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Quando le politiche non sono tutto. Determinanti strutturali e contrasto della povertà in Italia e in Germania
In questo articolo si analizzano i mutamenti nei profili di rischio povertà in alcuni paesi europei, con una particolare attenzione all’Italia e alla Germania, nella stretta connessione tra politiche di contrasto della povertà e i cambiamenti intervenuti nella struttura produttiva. La tesi sostenuta è che il rischio povertà non sia da mettere in relazione solo alla limitatezza o agli orientamenti delle politiche sociali, ma anche alle trasformazioni che hanno investito la struttura produttiva, a partire dal processo di terziarizzazione dell’economia. Troppo spesso il dibattito sul reddito minimo e le varie forme di sostegno del reddito trascura questi aspetti, come se il problema del rischio povertà associato al lavoro potesse essere affrontato solo dal lato delle politiche sociali. Le determinanti della domanda di lavoro rivestono invece una importanza cruciale, anche ai fini di ipotesi di riforma delle politiche di reddito minimo. L’articolo è organizzato come segue. Nella prima parte viene presentato il quadro relativo alle trasformazioni del rischio povertà in Italia e in alcuni paesi europei. Nella seconda il focus è spostato sulla Germania, esaminando i cambiamenti che hanno riguardato le politiche e la struttura del mercato del lavoro. Da qui, nell’ultima parte, il caso tedesco viene confrontato con quello italiano, presentando alcune considerazioni finali sulle politiche di reddito minimo.
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Una divergenza nella continuità: il caso inglese
Negli ultimi decenni le politiche di reddito minimo in Europa hanno cambiato poco a poco la loro impostazione originaria. Nate nel secondo dopoguerra come strumenti passivi di protezione del reddito dei poveri, si sono evolute negli anni novanta in politiche di inclusione sociale, capaci di affiancare servizi di inserimento socio-lavorativo al trasferimento monetario, fino a diventare negli ultimi anni vere e proprie politiche di attivazione dei beneficiari. L’articolo prova a chiedersi se la recente influenza dell’approccio del Social Investment nelle politiche sociali europee, sostenuta a livello comunitario, possa aver contribuito a intensificare questa tendenza, oppure se sia il sentiero di policy intrapreso in ogni paese ad aver segnato le singole traiettorie di trasformazione delle politiche di reddito minimo. L’analisi del caso inglese, apripista dell’introduzione del reddito minimo e delle sue trasformazioni in Europa servirà per provare a rispondere a questi interrogativi.
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Reddito minimo garantito: il dibattito europeo tra schemi nazionali e linee guida comunitarie
Il presente articolo si propone l’obiettivo di fornire un inquadramento generale dello stato delle politiche di reddito minimo nell’Unione europea. A tal fine vengono analizzati due aspetti principali. Innanzitutto si presentano l’evoluzione storica e i tratti fondamentali degli schemi di reddito minimo nei paesi membri. Inoltre si esamina il ruolo delle politiche di contrasto alla povertà nel dibattito europeo, ritracciando il percorso delle politiche di reddito minimo nelle fonti del diritto europeo (di hard e soft law). Alla luce dei principi idealmente indicati dall’Unione europea dagli anni novanta ad oggi, l’articolo delinea dunque un breve quadro comparativo dello stato dell’arte degli schemi effettivamente vigenti nei paesi membri.
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La povertà nel diritto del lavoro: reddito di inclusione e di cittadinanza tra Costituzione e vincoli europei
Il contributo affronta il tema del contrasto alla povertà nella prospettiva del diritto del lavoro. Il principio lavoristico che permea la Costituzione osta, di principio, all’erogazione di un reddito a carico della fiscalità generale in assenza di una controprestazione di lavoro. Né tale assunto, ad oggi, è scalfito dalle disposizioni del diritto dell’Unione europea. L’attuale disciplina del cosiddetto reddito di inclusione, peraltro, non appare idonea a favorire l’inclusione sociale, anche per l’ineffettività degli strumenti di condizionalità. Non sembrano poi sufficientemente valorizzati, nella lotta alla povertà, il ruolo conferito dalla stessa Costituzione alla famiglia e agli enti della società civile.
