• Nell’ultimo anno è esplosa, in Italia, una vera e propria «questione Rom». Nel passato ha riguardato prevalentemente aspetti socio-culturali, a volte causa di conflitto con le popolazioni indigene che non gradiscono la vicinanza degli insediamenti di Rom e Sinti. A partire dal 2008, il fenomeno ha assunto particolari caratteri, per l’approvazione di una vera e propria legislazione speciale per questa categoria di persone, spesso cittadini italiani, ai quali, in luogo del diritto comune, si applicano norme del tutto peculiari in materia di residenza e di controlli, con la possibilità di sottoporre anche i minori a forme di identificazione mediante il rilascio delle impronte digitali. Diverse amministrazioni, infine, negano ai Rom l’accesso ai servizi e ai benefici previsti per tutti i cittadini. Il volume traccia un quadro d’insieme del fenomeno, a partire dai presupposti culturali, e approfondisce, sul piano dei diritti, la posizione di Rom e Sinti in riferimento alla Costituzione italiana e alla copiosa normativa comunitaria volta a proteggere questa etnia. Gli autori sono in prevalenza ricercatori che collaborano con università italiane, alcuni di etnia rom, a dimostrazione che anche in Italia questo popolo incomincia a riflettere sulla propria storia e sulle proprie condizioni di vita. Il volume è curato da Gianni Loy, ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Cagliari e autore di saggi in materia di diritto antidiscriminatorio, e Roberto Cherchi, ricercatore di Diritto costituzionale nella stessa università. Contributi di: Massimo Aresu, Luca Bravi, Roberto Cherchi, Paolo Finzi, Gianni Loy, Ester Mura, Djana Pavlovic, Eva Rizzin, Ilenia Ruggiu, Tommaso Vitale.
  • Il libro racconta la vita di quaranta donne, cui sono dedicate altrettante strade di Roma. Ogni ritratto è precedutoda una breve descrizione del luogo (strada e quartiere) in cui si trova la targa dedicatoria. Le figure femminili, che si succedono in ordine cronologico, sono state scelte cogliendo la loro rilevanza nella storia italiana dal Settecento fino ai giorni nostri, così da evidenziare le presenze femminili nel percorso che va dai primi fermenti del processo unitario fino agli anni Novanta del XX secolo. Si tratta di donne che hanno operato in molteplici campi di attività. Sono scienziate, cantanti, attrici, imprenditrici, scrittrici, giornaliste, politiche, sindacaliste, tra le quali si trovano donne del Risorgimento e della Resistenza e donne che hanno visto il loro destino segnato dal fatto di essere di religione ebraica. Il libro è suddiviso in tre capitoli: «Dall’Illuminismo all’Unità d’Italia (1718-1870)»; «L’Italia liberale 1870-1920)»; «Il fascismo e la Repubblica (1920-1994)». Ogni capitolo è inquadrato storicamente con un rapido excursus introduttivo dei fatti e del clima politico-culturale del l’epoca.
  • «Lavoratori, oggi in questa piazza, circondati dalle baionette del dispotismo, ci siamo riuniti per proclamare insieme ai nostri fratelli del mondo intero la rivendicazione dei nostri diritti, l’emancipazione del lavoro». Le parole di Amilcare Cipriani al comizio del 1° Maggio 1891 in piazza Santa Croce in Gerusalemme precedono i sanguinosi disordini che pongono fine alla fase spontaneista del movimento operaio romano. Con più consapevolezza e organizzazione i lavoratori e i cittadini della capitale continueranno a «scendere in piazza» per la libertà, i diritti, la democrazia e la pace. La piazza come luogo fisico, ma soprattutto come espressione figurata della partecipazione civile, delle lotte sociali e politiche, è al centro di questo libro che ricostruisce alcuni dei momenti più significativi della Roma del lavoro: dall’insediamento dei ministeri alle prime associazioni operaie, dalla nascita della Camera del lavoro all’occupazione delle fabbriche, dalla lotta antifascista alla ripresa della libera attività sindacale. Una ricostruzione vivace e rigorosa per riflettere sul passato e sul senso profondo di un’identità collettiva.
