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Leggi 180, 194 e 833: attualità e prospettive di tre grandi riforme Contrasto alla povertà e politiche di reddito minimo in Europa Populismo, democrazia e sistema politico italiano. Prova
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Rps dedica il numero 2 del 2018 a tre grandi leggi che hanno mutato profondamente le condizioni di vita degli italiani e delle italiane: la legge 180 (13 maggio 1978) che ha stabilito la chiusura degli ospedali psichiatrici (Op) e ridefinito il trattamento psichiatrico volontario e obbligatorio; la legge 194 (22 maggio 1978) che ha disciplinato l’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) e potenziato i consultori; la legge 833 (23 dicembre 1978) che ha istituito il Servizio sanitario nazionale (Ssn) a base universalistica e solidale.[...]
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Gli anni 1993-2009 sono stati anni cruciali per l’affermarsi di una «disciplina» nuova denominata global mental health. Il «discorso della salute mentale globale» è nutrito dalle direttive della Oms e della Unione europea, dalle norme della convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità e dai contributi di alcuni prestigiosi centri anglosassoni di ricerca. Anche se tale discorso risulta articolato, documentato, intelligente e sostanzialmente progressista, tuttavia esso fa prevalere gli aspetti di advocacy senza peraltro contribuire alla trasformazione della realtà dei servizi di salute mentale. Inoltre, la necessità di creare ampio consenso penalizza la riflessione critica sui contenuti di quello che il movimento di fatto intende promuovere nei paesi a parte un generico «aumento dell’accesso ai trattamenti». È urgente e necessario riprendere con forza la radicale riflessione critica di Franco Basaglia per controbilanciare l’influenza del discorso della global mental health pur senza negarne alcuni contributi normativi di grande importanza.
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Con la riforma psichiatrica italiana del 1978 (legge n. 180) si è prodotta una rottura rispetto al paradigma dell’internamento che dominava il rapporto tra società moderna e sofferenza psichica. La riforma italiana, inoltre, ha rappresentato un adeguamento della normativa al dettato costituzionale, aprendo un nuovo scenario in cui sono stati creati servizi di salute mentale che non hanno alle loro spalle il manicomio. Lo scopo del presente contributo è quello di analizzare le sfide che i servizi di salute mentale italiani hanno dovuto affrontare per arrivare alla loro attuale strutturazione e le nuove problematiche che si aprono oggi, a quarant’anni dall’approvazione della legge di riforma. Questa si è realizzata grazie a diverse esperienze locali che ne hanno anticipato i contenuti costruendo, prima della riforma stessa, sistemi di servizi di salute mentale capaci di rispondere ai bisogni delle persone e contrastando le forme di esclusione. Negli ultimi vent’anni i servizi di salute mentale si sono sviluppati in un quadro frammentato che ha portato all’esistenza di differenze territoriali significative che riguardano tanto le risorse a disposizione quanto i modelli culturali e gli assetti organizzativi. Inoltre la riforma si è confrontata con la divaricazione fra l’ampliamento dei diritti individuali e la subordinazione dei diritti sociali all’economia. Ciò ha creato una condizione contraddittoria, con modifiche del «patto sociale» e la crescita di nuove forme di marginalità. In questo difficile contesto i servizi per la salute mentale si muovono per realizzare l’inclusione dei pazienti e hanno dimostrato la capacità di sostenere la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Il futuro della «legge 180» richiede la capacità di vedere la salute mentale come componente essenziale della salute e i relativi servizi sempre più integrati nella comunità e dotati di risorse e di strumenti (come ad esempio i budget di salute) adeguati.
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Il contributo ragiona sulla dialettica tra istituzioni chiuse e aperte e sulla necessità di abbattere i muri – tra saperi, discipline, poteri, ambiti – per costruire un sistema che vada verso i bisogni e i diritti delle persone, verso una «città che cura», una città capace di trovare risposte ai bisogni individuali, affrontandoli come laboratori di risposte a problemi e a domande collettivi. Si tratta di una prospettiva concreta che potrà arricchirsi nei prossimi anni se i distretti sociali e sanitari sapranno diventare luoghi aperti, istituzioni mobili e flessibili entro cui organizzare risposte intersettoriali ai bisogni di salute.
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Il saggio analizza, nella prima parte, una varietà di testi scritti da persone che erano state internate in manicomio e da persone attualmente utenti dei servizi di salute mentale e include, nella seconda parte, due testimonianze critiche di familiari di persone con disturbi mentali. Questi materiali compongono un quadro ricco e variegato degli sguardi della società sulla sofferenza mentale insieme ai mutamenti – di diverso segno nelle relazioni sociali, nell’offerta di servizi, nelle culture degli operatori. Molte di queste voci sono presenti oggi nelle iniziative promosse dalle organizzazioni impegnate nella difesa dei valori della Legge 180.
