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3. Gli scioperi operai, 1943-1944
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Il superamento dell’incerta rappresentanza. Intervista a Vincenzo Scudiere a cura di Adolfo Braga
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Una cornice ancora più necessaria
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Un verdetto della Consulta sulla legalità costituzionale
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Le regole delle relazioni industriali: test per l’autoriforma
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L’impatto della governance europea sui salari e sulla contrattazione collettiva
In reazione alla crisi economica è emerso un nuovo sistema europeo di governance economica. Come parte di una politica volta a intensificare il coordinamento della politica economica, salari e contrattazione collettiva sono stati messi al centro dell’agenda politica dell’Unione europea. Nuove forme di interventismo diretto nel campo delle istituzioni e degli esiti della contrattazione collettiva nazionale ambiscono ora ad accrescere la flessibilità verso il basso dei salari, con l’intento di aiutare i cosiddetti paesi in deficit e migliorare la loro competitività nei riguardi dei cosiddetti paesi in surplus. Di conseguenza, i salari dovrebbero divenire la principale variabile di aggiustamento al fine di aggredire gli squilibri economici esistenti. Tale interventismo consiste in tre strumenti principali: le Raccomandazioni rivolte specificamente a singoli paesi nell’ambito del semestre europeo; i Memorandum fra la cosiddetta troika e i paesi che necessitano di assistenza finanziaria internazionale; l’acquisto di buoni del tesoro tramite la Banca Centrale Europea. In conseguenza di ciò, molti paesi europei stanno facendo i conti con tagli e congelamenti salariali (specie nel settore pubblico), politiche salariali restrittive e con un radicale decentramento della contrattazione collettiva, che mina la sua antica vocazione ad essere multi-datoriale, interconfederale e/o settoriale.
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L’impresa socialmente responsabile e il suo governo multi-stakeholder. Un modello di impresa per il sindacato e la politica democratica
Il modello di impresa socialmente responsabile e di governance multi-stakeholder è qui proposto come alternativa al modello di shareholder value, che nonostante sia stato uno dei fattori scatenanti della crisi finanziaria globale, ci viene ancora proposto dai «riformatori» neoliberisti. L’impresa socialmente responsabile è basata sul contratto sociale equo tra i suoi stakeholder, coerente con la teoria rawlsiana della giustizia, ed è più efficiente dell’alternativa basata sullo shareholder value, poiché non sacrifica gli investimenti specifici in capitale umano e le complementarietà tra le risorse cognitive, e si può avvalere dalle preferenze di conformità a istituzioni eque, suscitate dall’adesione al contratto sociale. La governance multi-stakeholder bilancia equamente diritti e interessi differenti, e può essere specificata attraverso molteplici forme istituzionali e organizzative: dalla combinazione tra norme generali e autoregolazione, alla preferibile riforma del diritto societario secondo il principio di codeterminazione , all’impresa sociale e alla rete di imprese. La rilevanza della proposta per il sindacato e la politica democratica è evidenziata dagli effetti del modello di corporate governancesulla crisi del welfare, dalla complementarietà con le riforme del diritto del lavoro (ad esempio riforma dell’art. 18) e dal caso dell’industria automobilistica, in cui alle figure della Chrysler e della Volkswagen (sintomatiche della logica multi-stakeholder) si oppone quella della Fiat (esempio di «abuso di autorità»).
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Globalizzazione, sindacati e contrattazione transnazionale
Dinanzi alle molteplici e radicali insidie che la globalizzazione pone ai diritti del lavoro e delle relazioni industriali, specie nei paesi in cui essi avevano raggiunto livelli più avanzati di sviluppo, la prospettiva di una qualche forma di contrattazione collettiva sovranazionale diviene per i sindacati di tutto il mondo una esigenza sempre più ineludibile. La diffusione di accordi di questo tipo, per quanto ancora circoscritta per diffusione e contenuti, costituisce una delle poche note incoraggianti in uno scenario di crisi perlopiù segnato da una erosione, aggressiva e senza precedenti, dei diritti sociali e sindacali. Privi di una copertura normativa esplicita e diretta, i contratti transnazionali a livello aziendale di gruppo costituiscono un caso emblematico di quel diritto globale, oggi contrassegnato dalla proliferazione di attori e procedimenti alternativi a quelli tradizionali dell’hard law nazionale ed europeo. Un modello di volontarismo e autonomia collettiva, ben noto a un sistema nazionale di relazioni industriali come il nostro, che come il nostro ne rivela tutti i pregi e i limiti, qui aggravati da una più accentuata asimmetria di poteri fra impresa e lavoro, nonché da una più difficile esigibilità imputabile alle difficoltà oggettive, ma anche soggettive e politiche, di porre in essere forme di solidarietà e di conflitto a livello sovranazionale.
