• Nei paesi del Sud Europa, tradizionalmente, la distribuzione della spesa sociale tendeva a essere significativamente sbilanciata a favore degli anziani. L’articolo introduce la nozione di ricalibratura intergenerazionale allo scopo di individuare, e di analizzare, le riforme volte a ri-bilanciare il profilo generazionale del welfare state italiano attraverso l’espansione degli schemi di assistenza sociale – sia in termini di servizi che di trasferimenti monetari – e di riforme sottrattive nel settore pensionistico. In seguito, compara le traiettorie di policy in questi due settori-chiave rispettivamente per i «genitori» e per i «figli» nel periodo che va dalla metà degli anni novanta al 2016. L’analisi porta in primo luogo a sottolineare come l’investimento a favore dei «figli» non abbia sufficientemente bilanciato i tagli e le sottrazioni nel settore pensionistico e, in secondo, a mettere in discussione sia l’idea che gli incentivi di politica interna volti a espandere le misure a favore dei figli siano necessariamente deboli sia il ruolo «facilitante» delle pressioni esterne rispetto alla ricalibratura intergenerazionale.
  • L’articolo considera i cambiamenti tra coorti nelle traiettorie d’ingresso nel mercato del lavoro in Italia, considerando complessità vs linearità e standardizzazione vs destandardizzazione. L’evoluzione di questi due indicatori è connessa alle opportunità di stabilizzazione per le generazioni di lavoratori entrate in attività prima, durante e dopo le riforme volte ad aumentare la flessibilizzazione. Utilizzando dati longitudinali Inps sugli episodi lavorativi per il campione italiano Eu-Silc 2005, l’analisi delle sequenze sui primi sette anni di partecipazione mostra che la complessità aumenta maggiormente per i lavoratori meno istruiti e in particolare per le donne. La crescente destandardizzazione interessa specialmente le donne, soprattutto se laureate.
  • L’articolo affronta la tematica degli effetti del sistema pensionistico in un’ottica generazionale e si concentra sull’analisi delle condizioni istituzionali, demografiche ed economiche nelle quali quattro generazioni rappresentative hanno accumulato i diritti per la loro pensione. Le generazioni esaminate, nate rispettivamente nel 1945, nel 1955, nel 1965 e nel 1975, fronteggiano al tempo stesso un assetto istituzionale in radicale cambiamento e condizioni sul mercato del lavoro molto differenti. Dal punto di vista istituzionale il passaggio dal sistema retributivo (che riguarda le pensioni delle due generazioni più anziane e in parte della terza) a quello contributivo (che riguarda soprattutto la generazione più giovane) prefigura una differente distribuzione dei rischi demografici, economici e politici. La proiezione futura delle sorti pensionistiche delle quattro generazioni mostra che solo in presenza di un significativo aumento dell’età effettiva di pensionamento l’adeguatezza del sistema pensionistico pubblico per le generazioni più giovani potrà aspirare al mantenimento dei livelli raggiunti da coloro che sono andati in pensione negli anni più recenti. Due temi risultano cruciali in termini di politica economica e di disegno del sistema pensionistico futuro: la capacità del sistema pensionistico di contribuire al contrasto alla povertà tra gli anziani e la tematica della produttività dei lavoratori in età avanzata. Il successo della riforma contributiva nel lungo periodo dipenderà in maniera cruciale da questi due aspetti.
  • L’articolo esamina la persistenza intergenerazionale delle condizioni economiche in termini di reddito e ricchezza in Italia, l’importanza delle condizioni di partenza e il ruolo delle eredità. I risultati collocano il nostro paese tra quelli con una persistenza intergenerazionale delle condizioni economiche relativamente alta; in anni recenti questo fenomeno mostra una tendenza all’aumento. Variabili che non sono oggetto di scelta da parte degli individui spiegano il loro successo economico in una misura più ampia che in passato. Eredità e donazioni rappresentano una componente significativa della ricchezza delle famiglie, in crescita nel corso del tempo.
