• Lotta per l’uguaglianza e liberazione del lavoro dalla condizione di merce sono le issue che hanno identificato la sinistra; la seconda rimane ora nell’ombra. Non è possibile definire il ruolo del lavoro nella società senza elaborare una teoria dell’impresa. La visione dell’impresa è mutata nel tempo in relazione al prevalere di politiche riformiste o politiche liberiste. Le teorie alternative alla shareholder value, dominante negli ultimi decenni, sono state elaborate in tempo reale, ma non hanno avuto voce nel dibattito politico a causa della subalternità culturale della sinistra. La rivoluzione tecnologica e l’emergere dell’economia della conoscenza, anche se non hanno finora intaccato il potere del capitale finanziario, nella governance delle imprese costituiscono una base oggettiva per ritematizzare il ruolo del lavoro nella prospettiva di definire le forme della partecipazione creativa all’attività produttiva e le forme di codeterminazione nella governance in imprese multistakeholder. Il limite dell’approccio marxiano sta in una sottovalutazione della funzione imprenditoriale intesa come distinta dalla proprietà. La sinistra deve elaborare una sua teoria positiva della funzione imprenditoriale.
  • Il modello dello «shareholder value», che ha egemonizzato il trentennio neoliberale nei paesi anglosassoni, ha fallito essendo responsabile della crisi iniziata nel 2007-2008, a causa degli effetti sulle diseguaglianze e le ipotesi errate circa la razionalità dei mercati finanziari e gli schemi di incentivazione dei manager. Il modello dell’impresa socialmente responsabile, basato sulla governance multi-stakeholder e democratica, generalizza idee tratte dal modello di «gerarchia di mediazione imparziale», dalla co-determinazione tedesca, e dalle esperienze di Rsi. Secondo questo modello, chi governa l’impresa ha doveri fiduciari estesi verso tutti gli stakeholder, e la clausola fondamentale è consentire l’equa partecipazione al surplus da parte degli stakeholder essenziali, minimizzando gli effetti esterni negativi sugli altri. La sua superiore efficienza è qui dimostrata in termini di economia dei costi di transazione (e quindi produttività) in presenza di investimenti specifici molteplici, risorse cognitive complementari e rischio di abuso d’autorità. Se non si integra la corporate governance multi-stakeholder nel contratto sociale per la giustizia distributiva, sarà sempre impossibile evitare il «paradosso della tela di Penelope» secondo cui la tela dall’equità, tessuta dal welfare state, viene sempre disfatta dall’abuso di autorità nell’impresa.
  • La trasformazione dei sistemi economici più avanzati da economie industriali basate sulle industrie manifatturiere ad economie della conoscenza impone una revisione radicale dei fondamenti della politica industriale. Il carattere della conoscenza come bene collettivo e il ruolo pervasivo e tuttavia aleatorio delle complementarità e delle esternalità, indispensabili alla sua generazione, richiedono interventi di politica industriale volti a favorire l’organizzazione della complessità, attraverso il sostegno all’emergenza di coalizioni di innovatori.
  • La partecipazione dei lavoratori e la democrazia industriale, nonostante i tentativi del passato, costituiscono un nodo irrisolto dentro il sistema italiano di democrazia industriale. Per questa ragione nell’articolo viene proposta una nozione di «partecipazione incisiva», che prevede, a livello d’impresa, un sistema decisionale centrato su vari elementi di regolazione bilaterale. La tesi degli autori è che questa ipotesi sia rilevante non solo per ragioni di democrazia o di giustizia sociale, ma anche perché essa coincide con gli interessi degli imprenditori a migliorare la competitività, e più in generale con gli interessi dell’intero sistema economico a vedere accresciuta la sua capacità di innovazione.
  • Nelle pagine che seguono proveremo a impostare un discorso – sicuramente parziale – sull’intervento dello Stato in economia e la natura del welfare state. Discuteremo, in particolare, le proposte di introduzione di un reddito di esistenza e di riduzione di orario di lavoro, mettendole a confronto con una prospettiva incentrata invece sulla socializzazione dell’investimento e su un piano del lavoro, in un’ottica orientata ad una piena occupazione degna di questo nome. Nel nostro ragionamento, che muoverà sullo sfondo della dinamica capitalistica dal «fordismo» al neoliberismo e alla crisi attuale, ci muoveremo integrando la questione di classe con quella di genere.
  • Il testo approfondisce quattro temi: Quale è la caratteristica tecnica generale della governance fiscale europea? Quale è il ruolo della visione tedesca in questa governance? Quali è la natura e quali i limiti di una regola fiscale, esterna (al processo democratico) e di natura numerica? Come si presenta in questo momento il focus della costruzione europea? In conclusione, l’autore ripropone i punti cruciali sui quali, a suo avviso, far leva per costruire un nuovo focus idoneo a ridare prospettiva e respiro al progetto europeo: la banca centrale europea deve essere pronta ad agire come prestatore di ultima istanza, quando il panico degli investitori mette a rischio il funzionamento dei mercati finanziari; il Fiscal compact deve essere modificato, compattando le politiche di bilancio su una nuova linea che tenga fuori dall’equilibrio di bilancio le spese di investimento, cofinanziate e comunitariamente certificate, e le nettizzi dal calcolo del pareggio strutturale (Mto).