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La dimensione poliedrica ed emergente delle relazioni di lavoro
La considerazione secondo la quale la globalizzazione dei mercati ha stimolato la crescita di una dimensione transnazionale delle relazioni di lavoro, soprattutto di quelle collettive, riscontra un consenso unanime. Tuttavia, al momento gli studi si sono concentrati sugli aspetti giuridici specifici o sugli aspetti empirici del fenomeno. Questo saggio si pone l’obiettivo di elaborare una classificazione in tipologie (tassonomia) dei contenuti della dimensione transnazionale, all’esito della quale formulare alcune considerazioni sul ruolo che la dimensione transnazionale può svolgere nello sviluppo socialmente ed economicamente coeso dell’integrazione europea.
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Dialogo sociale settoriale e accordi transnazionali d’impresa
Nel quadro della generale tendenza del dialogo sociale europeo a produrre accordi volontari e autonomi di nuova generazione, l’articolo analizza le due principali forme di negoziazione transnazionale, di settore e di impresa, mettendone a fuoco differenze, similitudini e reciproche interazioni. Esamina, infine, la questione di un eventuale intervento regolativo dell’Unione Europea sulla negoziazione transnazionale, per lo più proposto in termini di un legal framework in materia. La conclusione è che una valida alternativa all’astensionismo e all’interventismo possa essere rappresentata da un’attività normativa e di sostegno di carattere soft, soprattutto da parte della Commissione europea.
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Gli accordi transnazionali d’impresa sulle ristrutturazioni a livello di Unione Europea
Quello delle ristrutturazioni rappresenta il soggetto principale degli accordi transnazionali di gruppo di livello europeo. A partire dal 2000, le federazioni europee di categoria e altre organizzazioni sindacali hanno negoziato e siglato un crescente numero di accordi di questo tipo. Quest’articolo presenta una panoramica di questi accordi, concentrandosi su quelli che consideriamo «sostantivi». Essi prevedono garanzie a fronte dell’eventuale chiusura di stabilimenti, a protezione dell’occupazione e per i lavoratori trasferiti dentro o fuori dall’azienda. Alcuni prevedono regole procedurali in materia di consultazione delle rappresentanze dei lavoratori nonché il monitoraggio sull’implementazione degli accordi. Questi richiedono alla delegazione capacità di negoziare fra livello nazionale ed europeo, con riguardo ad almeno tre generi di coordinamento: fra sindacati nazionali ed europei; fra sindacati nazionali e Cae; fra Cae e una o più federazioni europee di categoria. Questa capacità di coordinamento è evoluta nel corso del tempo. Con un crescente impegno delle federazioni europee di categoria, che hanno adottato regole interne di negoziazione, oggi riconosciute da un numero crescente sia di aziende sia di parti firmatarie di Tca.
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Le procedure di controllo degli accordi quadro
Il saggio approfondisce l’evoluzione del contenuto degli accordi quadro transnazionali, ponendo in luce come la loro origine e il loro sviluppo si caratterizzino per la maggiore attenzione all’applicazione effettiva degli impegni stabiliti anche nei confronti delle società collegate e della catena dei fornitori. Le soluzioni in materia di monitoraggio, follow up e sanzionatorie costituiscono uno strumento che contribuisce a creare un corpus di norme poste all’interno del sistema di relazioni sindacali, e discute la possibilità di strumenti di diritto internazionale ed europeo che sostengano tali manifestazioni dell’autonomia collettiva.
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La necessità di una rappresentanza collettiva dei lavoratori nell’ordinamento giuridico comunitario
Il saggio si propone di illustrare come sia necessario, accanto a uno studio delle regole che caratterizzano la contrattazione collettiva a livello comunitario, un approfondimento sui soggetti che stipulano i contratti collettivi a livello europeo. Partendo da una breve disamina delle norme che a livello comunitario si occupano di diritti e rappresentanza sindacale, il saggio illustra la necessità di superare la nota tendenza del diritto comunitario di astensione dal legiferare in materia di relazioni sindacali e di predisporre una legislazione di implementazione e di sostegno al diritto fondamentale, di cui all’art. 28 della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione Europea relativo al diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei propri interessi, compreso lo sciopero.
