• Questa biografia ci restituisce tutta la complessità e la vitalità della parabola umana e politica di Sergio Garavini, uno dei sindacalisti più importanti della CGIL e del Novecento italiano, […] tra le figure principali di quel «sindacalismo della classe», più autonomo, democratico e unitario di altre culture sindacali, affermatosi trasversalmente nel 1968-69 e che rappresentò una sfida importante alla linea tradizionale del sindacato […]. Per questo trovo molto appropriata la definizione di «sindacalista politico». Garavini, cioè, interpretò in modo fruttuoso ed esemplare la nuova «missione» del sindacalista, costretto proprio dal suo mestiere, e dunque dal confronto quotidiano con i bisogni materiali delle persone, a misurarsi costantemente su questioni «politiche», riguardanti la dignità e i diritti delle persone, lo Stato sociale, il ruolo della «mano pubblica»; un sindacalista che conosce la storia e apprende da essa, che si misura su terreni che sono insieme locali e globali, che studia con attenzione le mosse delle controparti istituzionali e imprenditoriali; un sindacalista […] che considera l’organizzazione uno strumento non solo di difesa ma anche di «potere», per cambiare la società attraverso l’autodeterminazione individuale e collettiva delle condizioni di vita e di lavoro. (Dalla Prefazione di Guglielmo Epifani)
  • Il ruolo di dirigente sindacale e politico di Sergio Garavini ha un po’ oscurato la sua attività di consigliere comunale di Torino dal 1956 al 1969, dagli anni duri delle discriminazioni e dei licenziamenti per rappresaglia politica e sindacale all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per gran parte della sinistra, quella situazione di democrazia negata nei luoghi di lavoro basta a spiegare la sconfitta della Fiom alle elezioni di Commissione interna del 1955 alla Fiat e l’indebolimento elettorale del Pci nel 1956. Da Torino, città laboratorio, Sergio Garavini è invece tra i pochi che ne individuano la causa nell’insufficiente percezione e analisi delle trasformazioni economiche intervenute dall’inizio degli anni cinquanta. Il suo contributo di studio e di elaborazione è determinante per la ripresa dell’iniziativa della Cgil e del Pci e costituisce anche l’ossatura del suo impegno di consigliere comunale contro il laissez-faire che allora subordinava gli atti dell’Amministrazione civica alle scelte dei poteri economici e le assecondava. I suoi 310 interventi in Sala Rossa raccolti in questo volume tracciano l’itinerario che porta alla riscossa del 1968 in fabbrica e alla riconquista del Comune da parte della sinistra nel 1975.
  • L’Europa appare sempre più debole nei confronti delle politiche aggressive degli Usa, della Russia, della Cina e di altre aree del mondo che si contendono gli spazi commerciali, tecnologici e finanziari della globalizzazione. Una situazione che dipende dalla forza degli altri paesi o dalla sua incompiutezza politico-istituzionale? In altri termini, sono più efficienti i regimi non democratici a contendersi gli spazi di crescita nel mondo piuttosto che i paesi con percorsi decisionali plurimi e dialettici? Stefano Iucci intervista su questi temi Sergio Romano che, con la sua esperienza di diplomatico prima e di storico della politica oggi, analizza le caratteristiche e le diversità tra Putin, Trump, Xi, inserendole all’interno delle dinamiche presenti in altre aree del mondo per tornare a ragionare sul lungo «guado» in cui l’Europa si trova: le indecisioni strutturali sul suo sistema politico, la mancanza di competenze uniche continentali e il rafforzarsi del sovranismo. Sergio Romano è stato ambasciatore alla Nato e, tra il 1985 e il 1989, a Mosca. Ha insegnato a Firenze, Sassari, Berkeley, Harvard, Milano e Pavia. È storico ed editorialista del Corriere della Sera. Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo Putin e la ricostruzione della grande Russia (Longanesi, 2016), Trump e la fine dell’american dream (Longanesi, 2017), Il giorno in cui fallì la rivoluzione. Una controstoria della Russia rivoluzionaria dal 1917 al 1991 (Solferino, 2018).
  • Il lavoro analizza le disuguaglianze nell’offerta e nell’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia in Italia e presenta alcune politiche che disegnate in modo diverso e più partecipato potrebbero aiutare a contrastarle. Una breve introduzione presenta i principali risultati della letteratura in termini di benefici legati all’accesso e all’utilizzo dei servizi educativi per la prima infanzia mentre la seconda sezione è dedicata a un’analisi descrittiva della situazione italiana. Dopo aver presentato le novità introdotte con il Pnrr e l’introdu-zione dei Lep, le ultime tre sezioni sono dedicate alla presentazione di proposte che possono, da un lato, aiutare a superare l’approccio top-down nel disegno delle politiche rivolte ai luoghi e, dall’altro, a garantire una maggiore partecipazione nel processo di disegno e imple-mentazione delle politiche pubbliche, tra cui quelle che disciplinano l’offerta dei servizi edu-cativi alla prima infanzia. Infine, si sottolinea come, oltre alla necessità di coinvolgere mag-giormente gli attori del territorio nella definizione delle politiche, sia necessario lavorare af-finché venga conosciuta e riconosciuta l’importanza dei servizi educativi alla prima infanzia come strumento di contrasto alle disuguaglianze e di sviluppo delle competenze emozionali, relazionali e cognitive dei minori, sia dalla cittadinanza che dagli amministratori e dalle amministratrici locali.
