Vecchie ideologie, nuove resistenze
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervista di una giovane studentessa alla nostra autrice Lara Ghiglione sul libro “Se il fascismo va di moda”.
Dopo aver letto il libro “Se il fascismo va di moda” ho pensato di andare a Roma per intervistare una delle due autrici, Lara Ghiglione, che lavora nella sede nazionale della Cgil, per rivolgerle qualche domanda su un argomento che conoscevo poco, e mi ha interessato molto.
Prima di tutto grazie, sono contenta di poterla incontrare qui…
Prima di tutto dammi del tu! Siamo donne, anche se con età diverse…
Nel libro parli di situazioni e comportamenti violenti che influiscono sulla quotidianità delle gente. Tu, in prima persona, hai mai avuto a che fare, in maniera più o meno diretta, con questa realità?
Fortunatamente non nel rapporto fisico con le persone, però sono stata vittima di violenza digitale. Questa è una forma di distruzione psicologica che colpisce moltissime persone, soprattutto da quando utilizziamo in maniera così diffusa i social. I cosiddetti discorsi d’odio, le molestie, le violenze verbali e, in questo caso, scritte, si determinano soprattutto riguardo quelle donne che, in qualche maniera, sono più esposte. Nel corso degli anni ci sono state tante donne della politica divenute vittime, in questo caso io sono stata presa di mira in quanto sindacalista. Mi è accaduto quando ero segretaria nazionale della camera del lavoro di La Spezia, dove mi trovavo prima di venire al nazionale. Un uomo, quasi quotidianamente, ha iniziato a scrivermi cose molto violente, ne vorrei citare una per rendere l’idea della gravità delle cose che mi scriveva: “vorrei tagliarti la testa e metterla in un forno”. Questo individuo era politicamente vicino ai movimenti di estrema destra, l’ho ovviamente denunciato alla polizia postale e si è aperto un iter che purtroppo non è finito benissimo: lui se l’è cavata con un rimprovero verbale e nessun ammonimento finendo per diventare un caso archiviato.
Questa vicenda per me è stata dal punto di vista psicologico molto pesante, perché grazie alla costante reperibilità che i social forniscono vivevo con la paura dell’arrivo dei messaggi e con il timore che non si fermasse solo a questi ultimi, magari finendo per trovarmelo nei luoghi che frequentavo.
Mi è successo, anche, un altro aneddoto ugualmente preoccupante dal punto di vista sociale o sociologico.
Me lo puoi raccontare?
Una mia foto è stata condivisa in una pagina di Casa Pound, seguita da una serie di commenti sessisti. Queste due vicende che ti ho raccontato confermano la classica intolleranza espressa dai sostenitori di estrema destra, con comportamenti sessisti e denigratori rivolti alle donne. Sono perfetti esempi che confermano che quello che può migliorare la nostra comunicazione, cioè il mondo dei social e il digitale, può però nascondere anche tanta violenza e intolleranza. In questo ultimo periodo con Vanessa Isoppo stiamo scrivendo un libro sulla violenza digitale di genere, di cui parlavamo. Questo è un problema molto diffuso che quotidianamente rovina la vita di molte giovani ragazze: problema che, vista l’assenza di violenza fisica, viene altamente sottovalutato. Abbiamo, quindi, voluto indagare su questo argomento così tanto tralasciato.
Esistono movimenti di giovani estremisti di destra, come Blocco Studentesco, ma anche altri gruppi coperti, se non nascosti. Ce ne sono di altri, che magari preferiscono non esibire questa loro identità, pur promuovendola?
Assolutamente sì, noi conosciamo le associazioni studentesche che sono più vicine alle due forze di estrema destra, Casa Pound e Forza Nuova, che sono appunto Azione Studentesca e Blocco Studentesco. In realtà poi abbiamo saputo che in molte scuole superiori e negli atenei universitari si presentano anche liste che si candidano alle elezioni studentesche ma non si richiamano in maniera esplicita a quelle forze, quei movimenti e quei partiti. ma comunque condividono tutto un portato valoriale e identitario che si richiama, appunto, all’estrema destra. Quindi c’è anche la necessità di provare a capire, ogni volta, se queste associazioni nate un po’ come funghi hanno questo tipo di portato valoriale.
Molto spesso, infatti, le rivendicazioni dal punto di vista delle politiche studentesche sono molto vicine a quelle delle associazioni di sinistra o, comunque, non di estrema destra. Poi però c’è sempre qualche elemento che lascia emergere anche aspetti di intolleranza: penso per esempio al tema del mettere sempre al primo posto gli italiani e vedere il nemico in chi è diverso, quindi non solo nei migranti ma anche nella comunità LGBTQ+ e nel denigrare il ruolo delle donne nella società e anche all’interno di queste stesse realtà, quasi sempre prettamente dirette da studenti maschi. Da parte delle associazioni democratiche c’è sempre un lavoro di analisi per capire chi si trovano davanti, perché oltre le associazioni che, ribadisco, hanno un nome ben definito e sappiamo dove sono posizionate, poi ce ne sono tante altre che hanno un po’ la parvenza di chiaro-scuro, di grigio…
Non conoscevo questa realtà del brand, di una moda legata all’identità neofascista, così come analizzata nel libro. Come avete lavorato per raccontare questa forma particolare di propaganda, e quanto può influenzare i comportamenti dei più giovani?
