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Mobilità dei redditi e vulnerabilità dei nuclei familiari in Europa e in Italia
L’articolo presenta l’analisi della mobilità dei redditi disponibili e di mercato in quattro paesi europei (Italia, Francia, Germania e Danimarca) nei quadrienni precedente e successivo alla crisi economica del 2008. Obiettivo dello studio è proporre una misura per risolvere la discordanza esistente tra i risultati delle classiche misure di disuguaglianza, non aumentate dopo la crisi, e gli indici di percezione delle condizioni di vita, che al contrario registrano un forte peggioramento. A tale scopo, si analizza se la mobilità intra-generazionale sia uno strumento più accurato e sensibile, rispetto alle misure tradizionali di disuguaglianza, a rilevare la volatilità dei redditi e la vulnerabilità familiare, intesa come maggiore insicurezza nelle disponibilità familiari rispetto al passato. L’analisi evidenzia come, mentre il macro-confronto tra paesi europei non rivela una sostanziale modifica nella struttura complessiva della mobilità dopo la crisi, lo studio disaggregato per regioni italiane suggerisce un aumento nella volatilità dei redditi delle famiglie meridionali a basso reddito, validando l’opportunità di utilizzare gli indicatori di mobilità quale indice di vulnerabilità delle fasce più basse del reddito.
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La ricchezza delle famiglie italiane: distribuzione e tendenze
Attraverso l’indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia, l’articolo analizza l’andamento della ricchezza in Italia dal 1991 al 2014. Si valuterà inoltre in che dimensione la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza è associata a fattori quali differenze nel livello di reddito familiare permanente oppure quanto è forte il peso dell’eredità nel determinare gli esiti distributivi
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Universali o categoriali? Le nuove politiche contro la povertà e il nodo del target
L’articolo propone un esame critico delle recenti politiche contro la povertà in Italia e dei loro possibili sviluppi. Dopo aver sintetizzato le tendenze del fenomeno dell’indigenza durante la recessione iniziata nel 2008, ci si sofferma sull’evoluzione delle politiche e ci si concentra sugli atti compiuti dal Governo Renzi, con particolare riferimento alla presentazione di un disegno di legge delega in materia di povertà. Successivamente viene esaminata la platea dei beneficiari del Sostegno per l’inclusione attiva (Sia), prestazione transitoria in attesa dell’introduzione del Reddito d’inclusione (Rei) previsto dalla delega. Il target di utenza del Rei non è stato – al momento di scrivere – definito. Il contributo presenta infine, pertanto, una discussione dei possibili profili della platea interessata dalla nuova misura, per verificare, nelle varie alternative, la distanza rispetto all’obiettivo di un intervento universalistico contro la povertà assoluta.
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Una riforma del sistema di imposte e benefici per persone e famiglie
Sulla base di un insoddisfacente sistema italiano tax benefit (contributi sociali, Irpef, addizionali, assegni e bonus) è stata qui proposta una riforma con l’obiettivo di aliquote gradualmente e regolarmente crescenti, un sostegno per i nuclei poveri o con figli, un’azione redistributiva efficace con cuneo fiscale ridotto a bassi redditi. I risultati sembrano mostrare un raggiungimento degli obiettivi, con una riduzione della concentrazione dei redditi, della povertà e del cuneo fiscale, e un incremento del supporto monetario per la cura dei figli.
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L’efficacia della formazione nella prevenzione della corruzione
L’articolo presenta una esperienza formativa nell’ambito di un progetto sulla prevenzione della corruzione nel Servizio sanitario nazionale italiano, al fine di identificare le modalità formative più efficaci. L’esperienza nell’ambito del progetto Illuminiamo la salute ha evidenziato diversi elementi per un efficace programma di formazione in questo settore. Il primo è la centralità del sistema di valori alla base dell’attività formativa degli operatori sanitari. Un altro elemento è la partecipazione attiva degli operatori nel processo di formazione, chiamati a trovare soluzioni all’interno dell’ambiente in cui si sono verificati i problemi. Un altro è la decostruzione di quegli elementi consolidati che impediscono la visione di nuove soluzioni. Un ultimo elemento riguarda la progettazione di esperienze mirate al cambiamento e al miglioramento delle organizzazioni del Servizio sanitario, attraverso la discussione di esperienze e di casi studio dei partecipanti.
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Perché occorre prendere sul serio il diritto al reddito
L’articolo presenta alcune riflessioni sul tema del diritto al reddito a partire dal libro Il reddito di base di Granaglia e Bolzoni (2016). La principale argomentazione esposta è che non vi è sufficiente attenzione al tema del diritto al reddito, che invece, al pari di altri, andrebbe inteso come un diritto di cittadinanza. La prima parte è dedicata a una analisi delle possibili ragioni che determinano questa sottovalutazione, sia sul piano concettuale che su quello politico. La seconda parte dell’articolo si concentra invece sui due principali strumenti di policy che potrebbero garantire tale diritto: il reddito di cittadinanza e il reddito minimo. In particolare vengono illustrate le ragioni che potrebbero giustificare l’istituzione di un reddito di cittadinanza globale e, nell’ultima parte dell’articolo, i limiti delle attuali politiche di reddito minimo europee e i principali nodi aperti nella loro attuazione concreta.