  • Sotto la spinta dell’invecchiamento della popolazione, del mutamento delle forme familiari e della crescita dell’occupazione femminile, la cura delle persone anziane è oggetto di un dibattito internazionale che, dall’inizio degli anni novanta, solleva molte domande sulla sostenibilità dei sistemi di cura e sui rapporti tra generazioni. Tale dibattito mette in luce una frattura tra le attuali coorti di anziani, che hanno beneficiato di livelli crescenti di benessere, e le attuali generazioni di adulti, che sembrano destinate a invecchiare con meno risorse e più diseguali. Il presente contributo riflette sul caso italiano in questa prospettiva domandandosi come gli attuali quaranta-cinquantenni si stanno dirigendo verso l’età anziana in relazione alle specifiche condizioni sociali e istituzionali che contrassegnano il loro percorso di vita, con particolare attenzione ai bisogni di cura e alle risorse personali, familiari e sociali mobilizzabili per farvi fronte.
  • L’articolo sintetizza i risultati relativi all’Europa della mia relazione per l’Istituto Bertelsmann Stiftung su La giustizia intergenerazionale nelle società con invecchiamento della popolazione (Vanhuysse, 2013). La sostenibilità è il punto di partenza morale per lo sviluppo di questo indice istantaneo a quattro dimensioni che misura il livello di giustizia intergenerazionale: ossia quelle risorse «sufficienti e di qualità sufficiente» che ciascuna generazione deve lasciare alle successive. Vi si dimostra che, alla fine degli anni duemila, gli Stati membri dell’Unione europea occupavano otto posizioni su nove tra i paesi che registravano il massimo squilibrio in favore della terza età nella spesa pubblica complessiva. La Polonia si trovava in pole position come sistema di welfare con uno squilibrio più alto in favore della terza età, seguita da paesi ell’Europa meridionale e orientale e dall’Austria. Questo articolo evidenzia inoltre la necessità di integrare questa analisi delle politiche pubbliche con una del valore dei trasferimenti di risorse operati dalle famiglie tra una generazione e l’altra, in termini di denaro e di lavoro domestico non retribuito. Ciò che emerge combinando queste modalità di trasferimento di risorse è che in Europa i bambini ricevono più del doppio delle persone anziane in termini di risorse trasferite pro capite – ma prevalentemente dalle famiglie, non dalle politiche pubbliche. L’Europa è un continente con sistemi di welfare fortemente orientati verso la terza età e genitori fortemente orientati verso i figli. L’articolo affronta brevemente le possibili opzioni in termini di politiche da adottare per promuovere l’equità tra le generazioni, dalle più ovvie (investimenti sulla prima infanzia) alle più radicali (voti per procura ai bambini).
  • A partire da un breve quadro sulle difficoltà affrontate della giovani generazioni, il contributo si sofferma sulle politiche sindacali volte a migliorare le transizioni scuolaformazione e lavoro. La prima sfida è favorire l’attuazione di una strategia per l’innalzamento delle competenze dei giovani, il che significa far leva sul sistema educativo, a partire anche dai recenti strumenti di apprendimento duale messe a disposizione dalle nuove normative, vale a dire l’alternanza scuola-lavoro e gli apprendistati formativi. La centralità che la Cgil sta dando alla sua azione sindacale su questi temi è fortemente legata alla necessità di un investimento sul sistema delle politiche pubbliche a favore di un innalzamento delle competenze dei giovani e di un miglioramento delle loro transizioni nel sistema educativo e verso il mondo del lavoro. Contemporaneamente l’attenzione è rivolta in modo significativo alla messa a sistema di politiche attive del lavoro capaci di gestire i momenti di crisi che sempre più caratterizzano le transizioni occupazionali, specialmente dei giovani.
  • L'articolo focalizza l’attenzione sui processi di innovazione finanziaria che stanno investendo il welfare territoriale. Dati i crescenti vincoli di bilancio e la richiesta di una maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche in molti paesi europei iniziano a diffondersi strumenti di finanza a impatto che hanno l’obiettivo di contribuire a ridurre la spesa pubblica e al contempo a produrre «impatti» sociali misurabili in grado di favorire l’innovazione sociale e lo sviluppo dei servizi. In questo quadro l’articolo dà conto dei cambiamenti emergenti che tendono a riguardare i rapporti tra gli attori pubblici e privati, compresi gli investitori, con un’attenzione particolare a due contesti nazionali: il Regno Unito e l’Italia. Nella parte conclusiva l’attenzione è spostata sul piano europeo. È anche a questo livello che emergono e si diffondono pressioni in direzione della finanziarizzazione, con esiti tuttavia aperti a diverse interpretazioni.
