scala sovranazionale e mondiale.
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