18 Settembre 2023 Educare senza reprimere Intervista a Maria Teresa Spagnoletti, giudice del Tribunale dei Minori e autrice de “Il mio territorio finisce qui”, per tentare di capire i motivi dei molti episodi di violenza giovanile, e degli effetti del “decreto Caivano” voluto d’urgenza dal governno- Appena firmato dal Presidente della Repubblica Mattarella prima del suo passaggio al Senato, il “decreto Caivano” ha trovato subito applicazione ad Ancona nei confronti di un quindicenne, ritenuto già colpevole di delitti contro “la personalità dello Stato e della fede pubblica”, oltre che più volte fermato per consumo e spaccio di stupefacenti. Viene da chiedersi se questo inasprimento di provvedimenti nei confronti di minori abbia una sua validità, a partire dall’ “avviso orale” e l’accertamento di responsabilità delle famiglie, o se invece non si tratti dell’ennesima operazione di governo, partita direttamente dalla Presidenza del Consiglio, per mostrare i muscoli senza intervenire realmente nella complessità della questione. Su questi temi abbiamo voluto interpellare Maria Teresa Spagnoletti, giudice del Tribunale dei Minorenni di Roma, presidente del Collegio dibattimentale penale e magistrato di sorveglianza, da sempre in prima linea per la difesa dei diritti dei minori e la loro tutela giurisdizionale. Tra i suoi scritti ricordiamo Il mio territorio finisce qui. Vite di minori tra il reato e la pena, pubblicato da Futura editrice nel 2019, oggi più che mai di stringente attualità. Professoressa Spagnoletti, che idea si è fatta degli episodi di violenza minorile registrati nell’ultimo periodo? Il problema della violenza minorile è sempre esistito, ma ogni tanto se ne parla di più, in particolare quando accadono fatti di cronaca più eclatanti. Ma non credo assolutamente che la repressione sia lo strumento adatto ad evitare queste forme di violenza, che guarda caso capitano nelle realtà più degenerate, degradate e abbandonate, dove manca un intervento dello Stato per aiutare i ragazzi a crescere in modo adeguato e corretto. Bisognerebbe, invece che reprimere o aumentare le pene, ricomporre e promuovere un sano lavoro di prevenzione, educazione e sostegno alle famiglie. Almeno questo è quello che racconta la mia esperienza di tanti anni a contatto con queste realtà Perché secondo lei si ricorre a provvedimenti come quelli contenuti nel cosiddetto “Decreto Caivano” invece che lavorare più e meglio attraverso processi di rieducazione e recupero? Perché è più difficile operare in questo senso, richiedendo un maggior investimento sotto tutti i punti di vista, Per chi governo è molto più facile chiudere un minore in cella piuttosto che aiutarlo a crescere e recuperare un rapporto sano con la collettività. Non vorrei essere facile profeta, ma credo non sia la strada dell’inasprimento delle pene quella che porterà verso i risultati auspicati. In tutto questo, nell’escalation di violenza di minori su minori alla quale assistiamo, quale e quanta deve considerarsi la responsabilità da parte del mondo degli adulti? Le responsabilità sono quasi esclusivamente appartenenti alla società degli adulti, per diversi motivi. Ed è soltanto recuperando il nostro ruolo che possiamo invertire questa tendenza, a cominciare dai genitori, ricominciando ad essere di nuovo in grado a dire dei “no”, spronando i ragazzi a fare quello che si deve fare, senza girarsi dall’altra parte o facendo finta di niente. In questo senso un ruolo fondamentale lo assume anche la scuola, e dunque fondamentale sarebbe dedicarsi più e meglio, come istituzioni, al dramma della dispersione scolastica, che nel nostro Paese tocca la doppia cifra. Se un ragazzo è “difficile” non bisogna dirigersi verso la strada dell’emarginazione, ma cercare di inserirlo il più possibile nel contesto entro cui vive. Recuperare un minore alla vita, donargli un’esistenza serena, è un dovere di tutti. Nel suo libro “Il mio territorio finisce qui” si raccontano storie di diversi ragazzi e ragazze, alcune a lieto fine, altre decisamente meno. C’è un legame che le unisce in qualche modo? Credo che il filo conduttore del libro sia il racconto di un’umanità sconosciuta, che troppo spesso viene soltanto ridotta a fatti di cronaca, dove dominano la curiosità del dettaglio, il richiamo all’allarme sociale, la reazione delle vittime e delle loro famiglie, le sentenze emesse dai giudici. Mentre le storie individuali, e i percorsi di vita che i minori colpevoli hanno intrapreso durante la loro breve esistenza, vengono messi del tutto a margine, Come troppo spesso accade a loro.