• Fino a pochissimo tempo fa, la leadership imprenditoriale e politica europea non reputava necessario introdurre qualsivoglia forma di coordinamento delle relazioni industriali a li- vello Ue. Tuttavia, nel novembre 2011 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato un nuovo sistema di governance economica europea che rende le politiche sul lavoro degli Stati membri passibili di procedure multilaterali di sorveglianza. Il saggio esamina questa «rivoluzione silenziosa» dall’alto e valuta in che modo il mondo del lavoro organizzato ha risposto a questa sfida. Il testo spiega come il nuovo sistema di governance non segua il clas- sico modello di Stato federale, ma riproduca piuttosto le strutture di governance delle im- prese multinazionali, che controllano le loro filiali locali mettendole l’una contro l’altra e o- perando raffronti coercitivi. La difficoltà dei sindacati e dei movimenti sociali europei a po- liticizzare la governance economica europea trova allora migliore spiegazione nella capacità del nuovo sistema sovranazionale Ue di nazionalizzare i conflitti sociali.
  • Dieci anni fa, a Vienna, nasceva la Confederazione internazionale dei sindacati (Csi), dal- la fusione delle precedenti Cisl internazionale e Cmt. Pochi mesi dopo cominciava la grande crisi globale, che tuttora attanaglia l’economia mondiale, con il suo portato di disoccupazio- ne, diseguaglianze, ulteriore spinta a politiche neoliberiste contrarie ai diritti sociali e del lavoro. Come ha operato, in questi dieci anni, la Csi? Il presente lavoro – suddiviso in due parti – cerca di dare una panoramica dell’azione della Csi, soprattutto nei confronti delle istituzioni internazionali e della «leadership» globale, facendo la cronaca delle sue posizioni e dei suoi rapporti verso Ilo, G8-G20, Fmi e Banca mondiale, Ocse, Omc.
  • Fra le ricette che compongono la nuova governance economica europea, la revisione dei sistemi contrattuali ricopre un ruolo di forte preminenza. Grazie a essa, è l’assunto, i paesi più colpiti dalla crisi potrebbero recuperare quote di competitività, agendo sulla leva dei prezzi, e dunque dei costi del lavoro. Nella severa cornice dei Trattati, e sotto la vigile regia del Semestre europeo, le istituzioni europee hanno letteralmente dettato l’elenco delle riforme da adottarsi in tema di lavoro e relazioni industriali. L’obiettivo è quello di dotare le aziende della facoltà di determinare flessibilmente le condizioni salariali e di lavoro dei propri dipendenti. Ciò ha richiesto l’allentamento della tradizionale gerarchia delle fonti, ampliando le prerogative del contratto aziendale, congelando le procedure di estensione erga omnes e/o i salari minimi legali, dove vigenti, bloccando la contrattazione del settore pubblico. Fra i paesi che più hanno patito il combinato disposto di queste misure vi sono Spagna, Portogallo e Italia, storicamente accomunati da certo grado di coordinamento della contrattazione, e oggi costretti a fare i conti con una spinta al decentramento, inedita anche per il carattere unilaterale e non concertato dell’interventismo pubblico. L’articolo ne ricostruisce tappe, contenuti e criticità, rilevandone analogie e divergenze, sotto il profilo dei risultati e del diverso rapporto fra Stato e autonomia collettiva.
  • Agli inizi degli anni duemila ci si attendeva che il regime di governance associato alla moneta unica potesse «salvare l’Italia» costringendo gli attori economici e la classe politica a ristrutturarsi e a cambiare. A distanza di 15 anni è opportuno prendere atto che tali aspettative non si sono realizzate e interrogarsi lucidamente sul da farsi. Non solo l’adesione ai vincoli europei non ha salvato l’Italia, ma ha contribuito probabilmente (per quanto la pro- va controfattuale non sia disponibile) alla sua stagnazione. I sindacati e le associazioni imprenditoriali farebbero bene a rendersi conto che un sistema istituzionalizzato di relazioni industriali è difficilmente compatibile con l’imperativo di «svalutazione interna» – l’unico meccanismo di aggiustamento dell’eurozona – e che piani alternativi di distribuzione più equa dei costi dell’aggiustamento tra paesi forti e paesi deboli sono politicamente poco probabili.
  • La possibilità di applicazione dei contratti collettivi coordinati multi-employer, caposaldo della regolamentazione del mercato del lavoro nei paesi dell’Europa occidentale, è stata ulteriormente indebolita con l’avvento della crisi. La spinta continua al decentra- mento aveva già nel tempo ridotto la capacità degli accordi di settore di definire stan- dard universali applicabili a livello aziendale. I meccanismi procedurali di articolazio- ne tra i due livelli di contrattazione sono, infatti, divenuti progressivamente più deboli e incerti. Con l’avvento della crisi, nei paesi dell’Europa settentrionale questo processo si è spinto ulteriormente avanti; nell’Europa meridionale è invece in corso un vero e pro- prio attacco – sostenuto dalle istituzioni europee – nei confronti degli accordi di contrattazione multi-employer. Le misure di rafforzamento della governance economica europea indotte dalla crisi rendono più urgente la necessità di un coordinamento transnazionale della contrattazione; tuttavia l’indebolimento delle capacità di coordinamento effettivo dei sistemi nazionali di contrattazione indebolisce questa prospettiva.
  • Questo articolo si basa su quattro argomentazioni. In primo luogo la contrattazione collettiva è in grado di mitigare gli effetti negativi generati dalla volatilità del mercato e dal processo di adattamento alle sue regole, attraverso la definizione di intese che garantiscono certezza sostanziale e procedurale sia ai lavoratori sia ai datori di lavoro, e una maggiore sicurezza ai lavoratori. In secondo luogo le intese contrattuali multi-employer sono più idonee a svolgere questa funzione rispetto a quelle single-employer. In terzo luogo vi sono differenze istituzionali fra le intese contrattuali multi-employer relative alla governance della contrattazione aziendale che influenzano in misura notevole la loro capacità di promuovere certezza e sicurezza del lavoro. In quarto luogo la pressione dovuta alla crisi sta accelerando l’adattamento al mercato della contrattazione collettiva multi-employer, con effetti potenzialmente dannosi sulla sua capacità di attenuare le spinte negative.