  • Roma negata

    15.00 
    Libia, Somalia, Eritrea, Etiopia: quali sono le tracce dell’avventura coloniale italiana a Roma? Roma negata è un viaggio attraverso la città per recuperare dall’oblio un passato coloniale disconosciuto e dare voce a chi proviene da quell’Africa che l’Italia ha prima invaso e poi dimenticato. Igiaba Scego racconta i luoghi simbolo di quel passato coloniale; Rino Bianchi li fotografa, assieme agli eredi di quella storia. Il risultato è una costruzione narrativa e visiva di un’Italia decolonizzata, multiculturale, inclusiva, dove ogni cittadino possa essere finalmente se stesso. Negli anni trenta del secolo scorso Asmara, Mogadiscio, Macallè, Tripoli, Adua erano nomi familiari agli italiani. La propaganda per l’impero voluta da Benito Mussolini era stata battente e ossessiva. Dai giochi dell’oca ai quaderni scolastici, per non parlare delle parate, tutto profumava di colonie. Di quella storia ora si sa poco o niente, anche se in Italia è forte la presenza di chi proviene da quelle terre d’Africa colonizzate: ci sono eritrei, libici, somali, etiopi. Il libro riprende la materia dell’oblio coloniale e la tematizza attraverso alcuni luoghi di Roma che portano le tracce di quel passato dimenticato. I monumenti infatti, più di altre cose, ci parlano di questa storia, dove le ombre sono più delle luci. Prende vita così un’analisi emozionale dei luoghi voluti a celebrazione del colonialismo italiano, attraverso un testo narrativo e delle fotografie. In ogni foto insieme al monumento viene ritratta anche una persona appartenente a quell’Africa che fu colonia dell’Italia. Scego e Bianchi costruiscono così un percorso di riappropriazione della storia da parte di chi è stato subalterno. «Volevamo partire dal Corno D’Africa, dall’umiliazione di quel colonialismo crudele e straccione, perché di fatto era in quel passato che si annidava la xenofobia del presente (…) Da Roma negata emerge quel Corno d’Africa che oggi sta morendo nel Mediterraneo, disconosciuto da tutti e soprattutto da chi un tempo l’aveva sfruttato». Gli autori
  • Roma è come sospesa tra un passato che non muore e una speranza di futuro che tarda a diventare realtà. La città è di fronte ad un bivio: interrompere e mettere fine ad un modello di sviluppo urbano estensivo che ha saccheggiato e impoverito le sue risorse ambientali, culturali ed ecologiche, prendendo con decisione la via della sostenibilità urbana, produttiva, ambientale, dell’innovazione energetica, oppure persistere nella logica del consumo di suolo, dell’edilizia speculativa, della valorizzazione della rendita fondiaria e immobiliare, di un turismo di massa mordi e fuggi, che impoverisce la città mentre arricchisce una minoranza di speculatori ed affaristi. Questo volume raccoglie le relazioni tenute alla Conferenza su Roma della CGIL di Roma e del Lazio nel febbraio 2010 e i contributi venuti da alcuni noti esponenti del mondo della cultura, dell’associazionismo e del volontariato, delle istituzioni e del mondo produttivo, nonché da comitati e da reti di cittadini in rappresentanza di una città che non ha smesso di interrogarsi sui suoi mali ed è spesso portatrice di proposte e di idee innovative non sempre tenute nella dovuta considerazione dai suoi governanti, di ieri e di oggi.
