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Storie lavorative e pensioni attese nel contributivo in Italia: la necessità di una «pensione contributiva di garanzia»
In questo articolo si ragiona, dapprima, su quanto sia effettivamente fondato il luogo comune in base al quale in Italia, col sistema contributivo, tutti riceveranno pensioni di importo molto limitato e, successivamente, si presentano alcune evidenze sull’effettiva accumulazione di contributi nella prima parte della carriera da parte delle giovani generazioni. Infine, si discute di possibili misure per migliorare le prestazioni future e si sottolinea come nel contributivo una «pensione di garanzia» di carattere previdenziale, tarata cioè sulla storia lavorativa individuale, sarebbe preferibile a una prestazione meramente assistenziale.
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La previdenza complementare: limiti e sfide in una prospettiva sistemica e comparata
L’articolo si concentra sullo stato di realizzazione dell’architettura pensionistica a più pilastri in Italia, disegnata ormai oltre un quarto di secolo fa con le riforme Amato (1992-1993) e Dini (1995), e perseguita da governi di diverso colore attraverso una serie di interventi incrementali. Aggiornando i dati statistici al 2019, e specialmente confrontando il modello multi-pilastro «all’italiana» con quello di altri paesi che presentano differenti forme di articolazione previdenziale su più pilastri, si mettono in evidenza i rischi, rispetto all’adeguatezza delle prestazioni e all’equità complessiva del sistema, che derivano da un cattivo «incastro» tra previdenza pubblica e integrativa in Italia.
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La pensione di cittadinanza. Un’occasione persa?
Quando si rivolge a famiglie composte solo da persone con almeno 67 anni, il Reddito di cittadinanza prende il nome di Pensione di cittadinanza. La nuova misura rivolta agli anziani si distingue dal Reddito di cittadinanza non solo per il nome ma anche per una diversa struttura del trasferimento monetario. L’entrata in vigore di questo sussidio fornisce l’occasione per fare il punto sul complesso insieme di interventi che nel sistema assistenziale italiano sono dedicati a fronteggiare il rischio di povertà degli anziani. La prima parte del lavoro fornisce una panoramica di questi schemi, mentre la seconda parte è dedicata alla Pensione di cittadinanza. Ci chiediamo in particolare quale possa essere il ruolo di questo nuovo trasferimento nel contesto più generale del contrasto della povertà degli anziani. Consideriamo in particolare due aspetti: la diffusione territoriale fin qui osservata della Pensione di cittadinanza e gli effetti delle sue regole di selezione dei beneficiari.
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Rivalutazione delle pensioni e condizione degli anziani
Il tema della difesa del valore delle pensioni è mobilitante perché gli anziani vivono con inquietudine una fase di incertezza dovuta alle dinamiche demografiche e ai mutamenti della struttura sociale in un contesto di indebolimento della sanità pubblica e di mancanza di una politica per la non autosufficienza. Il tema della difesa del valore delle pensioni nel tempo è un argomento che riguarda non solo le pensioni basse, a cui si è data parziale risposta con la quattordicesima, ma anche quelle che raggiungono un elevato tasso di sostituzione grazie all’innalzamento dell’età pensionabile perché sono poi sottoposte a un rapido processo di svalutazione. Un prelievo fiscale comparativamente più pesante rispetto agli altri redditi aggrava la situazione. La piattaforma sindacale prova a costruire risposte durature.
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Pensioni, la riforma necessaria
La normativa previdenziale italiana deve essere ripensata per arrivare a una vera riforma strutturale del sistema che comunque riaffermi e consolidi il ruolo della previdenza pubblica e la sua natura universale e solidale. Un sistema previdenziale che dovrà essere imperniato sulla flessibilità in uscita, per favorire la libera determinazione delle persone nel progettare il loro percorso di vita, ma anche equo e solidaristico, in grado quindi di riconoscere le diverse condizioni presenti nel mondo del lavoro, sostenendo quelle che sono le situazioni di fragilità o di disparità, come il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, del lavoro di cura e delle donne, il lavoro povero e discontinuo. Una riforma che riunifichi le persone, i generi e le generazioni, che guardi al paese anche per quello che sarà e che sappia offrire a tutti, a partire dai più giovani, una prospettiva nella quale ciascuno possa riconoscersi.
