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Tra grandi dimissioni e nuove domande dei lavoratori
A partire dal volume di Francesca Coin (2023), il contributo si sofferma sul fenomeno delle grandi dimissioni che, sebbene non rappresenti l’unico cambiamento in corso nel lavoro e nella sua organizzazione, costituisce senza dubbio uno dei principali snodi critici con cui esso si manifesta. Dopo averne brevemente tratteggiato le caratteristiche, si sottolinea la necessità di una riflessione su cosa sia avvenuto negli ultimi anni, a cavallo della pandemia, da rendere i lavoratori così manifestamente più critici verso i lavori esistenti, che poi spesso sono «lavorini» di corto raggio, di breve durata e caratterizzati da trattamenti e tutele insufficienti.
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Per un cambio di paradigma sulla povertà: i primi 10 anni dell’Alleanza
Tra la fine e l’inizio del Millennio la povertà è aumentata e cambiata, non solo in Italia, ma in tutta l’Unione europea. Ecco perché, nel 2010, l’Ue ha lanciato la campagna Stop Poverty per dare conto della situazione e sollecitare gli Stati membri a prendere dei provvedimenti, anche in collaborazione con la società civile. Le organizzazioni sociali italiane, vista la loro esperienza sul campo, hanno colto questo invito, costituendo, nel 2013, l’Alleanza contro la povertà in Italia. Grazie ai suoi molteplici studi e proposte, in primis il Rei, ha contribuito a costruire l’impalcatura di tutte e cinque le misure realizzate dai diversi governi, che non sempre sono state migliorative. Ecco perché, a dieci anni dalla sua nascita, il lavoro dell’Alleanza è importante anche in chiave critica per promuovere misure che siano sempre universaliste e in grado di fare leva, oltre che sul contributo economico, anche sulla capacitazione delle persone povere.
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Il ritorno al passato della lotta alla povertà. Dal welfare universale al welfare categoriale
L’articolo si concentra sul nuovo modello di politiche di contrasto alla povertà delineato con il decreto legge n. 48/2023, convertito con legge n. 85/2023 (cosiddetto «decreto Lavoro»), che ha abolito il Reddito di cittadinanza e introdotto due distinte misure, Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro, segnando così il passaggio da uno strumento di welfare universale a interventi categoriali. Nel contributo si delinea l’impatto che questo radicale cambiamento potrebbe avere sulla popolazione in povertà in base ai dati forniti dai principali istituti
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Le leggi delle donne che hanno cambiato l’Italia
25.00
€
Se non ci fossero state le donne, in questa nostra Repubblica, se non ci fossero state le loro tenaci battaglie di emancipazione e liberazione – condotte attraverso un intreccio fecondo di iniziative delle associazioni, dei movimenti, dei partiti, delle istituzioni – l’Italia sarebbe oggi un Paese molto più arretrato e molti articoli della Costituzione non sarebbero stati applicati. Il debito che l’Italia ha nei confronti delle donne lo racconta in modo inedito questo libro scritto e curato dalle volontarie della Fondazione Nilde Iotti. Lo fa illustrando in modo rigoroso e semplice le tappe e i contenuti delle conquiste legislative dall’inizio della Repubblica alla conclusione dell’ultima legislatura, che hanno cambiato la vita delle donne e l’assetto economico, sociale e culturale del nostro Paese. Il libro rammenta la battaglia per il diritto di voto e le «madri della nostra Repubblica», le donne elette nell’Assemblea Costituente, che diedero un contributo rilevante alla stesura della Costituzione. Sono citati gli articoli che più hanno favorito il cambiamento nella vita delle donne. Segue poi il racconto delle leggi con uno schema che ne indica la scansione in ordine cronologico dal 1950 al 2022, a cui si connettono le schede che ne illustrano i contenuti. Lo sguardo della battaglia delle donne è oggi e sempre più sarà quello europeo. Per questo il libro include una rassegna delle tappe e dei provvedimenti più significativi adottati dall’Unione Europea.
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La tecnologia, le sue ambiguità e lo spazio e il ruolo del sindacato
Il contributo evidenzia come la rivoluzione tecnologica in atto non sia solo una rivoluzione industriale, non riguarda solo l’impresa, ma la società nel suo complesso. Incide sul lavoro, sugli stili di vita, sulla cultura, sulla comunicazione, sulle forme stesse della democrazia. Cambiamenti di questa natura e di questa portata non possono essere lasciati al mercato. C’è bisogno di un autorevole indirizzo e investimento pubblico. Il che comporta la necessità e la capacità di selezionare obiettivi, definire nuove convenienze, dare impulso a una do-manda pubblica in grado di agire contestualmente sull’offerta stessa creando così nuove im-prese, nuovi prodotti, occasioni di lavoro stabile e qualificato. È un cambiamento profondo che per non rimanere un progetto astratto deve sostanziarsi del rapporto concreto con le persone a partire dal mondo del lavoro. E questo ha bisogno in primo luogo di una nuova capacità di contrattazione ma anche di una grande alleanza tra sindacato e mondo del sapere. Anche per questa ragione diventa fondamentale il diritto alla formazione permanente e alla conoscenza. Solo così il sapere e la conoscenza diventano fattori decisivi di trasforma-zione e garanzia di cittadinanza.
