• La regolazione dello sviluppo a livello decentrato agevola la competitività delle imprese grazie ai beni collettivi e alle reti di collaborazione tra gli attori locali con interventi che tendono a collegare i segmenti più dinamici del settore pubblico e di quello privato. Questo processo richiede meccanismi di apprendimento in grado di attivare potenziali cambiamenti a livello decentrato – promuovendo il lavoro e valorizzando la dimensione territoriale – e l’attuazione di strumenti di policy per incentivare una cooperazione caratterizzata da alta tecnologia e da dinamiche innovative. L’articolo si concentra sulle competenze per lo sviluppo locale e la valorizzazione delle professionalità emergenti nei contesti di cambiamento organizzativo.
  • I beni comuni

    12.00 
    Quello di «beni comuni» è un concetto troppo spesso utilizzato, nella più recente letteratura scientifica come nel dibattito pubblico, in maniera impropria, quasi fosse una sorta di contenitore da riempire di volta in volta con significati diversi se non opposti. L’obiettivo del libro è dunque quello di chiarire il senso e il contenuto di questa categoria attraverso un’analisi storica e comparativa, da cui fare emergere la pluralità di usi e di interessi che hanno caratterizzato questa tipologia di beni nel tempo e nello spazio. Intorno ad essa sembra infatti emergere una certa «urgenza scientifica» imposta dall’attualità: basti pensare alle più recenti proposte di riforma del codice civile e alle trasformazioni del regime giuridico dei servizi pubblici locali, la cui disciplina, che prevedeva il conferimento della gestione in via ordinaria ai privati, è stata investita dal successo del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 e dalla campagna sul tema dell’acqua «bene comune».
  • Con la crisi finanziaria in atto, in Europa il tema delle risorse è sempre più al centro del dibattito pubblico: la percezione diffusa è che, da sola, la democrazia rappresentativa non sia capace di far fronte alle nuove sfide. In questo panorama, l’espressione «bilancio partecipativo» offre un ancoraggio alla speranza. Che cambiamenti promette questa utopia concreta? Quali metodi suggerisce per affrontare collettivamente alcuni mali del nostro tempo? Per rispondere, il libro presenta una sintesi della prima ricerca comparativa condotta nel vecchio continente sui bilanci partecipativi. Approfondisce una cinquantina di esperienze e amplia l’orizzonte ad oltre 150 pratiche sviluppatesi dall’inizio del millennio. Alla base della ricerca c’è un’ipotesi forte: le esperienze analizzate dimostrano che, affinché i servizi pubblici possano superare la ristrettezza delle logiche di mercato, essi devono mettersi davvero al servizio del pubblico. La sfida cruciale sta dunque nel capire come la modernizzazione amministrativa e la partecipazione possano procedere insieme. Con la collaborazione di Carsten Herzberg e Anja Röcke.
  • L’articolo ripercorre i cambiamenti nel mercato del lavoro italiano, a partire dalla fine degli anni ’60, dalla formazione della nuova classe operaia e delle sue conquiste. Esamina l’evoluzione dei fenomeni della partecipazione al mercato del lavoro e della disoccupazione, evidenziando le molteplici differenze (generazionali, di genere, territoriali) che caratterizzano il nostro paese. Fino agli anni più recenti, quelli della precarietà e del riesplodere della disoccupazione giovanile, che trova una delle sue espressioni più evidenti nel Mezzogiorno.
  • Il paper intende fornire un contributo al dibattito sui processi che hanno maggiormente influito sui cambiamenti del lavoro, segnatamente quelli che riguardano i cambiamenti professionali. Lo scopo è di fornire elementi utili, che possono poi essere ulteriormente approfonditi, per rafforzare o alimentare perplessità, su alcune delle affermazioni oggi più diffuse sui cambiamenti professionali in atto, che sono riassumibili nella cosiddetta transizione “dal fordismo al post-fordismo”
  • La Campania, come le altre regioni italiane - e in particolare quelle del sud -, ha conosciuto due grandi esperienze migratorie verso l’estero, la cosiddetta «grande emigrazione», a cavallo tra la fine del XIX secolo e il primo ventennio del XX, con una battuta d’arresto nel ritmo di deflusso migratorio con lo scoppio della prima guerra mondiale, e l’emigrazione del secondo dopoguerra, stimolata, soprattutto, dalla domanda di manodopera proveniente dai paesi latinoamericani (Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela, in particolare) e dai paesi del Nord-Europa. L’emigrazione campana nel corso degli anni cinquanta cambia sostanzialmente la sua direzionalità, in quanto, da una parte, si affievoliscono progressivamente i flussi verso l’America meridionale e, dall’altra, crescono di molto quelli diretti verso l’Europa settentrionale. La ricerca affronta queste problematiche ricostruendo il quadro conoscitivo di sfondo entro il quale si sono sviluppate le migrazioni in generale, e quelle campane in particolare, e come queste si sono insediate nei rispettivi paesi di emigrazione. L’attenzione si focalizza altresì sulle associazioni e sulle modalità che ne caratterizzano la gestione politico-culturale, offrendo dati e informazioni inedite.
  • Le politiche di prevenzione e contrasto alla violenza sulle donne sono definite, oltre che dalle disposizioni nazionali, anche da quelle regionali. A partire da una breve ricostruzione storica e normativa riguardante lo sviluppo del ruolo dei centri antiviolenza in Italia, il contributo analizzerà i contesti regionali e delle province autonome, al fine di esplorare i differenti assetti territoriali. L’articolo, ricostruendo la cornice formale entro cui si situa l’azione dei servizi, e approfondendo alcune dimensioni riguardanti l’inquadramento e il ruolo attribuito ai centri antiviolenza (Cav) a livello locale, propone una riflessione sul riconoscimento o meno delle loro peculiarità e sollecita la necessità di riconoscere le politiche antiviolenza come specifiche.
  • La presente pubblicazione, realizzata grazie al progetto del Segretariato per l’Europa della CGIL, «Per un sistema di informazione e consultazione dei CAE basato su una comune cultura negoziale» sostenuto dalla Commissione Europea, rappresenta una guida utile per i delegati dei Comitati aziendali europei, soprattutto dopo l’adozione della Direttiva di rifusione 2009/38 riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo, che deve essere recepita nell’ordinamento nazionale entro il 6 giugno 2011. Il progetto ha contribuito a migliorare la preparazione dei delegati CAE, analizzando il legame tra l’esercizio dei diritti di informazione e consultazione e la conoscenza di tali diritti, condizione indispensabile per una partecipazione attiva. Il volume rende evidente l’importanza strategica della cultura europea del dialogo sociale per un più efficace utilizzo dell’informazione acquisita da parte dei lavoratori, nella fase della consultazione con le imprese, proprio in funzione di quello «spirito costruttivo» su cui deve basarsi il rapporto tra CAE e Direzione dell’impresa. Dal progetto viene altresì la conferma che i Comitati aziendali europei sono divenuti nel corso degli anni uno strumento essenziale del confronto con le imprese e i gruppi di imprese transnazionali e che essi, in un contesto di globalizzazione crescente, devono essere sempre più coinvolti nell’anticipazione del cambiamento nelle imprese, al fine di prevenire o limitare le negative conseguenze dei processi di ristrutturazione.