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Il Semestre europeo e le pensioni
Lo scrutinio delle politiche previdenziali ha avuto un posto importante nel ciclo del semestre europeo fin dall’inizio, dalla fase più critica della crisi dei debiti sovrani in poi. Poiché le pensioni rappresentano la principale voce di spesa nei bilanci statali, esse hanno un impatto determinante su disavanzo e debito pubblici. Nel chiarire il ruolo delle pensioni nel Semestre europeo, questo articolo mira a determinare qual è l’impatto delle raccomandazioni specifiche per paese sull’intensità delle riforme negli Stati membri. Utilizzando un data set originale che codifica tutte le raccomandazioni in materia pensionistica dal 2011 al 2018, e un data set del Dg Ecfin contenente le principali misure di riforma delle pensioni nei paesi membri, il paper dimostra che le raccomandazioni, prevalentemente basate su indicatori oggettivi, esercitano un effetto maggiore sull’intensità delle riforme ove si registra una spesa pensionistica più elevata.
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Il Reddito di cittadinanza: cosa dicono finora i dati
L'articolo è dedicato alle prime evidenze quantitative sulla diffusione del Reddito di cittadinanza. L’ampia discussione tecnica e politica che ne ha preceduto l’introduzione ha costituito un’importante occasione per elaborare stime sui suoi possibili effetti. Nella prima parte del lavoro confrontiamo queste simulazioni, evidenziando similitudini e differenze. La seconda parte è invece dedicata all’analisi delle informazioni quantitative che l’Osservatorio Inps ha da poco pubblicato dopo i primi sei mesi della misura. L’integrazione con dati su numero di famiglie e tassi di occupazione per fascia di età, a livello provinciale, ci permette di ottenere alcune conclusioni, in parte sicuramente preliminari, sulle caratteristiche distributive del Rdc e sull’evoluzione della povertà in Italia.
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Alla ricerca di equità nel sostegno al reddito. Due limiti strutturali del reddito di cittadinanza, nonostante un grande merito
Il reddito di cittadinanza appena varato in Italia ha il grande merito di sancire un diritto al reddito. Ciò nonostante, esso presenta due limiti strutturali. Uno concerne lo spazio che è venuto a occupare all’interno delle politiche redistributive di sostegno al reddito, dove costituisce la misura centrale, nella sottovalutazione di alcuni limiti etici intrinseci alla selettività. L’altro concerne la configurazione adottata di condizionalità al lavoro, la quale aggiunge altre iniquità. Alla luce di questi limiti, il reddito di cittadinanza dovrebbe perdere la centralità acquisita diventando una misura all’interno di un insieme diversificato di politiche redistributive di sostegno al reddito. La condizionalità al lavoro dovrebbe, altresì, essere attenuata.
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Enrico Giovannini e Pierluigi Stefanini
13.00
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L’attuale modello di sviluppo è insostenibile, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale. Conflitti, cambiamenti climatici, disuguaglianze crescenti che determinano povertà e migrazioni di massa sono sfide che mettono in discussione la tenuta stessa del pianeta, non in un futuro ipotetico, ma da qui a poche decine di anni. Ecco allora che il concetto di «sostenibilità» diventa la chiave di volta per ripensare le direttrici dello sviluppo, tanto che l’Onu ha individuato in un documento («Agenda 2030») i 17 obiettivi da raggiungere entro i prossimi 12 anni per evitare il collasso. L’Italia, pur avendo fatto alcuni passi avanti nell’ultimo periodo, è ancora ben lontana dal raggiungimento degli standard previsti. Per questo quella attuale deve necessariamente essere «la legislatura dello sviluppo sostenibile». Questa è almeno la convinzione di Pierluigi Stefanini ed Enrico Giovannini, rispettivamente presidente e portavoce di ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, nata proprio per far crescere nella società italiana, nei soggetti economici e nelle istituzioni la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda 2030 e degli obiettivi in essa contenuti. Ma come stanno andando le cose? Il governo è sensibile a questo tipo di tematiche? Quella della «sostenibilità» può essere una battaglia intorno alla quale coalizzare una nuova esperienza politica anche a sinistra? Su questi grandi interrogativi, ma anche su molte altre tematiche (dal ruolo della cooperazione a quello dei corpi sociali, dal cambiamento del lavoro alla rivoluzione tecnologica), si confrontano Enrico Giovannini e Pierluigi Stefanini, dando vita a una conversazione schietta e vivace, capace di offrire spunti interessanti per la costruzione di una visione politica nuova.
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RGL N. 4/2019
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RGL N. 4/2019 – Osservatori
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Città metropolitana
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Riccardo Terzi. Il delizioso sapore dell’agrodolce
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Salvati o affossati dall’Europa?