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L’Intelligenza artificiale nel capitalismo della conoscenza: una lettura schumpeteriana*
Il contributo utilizza gli strumenti interpretativi della tradizione schumpeteriana per ana-lizzare la situazione economica dei primi lustri del XXI secolo come una fase di transizione dal declino del capitalismo fordista che caratterizzò il XX secolo alla formazione del nuovo capitalismo della conoscenza in cui la produzione di ricchezza è basata sulla generazione, valorizzazione e sfruttamento della conoscenza come bene economico.
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La privatizzazione della conoscenza e i beni pubblici
Il contributo esprime la posizione del sindacato e nello specifico della Cgil sulle questioni relative alla privatizzazione della conoscenza e più in generale del restringimento del peri-metro pubblico. A fronte è di un complessivo impoverimento del paese e di un approfondimento delle dise-guaglianze, occorre un’azione politica in difesa dei beni pubblici, dei beni collettivi, a partire dalle infrastrutture della conoscenza. Perché oggi, sia che si parli di transizione verde o di transizione digitale, si tratta di aspetti centrali per poter affrontare una trasformazione del lavoro e della società in maniera trasversale.
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L’Intelligenza artificiale è politica: quale ruolo per il sindacato nella regolazione delle Big Tech?
L’articolo discute della natura politica della tecnologia, con particolare riguardo all’Intelli-genza artificiale, e del ruolo centrale rivestito dai corpi intermedi, come il sindacato, nel contrattare le funzionalità e le caratteristiche dei sistemi tecnici adottati nella gestione del lavoro, ma più in generale nella gestione delle relazioni sociali e in quelle tra società e risorse naturali. Si ritiene che il sindacato possa rappresentare un attore essenziale nel contenere gli effetti perversi di alcune tecnologie sulla società, attivando le pratiche necessarie per usare gli strumenti tecnici, in particolare quelli digitali, a favore della tutela dei diritti di lavoratori e cittadini.
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Un’alternativa pubblica alle Tech Giants
Nel contributo si propone di creare un’alternativa pubblica e sovranazionale all’oligopolio delle grandi imprese di tecnologia dell’informazione, le cosiddette Tech Giants. Dopo questa premessa, ci si sofferma dapprima su una breve analisi sulla scala dei problemi che si hanno di fronte, per poi presentare una proposta per l’economia digitale che trae origine dall’elabo-razione, sin dal 2019, del concetto di impresa pubblica europea ad alta intensità di cono-scenza.
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Che vuol dire fidarci oggi dell’Intelligenza artificiale
L’Intelligenza artificiale ha rappresentato per lungo tempo un’ambizione di straordinaria portata, evocata dalla sua stessa denominazione e dalle esplicite dichiarate intenzioni di molti dei suoi studiosi. Di fianco a significativi risultati pratici, il sogno della macchina intelligente per antonomasia, quella confondibile col pensiero umano nei più svariati ambiti, è rimasto nel cassetto. Gli ultimi sviluppi dell’Ia, quella cosiddetta «generativa», sta ripro-ponendo l’attualità della sfida originaria. Le capacità di dialogo di sistemi come ChatGpt stupiscono nelle loro prestazioni persino i loro stessi realizzatori e aprono un dibattito par-ticolarmente intenso sulle prospettive future e sugli impatti di questi sistemi. È davvero così? Sono questi nuovi sistemi in grado di «intendere» i significati che elaborano e che sviluppano nelle loro interazioni? E quale atteggiamento di fiducia possono adottare gli umani nei confronti di questi sistemi? Quale sarà l’impatto reale sulle nostre vite individuali e sociali? Il dibattito è aperto. Esso coinvolge non solo gli esperti e le intellettualità. Le opinioni sono varie e non convergenti. Le opportunità sono certamente rilevanti. I problemi e i rischi pos-sono già essere delineati. Una consapevolezza diffusa e una maggiore capacità di governance di questo fenomeno incombente e pervasivo è richiesta con urgenza.
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Una strategia per rafforzare il coinvolgimento dei lavoratori e consentire loro di creare un uso sostenibile dell’Intelligenza artificiale
Solo una capacità fiscale centrale può fornire beni pubblici europei e mirare a colmare i ritardi nell’Ia (Intelligenza artificiale) rispetto agli Usa e alla Cina. L’Ia potrebbe aumentare la disuguaglianza di reddito e ricchezza perché è ad alta intensità di capitale e fa risparmiare lavoro. Possiamo rendere l’Ia più inclusiva ex ante. L’Ue sta preparando la prima normativa organica al mondo per gestire le opportunità e le minacce dell’Ia. Questo ambizioso quadro normativo dovrebbe garantire ai lavoratori il diritto alla governance dei dati a livello aziendale per rafforzare il loro coinvolgimento nella progetta-zione e nell’uso di questa tecnologia. Le applicazioni Ia potrebbero essere implementate per ristrutturare i compiti e creare nuove attività dove il lavoro umano può essere reintegrato. Il problema è che il mercato tecnologico è dominato da poche grandi aziende con un modello di business in cui l’eliminazione dell’uomo dai processi produttivi è considerata un imperativo. Queste imprese rappresentano la maggior parte degli investimenti in ricerca sull’Ia nel mondo. Per questi motivi l’Ue deve darsi una specifica politica industriale e creare una propria infrastruttura di ricerca per implementare un modello europeo di sviluppo dell’Ia.
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