• L’articolo discute potenzialità e criticità degli schemi pensionistici integrativi privati in Italia. Si presentano i principali indicatori sullo sviluppo di tali schemi e alcune elaborazioni sulle performance dei fondi pensione privati e al contempo si ragiona sulle future potenzialità della previdenza integrativa nel contesto attuale in cui, da un lato, il continuo innalzamento dell’età pensionabile riduce la necessità di un’integrazione da fonte privata da parte dei lavoratori con carriere stabili e, dall’altro, vincoli di liquidità impediscono la partecipazione ai fondi pensione da parte di chi avrebbe invece bisogno di accrescere il futuro reddito da pensione, ovvero i lavoratori precari e più svantaggiati.
  • Un lavoro dipendente sempre più frammentato e invasivo, orari e contratti sempre più flessibili, certezze e diritti che si vanno riducendo, una contrattazione che si fa più difficile e complessa. E, insieme, una sinistra tesa a ricostruire un delicato rapporto tra modernizzazione e diritti nell’ambito delle sfide della competitività, con un governo - il centrodestra di questi anni - attento solo, quando parla di lavoro e di Stato sociale, ai dettami del liberismo più spinto. La crisi del modello industrialista e la globalizzazione hanno messo in discussione, dalle radici, un modo di vivere e di lavorare consolidato da decenni. E, con questo, hanno messo in crisi un modo di fare sindacato. Per Cgil, Cisl e Uil - che insieme organizzano circa undici milioni di lavoratori e pensionati - una sfida che non può essere elusa. E che, a dispetto delle distanze attuali, può essere affrontata e vinta solo nel segno dell’unità.
  • Insieme al ’69 operaio la storia della Federazione lavoratori metalmeccanici è spesso stata vittima di una ostinata quanto ingiustificata forma di oblio. Eppure l’esperienza dei metalmeccanici negli anni Settanta rappresenta il massimo traguardo di unità nel movimento sindacale italiano. Quale fu il livello reale d’unità praticata, ad ogni livello, dal nuovo sindacato? Su questi nodi indaga il libro, frutto di una lunga ricerca archivistica, che mette in luce gli aspetti originali della vicenda della FLM, collocandola sullo sfondo dei grandi movimenti sociali che hanno attraversato gli anni Settanta. La storia del processo dell’unità sindacale, conclusasi ufficialmente nel 1984, ma già in crisi con la svolta dell’Eur del 1978 e in dirittura d’arrivo dopo la sconfitta dei 35 giorni alla Fiat nell’80, si sovrappone a quella delle culture sindacali che diedero vita all’organizzazione unitaria: la cultura del conflitto della tradizione CGIL e quella dell’autonomia sindacale e della partecipazione della CISL si fusero in quella stagione in un positivo incontro, formando un’intera generazione di nuovi quadri operai e sindacali. Unica nel panorama sindacale è anche la vicenda, che si sviluppa nel suo seno,degli iscritti «unitari», cioè di quei lavoratori che aderivano alla FLM senza effettuare una scelta confederale. Si trattò di un fenomeno nazionale, ma di differente portata nelle diverse federazioni provinciali che componevano il mosaico della FLM.
  • Le intense pagine del testo, che ripercorre la storia e l’evoluzione delle Relazioni Industriali in Banca Intesa prima e nel Gruppo Intesa Sanpaolo poi, permettono al lettore di addentrarsi in una puntuale ricostruzione degli avvenimenti su base rigorosamente documentale. Lo stile asciutto della scrittura, gli eventi raccontati con passione in modo lineare e con un linguaggio comprensibile e comunicativo rendono la narrazione immediata e scorrevole. Partendo dall’analisi degli accordi e dai risultati della contrattazione nei diversi periodi di crescita, stagnazione e sviluppo, il prezioso lavoro di ricerca storica e sindacale indaga l’intreccio tra le vicende aziendali e quelle più generali del settore e del Paese, in un contesto di sconvolgenti cambiamenti giuridici, economici e tecnologici. La storia di Banca Intesa e Intesa Sanpaolo è un pezzo della storia del settore bancario italiano, capace di parlare il linguaggio della confederalità con i suoi valori della solidarietà, dell’inclusione, della dignità e dei diritti dei lavoratori. Relazioni sindacali basate sul merito, pur con interessi contrapposti, determinano il bene delle aziende e dei lavoratori, quindi del Paese. Passione e politica sono qui intesi come strumento di una razionalità storica in cui l’azione sindacale e i suoi risultati hanno sempre provato a misurarsi con un pensiero ed una filosofia di alto profilo.