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Le politiche di reddito minimo in Italia
Il lavoro ricostruisce sul piano storico-analitico le politiche di reddito minimo in Italia dell’ultimo ventennio. Delle varie misure introdotte si analizzano le caratteristiche distintive, mettendone in rilievo i pro e i contro. Il lavoro si conclude con un esame sintetico delle principali questioni che il consolidamento di una misura di reddito minimo pone all’attenzione del policy maker, anche alla luce dell’accelerazione che il governo Conte intende dare a tali politiche con il progettato reddito di cittadinanza.
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Dal reddito di garanzia all’assegno unico. Gli interventi attuati in Trentino
Nel corso degli anni la Provincia autonoma di Trento ha sperimentato diverse forme di sostegno al reddito per i nuclei familiari in stato di deprivazione o a rischio povertà, come gli assegni per la copertura del minimo vitale e il più recente reddito di garanzia. L’evoluzione delle politiche di inclusione in Trentino ha portato nel 2017 al varo del nuovo assegno unico che riunisce in una sorta di «reddito di comunità» diversi sostegni economici per le famiglie a rischio povertà, per la cura dei figli e per l’inclusione dei disabili. L’Autore prende in esame, quindi, e caratteristiche salienti e le sfide future per una particolare forma di reddito minimo nato all’ombra delle Dolomiti.
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Verso una maggiore inclusività e promozionalità individuale
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Rilanciare le politiche per la coesione sociale
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Quali misure per promuovere occupazione e redditi – Presentazione
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Un welfare per la piena occupazione
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Questa volta è differente? Automazione e lavoro nella quarta rivoluzione industriale
La digitalizzazione, la diffusione dei computer e dei robot e, ora, l’avvento dell’Intelligenza artificiale e di Internet delle cose stanno determinando importanti cambiamenti nella domanda di lavoro. Molti lavori stanno rapidamente svanendo in quanto automatizzati, e questa sostituzione riguarda non più solo quelli manuali, routinari e a bassa qualifica, ma sempre più attività con una importante componente cognitiva e che richiedono qualifiche medio-alte. In questo articolo esamino brevemente due diverse visioni: una che ritiene che siamo semplicemente in una fase di transizione e che, come nelle precedenti rivoluzioni industriali, alla fine il bilancio tra lavori distrutti e lavori creati sarà positivo sia nel numero sia, soprattutto, nella qualità. L’altra sostiene invece che le caratteristiche economiche delle tecnologie di questa rivoluzione industriale sono profondamente diverse da quelle delle precedenti e che il loro impatto sull’occupazione e sull’uguaglianza sociale rischia di essere complessivamente negativo.
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Il reddito di base come dividendo del capitale sociale e piattaforma di un’economia «plurale»
L’articolo discute l’ipotesi di un reddito di base – un trasferimento monetario individuale, universale e non-condizionato – in un orizzonte temporale di lungo periodo. Nelle sezioni 2 e 3 la proposta è difesa dalle due principali obiezioni che la riguardano: quella di violare il principio di reciprocità e quella di essere economicamente insostenibile. In risposta alla prima, il reddito di base è giustificato come uno strumento che distribuisce in modo equo i frutti di un patrimonio comune, costituito dal capitale sociale che ogni generazione eredita da quelle che l’hanno preceduta; per quanto riguarda la seconda, la risposta verte sulla convinzione che gli effetti di riduzione del tempo di lavoro – attesi e desiderati – non sono comunque tali da pregiudicare la base di prelievo dei trasferimenti. La sezione 4 è dedicata al collegamento della proposta con il tema della disoccupazione tecnologica e con la necessità/ opportunità di affrontarlo nella logica di un’economia plurale, della quale il reddito di base è una condizione di realizzazione.
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