• Il saggio, completando una riflessione già avviata sulla Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale (n. 1/2015), individua gli ambiti entro cui il legislatore potrebbe sostenere una nuova contrattazione collettiva a livello territoriale. Segnala poi le debolezze delle esperienze pregresse di contrattazione territoriale, mettendo in luce come il bilanciamento tra regole universalistiche e adeguate normative di contesto potrebbe essere fortemente agevolato da un’accorta legislazione sul sistema di rappresentanza collettiva.
  • La contrattazione collettiva territoriale presenta aspetti nuovi, oltre il tradizionale sistema di relazioni industriali. Così è per i contratti di distretto industriale o di bacino produttivo nati dal basso con lo scopo di ricondurre a unità situazioni diverse entro un progetto di sviluppo locale. Ci sono poi i patti di sviluppo intersettoriali e la concertazione sociale con le istituzioni pubbliche. Il bilancio delle esperienze è positivo per i contratti di distretto; è invece problematico per gli altri dove prevale la grande frammentazione degli interventi e l’assenza di progettazione. Di qui la necessità di una nuova strumentazione e di nuovo insediamento del sindacato nel territorio.
  • L’attività negoziale del sindacato italiano si è confrontata a partire dal dopoguerra con i temi del welfare e della protezione sociale. A partire dagli anni settanta del Novecento tali iniziative si sono articolate nel rapporto tra livello nazionale e locale, tra diritti sociali e società civile. La «contrattazione sociale» si è posta in relazione con l’evoluzione del sindacato in una sua fase cruciale (tra 1989 e 1991, sotto la guida di Bruno Trentin) ed è stata influenzata dall’evoluzione istituzionale, amministrativa e delle politiche sociali degli anni novanta. Gli attuali anni di crisi economica chiamano la contrattazione sociale a nuovi sviluppi: verso i temi della giustizia sociale e della povertà, l’incontro con la contrattazione collettiva, un welfare partecipato, la riforma della pubblica amministrazione, oltre a sfidare lo stesso sindacato sui temi dell’organizzazione e della rappresentanza.
  • In questo articolo a partire da tre concreti esempi di coalizioni tra sindacati e reti locali (la Public education coalition del Nuovo Galles del Sud con base a Sydney in Australia, la Grassroots collaborative di Chicago negli Stati Uniti e la Ontario health coalition di Toronto in Canada), l’Autrice esamina le caratteristiche che rendono le coali- zioni più forti, prestando attenzione in particolare ai seguenti fattori: a) il numero di realtà che vi aderiscono: meno estese sono le coalizioni e più riescono ad essere sostanziali e incisive; b) i contenuti delle alleanze: le coalizioni devono basarsi su interessi delle singole associazioni, ma allo stesso tempo devono essere in grado di andare oltre i singoli interessi particolari e aprirsi a temi più ampi; c) l’importanza della leadership; d) la centralizzazione delle campagne ma anche l’autonomia a livello locale, in modo da attuare le strategie più adatte a coinvolgere altre persone attivamente; e) la costruzione di coalizioni multilivello; f) una pianificazione attenta e a lungo termine.
  • La costruzione di coalizioni tra organizzazioni sindacali e altre forze sociali è diventata un fenomeno sempre più rilevante e dibattuto in letteratura. Diversi contributi hanno mostrato come queste pratiche siano più diffuse in alcuni contesti nazionali rispetto ad altri e che ciò deriva in misura preponderante dal livello di radicamento istituzionale dei sindacati all’interno di ogni sistema di relazioni industriali. Partendo da un’analisi della recente campagna «Fight for $15!» portata avanti da una coalizione di sindacati e organizzazioni delle comunità locali per organizzare e migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori dei fast-food negli Stati Uniti, il presente contributo riflette sulle ragioni che spingono i sindacati a costruire coalizioni con altri soggetti e analizza il rinnovato emergere di tali pratiche anche nel contesto italiano.