  • Le politiche di austerità e i forti vincoli imposti alla spesa pubblica a seguito dell’esplosione della crisi finanziaria e del debito hanno suscitato una rinnovata attenzione sui processi di esternalizzazione e di privatizzazione nella fornitura di servizi pubblici. Questo contributo si propone di esaminare diversi modelli di outsourcing in diversi segmenti dei servizi sociali ed educativi gestiti dai Comuni o da altre istituzioni pubbliche locali attraverso lo studio di cinque casi nella regione Emilia-Romagna. Si mostrerà come le decisioni di esternalizzazione delle amministrazioni pubbliche sono fortemente collegate ai differenziali nella regolazione del lavoro esistenti nel settore privato e pubblico e, quindi, ai vantaggi organizzativi e di costo che la pubblica amministrazione può ottenere dal passaggio a forme di regolazione private. Tuttavia, si potrà evincere anche l’importanza dei fattori di natura socio-politica, come l’opposizione dei cittadini e dei sindacati all’outsourcing, nelle scelte delle amministrazioni e inoltre come questi due insiemi di fattori abbiano una rilevanza diversa nei diversi servizi sociali ed educativi e, in particolare, tra i servizi per gli anziani e tra quelli per l’infanzia, spiegando le diverse opzioni di esternalizzazione visibili in questi servizi.
  • dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni delle periferie nel nostro paese fornisce l’opportunità di analizzare quello che è avvenuto e sta avvenendo nel territorio milanese. Milano ha di fronte a sé una grande sfida e una grande responsabilità: mettere in campo azioni, progettualità, politiche in grado di ridurre le disuguaglianze, creare opportunità e percorsi di inclusione per gli abitanti delle sue periferie. In questo quadro, dopo aver sinteticamente definito il contesto milanese da un punto di vista economico e sociale, obiettivo dell’articolo è, in primo luogo, descrivere i progetti e i percorsi messi in campo dagli attori istituzionali e sociali del territorio; in secondo luogo, mettere in evidenza i punti di forza e quelli di criticità di quello che può essere definito il «modello Milano». Infine, ultimo obiettivo è quello di proporre alcune azioni che possono rafforzarne gli aspetti positivi, contrastandone le debolezze.
  • L’articolo analizza la sezione relativa alle «Politiche attive al servizio del sociale» della Relazione della Commissione parlamentare sulle periferie, concentrandosi in particolare su un aspetto: la proposta ai servizi sociali che operano in contesti ad alta marginalità e sofferenza di tornare a pensare il lavoro sociale dentro a un contesto comunitario e non solo dentro gli ambiti del disagio e della sofferenza. Questo significa affiancare agli interventi diretti a specifici destinatari azioni di mediazione sociale, la cura delle relazioni all’interno delle comunità e l’attuazione di reti di intervento che coinvolgano tutte le istituzioni e le risorse locali. L’articolo sottolinea la necessità di trovare alleanze e linguaggi che aiutino a cambiare il senso comune e a convincere che fare welfare e produrre emancipazione non solo è giusto dal punto di vista etico e civile, ma è anche conveniente in termini di spesa e decisivo per lo sviluppo economico.
  • L’articolo analizza il cambiamento avvenuto nei rapporti tra la Cgil e i partiti di sinistra negli ultimi vent’anni in Italia. Tali rapporti sono divenuti nel corso tempo, da molto stretti che erano, via via più laschi e conflittuali. In particolare nel corso dell’ultima legislatura la divaricazione tra questi attori è diventata enorme e vistosa. La principale, ma non unica, spiegazione di questo fenomeno, secondo l’autore, risiede nell’evoluzione progressiva della collocazione del partito, che è attualmente il Partito democratico, divenuto sempre meno interessato ad attribuire rilevanza alla rappresentanza politica del lavoro.