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Per comprendere e interpretare i problemi posti dalla combinazione della Grande recessione e della Grande pandemia, è necessario esaminare la storia politica e sociale della istituzione e dello sviluppo del Servizio sanitario nazionale. La riorganizzazione dei servizi di prevenzione e di assistenza territoriale deve necessariamente accompagnarsi allo sviluppo di nuove competenze sovranazionali per la sorveglianza della diffusione e soprattutto per la prevenzione profonda (deep prevention) delle nuove pandemie.
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La nuova malattia da Coronavirus 2019 (Covid-19) rappresenta una sfida globale senza precedenti dal dopoguerra, causando rilevanti perdite di vite umane e determinando trasformazioni di grande impatto su economia e società. I sistemi sanitari hanno dovuto affrontare una duplice sfida, ovvero da una parte fare fronte ad una crescente domanda di cure per i pazienti affetti da Covid-19 e dall’altra mantenere la continuità delle cure per i pazienti con patologie croniche o condizioni acute gravi e sostenere la tradizionale emergenza sanitaria. La pandemia ha colpito l’organizzazione dei servizi sanitari, le prestazioni di prevenzione secondaria come i programmi di screening e l’assistenza per i pazienti affetti da malattie croniche bisognosi di controlli periodici ed eventuali cure tempestive. L’Italia è stato il primo paese occidentale a sperimentare l’emergenza Covid-19 e uno di quelli con una più alta numerosità di casi e di decessi. L’articolo presenta dati preliminari disponibili sull’impatto diretto dell’epidemia di Covid-19 e quello indiretto sull’accesso alle terapie farmacologiche, al pronto soccorso e ai ricoveri ospedalieri. Ai dati si accompagnano riflessioni e considerazioni sulla necessità di rafforzare l’intervento pubblico nella sanità.
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In Italia, durante la prima ondata epidemica, tra le persone che già prima dell’arrivo del virus erano in condizioni di svantaggio socioeconomico è stato riscontrato un maggior rischio di infezione, di ricovero in terapia intensiva e di decesso, a causa di una maggior prevalenza di malattie croniche, ma anche di altri meccanismi associati all’impatto delle disuguaglianze sociali sulla salute. Per di più, le conseguenze delle misure intraprese per frenare il contagio, e quindi la riallocazione delle risorse sanitarie (con la relativa interruzione di percorsi terapeutici), il distanziamento sociale (e lo stress generato dall’isolamento domiciliare), nonché le forti ricadute su economia, occupazione e reddito, hanno colpito in misura più intensa nuovamente le persone meno avvantaggiate. Al fine di non allargare ulteriormente le disuguaglianze, è necessario implementare politiche di mitigazione e di redistribuzione dei determinanti sociali della salute, attraverso azioni che richiamano l’intervento di molteplici settori, secondo l’approccio Salute in tutte le politiche e che traggano beneficio delle ingenti risorse economiche stanziate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
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La pandemia Covid-19 ha rappresentato un formidabile stress test per il nostro Servizio sanitario nazionale (Snn), mettendone in risalto luci e ombre. Molti degli elementi di forza e di debolezza del Snn erano noti già prima della pandemia: quest’ultima ha finito per confermare quanto in larga misura si sapeva. Eppure, nell’eccezionalità rappresentata dalla gestione pandemica, qualcosa di inaspettato è emerso: qualche tratto che solitamente, in «tempi di pace», rimane latente e che la pandemia ha invece finito per portare in superficie. Il contributo indaga cosa la pandemia Covid-19 abbia confermato e cosa abbia fatto emergere di nuovo, tra le caratteristiche principali del sistema sanitario. Ci si concentra su due dimensioni che sono state particolarmente evidenziate nell’ultimo anno e mezzo: il rapporto Stato-Regioni e la relazione tra cure ospedaliere e territoriali. Chiudono l’articolo alcune riflessioni sulle più generali modalità di coordinamento del sistema, tipiche dei sistemi a «legame debole».
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Nel corso degli ultimi cinquanta anni, i Sistemi di valutazione delle performance – in ambito pubblico e in ambito privato – hanno attraversato un processo di evoluzione incrementale, che ha ampliato il perimetro di analisi da un fuoco principalmente economico-finanziario a una valutazione multidimensionale, a una visione inter-organizzativa. Valutare la risposta dei Sistemi sanitari di fronte alla pandemia Covid-19 ha richiesto un marcato ridisegno dei Sistemi di valutazione esistenti. Il presente contributo illustra l’esperienza del Sistema di valutazione del Network delle Regioni e riporta i risultati 2020. Emerge come i Sistemi sanitari regionali italiani abbiano reagito in modo eterogeneo alla sfida pandemica, in modo non direttamente collegato alla diversa incidenza del virus, e come i livelli di qualità riferiti alle prestazioni non direttamente associate alla presa in carico dei casi Covid-19 tendenzialmente non si discostino da quelli registrati nel 2019.