Agli inizi degli anni duemila ci si attendeva che il regime di governance associato alla moneta unica potesse «salvare l’Italia» costringendo gli attori economici e la classe politica a ristrutturarsi e a cambiare. A distanza di 15 anni è opportuno prendere atto che tali aspettative non si sono realizzate e interrogarsi lucidamente sul da farsi. Non solo l’adesione ai vincoli europei non ha salvato l’Italia, ma ha contribuito probabilmente (per quanto la prova controfattuale non sia disponibile) alla sua stagnazione. I sindacati e le associazioni imprenditoriali farebbero bene a rendersi conto che un sistema istituzionalizzato di relazioni industriali è difficilmente compatibile con l’imperativo di «svalutazione interna» – l’unico meccanismo di aggiustamento dell’eurozona – e che piani alternativi di distribuzione più equa dei costi dell’aggiustamento tra paesi forti e paesi deboli sono politicamente poco probabili.
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È più giusto e più plausibile cambiare l’Europa piuttosto che uscire dall’euro
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Uscire dall’euro? Né realistico né desiderabile
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Un coordinamento bilanciato della contrattazione. Presentazione
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CM 6-2019
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Editoriale
Aldo Tortorella
, L’eredità di un trentennio
Osservatorio
Giulio Marcon
, L’economia italiana vaso di coccio tra i giganti globali
Giorgio Mele
, L’Umbria e l’Italia
E. Igor Mineo
, L’occasione perduta di una nuova sinistra europea
Vittorio Sergi
, Il Rojava tra confederalismo democratico e monoculture autoritarie
Paolo Soldini
, Trent’anni dopo: Berlino in cerca di una vera leadership europea
Guido Liguori
, Per la difesa della storia e della memoria, contro l’equiparazione di comunismo e nazismo
Laboratorio politico
Roberto Finelli
, Nuove tecnologie, mente orizzontale e diritto al riconoscimento
Eleonora Piromalli
, Una teoria critica della società capitalistica da Nancy Fraser e Rahel Jaeggi
Sergio Dalmasso
, Sartre e la rivolta d’Ungheria del 1956
Ripensando il passato
Aldo Tortorella
, La rivoluzione russa e lo Stato sovietico
Schede critiche
Sergio Caserta
, Sindrome 1933 e sindrome leghista
Alberto Leiss
, Una via digitale al “NeoSocialismo”?
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La contrattazione coordinata in Europa: da un’erosione incrementale a un attacco frontale?
La possibilità di applicazione dei contratti collettivi coordinati multi-employer, caposaldo della regolamentazione del mercato del lavoro nei paesi dell’Europa occidentale, è stata ulteriormente indebolita con l’avvento della crisi. La spinta continua al decentramento aveva già nel tempo ridotto la capacità degli accordi di settore di definire standard universali applicabili a livello aziendale. I meccanismi procedurali di articolazione tra i due livelli di contrattazione sono, infatti, divenuti progressivamente più deboli e incerti. Con l’avvento della crisi, nei paesi dell’Europa settentrionale questo processo si è spinto ulteriormente avanti; nell’Europa meridionale è invece in corso un vero e proprio attacco – sostenuto dalle istituzioni europee – nei confronti degli accordi di contrattazione multi-employer. Le misure di rafforzamento della governance economica europea indotte dalla crisi rendono più urgente la necessità di un coordinamento transnazionale della contrattazione; tuttavia l’indebolimento delle capacità di coordinamento effettivo dei sistemi nazionali di contrattazione indebolisce questa prospettiva.
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Negoziare gli effetti dell’incertezza? In discussione la capacità di governance della contrattazione collettiva
Questo articolo si basa su quattro argomentazioni. In primo luogo la contrattazione collettiva è in grado di mitigare gli effetti negativi generati dalla volatilità del mercato e dal processo di adattamento alle sue regole, attraverso la definizione di intese che garantiscono certezza sostanziale e procedurale sia ai lavoratori sia ai datori di lavoro, e una maggiore sicurezza ai lavoratori. In secondo luogo le intese contrattuali multi-employer sono più idonee a svolgere questa funzione rispetto a quelle single-employer. In terzo luogo vi sono differenze istituzionali fra le intese contrattuali multi-employer relative alla governance della contrattazione aziendale che influenzano in misura notevole la loro capacità di promuovere certezza e sicurezza del lavoro. In quarto luogo la pressione dovuta alla crisi sta accelerando l’adattamento al mercato della contrattazione collettiva multi-employer, con effetti potenzialmente dannosi sulla sua capacità di attenuare le spinte negative.
