• Nella primavera del 2021, negli Stati Uniti, si è assistito ad un aumento vertiginoso di dimissioni volontarie. Da allora il dibattito sulle «grandi dimissioni» (Great Resignation) è diventato internazionale. Questo contributo cerca di gettare luce sul fenomeno attraverso una lettura critica di tre volumi che leggono le «grandi dimissioni» come manifestazione di una radicale insoddisfazione delle condizioni lavorative odierne. Il lavoro non ti ama: o di come la devozione per il nostro lavoro ci rende esausti, sfruttati e soli, di Sarah Jaffe, critica ferocemente la logica del lavorare «per amore» o lavorare «per gioco», smascherandone la radice neoliberista. Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita, di Francesca Coin, oscilla tra due chiavi intepretative: il rifiuto di un certo tipo di lavoro (quello tossico, precario, sotto-pagato) e il rifiuto del lavoro tout court, strizzando l’occhio alla tradizione dell’operaismo trontiano e negriano degli anni sessanta e settanta. Redonner du sens au travail. Une aspiration révolutionnaire, di Thomas Coutrot e Coralie Perez, si interroga sulla possibilità di ridare un senso al lavoro, proponendo in alternativa l’impresa liberata. È apprezzabile che il dibattito sulle «grandi dimissioni» abbia rimesso al centro dell’attenzione il degrado delle condizioni del lavoro di oggi: un punto ormai ineludibile.
  • «La maggior causa della forte domanda di lavoro flessibile da parte delle imprese è la riorganizzazione globale del processo produttivo, attuata allo scopo di ridurre il costo del lavoro e insieme di poter disporre della quantità di forza lavoro di momento in momento necessaria, conforme al criterio del “giusto in tempo”, dovendo soddisfare vincoli formali minimi. Poiché il sistema dei diritti dei lavoratori affermatosi nei paesi sviluppati rappresenta a tale doppio scopo un serio ostacolo, la riorganizzazione si è concretata anzitutto nella formazione di “catene di creazione del valore”...
  • Formatosi a partire dagli anni immediatamente successivi alla ricostituzione della Cgil unitaria, l’Archivio storico della Confederazione generale italiana del lavoro riceve nel 1980 dalla Sovrintendenza archivistica per il Lazio una prima dichiarazione di notevole interesse storico. Riceve una integrazione alla dichiarazione di notevole interesse nel 1998 ed un’ulteriore ed ultima integrazione nel 2011.
  • La testimonianza e le analisi di uno dei padri della sociologia delle relazioni industriali in Italia. L'impegno di un intellettuale che, nelle fila della Cisl, di cui è stato formatore, studioso e consulente politico di prima grandezza (Centro studi di Firenze, Cesos), ha contribuito all'eleaborazione strategica del sindacalismo italiano. Un raffonto fra gli approcci alla ricerca da parte della Cisl e quelli della Cgil. Le difficoltà odierne del sindacato a "fare cultura", perchè ciò implica fare previsioni e oggi ciò e quasi impossibile. Una proposta infine Rinunciare alla metà dei distacchi
  • L’articolo analizza le dinamiche della precarietà del lavoro in un settore – come quello dei servizi di pulizia – cresciuto con l’outsourcing di attività da parte di imprese e pubbliche amministrazioni. Si tratta inoltre di un settore labour intensive, in cui prevalgono le occupazioni low skill. Basandosi sui risultati di uno studio di caso, l’analisi si sofferma soprattutto sui meccanismi che producono precarietà del lavoro. Emerge il ruolo sempre più rilevante delle «terze parti», dei clienti/committenti privati e, ancor di più, pubblici.
  • L’ambito territoriale proprio degli enti locali è la principale dimensione spaziale dei processi di integrazione degli immigrati e la spesa che i comuni sostengono per l’implementazione dei servizi sociali rappresenta lo strumento fondamentale per la loro attivazione e per il governo dei processi di inclusione degli immigrati. La retorica politica anti-immigrati denuncia l’esistenza di una presunta spesa sociale per la popolazione immigrata che drena risorse agli italiani. Ma la valutazione della spesa sociale indirizzata agli immigrati mostra tutt’altra realtà. Non esiste nessuna linea preferenziale e nemmeno un travaso di risorse dalla spesa sociale complessiva verso quella dedicata agli immigrati. Al contrario, è ancora ispirata da una gestione emergenziale dell’immigrazione, concentrata prevalentemente sulla spesa per le strutture di prima accoglienza. Insomma, la spesa sociale per l’immigrazione sembra essere ancora attardata rispetto ai cambiamenti della presenza immigrata e ai suoi nuovi bisogni.