• I mutamenti del lavoro e la precarizzazione letti attraverso una serie di interviste realizzate fra i giovani del territorio jonico-etneo.
  • L’articolo presenta una riflessione teorica e un’analisi empirica (sulle elezioni politiche del 2018) sul rapporto tra classe sociale e voto, con particolare riferimento al Pd. Il declino del voto di classe in Europa occidentale negli ultimi decenni è stato spiegato da un lato in termini di cambiamenti sociali, dall’altro in termini di cambiamento delle strategie di partito. L’articolo si concentra su questo secondo aspetto. A una riflessione generale sul rapporto tra strategia di partito e classiche fratture sociali (e su come il contesto delle trasformazioni della nostra epoca ha limitato le possibilità strategiche dei partiti mainstream, con un dilemma chiave tra responsiveness e responsibility) ne segue una più specifica sulle scelte strategiche del Pd verso le elezioni del 2018, che conduce all’ipotesi che il profilo del voto di classe per il Pd si sia modificato tra 2013 e 2018. Il quesito viene testato empiricamente stimando modelli di regressione Ols e logistica di intenzioni di voto e preferenze partitiche in base a autopercezione di classe, livelli di istruzione e autopercezione degli standard di vita, sui dati di una survey Cawi condotta dal Cise nel febbraio 2018. I risultati della analisi confermano l’ipotesi, e mostrano come il voto al Pd nel 2018 si sia confinato – con effetti statisticamente significativi – alle classi che si autopercepiscono come più alte, e non in termini di istruzione, ma in termini di standard di vita.
  • Tra le forme più significative di regolazione globale del diritto del lavoro sta emergendo e diffondendosi la pratica degli accordi transnazionali di gruppo e dei codici di condotta. Una forma autonoma di dialogo sociale, realizzata principalmente ma non solo, a livello europeo. Il ruolo dei CAE e delle federazioni sindacali internazionali di settore. Quale futuro per la regolazione del lavoro nella globalizzazione?Un'attenta disamina dei profili giuridici e politico-sindacali su un tema destinato ad assumere un ruolo sempre più cruciale nel sindacato di oggi e di domani.
  • Su vantaggi e svantaggi di diversi livelli di contrattazione esistono teorie, analisi e risultati spesso divergenti. L’analisi di Calmfors e Driffill nel 1988 riteneva che i sistemi centraliz- zati o decentralizzati dessero risultati macroeconomici migliori. Molti ancora oggi danno per confermate queste conclusioni senza considerare i vincoli che il modello richiedeva. La ricerca successiva spesso non ha confermato i risultati. Gli effetti della struttura contrattuale sulla performance aziendale sono meno analizzati, per questo si riportano i risultati della ricerca di Braakmann e Brandl che dimostrano la superiorità, per gli incrementi di produttività aziendale, dei sistemi a due livelli contrattuali regolati negli ambiti di competenza. In Italia per lunghi anni è mancata una rilevazione nazionale sulla presenza e sulle caratteristiche della contrattazione aziendale, mentre il dibattito sulla necessità di modificare la struttura contrattuale era acceso. Finalmente nel 2013 l’Istat ha condotto un’indagine, ma è stata poco utilizzata, e soprattutto non sono stati forniti i microdati che avrebbero favorito un’elaborazione dettagliata e una seria discussione basata sui dati.
  • L'articolo affronta il tema del cambiamento tecnologico nel settore dei servizi professionali. In dettaglio, la prima parte inquadra il fenomeno nell'ambito del più ampio processo di mutamento che ha investito il lavoro professionale nel secolo scorso, ponendo il fuoco sull'interazione tra la «mercatizzazione» delle professioni e l'affermarsi delle nuove tecnologie, a partire dall'analisi di una letteratura di matrice prevalentemente anglosassone. La seconda parte, quindi, si propone di valutare l'impatto delle Ict sulle condizioni di lavoro negli studi legali e, d'altra parte, la possibilità che esse sviluppino «funzioni latenti», dando vita a forme alternative di rappresentanza degli interessi, ciò basandosi sui risultati di due ricerche empiriche. In chiusura una riflessione sulle opportunità che si aprono per gli attori collettivi.