  • Il volume è stato ideato per cogliere i segni visivi che i lavoratori hanno impresso nella memoria collettiva lungo il corso dei centosessanta anni di storia italiana, quelli che ci separano dalla nascita delle prime Società Operaie di Mutuo Soccorso. L’occasione è stata offerta dal Centenario della Confederazione Generale Italiana dei Lavoratori, quindi la ricerca si è concentrata sui filoni ideali che più sono parsi vicini alla storia della Cgil. Si tratta di un impegno vasto che si distingue per le straordinarie dimensioni iconografiche indagate. Per la prima volta, infatti, viene preso in considerazione un così lungo periodo della storia del movimento dei lavoratori italiani per documentarne l’evoluzione dell’immagine e della comunicazione. Questo lavoro collettivo ha inteso verificare la forza e l’originalità culturale espressa dalle classi lavoratrici, esaminando le icone prodotte, l’immagine e la comunicazione creata; cercando di capire se sono entrate nell’immaginario collettivo e anche se sono state assunte e se hanno condizionato quelle delle altre classi o generazioni. Nell’esaminare queste questioni emerge il problema di quanto l’immagine e la comunicazione dei lavoratori abbia inciso sull’industria culturale e, viceversa, quanto quest’ultima determini la durevolezza dell’icona o dell’immagine del lavoro. L’attività di ricerca sulle fonti iconografiche è stata condotta per più di tre anni e ha preso in considerazione uno spettro molto vasto di immagini, di linguaggi espressivi, di forme della comunicazione autoprodotte o commissionate dalle organizzazioni dei lavoratori e, in alcuni casi, dall’industria culturale.
  • Rosso rosso

    10.00 
    Dopo il fortunato esordio narrativo Mannaggia la miserìa, che denunciava le condizioni di lavoro e di sfruttamento della comunità marocchina del ghetto di San Nicola Varco di Eboli molto prima dello sgombero, e il successivo Graziemila, che racconta dal di dentro i tormenti degli ottocento braccianti africani cacciati con violenza dalla polizia, Anselmo Botte chiude con Rosso rosso la sua trilogia nelle terre dove Levi scrisse il suo memoriale civile. Anche questo nuovo libro, che ha la forma del romanzo, usa lo stesso travestimento formale, dove l’autore utilizza le storie e l’esperienza sul campo di sindacalista per raccontare la condizione umana delle operaie stagionali del pomodoro, quelle 12.000 donne che «come formiche, correvano verso un nuovo giorno di lavoro, in molteplici fabbriche dell’Agro Nocerino-Sarnese, sotto il Vesuvio, a due passi da Salerno». Nella capitale mondiale del pomodoro pelato, terra di caporali e caporale, in una fabbrica dove si spettegola e si lotta per la sopravvivenza quotidiana, vive e racconta in un registro a volte comico-grottesco, in altre sentimentale, la protagonista-narratrice di Rosso rosso, cioè l’operaia Lucia. Parla e straparla del suo bell’Antonio e dell’amore nella terra dei pommarolari, spietati padroni avvezzi a rapporti di lavoro feudali, dove «la mezzadria e la colonia apparivano gli unici criteri di valutazione dell’economia», nel contesto desolato e barbarico della Statale 18, territorio di pomodori e camorra. È proprio lì che il suo amore, nato in quelle fabbriche, diventa metaforicamente esistenziale «come il pomodoro: quando è fresco ti offre tutta la sua fragranza e il suo profumo ti inebria, quando viene conservato nei barattoli, scade inesorabilmente dopo qualche anno e se lo assapori ti inguai la vita per sempre».
  • I millenni trascorsi non sono stati sufficienti ad affrancare l’uomo dalla schiavitù. Essa assume ancora forme camaleontiche tali da nascondersi persino tra le pieghe del diritto e dei principi di libertà e solidarietà su cui poggiano le proprie basi le moderne democrazie. Il filo conduttore dell’argomento affrontato nel volume ruota attorno al concetto di massimo utilizzo di oggetti, di animali, di piante e di esseri umani fin da quando ne viene percepita l’utilità da parte dei possessori a qualsiasi titolo. Sparita la percezione di utilità, con vari sistemi si pone in essere un’attività finalizzata all’unico obiettivo di disfarsi dell’inutile. Sia esso oggetto, pianta, animale od essere umano, schiavo per l'occasione nella migliore delle ipotesi. L’autore non ha la presunzione di proporre soluzioni universali. Si limita ad un invito a riflettere e ad acquisire consapevolezza circa i pericoli che corre l'umanità se si continuano ad esasperare le tendenze al dominio di pochi su tanti.