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L’implementazione della Carta globale dei rapporti di lavoro in Volkswagen
Sullo sfondo di processi di internazionalizzazione le organizzazioni sindacali devono fare i conti con la loro limitata capacità di azione che è principalmente circoscritta entro i confini nazionali. Alla luce delle possibilità limitate di fissare delle norme giuridiche a livello transnazionale, l’opzione più incisiva a disposizione per creare un quadro di riferimento di diritti e standard di lavoro sembra consistere nelle forme di auto-regolamentazione attraverso la conclusione di Accordi aziendali transnazionali (Aat). Per comprendere meglio l’impatto effettivo di questi accordi sulle relazioni industriali nazionali è necessario cercare di capire se e in quale modo gli Aat siano stati applicati a livello nazionale. In questo articolo analizzeremo l’implementazione della Carta globale dei rapporti di lavoro firmata nel 2009 nel Gruppo Volkswagen. Lo studio di caso suggerisce che ciò che conta nel processo di implementazione è il coinvolgimento attivo dei diversi attori ai vari livelli.
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Come promuovere la negoziazione con le imprese multinazionali
L’Europa è un terreno fertile per l’esplorazione di un sistema di relazioni industriali nuovo e transnazionale perché qui l’europeizzazione delle relazioni industriali agisce da decenni e muove in quadri normativi armonizzati, sicuramente più che in ogni altra macroregione del mondo. È naturale quindi che si guardi con interesse agli accordi transnazionali con le imprese multinazionali, per riconfigurarli in una dimensione amplificata negli obiettivi e nel tenore. Dalla logica dello scambio di esperienze per la diffusione delle buone pratiche, ci si dirige verso una concettualizzazione del fenomeno che deve portare a proposte volte a costruire un ambiente idoneo alla negoziazione, agendo sul coordinamento, rafforzando le procedure interne decise dai sindacati nella loro autonomia, fino alla proposta legislativa di un quadro opzionale di regole per la negoziazione transnazionale. Gi autori sostengono l’idea che l’intervento del legislatore europeo deve essere promozionale e non invasivo rispetto all’autonomia delle parti di impegnarsi. Un’eventuale normativa quadro dovrebbe creare un ambiente favorevole per coloro che fino a oggi hanno trovato nell’indeterminatezza delle regole un fattore disincentivante. Il quadro legale opzionale dovrà individuare i soggetti titolati a firmare gli accordi, il rapporto tra gli accordi europei e quelli di diritto nazionale, alcuni aspetti delle procedure negoziali (compresa la formazione del mandato), la protezione dei lavoratori, gli elementi formali necessari a rendere valido l’accordo (data, luogo, scadenza, firma), i meccanismi per la soluzione delle dispute e dei conflitti relativi all’applicazione dell’accordo. Resterebbe aperta la possibilità di sottoscrivere Efa in altre modalità, ma a questo punto in assenza delle garanzie e della fluidità garantita dal quadro legale opzionale.
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Ricostruire la solidarietà in Europa. Note a margine del volume di Silvana Sciarra «L’Europa e il lavoro. Solidarietà e conflitto in tempi di crisi»
A partire da un recente volume di Silvana Sciarra, si tenta di individuare le chances e il contesto in cui si potrebbe rilanciare l’idea di un’Europa sociale. L’intensificarsi dell’integrazione tra Stati per fronteggiare la crisi economica, e in particolare quella del debito sovrano, ha sino a oggi riguardato solo il gruppo dell’eurozona, dando luogo a nuove istituzioni e a una governance più forte, ma all’insegna di discutibili politiche di austerity e con regole estranee al diritto dell’Unione. I diritti sociali e le politiche di sviluppo e di occupazione sono rimaste estranee, se non soccombenti, di fronte a tali trasformazioni. Come recuperare oggi (e per quali paesi) la dimensione sociale del «progetto europeo»?
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La svalutazione del lavoro e lo spettro del precariato
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Il precariato e il diritto al conflitto
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Un patto faustiano con il neoliberismo? Ascesa e caduta dei patti sociali nella Repubblica d’Irlanda
Fino a poco tempo fa quasi tutti i sindacati irlandesi hanno accettato la massima del «corporativismo competitivo»: accontentarsi di una fetta minore della torta per ricevere una torta più grande. Tuttavia, quando la bolla della «tigre celtica» è scoppiata e la social partnership è collassata, è divenuto evidente come gli anni della social partnership e di una crescita economica rivelatasi insostenibile avessero creato un movimento sindacale privo della sua capacità di agire in maniera indipendente. Il modello della «tigre celtica» può essere perciò compreso in maniera migliore se inserito nel contesto di un’applicazione pragmatica ed efficace dell’agenda neoliberale, nonostante l’inclusione dei patti sociali al suo interno sembri contraddire la teoria neoliberista.
