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Il testo offre uno schema di riferimento basato sia sulle tendenze puramente demografiche sia sull’evoluzione dei comportamenti, nei confronti della partecipazione al mercato del lavoro, delle principali categorie della popolazione in età lavorativa in modo da poter mettere analizzare in questa cornice alcuni dei contenuti del Piano della Cgil
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Il commento di Giorgio Benvenuto alla luce di un’articolazione dell’azione sindacale che non può essere solo la tutela dell’esistente, ma deve essere capace di immaginare quel che non esiste ancora, ma che esisterà: le riforme.
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Un contributo alla riflessione su una ripresa del sviluppo economico e sociale intensa e duratura in cui la collaborazione cognitiva alla gestione delle aziende e la stabilità occupazionale a essa conseguente possono aprire la strada a una nuova fase di progresso economico e sociale.
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Il commento di Mazzanti e Pini si concentra su una questione di carattere generale ovvero su come si colloca un piano per il lavoro in questa Europa o nell’Europa che vogliamo e, nello specifico, sul ruolo della green economy e sulla questione del salario e della contrattazione sul salario.
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Per un Nuovo Piano del Lavoro, testo integrale.
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Una concisa antologia che racchiude alcuni esempi della riflessione collettiva sulla quota di ricchezza devoluta ai salari, specie per ciò che concerne l’applicabilità del salario minimo europeo e l’idea, particolarmente discussa nell’area vicina al Labour britannico, della pre-distribution.
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Il testo definitivo dell’Accordo sulla produttività del 21 novembre 2012 induce preoccupazione e sconforto per quello che dice e per quello che non dice. La tesi che si sostiene è che il testo non costituisce un passo avanti nelle relazioni industriali in tema di modello di regolazione del legame tra retribuzione del lavoratore e risultati aziendali, e neppure lo strumento potenzialmente adatto per fermare il declino della produttività italiana. È un’ulteriore occasione persa per indirizzare il nostro paese su un sentiero di crescita virtuosa.
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I risultati di uno studio comparato condotto fra Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Spagna e Polonia. L'analisi si è concentrata sulle pressioni che sugli assetti nazionali esercitano oggi i tre principali agenti delle relazioni industriali: multinazionali, migrazioni, organizzazioni internazionali. La conclusione è che non esiste ancora un unico modello sociale europeo, sebbene vi sia una tendenza comune all'indebolimento dei sindacati e alla convergenza in termini di decentramento e individualizzazione contrattuale. Istituzioni e scambio politico resistono tuttavia a soluzioni estreme.
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Il "Tema" di questo numero dei QRS propone una serie di saggi che cercano di fornire elementi e riflessioni plurali e sfaccettate su vari aspetti delle relazioni sindacali nel lavoro pubblico, nella congiuntura attuale. Una introduzione generale.
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La legge delega n. 421/1993 sulla "contrattualizzazione del lavoro pubblico": un bilancio vent'anni dopo. Un excursus fra gli antefatti, il progetto, l'applicazione, gli ostacoli, l'attualità. "La sensazione oggi - scrive l'A. - è che ci troviamo di fronte a un passaggio assai difficile, tra l'eredità che quelle scelte e quelle vicende ci hanno consegnato e la necessità di individuare strade e soluzioni nuove, e che cominciare a riflettere, sia pure brevemente, sul tracciato percorso, possa aiutare a dipanare l'intricata matassa che abbiamo davanti".
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Si ripercorrono i vari passaggi attraverso cui si è compiuta quella viene considerata una demolizione del sistema delle regole, compiuta durante questa legislatura, dalla legge 150 al blocco dei contratti, alla recente legge di stabilità e alla spending review, attraverso la stagione degli accordi separati. La necessità, per l'A., di una nuova fase del lavoro pubblico, caratterizzata da un "disegno strategico di riforma, che non si limiti al mero ripristino di ciò che il Governo ha travolto, ma che ridefinisca i contenuti di una stagione di riforme che rimettano al centro il lavoro pubblico.