• L’inesorabile incedere dell’economia globale e l’esplosione di veri drammi sociali come quello greco, ci costringono a riconsiderare il nostro progetto di Unione nonché il suo processo di integrazione e le sue modalità. Posto che l’Europa non può che essere dei popoli, viene da sé quanto il mondo intermedio abbia un compito imprescindibile davanti a sé: i corpi intermedi sono infatti attori fondamentali nel rapporto-processo che va dalla persona alle istituzioni. In una società duramente e strutturalmente colpita dal problema occupazionale, il sindacato è chiaramente un interlocutore privilegiato: il lavoro è, infatti, quella necessaria «cerniera» che tiene insieme società civile e istituzioni, senza la quale la democrazia fatica a mantenere stabilità. L’ondata di populismo e di anti-politica che, in Italia come in Europa, da qualche anno domina la scena, è un fatto significativo che rappresenta un’avvisaglia da non sottovalutare e che, nelle sue espressioni più estreme, delegittima anche il sindacato. Certo, il sindacato presenta colpevolmente dei ritardi che oggi vanno superati; la politica ha assunto un atteggiamento nuovo nei confronti del sindacato e ne ha messo a nudo i problemi. Il suo rigenerarsi, nonché il suo riproporsi, paiono oggi necessità fondamentali per la tenuta del sistema. A questo punto le possibilità sono due: o il sindacato si riposiziona in modo deciso e in grado di interloquire nel merito con la politica, o questa avrà praterie davanti a sé e farà quello che vuole. È questo il rischio della deriva statalista del nuovo corso politico.
  • Il saggio ricostruisce i caratteri e la trasformazione del modello organizzativo della Cgil a partire dalle sue origini passando attraverso lo spartiacque degli anni cinquanta in cui si dà avvio alla costruzione del «sindacato moderno». In particolare, l’Autore, all’interno di una comparazione più ampia con i modelli europei, si sofferma sulla centralità che nell’Italia del dopoguerra ha rivestito il sindacalismo industriale.
  • Il saggio, completando una riflessione già avviata sulla Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale (n. 1/2015), individua gli ambiti entro cui il legislatore potrebbe sostenere una nuova contrattazione collettiva a livello territoriale. Segnala poi le debolezze delle esperienze pregresse di contrattazione territoriale, mettendo in luce come il bilanciamento tra regole universalistiche e adeguate normative di contesto potrebbe essere fortemente agevolato da un’accorta legislazione sul sistema di rappresentanza collettiva.
  • La contrattazione collettiva territoriale presenta aspetti nuovi, oltre il tradizionale sistema di relazioni industriali. Così è per i contratti di distretto industriale o di bacino produttivo nati dal basso con lo scopo di ricondurre a unità situazioni diverse entro un progetto di sviluppo locale. Ci sono poi i patti di sviluppo intersettoriali e la concertazione sociale con le istituzioni pubbliche. Il bilancio delle esperienze è positivo per i contratti di distretto; è invece problematico per gli altri dove prevale la grande frammentazione degli interventi e l’assenza di progettazione. Di qui la necessità di una nuova strumentazione e di nuovo insediamento del sindacato nel territorio.
  • L’attività negoziale del sindacato italiano si è confrontata a partire dal dopoguerra con i temi del welfare e della protezione sociale. A partire dagli anni settanta del Novecento tali iniziative si sono articolate nel rapporto tra livello nazionale e locale, tra diritti sociali e società civile. La «contrattazione sociale» si è posta in relazione con l’evoluzione del sindacato in una sua fase cruciale (tra 1989 e 1991, sotto la guida di Bruno Trentin) ed è stata influenzata dall’evoluzione istituzionale, amministrativa e delle politiche sociali degli anni novanta. Gli attuali anni di crisi economica chiamano la contrattazione sociale a nuovi sviluppi: verso i temi della giustizia sociale e della povertà, l’incontro con la contrattazione collettiva, un welfare partecipato, la riforma della pubblica amministrazione, oltre a sfidare lo stesso sindacato sui temi dell’organizzazione e della rappresentanza.
  • Il contributo contiene i risultati di una ricerca empirica sull’andamento della contrattazione collettiva territoriale e della concertazione sociale nella Regione Campania che è stata condotta in due tempi. Dapprima con l’analisi del dato statistico che ha evidenziato un’attività di contrattazione collettiva sul territorio alquanto modesta incentrata sulla detassazione del salario di produttività e una concertazione sociale di livello regionale e subregionale più significativa nell’ambito delle politiche del lavoro giovanili e in alcuni settori del welfare. L’indagine è proseguita nel dialogo con alcuni rappresentanti dei rispettivi organi associativi, sindacale e datoriale le cui posizioni sono riportate nell’ultima parte dello scritto.
  • L’articolo analizza la dimensione territoriale della Sozialpartnerschaft trentina. In particolare, si delineano i caratteri del collegamento tra concertazione territoriale e sviluppo della contrattazione decentrata, a partire dagli anni settanta fino ai più recenti interventi. Come rilievi conclusivi, vengono svolte alcune considerazioni sugli sviluppi attuali della contrattazione bilaterale (e non solo) su impulso della concertazione territoriale trilaterale.
  • L’articolo analizza le politiche per il sostegno alla competitività e all’inclusione sociale del distretto industriale di Prato. Sono stati quindi descritti, con particolare attenzione al ruolo del sindacato, la genesi, le caratteristiche e i risultati di tre interventi promossi dalla Regione Toscana. Il panorama che emerge è tuttavia ambiguo. Nonostante l’innovatività delle soluzioni proposte, che rendono il distretto un laboratorio di rilevanza non soltanto regionale, i risultati non mostrano infatti significativi avanzamenti.