  • Le politiche del lavoro sono diventate il banco di prova più difficile per i welfare europei. In Italia lo strumento prioritario per limitare i fenomeni di mismatch tra domanda e offerta è stato individuato nei servizi per l’impiego che, con la riforma degli anni novanta, hanno sostituito il vecchio sistema del collocamento. Tuttavia, il processo di trasformazione presenta forti differenziazioni territoriali. Le regioni meridionali, più bisognose di politiche attive del lavoro, presentano i deficit maggiori. In Sicilia, poi, in ragione dell’autonomia statutaria, le nuove norme sono state recepite con molto ritardo e l’elefantiasi di una macchina organizzativa cresciuta nelle pieghe delle politiche assistenziali ha reso lungo e faticoso il processo di attuazione. Al deficit normativo si sono cumulate carenze tecnologiche e infrastrutturali, resistenze culturali e organizzative. Il volume presenta i risultati di una ricerca-intervento condotta presso i Centri per l’impiego del Calatino Sud-Simeto, in cui è stato realizzato un interessante esperimento di inserimento delle politiche del lavoro e della riforma all’interno di un percorso di politiche di sviluppo locale avviato ormai da un quindicennio. La rilevanza dei risultati dell’analisi condotta travalica la dimensione locale e fa emergere il complesso intreccio tra problemi di governance e dimensioni organizzative e culturali che condizionano l’attuazione delle politiche del lavoro, indicando possibili linee di intervento per opporsi alle resistenze al cambiamento.
  • La prospettiva generativa nel social work contrasta il diffuso atteggiamento consumista dell’uso dei servizi che non corresponsabilizza né i destinatari degli aiuti né la collettività di cui essi fanno parte. Il servizio sociale, attraverso progetti assistenziali personalizzati, può far fruttare l’intervento d’aiuto per generare una rinnovata capacità del cittadino assistito di contribuire al benessere di altri oltre a sé. In tal modo, un servizio sociale generativo fa divenire sia gli utenti che gli operatori del welfare attori co-artefici di una socialità solidale, generatori di nuovo welfare. L’accento qui si sposta dal considerare il benessere come godimento dei beni per la soddisfazione privata di bisogni individuali, al considerare il benessere come corresponsabilità sociale, come partecipazione alla produzione e al godimento di un benessere comune, riconosciuto dagli intrecci di relazioni aperte, condiviso.
  • L’impoverimento delle famiglie è anche povertà crescente per tanti bambini. A fronte della drammaticità dei dati statistici l’indagine nazionale rivolta agli assistenti sociali che operano nell’area bambini 0-6 anni (Fondazione Zancan, 2015b), di cui si dà conto nell’articolo, si interroga su chi sono, come vivono, quali sono i bisogni prioritari, perché l’accesso alle risposte non è tempestivo, perché vengono penalizzati i più piccoli (0-3). Assistenti sociali che affrontano quotidianamente questi problemi hanno evidenziato ciò che aiuta e non aiuta, quello che viene erogato e non erogato, se e come combinare trasferimenti e servizi, quanto le mancate integrazioni creano vuoti operativi, se e come la formazione può consentir loro di meglio operare. I risultati sono preziosi perché vengono dalla conoscenza diretta dei problemi, dall’esperienza professionale, dalle condizioni di utilità della loro azione malgrado la ristrettezza delle risorse e delle disfunzioni organizzative.
  • Che cosa deve fare il sindacato per essere ancora, nello straordinario mutamento di fase che si è aperto con la crisi del 2008, un attore sociale e istituzionale di prima grandezza? Da tempo svariati movimenti neopopulisti insidiano, in vario modo e con diversi argomenti, la pretesa del sindacato di rappresentare monopolisticamente gli interessi generali dei governati e, persino, quelli particolari dei lavoratori. Per far fronte a questa sfida esistenziale, il sindacato è chiamato, prima di tutto, a comprendere il nucleo di verità sotteso alle domande di sicurezza patrimoniale e identitaria di cui i neopopulismi sono espressione. Le pericolose derive sovraniste, nazionaliste, xenofobe del neopopulismo possono essere combattute solo radicalizzando il loro contenuto e portando il conflitto a una nuova fase costituente.
  • L’articolo analizza il sistema contrattuale italiano nel periodo 2012-2017. I risultati della ricerca mostrano la persistente rilevanza della contrattazione collettiva di categoria. Si osservano forme di decentramento settoriale e territoriale. Le deroghe aziendali sono limitate, anche se si riscontra una diffusa violazione di quelle procedurali e dei riparti di competenza tra diversi livelli contrattuali.