  • Gli stupri di massa e le violenze sessuali nei conflitti armati sono stati e sono tuttora una potente e strategica arma di guerra per terrorizzare e distruggere il nemico – o l’‘etnia’ considerata ‘nemica’ – violando, umiliando, annientando ‘le donne del nemico’ e la comunità di appartenenza. Le autrici e gli autori del libro affrontano il tema con un approccio interdisciplinare e di genere. Solo dopo le guerre nella ex Jugoslavia e in Rwanda il reato viene definito ‘crimine contro l’umanità’: nel libro si analizzano gli statuti e la giurisprudenza dei tribunali penali internazionali, dei sistemi regionali di tutela dei diritti umani e l’esperienza della Corte penale internazionale. Se ne ripercorre la storia fino alla ‘terrificante modernità’ dell’oggi: dalle dominazioni coloniali al genocidio armeno, alle ‘marocchinate’ e alle ‘mongolate’ nell’Italia della Seconda Guerra Mondiale; e poi la ex Jugoslavia, il Rwanda, la Palestina, la Somalia, la Nigeria, l’India, la Birmania, il Darfur e le terre curde occupate dall’ISIS; l’America Latina. Ed anche gli ‘stupri di pace’ ad opera delle cosiddette forze di peacekeeping. Si considerano le teorie scientifiche e di ‘senso comune’, le conseguenze psico-sociali e sanitarie, le metafore nella storia dell’arte e delle immagini. Le iniziative di riscatto e di denuncia delle donne colpite e dei movimenti femministi. Vengono sintetizzati i risultati del progetto Lungo la Linea Gustav: le vittime delle violenze e dell’oblio – del quale la pubblicazione è parte integrante – e gli elaborati degli studenti e delle studentesse che vi hanno partecipato. Autrici e autori: Giusi Ambrosio, Pauline Aweto, Fabrizio Battistelli, Sabrina Bettoni, Ilaria Boiano, Patrizia Cecconi, Francesca Declich, Laura Fano Morrissey, Marcello Flores, Marina Forti, Daria Frezza, Maria Grazia Galantino, Francesca Romana Koch, Flavia Lattanzi, Nicolette Mandarano, Paolina Massidda, Arin Milano, Valentina Muià, Monica Musri, Patrizia Salierno, Ozlem Tanrikulu, Gianni Tognoni, Vittoria Tola, Chiara Valentini. All’interno immagine dell’opera Tormento di Giuliano Giuliani realizzata per il progetto. CON IL PATROCINIO DEI COMUNI DI AMASENO, VALLECORSA E VILLA SANTO STEFANO.
  • Di fronte alla nascita di nuove forme di lavoro, la tradizionale distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo non è più netta come in passato. Il volume tratta innanzitutto della subordinazione e dei criteri che la contraddistinguono, individuati dalla giurisprudenza nel corso degli anni. Viene poi esaminata la parasubordinazione che, pur rimanendo classificata all’interno del lavoro autonomo, condivide alcuni tratti identificativi con il lavoro subordinato, dal quale tuttavia si differenzia per importanti aspetti. Infine le ultime due sezioni sono dedicate a forme di lavoro che spesso dalla giurisprudenza sono state annoverate fra le collaborazioni coordinate e continuative, ma che si distinguono nettamente sia dal lavoro subordinato sia dal lavoro autonomo o per l’antitetica struttura contrattuale (come nel caso dei rapporti associativi) o per la diversa destinazione del risultato della prestazione di lavoro (come nel caso dei cosiddetti non lavori).
  • L’autore inserisce la crisi del Mezzogiorno nel dibattito sull’austerità in Europa. E compie una vera narrazione del Masterplan per il Sud. Smentisce il laburista olandese Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, secondo cui, i meridionali europei dilapidano i prestiti "in donne e alcool". Per esempio, il Fondo Sviluppo e Coesione è un fondo italiano destinato per l’80% al Mezzogiorno. L’Italia, con la «manovra» 2017, aumenta la dotazione del Fondo da 38 a 46 miliardi: nel contempo rinvia la spesa di 35 (di quei 46) miliardi a dopo il 2020. Un rinvio uguale a un taglio per il Sud. Perché? Per raggiungere il pareggio strutturale di bilancio nel 2019. Volendo risalire alla genesi, il volume ripercorre la storia dell’austerità dal 1992 ad oggi con l’attuale versione del Patto di Stabilità: dopo il suo irrigidimento nel 2011-2012 tramite il Fiscal Compact, il Two Pack e il Six Pack, il Patto ha ridotto la possibilità di indebitarsi per investire. L'austerità teutone allarga il divario Nord-Sud. Il Governo inaugura la variante di valico dell’A1 ma non completa le tre ferrovie principali al Sud: la Napoli-Bari-Lecce-Taranto, la Salerno-Reggio Calabria e la Messina-Catania-Palermo. L’austerità blocca gli investimenti e favorisce l’abbandono del Mezzogiorno. La classe dirigente meridionale investe poco e male gli unici soldi disponibili. Fino al 2023 il Meridione avrà 93 miliardi: come auspicato da Adriano Giannola nel dialogo conclusivo, occorre investirli in un Piano di sviluppo che crei lavoro vero. Nel segno di Giuseppe Di Vittorio.