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La sanità pubblica è stata pesantemente colpita da anni di piani di rientro e contenimento della spesa per il personale, producendo tra l’altro un aumento del precariato e dell’offerta di servizi gestita da soggetti privati. Questi risultati, consolidati ben prima della pandemia, hanno inciso sulla gestione dell’emergenza e determinato forti sperequazioni territoriali, mettendo altresì in luce quali siano gli assi prioritari d’intervento per invertire la tendenza. In risposta a tale situazione problematica, la Funzione pubblica Cgil ha lanciato una proposta articolata in quattro punti e centrata principalmente sulla ricostruzione e valorizzazione della filiera lavorativa del diritto alla salute. L’articolo mette in rilievo anche uno dei temi centrali per la prossima stagione contrattuale del settore, quello relativo alla necessità di rivedere le regole che normano il sistema di riconoscimento della crescita professionale, vale a dire la riscrittura del sistema di classificazione, e si sofferma sulla necessità di lavorare su un sistema di competenze di base, avanzate, trasversali, che siano adeguate, dinamiche e in aggiornamento continuo.
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La contrattazione sociale e territoriale ha sofferto, al pari di ogni altra attività, delle restrizioni imposte dal Covid-19, ma ha anche acquisito elementi di qualificazione e di efficacia, sia nei contenuti che nei processi negoziali. Il primo dato relativo all’azione contrattuale che emerge dall’Osservatorio nazionale sulla contrattazione sociale territoriale di Cgil, Spi e Fondazione Di Vittorio riguarda, causa il lockdown, il distanziamento, la sospensione degli eventi, l’incremento di interlocuzioni tra sindacato confederale e istituzioni locali, anche come quantità di incontri da remoto e di iniziative informali. Invariato l’orientamento rispetto ai principali soggetti destinatari delle misure, i più fragili rispetto alla dimensione sociale e sanitaria della crisi: dai poveri agli anziani, ai non autosufficienti, ai disabili. Ma la pandemia non ha riportato l’attenzione solo sul valore della cura. La retorica dell’uomo solo, autonomo, individualista ha mostrato tutti i suoi limiti, mentre di contro il nostro essere definiti dall’interdipendenza, l’importanza di sentirsi parte di una comunità è emersa in tutta la sua rilevanza e in molte situazioni ha fatto la differenza.
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Attraverso la contrattazione sociale territoriale, i sindacati contribuiscono all’elaborazione della politica sociale a livello locale. L’obiettivo di questo articolo è indagare come questa forma di azione negoziale si sviluppi nel campo specifico della long-term-care (Ltc) e in che misura i suoi risultati contribuiscono a ricalibrare, espandere o preservare il sistema socio-sanitario regionale. A tal fine, discutendo i risultati di una ricerca realizzata con metodi di indagine quali-quantitativi, l’articolo esamina contenuti, logiche e processi della contrattazione sociale territoriale nell’ambito della Ltc in due regioni, la Lombardia e l’Emilia-Romagna. Particolare attenzione è riservata a investigare l’influenza che la crisi del Covid-19 ha avuto nel plasmare il dialogo sociale in questo campo specifico di policy.
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La pandemia ha esasperato l’ancora notevole livello di diseguaglianze di genere e di segregazione nel mondo del lavoro. La scelta del piano Next generation Eu è stata una importante rottura con il modello di austerity precedente ma l’enfasi su digitale e green non sarebbe sufficiente a contrastare le diseguaglianze, ancor meno quella di genere data la segregazione dei settori interessati. La trasversalità e le condizionalità ex ante rappresentano un notevole passo avanti, ottenuto grazie ad una significativa mobilitazione delle donne in Italia e in Europa, ma sono necessari non solo lo stanziamento di risorse sul singolo piano ma anche riforme abilitanti che portino ad un vero cambio di paradigma.
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In risposta alla crisi pandemica che, a partire dai primi mesi del 2020, ha investito il mondo intero, l’Unione europea ha lanciato il programma Next Generation Europe (Ngeu), caratterizzato da un sistema di investimenti e riforme strategiche senza precedenti, volto a sostenere i paesi membri nel fronteggiamento e nel superamento delle conseguenze economiche e sociali della Covid-19. Fulcro del programma, il Dispositivo per la ripresa e resilienza (Recovery and Resilience Facility - Rrf). Per accedere ai fondi Rrf tutti gli Stati membri interessati sono stati invitati a redigere un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Questo articolo discute criticamente il modo in cui il Piano nazionale italiano di ripresa e resilienza affronta il tema della parità di genere, mettendo in luce alcune criticità che emergono dall’impianto stesso del documento e dall’approccio adottato per l’inserimento di tale priorità in un’azione di più ampio respiro. La parità di genere, considerata trasversale a tutte le sei missioni del Pnrr, a parere di chi scrive, appare perdere concretezza e incisività nelle maglie del vasto programma di lavoro, perdendo di vista di fatto un’altra importante sfida: quella della intersezionalità, indicata esplicitamene dalla Strategia europea per la parità di genere 2020-2025 (Ue, 2020b), nella quale l’approccio è chiaramente duplice e fondato proprio sul principio trasversale dell’intersezionalità.