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Il libro si propone di indagare la storia della schiavitù da una prospettiva giuridica che, rispetto agli aspetti sociali, politici ed economici, è rimasta maggiormente nell’ombra. Eppure, il rapporto che permetteva di considerare un individuo proprietà di un altro e pertanto privo di ogni diritto o limitato nel suo esercizio era il frutto di una costruzione eminentemente giuridica. Sia il commercio degli schiavi che la loro condizione si basarono su un’attenta disciplina consuetudinaria e legislativa che, dietro le parvenze della neutralità e del rispetto, seppur minimale, dei diritti degli schiavi, manteneva e perpetuava una situazione di dominio di un uomo su un altro uomo. Il volume dunque, partendo dall’epoca classica, attraverso le servitù medievali, la schiavitù mediterranea e lo sviluppo del commercio atlantico, arriva fino alle nuove forme di schiavitù, che in maniera più subdola, ma non meno drammatica, caratterizzano la realtà contemporanea.
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Di fronte al rischio di declino economico del paese e al progressivo aggravamento della crisi, che la Cgil ha denunciato fin dal 1999 rivendicando il riposizionamento del nostro modello di specializzazione produttiva, il governo Berlusconi continua a restare inerte e ripropone, a fini elettorali, la logora ricetta del taglio delle imposte da finanziare con la riduzione del perimetro dell’intervento pubblico. Welfare e politiche pubbliche vanno invece rafforzate per rendere socialmente sostenibile la transizione verso la società dei servizi senza che ciò dia luogo, come purtroppo sta già accadendo, a pericolosi processi di deindustrializzazione. Pur tenendo conto della situazione di difficoltà in cui versa gran parte del nostro apparato produttivo, il reddito disponibile dei lavoratori deve crescere di più. Ciò, secondo Beniamino Lapadula, è necessario non solo per motivi di equità sociale, ma anche per far crescere la domanda aggregata depressa da un export che ha il fiato corto e dall’assenza di investimenti, bloccati dalla crisi di sfiducia che attanaglia il paese. Pensare però che questo obiettivo possa essere conseguito con una forte spinta salariale basata sui rapporti di forza è illusorio e sbagliato. Non c’è alternativa credibile ad una nuova politica dei redditi da rilanciare con un patto tra produttori capace di dare «una scossa» per rimettere in moto l’economia del paese.
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I preziosi dipinti dei fratelli Ducato sono giunti in Confederazione attraverso un percorso non previsto, ma nel contesto di un lavoro che stiamo conducendo per valorizzare la storia del rapporto fra noi e l’arte contemporanea. Avevamo un po’ trascurato questi aspetti, che si intrecciano con l’impegno per l’affermazione dei principi e dei valori del lavoro, ma i centenari delle Camere del Lavoro ci hanno richiamato alla conservazione e alla ricerca. È stato messo in atto un impegno che non ha pari, per estensione, anche se raffrontato a quello compiuto da importanti imprese italiane. Si può certamente dire che è in corso una riscoperta del rapporto intercorso fra il nostro lavoro, le lotte che conduciamo, i valori che ne sottendono la loro tenace perseveranza e, in particolare, lo sviluppo delle condizioni di vita dei lavoratori, con quello degli artisti e degli intellettuali più in generale. Non è quindi casuale che venga compiuto questo sforzo culturale mentre la nostra lotta per l’affermazione dei diritti dei cittadini e dei lavoratori ha raggiunto livelli così alti. ...le nostre lotte per l’emancipazione del lavoro sono state favorite dall’arte, dalla libera espressione creativa degli artisti. Durante questo lungo percorso tante sono state le fasi, ampio è stato il confronto su quale doveva essere il rapporto fra arte e lavoratori, fra artisti e organizzazioni sindacali e politiche, manifestandosi a volte attraverso accesi scontri e confronti… E poi, c’è un altro punto importante che quasi mai viene colto e che testimonia dell’importanza dell’arte. L’opera d’arte, quando è veramente tale, si offre a molte letture, non produce messaggi unidirezionali e perentori; è per sua natura un «principio democratico», dialettico, che accompagna alla riflessione, aiuta a costruire un modo di pensare alieno dalle certezze assolute. - …Anche per queste ragioni è bene avere la consapevolezza della necessità di un serio rapporto con gli artisti e con l’arte, in quanto contribuisce alla nostra crescita culturale, quindi delle donne e degli uomini che fanno la Cgil. Proprio per questo è giusto che la Camera del Lavoro di Palermo abbia nella propria sede le tavole dei Fratelli Ducato… (Dall’introduzione di Guglielmo Epifani)
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L’articolo presenta i risultati di un’indagine rivolta ai docenti delle scuole dell’infanzia, primaria e secondaria, in merito alla didattica a distanza attuata durante la fase emergenziale della pandemia di Covid-19 (aprile-maggio 2020). L’Indagine è stata condotta su tutto il territorio nazionale, tramite questionario online, con un campione di 1197 questionari validi. L’analisi approfondisce le condizioni di lavoro dei docenti considerando, in particolare, le competenze e le esperienze pregresse, la formazione, i carichi di lavoro e le difficoltà di conciliazione tra lavoro e vita privata. I risultati mostrano le numerose difficoltà incontrate dai docenti in un contesto emergenziale caratterizzato da forte unilateralità nell’introduzione della didattica a distanza, scarsi strumenti e scarsa programmazione. L’indagine è stata promossa dalla Flc-Cgil (Federazione Lavoratori della Conoscenza) e condotta in collaborazione con Fondazione Giuseppe Di Vittorio, Università di Teramo e Laboratorio LO-Lavoro e organizzazioni del Dipartimento di Scienze sociali ed economiche della Sapienza Università di Roma.
