• I certificati sono da sempre l’emblema di una "burocrazia vessatoria" nei confronti del cittadino considerato un suddito e costretto a fare il fattorino tra un'amministrazione e l’altra per dimostrare di essere nato, residente e persino di essere in vita. Nel 1997 è iniziato il cammino verso l’eliminazione della richiesta di certificati, e l’autocertificazione è divenuta un simbolo della rivoluzione profonda nel rapporto tra amministrazione e cittadino avviata con le leggi Bassanini. Numerosi interventi normativi e, da ultimo, il testo unico sulla documentazione amministrativa, hanno via via introdotto nuove semplificazioni, destinate a rendere più semplici tutte le pratiche della vita quotidiana e a eliminare i certificati ("decertificazionne") attraverso lo scambio dei dati tra le amministrazioni per via telematica. Il volume illustra nel dettaglio i princìpi innovativi, gli strumenti e i risultati delle nuove norme, guardando ai nuovi traguardi informatici e telematici del presente e del futuro come la carta d’identità elettronica e la firma digitale. Utile, quindi, per tutti coloro, addetti ai lavori o semplici cittadini, che vogliono conoscere i nuovi diritti e le opportunità che le semplificazioni hanno introdotto.
  • Nell’articolo si presentano i principali risultati di una ricerca sui processi di cambiamento e sulle condizioni di vita degli abitanti dei quartieri storici della città di Cosenza. L’ipotesi interpretativa è quella della periferizzazione (Magatti, 2007), realizzatasi attraverso forme progressive di abbandono e di degrado per cui il centro storico appare, oggi, svuotato della popolazione residente, delle funzioni e delle relative strutture politicoamministrative, economiche e culturali. Una parte consistente della popolazione residente vive condizioni di disagio sociale e povertà, a fronte della carenza dei servizi pubblici e privati. L’agire delle élite politiche appare contraddistinto da una scarsa attenzione istituzionale ai quartieri storici e al loro vissuto, fatta eccezione per alcune fasi di vita politica della città. Nel complesso, è assente una strategia integrata di recupero (Vitale, 2009) e di contrasto ai processi di abbandono e di marginalità sociale.
  • Nel contesto italiano del lavoro di riproduzione, quali sono state le definizioni e le rappresentazioni del lavoro e delle lavoratrici domestiche dal secondo dopoguerra a oggi? Ma soprattutto, quali sono state le cause o le contingenze delle mancate o solo potenziali alleanze tra organizzazioni delle lavoratrici domestiche e movimenti femministi? Il volume approfondisce questi interrogativi attraverso un focus sugli anni Sessanta e Settanta: la stagione che in Italia ha rappresentato sia l’apice del percorso di riconoscimento del lavoro domestico e di cura come “vero” lavoro, rimasto tuttora incompleto, sia un laboratorio particolarmente vivace per le analisi femministe sull'occultamento della centralità della riproduzione nell'economia capitalistica. Si tratta quindi di un volume sul lavoro domestico e di cura, ma anche sulle prospettive del movimento femminista italiano generalmente trascurate nella storiografia (come il femminismo sindacale, la campagna internazionale per il salario contro il lavoro domestico o il ruolo delle donne nelle associazioni cattoliche) e sui fenomeni sociali trascurati dallo stesso movimento femminista italiano (come la femminilizzazione delle migrazioni internazionali). Ragionare sulle mancate alleanze del passato, le criticità e i punti di forza sia delle forme di organizzazione delle lavoratrici domestiche salariate sia dei discorsi e delle pratiche femministe sul rapporto tra produzione e riproduzione, può aiutarci a comprendere come riconnettere nel presente la questione politica del lavoro domestico
  • Questa biografia ci restituisce tutta la complessità e la vitalità della parabola umana e politica di Sergio Garavini, uno dei sindacalisti più importanti della CGIL e del Novecento italiano, […] tra le figure principali di quel «sindacalismo della classe», più autonomo, democratico e unitario di altre culture sindacali, affermatosi trasversalmente nel 1968-69 e che rappresentò una sfida importante alla linea tradizionale del sindacato […]. Per questo trovo molto appropriata la definizione di «sindacalista politico». Garavini, cioè, interpretò in modo fruttuoso ed esemplare la nuova «missione» del sindacalista, costretto proprio dal suo mestiere, e dunque dal confronto quotidiano con i bisogni materiali delle persone, a misurarsi costantemente su questioni «politiche», riguardanti la dignità e i diritti delle persone, lo Stato sociale, il ruolo della «mano pubblica»; un sindacalista che conosce la storia e apprende da essa, che si misura su terreni che sono insieme locali e globali, che studia con attenzione le mosse delle controparti istituzionali e imprenditoriali; un sindacalista […] che considera l’organizzazione uno strumento non solo di difesa ma anche di «potere», per cambiare la società attraverso l’autodeterminazione individuale e collettiva delle condizioni di vita e di lavoro. (Dalla Prefazione di Guglielmo Epifani)
  • Il ruolo di dirigente sindacale e politico di Sergio Garavini ha un po’ oscurato la sua attività di consigliere comunale di Torino dal 1956 al 1969, dagli anni duri delle discriminazioni e dei licenziamenti per rappresaglia politica e sindacale all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per gran parte della sinistra, quella situazione di democrazia negata nei luoghi di lavoro basta a spiegare la sconfitta della Fiom alle elezioni di Commissione interna del 1955 alla Fiat e l’indebolimento elettorale del Pci nel 1956. Da Torino, città laboratorio, Sergio Garavini è invece tra i pochi che ne individuano la causa nell’insufficiente percezione e analisi delle trasformazioni economiche intervenute dall’inizio degli anni cinquanta. Il suo contributo di studio e di elaborazione è determinante per la ripresa dell’iniziativa della Cgil e del Pci e costituisce anche l’ossatura del suo impegno di consigliere comunale contro il laissez-faire che allora subordinava gli atti dell’Amministrazione civica alle scelte dei poteri economici e le assecondava. I suoi 310 interventi in Sala Rossa raccolti in questo volume tracciano l’itinerario che porta alla riscossa del 1968 in fabbrica e alla riconquista del Comune da parte della sinistra nel 1975.
  • L’Europa appare sempre più debole nei confronti delle politiche aggressive degli Usa, della Russia, della Cina e di altre aree del mondo che si contendono gli spazi commerciali, tecnologici e finanziari della globalizzazione. Una situazione che dipende dalla forza degli altri paesi o dalla sua incompiutezza politico-istituzionale? In altri termini, sono più efficienti i regimi non democratici a contendersi gli spazi di crescita nel mondo piuttosto che i paesi con percorsi decisionali plurimi e dialettici? Stefano Iucci intervista su questi temi Sergio Romano che, con la sua esperienza di diplomatico prima e di storico della politica oggi, analizza le caratteristiche e le diversità tra Putin, Trump, Xi, inserendole all’interno delle dinamiche presenti in altre aree del mondo per tornare a ragionare sul lungo «guado» in cui l’Europa si trova: le indecisioni strutturali sul suo sistema politico, la mancanza di competenze uniche continentali e il rafforzarsi del sovranismo. Sergio Romano è stato ambasciatore alla Nato e, tra il 1985 e il 1989, a Mosca. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Berkeley, Harvard, Milano e Pavia. È storico ed editorialista del Corriere della Sera. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo Putin e la ricostruzione della grande Russia (Longanesi, 2016), Trump e la fine dell’american dream (Longanesi, 2017), Il giorno in cui fallì la rivoluzione. Una controstoria della Russia rivoluzionaria dal 1917 al 1991 (Solferino, 2018).