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Il contributo ragiona sulla dialettica tra istituzioni chiuse e aperte e sulla necessità di abbattere i muri – tra saperi, discipline, poteri, ambiti – per costruire un sistema che vada verso i bisogni e i diritti delle persone, verso una «città che cura», una città capace di trovare risposte ai bisogni individuali, affrontandoli come laboratori di risposte a problemi e a domande collettivi. Si tratta di una prospettiva concreta che potrà arricchirsi nei prossimi anni se i distretti sociali e sanitari sapranno diventare luoghi aperti, istituzioni mobili e flessibili entro cui organizzare risposte intersettoriali ai bisogni di salute.
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Il contributo ragiona sulla dialettica tra istituzioni chiuse e aperte e sulla necessità di abbattere i muri – tra saperi, discipline, poteri, ambiti – per costruire un sistema che vada verso i bisogni e i diritti delle persone, verso una «città che cura», una città capace di trovare risposte ai bisogni individuali, affrontandoli come laboratori di risposte a problemi e a domande collettivi. Si tratta di una prospettiva concreta che potrà arricchirsi nei prossimi anni se i distretti sociali e sanitari sapranno diventare luoghi aperti, istituzioni mobili e flessibili entro cui organizzare risposte intersettoriali ai bisogni di salute.
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Il saggio analizza, nella prima parte, una varietà di testi scritti da persone che erano state internate in manicomio e da persone attualmente utenti dei servizi di salute mentale e include, nella seconda parte, due testimonianze critiche di familiari di persone con disturbi mentali. Questi materiali compongono un quadro ricco e variegato degli sguardi della società sulla sofferenza mentale insieme ai mutamenti – di diverso segno nelle relazioni sociali, nell’offerta di servizi, nelle culture degli operatori. Molte di queste voci sono presenti oggi nelle iniziative promosse dalle organizzazioni impegnate nella difesa dei valori della Legge 180.
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I problemi sollevati dal ricorso massiccio all’obiezione di coscienza e ai vincoli che questa pone alla possibilità effettiva di ricorrere all’aborto legale costituiscono un esempio di un nodo irrisolto della legge 194 oggetto di una controversia che ha anche diviso il femminismo e il movimento delle donne prima e dopo l’approvazione della legge: se, cioè, il diritto all’autodeterminazione fosse meglio garantito dalla «semplice» depenalizzazione o, all’opposto, da una legge che per definizione avrebbe definito i limiti dell’autodeterminazione, subordinandoli a requisiti definiti a priori e al di fuori delle condizioni soggettive. Dopo aver ripercorso sinteticamente i termini del dibattito che ha diviso il movimento delle donne, e di come questi sono stati trasformati nel tempo anche a seguito delle nuove problematiche aperte dalla riproduzione assistita, viene discusso in che misura l’introduzione della Ru486 e della pillola del giorno dopo possano modificare i termini della questione. In conclusione si ripropone la possibilità di affrontare la questione dell’aborto volontario nella prospettiva di un utilizzo mite, non univocamente prescrittivo del diritto.
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Il saggio ricostruisce l’esperienza dei consultori familiari dalla promulgazione della legge 405/75 che li istituisce fino agli sviluppi degli ultimi anni, tentando un bilancio rispetto alla loro mission originaria. Ci si è sinteticamente soffermati sul clima sociale e politico di quegli anni, segnato dall’esperienza dei movimenti, sul carattere di compromesso della legge tra forze laiche e cattoliche, sugli elementi di novità introdotti, sulle leggi regionali di attuazione. Per quanto riguarda la situazione attuale i dati a disposizione, non sempre del tutto coerenti, consentono di delineare con qualche incertezza l’andamento della copertura, ma permettono di cogliere alcuni aspetti negativi o positivi del processo di regionalizzazione che sarebbero utili in vista di un rilancio del servizio.
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La tutela della salute, come questione politica, è da tempo relegata ai margini del dibattito pubblico o emerge saltuariamente in occasione di qualche episodio di malasanità o di malaffare. Ma i quarant’anni del Servizio sanitario nazionale sono un’occasione importante per riflettere su una delle opere pubbliche più significative realizzate in Italia a partire dalla fine degli anni settanta e per motivare nuovamente cittadini e operatori rispetto al valore e all’attualità di quella scelta. C’è davvero bisogno di mobilitare una nuova alleanza culturale e politica per superare l’indifferenza e il disimpegno che rischiano di compromettere il futuro del diritto alla salute nel nostro paese. La sfiducia maturata in questi anni a causa delle disuguaglianze e delle carenze in molti aspetti del sistema va affrontata e superata con impegno. Un impegno che è anche una sfida a recuperare, senza timidezze, lo spirito e le finalità della legge 833.