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Le virtù del reddito di base
Il dibattito intorno alla crisi economica e alle sue conseguenze ha messo in luce le debolezze strutturali di alcuni sistemi di protezione sociale europei. Tra gli altri, il caso italiano si caratterizza per l’assenza di un reddito di ultima istanza (o reddito di base) che possa svolgere una funzione essenziale di ammortizzatore sociale automatico in tempi di crisi. A partire dal volume Il reddito di base (Granaglia e Bolzoni, 2016), l’articolo discute l’importanza di un tale strumento, e in modo particolare del «reddito di cittadinanza», considerandolo come una misura di grande rilevanza per poter rispondere in modo equo ed efficace la duplice sfida rappresentata dalla crisi economica e dalla trasformazione del mondo del lavoro nei paesi europei.
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Le politiche educative in Italia
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L’alternanza e la transizione scuola-lavoro in Italia: sulle tracce di un cambiamento in atto?
Nel corso degli ultimi anni la questione della disoccupazione giovanile ha assunto una rilevanza sempre più crescente a fronte del persistere della recessione economica. In tale quadro, l’Italia presenta tradizionalmente un modello «sotto-protetto» nella transizione dei giovani nel mercato del lavoro, in cui uno degli elementi principali riguarda l’assenza di integrazione fra scuola e lavoro. A partire da queste premesse, l’articolo si focalizza su due recenti iniziative di integrazione scuola-lavoro implementate a livello di sistema educativo (l’alternanza scuola-lavoro nella scuola secondaria e gli istituti tecnici superiori nella formazione terziaria), al fine di favorire l’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Rispetto a questo fenomeno, i dati empirici mostrano un quadro di diffusione crescente seppur, tuttavia, con elementi di criticità che riguardano una certa differenziazione territoriale e il debole coinvolgimento (anche in termini finanziari) delle imprese. Inoltre, un rischio potenziale è quello di un impatto limitato di questi programmi nel favorire l’occupazione giovanile, in un contesto in cui i nodi strutturali di fondo dell’economia italiana rimangono intatti.
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Apprendistato: la difficile via italiana alla transizione scuola-lavoro
Nel 2015 il d.lgs. n. 81 – uno degli otto decreti attuativi della legge delega 183/2014 nota come Jobs Act – riscrive, ancora una volta e in maniera significativa, le regole dell’apprendistato istituito in Italia nel 1955. Ma per quanti aggiustamenti e provvedimenti siano stati emanati fino a oggi in Italia, l’apprendistato rimane uno strumento di inserimento scarsamente efficace, che non ha raggiunto obiettivi soddisfacenti in termini di occupazione. Nell’articolo si illustra attraverso quali e quanti cambiamenti normativi si è proceduto nel corso degli anni, per individuare quali elementi hanno impedito finora che esso diventasse lo strumento incisivo per migliorare l’incontro fra la domanda e l’offerta di lavoro giovanile in Italia: da un complicato assetto normativo all’assenza di raccordo fra standard professionali e standard formativi, dalla debolezza di un sistema di validazione degli apprendimenti non formali a un debole coinvolgimento delle parti sociali e delle imprese stesse, fino alla mancanza di una certificazione delle competenze. Eppure un buon sistema di apprendistato potrebbe garantire ai giovani le competenze necessarie per entrare nel mercato del lavoro e agli imprenditori la manodopera qualificata adeguata ai fabbisogni aziendali di cui risultano continuamente alla ricerca. L’ultimo intervento in materia di apprendistato dichiara nelle intenzioni di volere affrontare alcuni di questi nodi problematici.
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Classe sociale di origine e abbandoni universitari in Italia durante la Grande Recessione
Il sistema universitario italiano è stato caratterizzato per un lungo periodo da elevati tassi di mancato completamento degli studi, anche se i dati aggregati mostrano una lieve riduzione degli abbandoni negli ultimi anni. La più diretta spiegazione teorica di questo fenomeno chiama in causa la riduzione dei «costi opportunità» dello studio conseguente alla crisi, ma rischia di essere fuorviante. In questo articolo, tramite l’applicazione di tecniche di decomposizione a un campione di studenti universitari iscritti in differenti anni accademici, si mostra come il «miglioramento» del background familiare degli studenti abbia giocato un ruolo fondamentale nella recente riduzione del tasso di abbandono degli studi.
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