“Rossanda, il comunismo e il femminismo”, di Luciana Castellina
SCAFFALE «Un secolo, due movimenti», a cura di Gabriele Polo. Per Futura, alcuni suoi
scritti inediti si interrogano sul rapporto delle due esperienze
Questo pubblicato da Futura, la casa editrice della Cgil (curato da Gabriele Polo) a me è
parso lo scritto più intrigante lasciato da Rossana Rossanda (Un secolo, due movimenti.
Comunismo e femminismo, tracce di una vita, pp. 96, euro 13). Altri sono certamente
letterariamente più belli, ma questo è straordinario perché è percorso dall’inizio alla fine da
interrogativi cui lei risponde sempre in modo dubitativo, come se stesse inseguendo una
riflessione con sé stessa cui ci vuole associare, non come enunciasse delle certezze da
trasmettere ad altri.
FORSE È PERCHÉ si tratta di un inedito ritrovato da Doriana Ricci nel suo computer,
ancora solo una traccia da rivedere prima della pubblicazione. Proprio per questo più
interessante perché rende chi legge partecipe dei suoi stessi dubbi, non una semplice
passiva lettrice.
Lo scritto avrebbe infatti dovuto essere parte di un volume per le edizioni Einaudi, mai
uscito, da condividere con altri autori – Etienne Balibar e Francoise Difour, quasi un seguito
della discussione che si svolse ormai quasi 10 anni fa all’Università di Padova, in una
conferenza promossa da Alisa Del Re, dal titolo «Donne e Politica». Due giorni avvincenti,
presenti molte/i straniere/i, che ricordo bene perché c’ero anche io, anche se la mia
relazione era semplicisticamente storica, una rivisitazione dell’esperienza delle comuniste
italiane, prima nel Pci, poi nel Manifesto/Pdup.
Un secolo, due movimenti è un testo difficile che non tenterò di riassumere, perché
comincia interrogandosi addirittura su cosa sia il comunismo, e poi su cosa sia il
femminismo nel loro rapporto. A spiegarne il senso aiuta la bella introduzione di Maria Luisa
Boccia, che parte dal riconoscimento che sebbene l’incontro fra le due culture e progetti – il
comunismo e il femminismo – resti largamente incompiuto, c’è però oramai una
sedimentazione di pensiero e di esperienza su cui ragionare per capire se siano, o meglio
se possano divenire equivalenti e intrecciati.
NON FOSSE ALTRO che c’è ora in comune una soggettività rivoluzionaria, l’ambizione a
rovesciare il mondo. Sebbene i comunisti abbiano chiaro il loro obbiettivo – cancellare la
classe padronale – e le donne non altrettanto: se venissero cancellati i maschi loro stesse
verrebbero cancellate come donne. Proprio per questo, si potrebbe dire, la rivoluzione delle
donne è più grande e complicata.
La prima parte del libro è dedicata al comunismo, a definirlo in tutte le sue varianti e nelle
sue espressioni storiche, e Rossana, interpellando sé stessa e i suoi interlocutori su di che
razza di comunisti siano mai stati, polemizza con la risposta totalmente negativa di Balibar
(e in parte anche con Althusser), per riaffermare con forza il valore del ’17. L’Unione
Sovietica – dice – va difesa perché sebbene imperfetta è stata la sola realizzazione del
movimento operaio, dopo una rivoluzione mondiale mancata. Ma – conclude – anche se
forse abbiano rimosso il quesito di cosa la rivoluzione d’ottobre, corpo rimasto insepolto, sia
stata, siamo giustificati: «avevamo tante cose da fare, sacrosante e necessarie, noi l’Italia
l’abbiamo cambiata». Resta comunque che neppure quella rivoluzione, come tutte le altre
nei millenni, ha cercato seriamente di superare la ineguaglianza di cui sono vittime le
donne.
UN TEMA, QUESTO, che Rossana Rossanda affronta più specificamente nella seconda
parte del libro. E cui risponde che è così perché comunismo e femminismo non sono in
continuità, non appartengono allo stesso piano, visto che le donne assolutizzano la
differenza, e dunque non si propongono nemmeno di essere egemoni in un progetto
generale, valido per tutta la società. E cioè «di ripensare l’intero groviglio dei problemi del
nostro tempo». Nelle donne rimane un doppio progetto, mai interamente coincidente:
quello che riguarda loro stesse, e quello generale. Un giudizio analogo ma in realtà molto
più netto, perché attributo in riferimento al concreto agire delle donne comuniste nel loro
partito, Rosssana lo aveva dato in due scritti molto precedenti (pubblicati sulla Rivista «Reti
: saperi e pratiche delle donne», uno del 1987 e uno del 1992, riportati in appendice al
volume curato da Polo). Forse anche perché da allora è diventata per lei come per tante di
noi, più importante la problematica femminista di quella comunista, priva ormai come è del
riferimento del suo partito.