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Il contributo discute le richieste di autonomia regionale differenziata, così come formulate ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione dalle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna nel corso del 2017, e dei contenuti del disegno di legge governativo 615/2023 volto a dare ad esse attuazione. Sostiene che queste richieste, anche se soddisfatte solo parzialmente, sono in grado di modificare profondamente in peggio la realtà del nostro paese. Per tre grandi ordini di motivi: perché a) configurerebbero la nascita di Regioni-Stato con amplissimi poteri a scapito dell’esecutivo nazionale; b) approfondirebbero il solco a danno dei territori più deboli nelle disponibilità economiche per la fornitura di essenziali servizi ai cittadini e alle imprese (e mortificherebbero il ruolo di Roma); c) spoglierebbero il legislativo di sue proprie potestà trasferendole ad oscure commissioni, creando un vulnus alla democrazia italiana. In realtà esse configurano, come più articolatamente argomentato in Viesti (2023), una vera a propria «secessione dei ricchi»
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La flexicurity, definibile in prima approssimazione come una strategia che cerca di conciliare la crescita della flessibilità sul mercato del lavoro con un incremento della sicurezza sociale e dell’occupabilità dei lavoratori, evitando la segmentazione del mercato del lavoro, sta assumendo un ruolo sempre più centrale nel dibattito accademico e politico, soprattutto in sede comunitaria. In particolare la definizione di strategie di riforma ispirate alla flexicurity è recentemente assunta a paradigma della Strategia europea per l’occupazione. ...
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Gli autori si interrogano sulla base sociale del lavoro industriale, per come è venuto modificandosi nel tempo e per i riflessi che i cambiamenti avvenuti hanno sull’agire sindacale. Il principale risultato è che mentre la «periferia» del sindacato si confronta necessariamente con le trasformazioni profonde che hanno investito i contesti di lavoro e talvolta trova modi efficaci per affrontarle, il «centro» non ha ancora sviluppato una rappresentazione e un’elaborazione adeguate delle stesse.
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La Corte di giustizia ha emanato nel dicembre scorso una sentenza che riapre nuovamenteil dibattito sulla necessità di conciliare, in un’economia di mercato aperto, le libertà previste dai Trattati con i diversi modelli sociali degli Stati membri. La causa C-341/20051 vedeva opposti, da un lato, la Laval un Partneri, impresa avente sede in Estonia che, avendo vinto un appalto per la costruzione di una scuola in Svezia, aveva distaccato alcuni lavoratori nel cantiere svedese, dall’altro, le organizzazioni sindacali degli edili svedesi che rivendicavano il rispetto delle condizioni salariali...
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Nell’arco di un percorso trentennale, che questo libro documenta nelle sue tappe più importanti, la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) ha realizzato l’unità del movimento sindacale europeo e si è data le forme e gli strumenti di rappresentanza e d’azione che ne fanno oggi un’esperienza originale di sindacalismo sovranazionale nel contesto dell’Unione Europea. Se è vero che l’Europa sociale e del lavoro è ancora incompiuta, occorre tuttavia riconoscere che essa ha cessato di essere solo una legittima aspirazione del mondo del lavoro per cominciare a tradursi in realtà attraverso la legislazione europea e il dialogo sociale, grazie anche alla capacità d’influenza e di mobilitazione della Confederazione Europea dei Sindacati a sostegno delle rivendicazioni comuni dei lavoratori europei. I sindacati italiani sono stati e restano tra i principali protagonisti della costruzione della Ces e della sua progressiva trasformazione in una vera e propria organizzazione sindacale di livello europeo.
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Contro le ipotesi e i progetti di autonomia differenziata, che dividono il paese accelerando la secessione dei ricchi, è in atto da tempo una forte reazione dei sindacati dell’istruzione, mediante ogni forma di mobilitazione. Forte inoltre è stata la partecipazione alla raccolta di firme per il disegno di legge popolare per la revisione degli articoli 116 e 117 della Costituzione, nel quale si esclude ogni forma di autonomia differenziata per istruzione, sanità e welfare universale. L’autonomia differenziata, così come prevista dall’articola-zione del progetto Calderoli, va considerata un pericoloso sovvertimento dall’alto di ogni forma di uguaglianza e parità di accesso alla formazione e alla conoscenza determinati dall’articolo 3 della Costituzione. Inoltre, occorre riconsiderare la storia delle autonomie scolastiche, universitarie e accademiche degli ultimi trent’anni, e verificarne tenuta, limiti e possibilità, per evitare che gli errori del passato possano ancora pesare sulle decisioni del presente e del futuro.