Curare (e curarsi) con la letteratura
Intervista a Laura Marzi, autrice per Futura editrice di “Raccontare la cura. Letteratura e realtà a confronto”, libro che indaga un terreno complesso e scivoloso attraverso l’analisi di un romanzo del Premio Nobel J. M. Coetzee.
Il libro “Raccontare la cura” ha una genesi piuttosto originale. Possiamo provare a descriverla?
Sono partita dalla letteratura, non soltanto in quanto disciplina a cui mi dedico, ma perché ti permette di indagare e conoscere dinamiche anche di natura privata, particolarmente complesse, o di potere. Tanti sociologi lo hanno fatto, penso a Pierre Bordieu, o a Edward Said, studiosi che hanno utilizzato la letteratura come strumento d’indagine fondamentale, per guardare ciò che il potere tende a nascondere. La letteratura può apparire ingenua, si pone dicendo “ti racconto una storia, in fondo che male può fare?”
Come si coniuga tutto questo con il tema della cura?
Ho lavorato attraverso la letteratura sulla cura, anzi sul lavoro di cura, considerandolo come una componente della nostra società, della nostra vita privata, che ci sfugge di mano. Penso a donne che si sono occupate di noi e poi sono scomparse dalla nostra vita, ma alle quali dobbiamo la nostra sopravvivenza, donne che si prendono cura della malattia, del fenomeno dell’invecchiamento. Persone indispensabili che vengono rimosse.
Da dove arriva la scelta di un libro in particolare, “Slow man” di John M. Coetzee?
Secondo me “Slow man” permette meglio di altri libri la costruzione di un gioco letterario, vale a dire mettere insieme questa corrispondenza, questa unione tra letteratura e cura non solo in modo analitico, rappresentandola nel corpo dello stesso romanzo, dove una delle protagoniste, Elizabeth Costello, viene messa in scena in scena in quanto scrittrice, insieme alla lavoratrice di cura Marijana; e poi c’è Paul, l’assistito. Ma la ragione principale è che nel romanzo dell’autore sudafricano Premio Nobel non viene alterata la realtà. Marijana non è un’eroina, e le dinamiche di discriminazione e invisibilità della personaggia (utilizzo questo termine perché attestato dal libro “l’invenzione delle personagge” curato da Roberta Mazzanti, Silvia Neonato e Bia Sarasini) vengono rappresentate esattamente così come sono nella realtà.
Qual è stato sinora il riscontro dei lettori?
Per adesso abbiamo fatto una presentazione a Roma, ed è interessante come a partire dal libro si sviluppino molti dibattiti sulla cura. Si tratta di un tema scivoloso, a volte di rischia di considerarla una morale dei buoni sentimenti, mentre la cura è tutt’altro, almeno nella mia prospettiva. Perché si tratta di un lavoro svolto da donne immigrate e povere, sottoposte a varie discriminazioni sociali che, purtroppo, ruotano intorno a loro. Quello che noto è un grande interesse di carattere generale, una curiosità della messa in discussione dell’eroismo che i lettori riscontrano nel libro, laddove viene contrapposta un’altra narrazione a quella consueta, concentrata tutta intorno alla figura dell’eroe, all’uomo che compie la sua impresa sprezzante della morte in totale solitudine, mentre in questo libro si propone “l’eroinismo”, che mette in discussione l’eroismo in quanto tale, sostituendolo con le azioni compiute per il mantenimento della vita, e dello stare insieme. Che poi dovrebbe essere la linfa vitale di ciascuna delle nostre esistenze.