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L’articolo sintetizza i risultati relativi all’Europa della mia relazione per l’Istituto Bertelsmann Stiftung su La giustizia intergenerazionale nelle società con invecchiamento della popolazione (Vanhuysse, 2013). La sostenibilità è il punto di partenza morale per lo sviluppo di questo indice istantaneo a quattro dimensioni che misura il livello di giustizia intergenerazionale: ossia quelle risorse «sufficienti e di qualità sufficiente» che ciascuna generazione deve lasciare alle successive. Vi si dimostra che, alla fine degli anni duemila, gli Stati membri dell’Unione europea occupavano otto posizioni su nove tra i paesi che registravano il massimo squilibrio in favore della terza età nella spesa pubblica complessiva. La Polonia si trovava in pole position come sistema di welfare con uno squilibrio più alto in favore della terza età , seguita da paesi ell’Europa meridionale e orientale e dall’Austria. Questo articolo evidenzia inoltre la necessità di integrare questa analisi delle politiche pubbliche con una del valore dei trasferimenti di risorse operati dalle famiglie tra una generazione e l’altra, in termini di denaro e di lavoro domestico non retribuito. Ciò che emerge combinando queste modalità di trasferimento di risorse è che in Europa i bambini ricevono più del doppio delle persone anziane in termini di risorse trasferite pro capite – ma prevalentemente dalle famiglie, non dalle politiche pubbliche. L’Europa è un continente con sistemi di welfare fortemente orientati verso la terza età e genitori fortemente orientati verso i figli. L’articolo affronta brevemente le possibili opzioni in termini di politiche da adottare per promuovere l’equità tra le generazioni, dalle più ovvie (investimenti sulla prima infanzia) alle più radicali (voti per procura ai bambini).
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A partire da un breve quadro sulle difficoltà affrontate della giovani generazioni, il contributo si sofferma sulle politiche sindacali volte a migliorare le transizioni scuolaformazione e lavoro. La prima sfida è favorire l’attuazione di una strategia per l’innalzamento delle competenze dei giovani, il che significa far leva sul sistema educativo, a partire anche dai recenti strumenti di apprendimento duale messe a disposizione dalle nuove normative, vale a dire l’alternanza scuola-lavoro e gli apprendistati formativi. La centralità che la Cgil sta dando alla sua azione sindacale su questi temi è fortemente legata alla necessità di un investimento sul sistema delle politiche pubbliche a favore di un innalzamento delle competenze dei giovani e di un miglioramento delle loro transizioni nel sistema educativo e verso il mondo del lavoro. Contemporaneamente l’attenzione è rivolta in modo significativo alla messa a sistema di politiche attive del lavoro capaci di gestire i momenti di crisi che sempre più caratterizzano le transizioni occupazionali, specialmente dei giovani.
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L'articolo focalizza l’attenzione sui processi di innovazione finanziaria che stanno investendo il welfare territoriale. Dati i crescenti vincoli di bilancio e la richiesta di una maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche in molti paesi europei iniziano a diffondersi strumenti di finanza a impatto che hanno l’obiettivo di contribuire a ridurre la spesa pubblica e al contempo a produrre «impatti» sociali misurabili in grado di favorire l’innovazione sociale e lo sviluppo dei servizi. In questo quadro l’articolo dà conto dei cambiamenti emergenti che tendono a riguardare i rapporti tra gli attori pubblici e privati, compresi gli investitori, con un’attenzione particolare a due contesti nazionali: il Regno Unito e l’Italia. Nella parte conclusiva l’attenzione è spostata sul piano europeo. È anche a questo livello che emergono e si diffondono pressioni in direzione della finanziarizzazione, con esiti tuttavia aperti a diverse interpretazioni.
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Le politiche di austerità e i forti vincoli imposti alla spesa pubblica a seguito dell’esplosione della crisi finanziaria e del debito hanno suscitato una rinnovata attenzione sui processi di esternalizzazione e di privatizzazione nella fornitura di servizi pubblici. Questo contributo si propone di esaminare diversi modelli di outsourcing in diversi segmenti dei servizi sociali ed educativi gestiti dai Comuni o da altre istituzioni pubbliche locali attraverso lo studio di cinque casi nella regione Emilia-Romagna. Si mostrerà come le decisioni di esternalizzazione delle amministrazioni pubbliche sono fortemente collegate ai differenziali nella regolazione del lavoro esistenti nel settore privato e pubblico e, quindi, ai vantaggi organizzativi e di costo che la pubblica amministrazione può ottenere dal passaggio a forme di regolazione private. Tuttavia, si potrà evincere anche l’importanza dei fattori di natura socio-politica, come l’opposizione dei cittadini e dei sindacati all’outsourcing, nelle scelte delle amministrazioni e inoltre come questi due insiemi di fattori abbiano una rilevanza diversa nei diversi servizi sociali ed educativi e, in particolare, tra i servizi per gli anziani e tra quelli per l’infanzia, spiegando le diverse opzioni di esternalizzazione visibili in questi servizi.
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dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni delle periferie nel nostro paese fornisce l’opportunità di analizzare quello che è avvenuto e sta avvenendo nel territorio milanese. Milano ha di fronte a sé una grande sfida e una grande responsabilità : mettere in campo azioni, progettualità , politiche in grado di ridurre le disuguaglianze, creare opportunità e percorsi di inclusione per gli abitanti delle sue periferie. In questo quadro, dopo aver sinteticamente definito il contesto milanese da un punto di vista economico e sociale, obiettivo dell’articolo è, in primo luogo, descrivere i progetti e i percorsi messi in campo dagli attori istituzionali e sociali del territorio; in secondo luogo, mettere in evidenza i punti di forza e quelli di criticità di quello che può essere definito il «modello Milano». Infine, ultimo obiettivo è quello di proporre alcune azioni che possono rafforzarne gli aspetti positivi, contrastandone le debolezze.
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L’articolo analizza la sezione relativa alle «Politiche attive al servizio del sociale» della Relazione della Commissione parlamentare sulle periferie, concentrandosi in particolare su un aspetto: la proposta ai servizi sociali che operano in contesti ad alta marginalità e sofferenza di tornare a pensare il lavoro sociale dentro a un contesto comunitario e non solo dentro gli ambiti del disagio e della sofferenza. Questo significa affiancare agli interventi diretti a specifici destinatari azioni di mediazione sociale, la cura delle relazioni all’interno delle comunità e l’attuazione di reti di intervento che coinvolgano tutte le istituzioni e le risorse locali. L’articolo sottolinea la necessità di trovare alleanze e linguaggi che aiutino a cambiare il senso comune e a convincere che fare welfare e produrre emancipazione non solo è giusto dal punto di vista etico e civile, ma è anche conveniente in termini di spesa e decisivo per lo sviluppo economico.
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L’articolo analizza il cambiamento avvenuto nei rapporti tra la Cgil e i partiti di sinistra negli ultimi vent’anni in Italia. Tali rapporti sono divenuti nel corso tempo, da molto stretti che erano, via via più laschi e conflittuali. In particolare nel corso dell’ultima legislatura la divaricazione tra questi attori è diventata enorme e vistosa. La principale, ma non unica, spiegazione di questo fenomeno, secondo l’autore, risiede nell’evoluzione progressiva della collocazione del partito, che è attualmente il Partito democratico, divenuto sempre meno interessato ad attribuire rilevanza alla rappresentanza politica del lavoro.
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