• In soli pochi anni, le tecnologie, i mercati e la pressione dei lavoratori per un migliore equilibrio tra vita e lavoro hanno aperto spazi, prima inimmaginabili, di flessibilità dell’orario per le imprese e di libertà per chi lavora. Il lavoro da remoto ha rafforzato questa tendenza e la presenza non rappresenta più una misura del lavoro. Un percorso recente, che per ora riguarda solo alcune attività e alcuni gruppi occupazionali, ma che lascia presagire sviluppi veloci nella misura in cui la tecnologia libera molte posizioni di lavoro e molti lavoratori dal vincolo taylor-fordista del tempo-luogo unico per il lavoro. Tuttavia il venire meno dei limiti precisi dell’orario fordista ha aperto alcuni rischi. Il primo è quello dell’invasione del lavoro nella quotidianità. Il secondo riguarda le nuove forme di controllo del lavoro.
  • Con la crisi del fordismo e del sistema degli orari standard si è determinato un rovesciamento straordinario dei criteri con cui sono organizzati gli attuali regimi di orario. Questa trasformazione è avvenuta in tempi relativamente brevi (circa trent’anni) ed è la diretta conseguenza dei cambiamenti del mondo del lavoro generati dalla globalizzazione dell’economia. La pressione delle imprese per ampliare gli strumenti di flessibilità nei regimi di orario si riscontra nei testi dei rinnovi dei contratti nazionali di lavoro, mentre da lungo tempo sembra molto carente l’iniziativa e l’elaborazione sindacale su questo argomento. È evidente la necessità di riprendere una strategia rivendicativa sull’orario di lavoro, proprio per la crescente condizione di subalternità in cui si trovano le lavoratrici e i lavoratori a fronte delle esigenze del mercato e per i rischi occupazionali derivanti dalla tecnologia.
  • L’articolo presenta lo studio di due casi aziendali industriali in cui un cambiamento del sistema degli orari di lavoro viene effettuato, in accordo tra azienda e sindacati, secondo un approccio di scambio a somma positiva, o win-win. Lo scambio è tra maggiore flessibilità produttiva, richiesta dall’azienda, e maggiori spazi di personalizzazione del tempo graditi ai lavoratori. Si tratta perciò di soluzioni win-win adattate al contesto produttivo e sociale specifico delle due imprese. Ma la tesi ancora più interessante che emerge dallo studio è il ruolo di supporto all’innovazione organizzativa e tecnologica che viene giocato dal cambiamento degli orari di lavoro in particolare per favorire il lavoro in team e la partecipazione dei lavoratori alla gestione del flusso produttivo. La tesi che pertanto viene sostenuta è che la «de-standardizzazione» degli orari di lavoro è un aspetto del più complessivo cambiamento del sistema sociale e dei sistemi organizzativi di impresa che caratterizzano questo periodo storico. La de-standardizzazione ovviamente può avere aspetti positivi, ma anche negativi per gli attori sociali. In molti casi l’innovazione nel tempo di lavoro può essere una leva dell’innovazione tecnologica e organizzativa.
  • Questo contributo intende offrire una ricostruzione critica del dibattito relativo agli effetti della contrattazione decentrata sull’occupazione e la crescita economica. La visione dominante fa propria la convinzione secondo la quale lo spostamento della negoziazione al livello di impresa e territoriale genera crescita dei salari e della produttività del lavoro. Verrà mostrato come questa impostazione risente di forti criticità sul piano teorico, messe in evidenza da molti economisti post-keynesiani. In una prospettiva teorica post-keynesiana la contrattazione decentrata tende a generare moderazione salariale, declino della produttività del lavoro e del tasso di crescita.
  • È ampiamente diffusa l’opinione che il decentramento della contrattazione collettiva possa essere un elemento importante nell’introdurre innovazioni e cambiamenti sul fronte dell’organizzazione del lavoro. Il presente contributo intende fornire un approfondimento sulle tendenze e lo stato di salute della contrattazione collettiva in Italia, facendo ricorso ad analisi descrittive elaborate a partire dalle basi di dati ricavate dalla indagine Inapp-Ril (Rilevazione su imprese e lavoro), indagine condotta su un campione di circa 22.000 imprese italiane. Nella prima parte sono analizzati i dati relativi all’andamento nel periodo 2005-2015 della contrattazione collettiva nazionale e di II livello, focalizzando l’attenzione sulla sua diffusione e sulla membership associativa. Nella seconda il contributo si concentra sulla diffusione della contrattazione decentrata, sulle sue caratteristiche e sull’oggetto della contrattazione stessa nel 2015, disaggregando i dati in riferimento alla natura giuridica dell’impresa, alla dimensione aziendale, al settore produttivo e all’area geografica di appartenenza.