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Autoregolazione e legge nella disciplina delle relazioni sindacali
Il saggio analizza le recenti forme di autoregolazione concordate fra le parti collettive su te- mi centrali delle relazioni industriali, rappresentatività sindacale a livello nazionale, rap- presentanze aziendali, rapporti fra i livelli contrattuali, formazione ed effetti degli accordi aziendali, e discute dei possibili interventi legislativi su questi temi. Si sostiene la possibilità di un rinvio legislativo ai criteri di rappresentatività concordati dalle parti nel T.U. del gennaio 2014 e di un simile rinvio all’autoregolazione anche riguardo alla configurazione delle rappresentanze sindacali aziendali e alla formazione degli accordi aziendali. Sono invece rilevati limiti alla possibile regolazione per legge dei rapporti fra di- versi livelli della contrattazione collettiva e dell’efficacia generale dei contratti nazionali. In- fine si esaminano le norme della legge di stabilità 2016 che incentivano i premi di produt- tività e il welfare aziendale e prevedono incentivi aumentati in presenza di forme di parte- cipazione dei lavoratori.
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Modello contrattuale, produttività del lavoro e crescita economica
Il lavoro propone un’analisi storico-economica del ruolo dell’applicazione incompleta e di- storta del modello contrattuale del Protocollo ’93 nel declino dell’economia italiana. Oltre all’abbandono del primo pilastro (la concertazione della politica economica) e alla totale di- sapplicazione del quarto (la modernizzazione delle imprese e il potenziamento del lavoro), il mancato sviluppo della contrattazione decentrata ha comportato la sistematica rottura della «regola d’oro» dei salari (crescita dei salari reali nella stessa misura della produttività del lavoro), costituendo un’insostenibile tutela de facto dei profitti al di là dei meriti di mercato, che ha frenato i consumi delle famiglie e rallentato l’ammodernamento delle im- prese. Una quantificazione controfattuale della redistribuzione dai salari ai profitti operata dal «Protocollo più che dimezzato» stima in 1.069 miliardi di euro a prezzi 2005 l’importo totale del flusso dal 1993 al 2012. Da allora le parti sociali, e soprattutto il sindacato con- federale, hanno fatto significativi passi avanti per recuperare alle relazioni industriali un ruolo propulsivo dello sviluppo, ma sono necessarie ancora importanti riforme in linea con il documento sindacale unitario del 25 gennaio 2016. Anzitutto ristabilire una forma di coordinamento tra la contrattazione e gli obiettivi di politica economica del governo; poi contrattare l’ammodernamento e riorganizzare i luoghi di lavoro; programmare obiettivi di crescita del valore aggiunto e dei salari reali; contrattare l’entità della quota del lavoro nel valore aggiunto; diffondere la contrattazione decentrata, soprattutto sviluppando la contrat- tazione territoriale.
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Applicare gli accordi in tutti i luoghi di lavoro: la democrazia e la partecipazione come regola
Qualsiasi riflessione sui temi della democrazia e della partecipazione in tutti i luoghi di la- voro necessita di un’analisi dell’intreccio tra l’art. 39 della Costituzione, l’art. 19 dello Sta- tuto dei lavoratori e il ruolo della rappresentanza e della rappresentatività oggi. I padri costituenti conferirono al lavoro un «valore fondativo per tutto l’assetto costituzio- nale italiano». La Costituzione repubblicana tutela il lavoro, lo sostiene come diritto indi- viduale e collettivo e ne afferma il diritto per ciascun cittadino ad averlo e l’obbligo per le istituzioni di tutelarlo. È emersa in questi anni una Costituzione «materiale» attraverso un’attuazione di fatto della norma che riconosceva una rappresentanza unitaria assunta co- me paritetica di Cgil-Cisl-Uil, considerata attraverso il principio della maggiore rappresen- tatività, investita dell’autorità e del potere di stipulare non solo contratti ma anche accordi con imprese e governo validi per tutti i lavoratori. In questa fase particolare si registra un passaggio dalla contrattazione collettiva a quella in- dividuale, una cancellazione del conflitto sociale e delle forme collettive di governo nel con- flitto stesso e una riproposizione del rapporto individuale tra lavoratore e datore, tipico degli albori dello Stato liberale. Per queste ragioni non è più rinviabile l’applicazione dell’art. 39 della Costituzione se si vuole ritenere ancora il lavoro un valore e uno strumento centrale per l’affermazione della promessa di eguaglianza della Costituzione. La risposta delle parti sociali (endo-sindacale) è quella del Testo unico sottoscritto da Confin- dustria e Cgil, Cisl e Uil, e successive analoghe intese con Confservizi-Cispel, Alleanza coo- perative e Confcommercio per porre fine alla «extratteritorialità democratica».
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La rappresentanza sociale fattore di democrazia
È in gioco una concezione della democrazia che emargina i «corpi intermedi» attraverso il rapporto diretto tra il governo (o chi lo presiede) e i cittadini. Una prassi che evoca il mo- dello peronista nel rivolgersi direttamente al popolo e quello thatcheriano nel non riconoscere il ruolo della rappresentanza sociale. Il sindacato può essere preso come riferimento di de- mocrazia: non è il solo voto congressuale che legittima un dirigente eletto. Esiste, infatti, un processo costante di confronto, di dibattito e di verifica: ad esempio, i percorsi di costruzione e approvazione dei contratti collettivi ai vari livelli o l’articolazione della rappresentanza che arriva fino ai livelli aziendali (Rsu e Rsa). Il ruolo delle parti sociali, del dialogo sociale e della contrattazione è essenziale. Un arretramento su questo terreno ci colloca fuori dal dettato costituzionale e ci allontana dal modello sociale europeo. L’accordo del 10 gennaio 2014 (Testo unico sulla Rappresentanza) tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria e il documento unitario per un moderno sistema di relazioni industriali – presentato il 14 gennaio 2016 – stabiliscono regole per l’esercizio della rappresentanza e della contrattazione come fattori di democrazia e di crescita.
