Adesso basta
20
Novembre
2023

Adesso basta

Intervista a Lara Ghiglione, autrice con Vanessa Isoppo del libro “Come farfalle nella ragnatela”, appena pubblicato. Un volume che racconta storie di violenza digitale sulle donne, a poche ore dalla tragica fine di Giulia Cecchettin

Dopo l’importante riscontro del vostro “Se il fascismo va di moda”, dedicato al fascino che ancora suscita una vecchia ideologia in molti (troppi) giovani, un altro libro a quattro mani con Vanessa Isoppo, questa volta sulla violenza digitale nei confronti delle donne. Quali i punti di contatto tra i due volumi?
In entrambi i casi abbiamo voluto analizzare due fenomeni sociali e culturali che ci preoccupano e ci interrogano, per provare a dare un piccolo contributo alla necessaria e doverosa opera di prevenzione e contrasto che deve vederci tutte e tutti attivamente partecipi. Come nel libro precedente descriviamo una realtà inquietante ma proviamo anche a immaginare alcune vie di uscita che riteniamo possano funzionare solo con un impegno collettivo.
Il libro contiene alcune storie che appartengono alla cronaca più o meno recente del nostro Paese, che purtroppo proprio in questi ultimi giorni si alimenta di nuove tragedie, aggiornando la triste lista delle donne uccise in Italia. Come possiamo reagire a questa deriva crescente?

Tutte le forme di violenza sulle donne da parte degli uomini sono causate dalla cultura del possesso, da uno squilibrio di potere, dal desiderio di sopraffazione e dal voler ridurre le donne ad un oggetto da usare a proprio piacimento. La nostra società è la nipote di quella che tollerava il delitto d’onore, lo ius corrigendi e il matrimonio riparatore anche a seguito di uno stupro. Una società in cui la voce e il pensiero delle donne venivano spesso soffocati. Da allora, anche grazie all’attivismo dei movimenti femministi, abbiamo conquistato molti diritti che ci hanno permesso di autodeterminarci e di avere un ruolo più attivo nella società. Ma quella cultura è rimasta introiettata dentro di noi, in modo più o meno silente, e viene spesso fuori quando le donne decidono di prendere in mano la propria vita e provano a ristabilire un equilibrio di potere. Per questa ragione, l’unica vera modalità per estirpare la cultura sessista e patriarcale che determina la violenza di genere è contrapporle la cultura del rispetto, l’educazione all’affettività e al valore delle differenze. Serve farlo a partire dalla scuola dell’infanzia, nelle famiglie, nei luoghi di lavoro. Anche il lavoro stabile, l’autonomia economica, la valorizzazione delle donne nei percorsi di carriera, sono leve straordinarie per determinare un equilibrio di potere nella società e nella coppia, ma anche per avere la condizione di emanciparsi da un rapporto violento.
Tornando alla violenza digitale, nel libro si parla tra le altre cose del fenomeno delle “challenge online, e di “negazionismo digitale”. Possiamo qui accennare questi due contenuti?
Un aspetto particolarmente preoccupante della violenza digitale maschile sulle donne è il numero elevato di soggetti che può coinvolgere. L’effetto branco è molto diffuso e, oltre a istigare comportamenti violenti, determina anche l’autoassoluzione dei carnefici perché chi li mette in atto è cosciente di farlo con una compagnia numerosa e quindi il pensiero conseguente è “se lo fanno in così tanti non può trattarsi di un comportamento così riprovevole”. Questo è il caso delle Challenge, ovvero delle sfide on line, che coinvolgono per lo più giovanissimi. Nel libro raccontiamo una sfida estiva, lanciata sui social, che di fatto esercitava vera e propria violenza psicologica su giovani ragazze, bullizzate e derise perché fuori dai canoni della bellezza imposti dalla società.
Un altro aspetto preoccupante sono i siti appositamente creati da uomini, anche esponenti di associazioni e movimenti, per negare l’esistenza della violenza sistemica sulle donne. Raccolgono dati e li manipolano per far credere alle persone che i femminicidi e le varie forme di violenza sulle donne non esistono. Che ci sia qualcuno che si prenda carico di fare questo per evitare che si parli del problema della violenza di genere come di un’emergenza da contrastare, è già un fatto preoccupante, che abbiano un pubblico di fedeli che condivide le loro farneticazioni lo è ancora di più. Sono per lo più uomini ma, probabilmente, sono anche mariti e fidanzati di donne potenzialmente a rischio, come tutte noi. Questo fa riflettere.
Ci avviciniamo alla data del 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne. In virtù anche del tuo ruolo nel sindacato Cgil, quale messaggio si può inviare in particolare a quei ragazzi che presto diventeranno uomini?

Vorrei dire ai ragazzi che anche loro sono vittime di una cultura sbagliata che impone loro di essere sempre forti, dominanti e sicuri e che rischia, alle lunghe, di danneggiarli e di non farli vivere serenamente le insicurezze e le fragilità che tutte e tutti abbiamo.
Che è necessario lasciare andare chi decide di non stare più con noi, perché non c’è alternativa; non esistono prigioni dove poter trattenere chi non ci ama più. Che essere traditi non è né un’umiliazione, né un fallimento, è una circostanza che crea dolore ma dalla quale è necessario rialzarsi continuando a rispettare le persone coinvolte. Che la violenza non è mai la soluzione.
Che amare una donna che si realizza, che è più brava di loro non è umiliante ma deve essere ragione di orgoglio. Che una donna libera e realizzata che sceglie di stare con loro lo fa con una consapevolezza e una determinazione maggiore. Che agire la gelosia e il controllo allontana le persone che amiamo, anziché tenerle con noi.
E poi direi loro che non devono vergognarsi di chiedere aiuto se avvertono di non riuscire a contenere la propria gelosia e la propria rabbia. Ammettere queste insicurezze e la naturale difficoltà a gestirle non è uno stigma ma una prova di coraggio.
Queste sono le cose che penso dovremmo sempre dire ai nostri figli.