  • L’articolo presenta i risultati di una ricerca sulle esperienze di innovazione sindacale promosse dalla Cgil in contesti caratterizzati dalla frammentazione del lavoro, dal lavoro disperso e precario. L’analisi prende in considerazione gli ostacoli, i limiti e i fattori che hanno favorito lo sviluppo di queste esperienze. In conclusione l’articolo presenta alcune riflessioni sull’impatto di queste esperienze sul modello organizzativo del sindacato, in particolare considerando il rapporto con la democrazia.
  • L’articolo si propone di spiegare quali fattori possono influenzare il cambiamento sindacale, con particolare riferimento alle scelte strategiche messe in atto e ai modelli di rappresentanza adottati per la rappresentanza dei giovani e dei lavoratori atipici. L’obiettivo è quello di capire come e perché un sindacato possa adottare modelli di rappresentanza molteplici e diversi e spiegare la natura e la dinamica di tale cambiamento. Si sviluppa una tesi sul cambiamento del sindacato, che sottolinea l’importanza di prestare attenzione a fattori come il tempo, gli attori coinvolti e il mutamento dei rapporti di potere, al fine di comprendere in che modo la riconfigurazione dei rapporti di forza possa influenzare le scelte strategiche sui modelli di rappresentanza adottati. In conclusione sono spiegati i cambiamenti che si sono verificati nelle tre confederazioni sindacali italiane dal 1998 al 2012 e individuate le possibili e ulteriori trasformazioni in corso.
  • L’emergere di un’economia basata sulla produzione e sulla circolazione di conoscenza è considerato uno dei fatti fondamentali della società attuale. Il contributo approfondisce il rapporto tra impresa e società che si configura nel «capitalismo della conoscenza» e le sue ambivalenze principali: quelle tra mercato e cooperazione, tra partecipazione e verticalizzazione dei processi decisionali, tra autonomia del lavoro e neotaylorismo. In secondo luogo analizza le caratteristiche principali delle mobilitazioni nell’ambito dei settori della conoscenza avvenute in Italia in questi anni, ponendole in relazione con queste ambivalenze. Se la conoscenza è un elemento rilevante del capitalismo contemporaneo, infatti, i lavoratori della conoscenza ne sono l’elemento chiave, la cerniera tra settori tradizionalmente ad alto contenuto di conoscenza e gli altri settori. L’analisi del rapporto tra impresa e società nell’economia della conoscenza declinato attraverso i «lavoratori della conoscenza» – e in particolare i lavoratori dell’università e dello spettacolo – mostra che le rivendicazioni, l’autonarrazione e i frame proposti incorporano una specifica analisi del ruolo della conoscenza nelle dinamiche produttive delle società contemporanee, e si collocano al centro delle ambivalenze di tali dinamiche.
  • L’inesorabile incedere dell’economia globale e l’esplosione di veri drammi sociali come quello greco, ci costringono a riconsiderare il nostro progetto di Unione nonché il suo processo di integrazione e le sue modalità. Posto che l’Europa non può che essere dei popoli, viene da sé quanto il mondo intermedio abbia un compito imprescindibile davanti a sé: i corpi intermedi sono infatti attori fondamentali nel rapporto-processo che va dalla persona alle istituzioni. In una società duramente e strutturalmente colpita dal problema occupazionale, il sindacato è chiaramente un interlocutore privilegiato: il lavoro è, infatti, quella necessaria «cerniera» che tiene insieme società civile e istituzioni, senza la quale la democrazia fatica a mantenere stabilità. L’ondata di populismo e di anti-politica che, in Italia come in Europa, da qualche anno domina la scena, è un fatto significativo che rappresenta un’avvisaglia da non sottovalutare e che, nelle sue espressioni più estreme, delegittima anche il sindacato. Certo, il sindacato presenta colpevolmente dei ritardi che oggi vanno superati; la politica ha assunto un atteggiamento nuovo nei confronti del sindacato e ne ha messo a nudo i problemi. Il suo rigenerarsi, nonché il suo riproporsi, paiono oggi necessità fondamentali per la tenuta del sistema. A questo punto le possibilità sono due: o il sindacato si riposiziona in modo deciso e in grado di interloquire nel merito con la politica, o questa avrà praterie davanti a sé e farà quello che vuole. È questo il rischio della deriva statalista del nuovo corso politico.