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Le traiettorie dei sistemi «mediterranei» di relazioni industriali, tra convergenze e divergenze. La Francia e i suoi vicini del Sud (Italia e Spagna)
L’articolo analizza le traiettorie dei sistemi «mediterranei» di relazioni industriali, identificando due tendenze comuni: l’unilateralismo del governo e il decentramento in deroga della contrattazione collettiva. Dopo avere preso in esame l’efficacia dei cambiamenti imposti in Spagna e in Italia, l’autore si concentra sul caso francese. Qui la vitalità della contrattazione collettiva e della consultazione tripartita ha attenuato il tradizionale predominio della regolazione pubblica. Tuttavia è ancora il governo a fissare le scadenze della consultazione, che dal 2000 si basa sulla richiesta di decentramento in deroga da parte dei datori di lavoro. Dopo il fallimento del 2015, il governo cerca di imporre un’iniziativa legislativa unilaterale.
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L’impatto della nuova governance europea sulla contrattazione collettiva. Un confronto fra Italia, Spagna e Portogallo
Fra le ricette che compongono la nuova governance economica europea, la revisione dei sistemi contrattuali ricopre un ruolo di forte preminenza. Grazie a essa, è l’assunto, i paesi più colpiti dalla crisi potrebbero recuperare quote di competitività, agendo sulla leva dei prezzi, e dunque dei costi del lavoro. Nella severa cornice dei Trattati, e sotto la vigile regia del Semestre europeo, le istituzioni europee hanno letteralmente dettato l’elenco delle riforme da adottarsi in tema di lavoro e relazioni industriali. L’obiettivo è quello di dotare le aziende della facoltà di determinare flessibilmente le condizioni salariali e di lavoro dei propri dipendenti. Ciò ha richiesto l’allentamento della tradizionale gerarchia delle fonti, ampliando le prerogative del contratto aziendale, congelando le procedure di estensione erga omnes e/o i salari minimi legali, dove vigenti, bloccando la contrattazione del settore pubblico. Fra i paesi che più hanno patito il combinato disposto di queste misure vi sono Spagna, Portogallo e Italia, storicamente accomunati da certo grado di coordinamento della contrattazione, e oggi costretti a fare i conti con una spinta al decentramento, inedita anche per il carattere unilaterale e non concertato dell’interventismo pubblico. L’articolo ne ricostruisce tappe, contenuti e criticità, rilevandone analogie e divergenze, sotto il profilo dei risultati e del diverso rapporto fra Stato e autonomia collettiva.
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Le relazioni industriali: alcune questioni aperte
L’articolo sviluppa il dibattito sulle possibili riforme delle relazioni industriali in Italia in tre distinte ma collegate aree di discussione: la struttura della contrattazione collettiva, le modalità di partecipazione diretta dei lavoratori alle decisioni riguardanti l’organizzazione del lavoro in azienda, e il sistema di rappresentanza, collegato alla validità erga omnes dei contratti nazionali e aziendali. L’articolo sviluppa proposte in ciascuno di questi campi di indagine. Innanzitutto mostra come sia possibile riformare il sistema di contrattazione collettiva, lasciando al contratto nazionale il ruolo di determinare i salari minimi, con il contratto aziendale che determina invece la dinamica dei salari di fatto. In secondo luogo si auspica l’applicazione di un metodo di partecipazione diretta dei lavoratori all’organizzazione del lavoro che in qualche modo ricalca il modello duale tedesco, con la contrattazione che deve essere separata dalle pratiche partecipative.
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Suggestioni per la riforma della contrattazione collettiva: dalla Francia all’Italia
L’articolo prende spunto dalla presentazione del rapporto commissionato dal primo ministro francese a un gruppo di esperti al fine di indicare un percorso di riforma della contrattazione collettiva volto a rendere più dinamica tale forma di regolazione sociale rispetto alla complessità delle nuove sfide economico-sociali. Malgrado le differenze strutturali, le sfide con cui i sistemi di contrattazione collettiva francese e italiano si confrontano nei due paesi sono simili: l’analisi delle criticità rilevate e le proposte avanzate in quel contesto possono quindi fornire alcune indicazioni utili anche per la riforma del sistema contrattuale nel nostro paese.
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