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Presentazione. Cambiare la posta in gioco per rilanciare la contrattazione
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Contrattazione, dinamica salariale e produttività: ripensare obiettivi e metodi
Produttività e salari stagnanti, domanda effettiva in contrazione, crescita ormai un miraggio, contrattazione in declino. Come riprendere un percorso virtuoso, anche ripensando obiettivi e metodi della contrattazione collettiva. La proposta di produttività programmata e contrattata può essere una ricetta? Condizione essenziale è la ripresa delle politiche keynesiane dal lato della domanda, con un forte ruolo pubblico.
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Quali politiche per il rilancio della produttività
La tesi iniziale dello scritto è che la deludente dinamica nella produttività del lavoro, che caratterizza l’economia italiana dalla metà degli anni novanta, sia dovuta all’insufficiente realizzazione di innovazioni organizzative da parte delle nostre imprese nella manifattura e nei servizi. Pertanto, per recuperare i conseguenti divari di competitività, risulta necessario spingere le imprese di medio-piccola e piccola dimensione verso il cambiamento. Lo strumento scelto, che si basa sull’articolazione fra contrattazione nazionale e aziendale, è quello della cosiddetta «produttività programmata».
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Un assetto della contrattazione equilibrato e dinamico
Competere sui costi, precarizzando il lavoro e puntando esclusivamente al pareggio di bilancio, o rilanciare la crescita, sostenendo la domanda interna, l’occupazione e i redditi da lavoro? Solo questa seconda opzione ha un futuro, corredata da una politica industriale, come quella indicata nel nuovo Piano del Lavoro della Cgil, e da una riforma del sistema contrattuale più inclusivo, capace di estendere e riqualificare il secondo livello, entro regole democratiche certe, per ridare voce ai lavoratori.
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Come ridisegnare le relazioni tra le parti
L’articolo esamina condizioni e problemi dell'ipotesi di legare la contrattazione salariale agli andamenti programmati a livello nazionale della produttività e argomenta le ragioni per le quali la produttività dovrebbe invece essere contrattata a livello aziendale. Nella seconda parte si espongono gli aspetti essenziali che, dal punto di vista delle imprese, caratterizzano il modello contrattuale definito dalle parti sociali negli ultimi anni.
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A proposito di produttività e contrattazione. La presunta oggettività della misurazione della produttività
Il saggio prende in esame il tema della produttività, analizzandolo nei suoi vari e complessi risvolti, quantitativi e qualitativi; di misurazione statistica e di concettualizzazione teorica. In una prospettiva comparativa si approfondisce il caso italiano, rilevandone le criticità e i problemi, sia strutturali sia contingenti. Si sottolinea l’importanza del sistema delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva per favorire una crescita e un miglioramento della produttività. Infine vengono ripercorse le tappe che, nel corso dell’ultimo periodo, hanno registrato l’impegno dei governi e delle parti sociali per trovare rimedi alle scarse performance del nostro sistema produttivo. Con un’attenzione particolare agli ultimi accordi siglati dalle parti sociali.
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Contrattazione e patto sociale. Un richiamo ai fondamenti
Dopo alcune chiarificazioni sul concetto di produttività, l’articolo sottolinea la necessità di operare una chiara distinzione tra i fattori determinanti della dinamica della produttività interni all’impresa e quelli esterni all’impresa. Una seconda necessaria distinzione è quella tra conseguenze e cause della crescita di produttività. La contrattazione collettiva dovrebbe riguardare tutti questi elementi, ma per essere più efficace dovrebbe essere inquadrata nell’ambito di un più comprensivo patto sociale che includa il governo. Infine, viene raccomandata l’adozione di un tasso programmato di crescita della produttività per evitare che il legame tra salari e produttività diventi un disincentivo per le imprese a investire in innovazione.
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Le ragioni strutturali che giustificano la contrattazione nazionale
Semplificando, la contrattazione nazionale è parte della politica macroeconomica: serve a evitare che il naturale egoismo delle imprese, volto a massimizzare il profitto, e dei lavoratori, volti a massimizzare il salario, distrugga l’economia, l’occupazione, lo standard di vita. La contrattazione decentrata è invece politica microeconomica, perché anche applicata a un gran numero di imprese e di territori non implica nulla per l’economia nel suo complesso. Il declino della prima non serve a fare della seconda un successo, anche perché, in tempi di crisi, il prodotto per addetto, se cresce ora qui ora lì nella geografia imprenditoriale, in media non cresce: perciò non cresceranno nemmeno i salari. Il terreno è quello giusto per l’intervento dello Stato, ma ciò può avvenire solo se si riesce a battere il mercantilismo dei paesi nordici dell’Eurozona.