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Cornici generali di una riforma per rafforzare la partecipazione
Nel saggio vengono prese in esame le attuali iniziative volte a rafforzare la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, allo scopo di valutare la conformità delle soluzioni proposte con l’attuale cornice normativa. L’Autore esamina innanzitutto la possibile intro- duzione di forme di partecipazione cd. «strategica» che prevedano la nomina da parte dei lavoratori di uno o più membri degli organi di controllo o di gestione delle società di capitali di maggiori dimensioni, sulla scia del modello tedesco. In secondo luogo, vengono esplorate le potenzialità di un collegamento tra decentramento contrattuale, produttività e partecipazione cd. «organizzativa» in grado di costituire il prologo per lo sviluppo in futuro di forme partecipative anche in ambito gestionale. In seguito, l’Autore si interroga sul tipo di intervento maggiormente in linea con il quadro normativo, come pure sulle sue eventuali ricadute sistemiche, dedicando le riflessioni conclusive alle caratteristiche e alla posizione della forza lavoro che da più parti si vorrebbe vedere maggiormente coinvolta nelle scelte azien- dali all’interno dell’attuale mercato del lavoro.
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Il diritto del lavoro nella crisi europea. A proposito di un recente volume
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Una prospettiva storica nel confronto fra costituzionalisti e giuslavoristi
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Un sistema sovranazionale che nazionalizza il conflitto sociale. Le ragioni della difficoltà dei sindacati europei a politicizzare la governance economica europea
Fino a pochissimo tempo fa, la leadership imprenditoriale e politica europea non reputava necessario introdurre qualsivoglia forma di coordinamento delle relazioni industriali a li- vello Ue. Tuttavia, nel novembre 2011 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato un nuovo sistema di governance economica europea che rende le politiche sul lavoro degli Stati membri passibili di procedure multilaterali di sorveglianza. Il saggio esamina questa «rivoluzione silenziosa» dall’alto e valuta in che modo il mondo del lavoro organizzato ha risposto a questa sfida. Il testo spiega come il nuovo sistema di governance non segua il clas- sico modello di Stato federale, ma riproduca piuttosto le strutture di governance delle im- prese multinazionali, che controllano le loro filiali locali mettendole l’una contro l’altra e o- perando raffronti coercitivi. La difficoltà dei sindacati e dei movimenti sociali europei a po- liticizzare la governance economica europea trova allora migliore spiegazione nella capacità del nuovo sistema sovranazionale Ue di nazionalizzare i conflitti sociali.
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Dieci anni vissuti pericolosamente. La Confederazione internazionale dei sindacati nella grande crisi globale. Parte I
Dieci anni fa, a Vienna, nasceva la Confederazione internazionale dei sindacati (Csi), dal- la fusione delle precedenti Cisl internazionale e Cmt. Pochi mesi dopo cominciava la grande crisi globale, che tuttora attanaglia l’economia mondiale, con il suo portato di disoccupazio- ne, diseguaglianze, ulteriore spinta a politiche neoliberiste contrarie ai diritti sociali e del lavoro. Come ha operato, in questi dieci anni, la Csi? Il presente lavoro – suddiviso in due parti – cerca di dare una panoramica dell’azione della Csi, soprattutto nei confronti delle istituzioni internazionali e della «leadership» globale, facendo la cronaca delle sue posizioni e dei suoi rapporti verso Ilo, G8-G20, Fmi e Banca mondiale, Ocse, Omc.
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L’impatto della nuova governance europea sulla contrattazione collettiva. Un confronto fra Italia, Spagna e Portogallo
Fra le ricette che compongono la nuova governance economica europea, la revisione dei sistemi contrattuali ricopre un ruolo di forte preminenza. Grazie a essa, è l’assunto, i paesi più colpiti dalla crisi potrebbero recuperare quote di competitività, agendo sulla leva dei prezzi, e dunque dei costi del lavoro. Nella severa cornice dei Trattati, e sotto la vigile regia del Semestre europeo, le istituzioni europee hanno letteralmente dettato l’elenco delle riforme da adottarsi in tema di lavoro e relazioni industriali. L’obiettivo è quello di dotare le aziende della facoltà di determinare flessibilmente le condizioni salariali e di lavoro dei propri dipendenti. Ciò ha richiesto l’allentamento della tradizionale gerarchia delle fonti, ampliando le prerogative del contratto aziendale, congelando le procedure di estensione erga omnes e/o i salari minimi legali, dove vigenti, bloccando la contrattazione del settore pubblico. Fra i paesi che più hanno patito il combinato disposto di queste misure vi sono Spagna, Portogallo e Italia, storicamente accomunati da certo grado di coordinamento della contrattazione, e oggi costretti a fare i conti con una spinta al decentramento, inedita anche per il carattere unilaterale e non concertato dell’interventismo pubblico. L’articolo ne ricostruisce tappe, contenuti e criticità, rilevandone analogie e divergenze, sotto il profilo dei risultati e del diverso rapporto fra Stato e autonomia collettiva.
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Città metropolitana
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Riccardo Terzi. Il delizioso sapore dell’agrodolce
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