Come abbiamo fatto emergere nel libro c’è anche un’estetica legata a queste forme di appartenenza alle associazioni di estrema destra, che si esplicita nell’abbigliamento ma anche in altri aspetti riguardanti la vita dei giovani. Penso, per esempio, alla musica, che dovrebbe essere un modo positivo per socializzare e condividere, o anche ai momenti di aggregazione e socialità che per i giovani avvengono nei locali. Uno dei motivi per il quale abbiamo deciso di fare questo studio è perché nella città dalla quale proveniamo sia io che Vanessa, La Spezia, negli ultimi sette o otto anni sono nati molti locali per giovani gestiti da rappresentati di forze di estrema destra. Luoghi che diventano, appunto, contesti di socializzazione ma che poi si trasformano in militanza. Noi, quindi, volevamo capire come nasce questo percorso e da quali fattori è determinato.
Un altro elemento di condivisione e socializzazione è lo sport. Non è il caso di La Spezia, ma in molte cittadine italiane ci sono anche palestre gestite da queste associazioni. Sappiamo che nel fascismo originale il fisico, il corpo e lo sport erano elementi identitari forti e ritornano, anche ora, ad esserlo. Quindi, capire quali siano i veicoli, le modalità con le quali questi giovani si incontrano e vengono reclutati è fondamentale per comprendere come rispondere a questa emergenza.
Date le tematiche un po’ delicate e complesse trattate nel libro, hai incontrato delle critiche o delle reazioni negative?
Purtroppo devo dirti che si pensa sempre che il tema del contrasto a tutte le forme di tolleranza di fascismo o di neofascismo (in questo caso) siano per forza connotati da un’appartenenza a valori e ideologie di partiti di sinistra. E questa è un’evoluzione preoccupante e sbagliata, perché in realtà la nostra Carta costituzionale e i valori che esprime non sono di uno schieramento partitico e politico particolare: la Costituzione è stata scritta sostanzialmente da tutti i partiti che sono ed erano presenti all’interno del parlamento.
Per essere democratici non è necessario essere donne o uomini di sinistra. Io spero che anche chi si rivede e dà il suo voto a partiti di centro ma anche di destra si definisca donna o uomo democratico, perché il fascismo è un’altra cosa! Questo esce fuori dagli schieramenti partitici anzi, secondo la nostra Costituzione le forze che richiamano al neofascismo dovrebbero essere sciolte, non dovrebbero esistere. Le polemiche che nascono anche rispetto a un’analisi criminologica, sociologica come quella che abbiamo fatto io e Vanessa dovrebbero tener conto di questo aspetto.
In realtà, quello che noi percepiamo è che ci sia un po’ di pudore nel presentare il nostro libro nelle scuole. Quando lo abbiamo presentato alla Fiera della Piccola e Media editoria di Roma “Più Libri più Liberi” abbiamo trovato un grande interesse da parte di moltissimi insegnanti presenti, e molti di loro ci avevano, infatti, chiesto i contatti per poter presentare il libro in classe. Solo dopo ci siamo rese conto che probabilmente c’erano state delle difficoltà con i vari consigli di istituto o con il collegio docenti, perché c’è proprio questo voler connotare l’antifascismo come qualcosa che appartiene alla sinistra, quindi qualcosa di politico non ammesso nelle scuole. Questo è un approccio che io ritengo sbagliato e pericoloso.
Nel libro hai spiegato la visione di un ragazzo, Leonardo, sulla possibile soluzione di questo problema che circola tra i giovani. Tu cosa ne pensi? Cosa faresti per evitare che i ragazzi vengano coinvolti in questo genere di militanza?
Io credo che questa militanza nasca non perché i giovani siano “sbagliati, brutti e cattivi”: anzi tutt’altro, penso che noi dovremmo evitare di dare una valutazione rispetto al loro comportamento e provare a capire, interrogandoci, sul perché accadano certe cose. Queste forze si presentano come antisistema, cioè mettono in discussione il sistema, il paese, la gestione politica, sociale ed economica.
In questo momento i giovani del nostro paese hanno poche prospettive: sono descritti come fannulloni, molti di loro rinuncino a lavorare o studiare:, insomma, c’è un forte disagio sociale generale. I ragazzi e le ragazze hanno delle ambizioni e la voglia di realizzarsi in certi campi, ma oggi vedono tutto questo come qualcosa di irraggiungibile. D’altronde moltissimi ragazzi e ragazze che si laureano sono costretti ad andarsene dall’Italia. Io penso che il modo migliore per garantire la tenuta democratica del nostro paese, a partire dai giovani, sia proprio quello di dare risposte a quelle che sono le loro necessità. Questi ragazzi hanno i loro bisogni di socializzazione, il diritto di pensare al futuro e al modo di realizzarsi. Sia per le ragazze che per i ragazzi, preciso questa cosa perché penso che questo Paese offra poco a tutti ma in particolare alle donne; un tema importante è quindi la discriminazione che colpisce le ragazze.
Quindi noi dobbiamo promuovere il fatto che a tutti deve essere data la possibilità di studiare, di inserirsi, di avere un lavoro gratificante e ben retribuito, di non sentirsi sfruttati. Dovremmo, anche, pensare a un nuovo modo di organizzare il lavoro, che non diventi totalizzante e che lasci spazio alle persone per godere del bello (come della cultura del paese), avere spazio di vita. Se non pensiamo a questo non sapremo mai tutelare l’ambiente. Con questa prerogativa di veder finire il pianeta tra cinquanta, sessanta, settant’anni per un tema di carattere ambientale, un giovane che pensa di non poter avere futuro lavorativo, sa che il pianeta da un punto di vista ambientale è in una crisi senza precedenti: d’altronde, c’è una guerra alle porte dell’Europa… Evidente è la disillusione, la preoccupazione, e noi l’unica cosa che possiamo fare, anziché giudicare i giovani, dovrebbe essere accompagnarli in un percorso con risposte a questi enormi temi. Se così non faremo, queste forze antisistema che individuano un nemico a tutti i tuoi disagi rischieranno di attecchire sempre di più. Questo ritengo sia assolutamente fondamentale!
M.P.