  • Siamo nel mezzo di una grande ondata di mercatizzazione, che sradica non solo vecchie pratiche residuali, ma lo stesso welfare state, le idee dei diritti dei lavoratori e altri aspetti dei compromessi sociali che hanno dato alla seconda parte del ventesimo secolo il suo carattere distintivo. Quali risultati produce questo processo e quali danni provoca? Per approfondire la questione l’autore esamina alcuni dei più rilevanti punti di confronto tra i mercati e altre istituzioni, a cominciare dalla Fiducia e dalla Moralità. La conclusione cui giunge Colin Crouch è che il processo di mercatizzazione deve essere accompagnato o rapidamente seguito da nuove istituzioni che correggano le sue stesse insufficienze e tutelino quei valori che sono considerati importanti ma che verosimilmente il mercato nella peggiore delle ipotesi danneggerà (come la fiducia e la sicurezza) e nella migliore relegherà ai margini, se non può commercializzarli.
  • Nei primi quindici anni di vita l’Isee («Indicatore della situazione economica equivalente»), che misura con criteri oggettivi la ricchezza reddituale e patrimoniale delle famiglie (la prova dei mezzi), ha mostrato evidenti limiti applicativi dovuti a cause interne (le regole di calcolo dell’indicatore) ed esterne (elevata evasione dell’imposizione sui redditi, autodichiarazione dei dati che contribuiscono al calcolo ed assenza di controlli tempestivi e sistematici). Con il Regolamento (Dpcm n. 159 del 5 dicembre 2013) l’Isee è stato completamente revisionato sia nelle regole di calcolo che nelle modalità di esecuzione dei controlli. Il nuovo Regolamento contiene una definizione più equa degli elementi che contribuiscono a determinare reddito e patrimonio ed avvia interventi informatici per eliminare l’evasione, cosiddetta «involontaria», dovuta all’autodichiarazione e per ridurre quella «volontaria», relativa soprattutto alla componente patrimoniale. Il principale punto critico dell’Isee in futuro resterà l’evasione fiscale in quanto con poche migliaia di euro di reddito non dichiarato questo assume valori molto più bassi.
  • Nella crisi le risposte degli enti locali si sono allineate a quelle nazionali (ed europee), nel solco del pensiero liberista, che ha trovato nel rigore dei conti l’unica soluzione possibile, frustrando un mondo del lavoro già in difficoltà e senza prendere in considerazione cambi di paradigma che puntassero sul lavoro, sui servizi e sugli investimenti, anche locali. Se consideriamo il taglio del welfare locale e l’aumento dei costi di compartecipazione, che una patrimoniale è stata trasformata in service tax e spostata in parte sugli inquilini, che il costo dei servizi indivisibili dei comuni dovrà essere coperto esclusivamente dai relativi tributi, e che il resto delle entrate comunali è costituito dall’addizionale Irpef in gran parte pagata da dipendenti e pensionati, giungiamo alla conclusione che in una crisi straordinaria ci si è appiattiti su soluzioni ordinarie, che ne hanno aggravato gli effetti specie per le categorie che già ne risentivano maggiormente.
  • I due libri vengono discussi a partire dalla cruciale questione della «riformabilità» o «irriformabilità» del capitalismo e della validità o meno dell’approccio ricostruttivo della «variety of capitalism», con la connessa possibilità o impossibilità di riferirsi a una pluralità di «tipi di capitalismo». Streeck pensa che sia in atto un processo travolgente e inarrestabile di «convergenza» delle economie di tutto il mondo – ma in particolare di quelle sviluppate – verso un modello unico, quello neoliberistico anglosassone, il che toglie validità all’approccio della «variety of capitalism» e, soprattutto, rende difficile al limite dell’impossibile ogni opzione di riformabilità del capitalismo. Crouch, invece, crede nella riformabilità del capitalismo e nella persistente pluralità dei «tipi di capitalismo», tanto più complessa se si considera l’articolazione che tale varietà assume nei paesi al di fuori dell’area occidentale dove si affermano anche inquietanti forme di modernità illiberale e una molteplicità di nazionalismi (quello russo, quello cinese, quello indiano, quello brasiliano, quello arabo). Su questa base rilancia alla grande l’obiettivo ambizioso della «riforma del capitalismo», con accenti che richiamano il Keynes che negli anni trenta individua al centro del nuovo liberalismo, con cui sostituire il vecchio, le azioni umane non determinate dal profitto e dunque il lavoro fonte di un nuovo umanesimo.