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Piani, non solo premi
Per oltre vent’anni la contrattazione aziendale della produttività si è concentrata sulla retribuzione. La crisi, lo stallo della produttività e la competizione globale indicano alle relazioni industriali che la strada da percorrere è quella della contrattazione dell’innovazione organizzativa finalizzata agli incrementi di performance, e che i premi aziendali e gli incentivi pubblici alla contrattazione vanno indirizzati a questo obiettivo. Pratiche efficaci di innovazione nei luoghi di lavoro – la formazione, la flessibilità e la de-standardizzazione degli orari, il lavoro in team, il coinvolgimento dei lavoratori – possono aumentare enormemente sia la performance e la competitività aziendali sia la qualità del lavoro. È però necessario che le relazioni industriali a livello d’impresa riconquistino fiducia, recuperino competenza e si aprano alla partecipazione sindacale.
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Per un Patto di produttività e crescita in termini di produttività programmata?
Vari suggerimenti sono stati espressi negli ultimi anni per un Patto di produttività programmata articolato su due livelli, nazionale e aziendale. In questo lavoro si sostiene che la dinamica della produttività va contrattata a livello decentrato. Il carattere incentivante della proposta non è superiore a quello di altri sistemi già sperimentati con esito negativo. La mancata indicazione degli strumenti che ogni parte stipulante dovrebbe porre in atto può tradursi in un pericoloso loro atteggiamento parassitario o indurre le imprese a esasperare i ritmi della produzione, attuare un demansionamento delle qualifiche, allungare l’orario di lavoro o adottare strumenti comunque peggiorativi delle condizioni di lavoro.
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Basta nuove regole centrali, agiamo a livello locale
L’articolo parte dalla presa d’atto che la fase di crescita dell’economia che abbiamo conosciuto per cinquant’ anni è finita. Suggerisce poi una tesi insolita, cioè che il calo di produttività sia un effetto e non la causa della crisi. Propone quindi di concentrare l’azione sindacale sulla redistribuzione del lavoro (riduzione e flessibilizzazione dell’orario) e del reddito (detassazione dei salari e introduzione di una patrimoniale). Si dice infine favorevole a insistere sull’adeguamento organizzativo delle aziende e contrario a nuovi accordi centralizzati.
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Produttività del lavoro e contrattazione collettiva
L’Italia è entrata in un circolo vizioso, che può essere spezzato solo attraverso un rilancio degli investimenti e della produttività nei settori strategici, a iniziare dal manifatturiero. Se da una parte dobbiamo chiedere la costruzione di un’Europa politica, dall’altra dobbiamo risolvere i nostri problemi di competitività. Occorre incrementare la competitività di quei comparti che sono maggiormente esposti alla concorrenza internazionale. La contrattazione collettiva può essere chiamata a svolgere un ruolo attivo di sostegno e di accompagnamento. Urge dirimere le questioni relative al sistema contrattuale e alla rappresentanza sindacale, premesse necessarie di qualsiasi opera riformatrice di ampio respiro.
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I «nuovi» dilemmi del sindacato
Si discute sul testo "I Sindacati" di Mimmo Carrieri edito da Il Mulino
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No ai fraintendimenti riguardo alla battaglia in difesa dell’art. 18
Si discute sul testo "I Sindacati" di Mimmo Carrieri edito da Il Mulino
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Postilla. Per continuare a discutere
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Lezioni americane. Riattivare il territorio per costruire il sindacato
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Il delegato sindacale come «termometro» sociale del cambiamento
L’indagine sulla rappresentanza a Parma pone al centro dell’analisi la percezione del delegato sindacale. L’indagine è costruita su un campione composto da oltre 300 delegati. Si propone di analizzare non solo la composizione socio-anagrafica dei rappresentanti dei lavoratori, ma anche quale dimensione motivazionale prevale nella scelta sindacale, quale sia la relazione tra rappresentanza politica e rappresentanza sociale, come sia percepita l’immigrazione e la qualità delle relazioni che il singolo delegato instaura con la direzione aziendale, i lavoratori e l’organizzazione sindacale.
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