  • Una riflessione in chiave storica dell'identità attuale della CGIL
  • A novant’anni dalla nascita il libro ricorda un protagonista del giornalismo, della politica, della cultura italiana del Novecento. Dal 1925 al 2003 la vita di Luigi Pintor attraversa un secolo segnato da tragedie, speranze, vittorie, sconfitte. La morte del fratello Giaime, 24 anni, in uno dei primi episodi della lotta partigiana, la Resistenza a Roma, la cattura da parte dei fascisti della banda Koch, la tortura, il carcere, la condanna a morte, la militanza comunista, il lavoro giornalistico all’«Unità», la radiazione dal Pci nel 1969, la nascita del «manifesto», su cui scriverà sino a pochi giorni dalla scomparsa. Un’esistenza spesso segnata dal dolore (la morte di entrambi i figli), mai dalla rassegnazione e dalla resa. Si batte fino all’ultimo per la dignità della persona umana, contro ogni forma di sfruttamento, contro la guerra, per una sinistra libera e aperta. La politica per Pintor ha senso solo se non si allontana dall’etica e se è in grado di cambiare i rapporti tra le persone. Maestro di giornalismo, è rimasto famoso per i corsivi e gli editoriali, brevi e fulminanti. Le parole sono preziose, sono fatti di cui assumersi la responsabilità. Lo stile è innanzitutto una questione morale. Ne sono conferma i libri scritti negli ultimi anni della sua vita: Servabo, La signora Kirchgessner, Il nespolo, I luoghi del delitto. Testi brevi, esili autobiografie. Temi privati, intimi: gli affetti, la malattia, il dolore, la morte. Testi esemplari, per discrezione e finezza letteraria.
  • Una tappa storica nella vita di un popolo, che si proietta nell’avvenire come un progresso». Così nel 1946 Giuseppe Di Vittorio si augurava dovesse diventare la Carta Costituzionale, «fondata sul lavoro», che due anni dopo, a conclusione dei lavori della Costituente, sarebbe entrata in vigore il 1° gennaio 1948. E di fronte al dramma della disoccupazione aggiungeva: «[...] La Confederazione generale del lavoro non chiede allo Stato sussidi, ma chiede che si creino condizioni tali da dare lavoro ai disoccupati». A distanza di settant’anni, di fronte a uno scenario cupo per l’occupazione, la cui precarietà si esprime in un’articolazione infinita di modelli contrattuali, incontrollati e incontrollabili, che minano il rispetto della dignità della persona umana, di ogni singolo lavoratore, è legittimo chiedersi quale forza abbiano ancora quelle disposizioni volute dai Costituenti, quanto siano state attuate e, all’estremo, se siano davvero attuabili. Insomma, se anche i giovani millennials possano davvero dire, come l’umile Mugnaio di Sans-Souci: c’è un giudice a Berlino.
  • L'articolo riflette sul modo in cui i contributi teorici e conoscitivi delle analisi di genere sono stati integrati nelle teorie e nelle proposte per un nuovo welfare. Sollecitate soprattutto dai cambiamenti nel mercato del lavoro in un contesto caratterizzato da quelli che sono stati chiamati «nuovi rischi sociali», le proposte di nuovi modelli di welfare devono anche fare i conti con i nuovi comportamenti femminili e con una crescente domanda di uguaglianza di genere. Il contributo analizza come la prospettiva di genere è stata integrata nei due approcci alla riforma del welfare più noti e dibattuti: quello dei mercati del lavoro transizionali e quello dell'investimento sociale. Segnala come entrambi, pur nelle loro differenze, mettano a fuoco la necessità di sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro piuttosto che le pari opportunità in questo e un riequilibrio nel lavoro familiare tra uomini e donne. Entrambi, inoltre, e soprattutto l'approccio dell'investimento sociale, sottovalutano sia il valore umano e sociale del lavoro di cura sia i rischi, per le donne, di tale sottovalutazione, unita a una persistente asimmetria nella sua attribuzione.
  • La considerazione secondo la quale la globalizzazione dei mercati ha stimolato la crescita di una dimensione transnazionale delle relazioni di lavoro, soprattutto di quelle collettive, riscontra un consenso unanime. Tuttavia, al momento gli studi si sono concentrati sugli aspetti giuridici specifici o sugli aspetti empirici del fenomeno. Questo saggio si pone l’obiettivo di elaborare una classificazione in tipologie (tassonomia) dei contenuti della dimensione transnazionale, all’esito della quale formulare alcune considerazioni sul ruolo che la dimensione transnazionale può svolgere nello sviluppo socialmente ed economicamente coeso dell’integrazione europea.
  • Il cofanetto raccoglie i sette volumi prodotti nell’ambito del progetto di formazione e ricerca su "La dimensione sociale della contrattazione", promosso dalla Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro) e dallo Spi (Sindacato pensionati italiani), diretto dall’Isf (Istituto superiore per la formazione). Il progetto si è proposto prioritariamente di analizzare le caratteristiche della contrattazione in relazione sia con la cittadinanza attiva, sia con il rinnovamento dello Stato sociale. I testi prodotti sono i seguenti: *Mimmo Carrieri: "Agire per accordi. La concertazione nazionale e locale" *Giancarlo Corò: "Processi produttivi, Stato sociale, modello di sviluppo" *Luigi Mariucci: "Società e istituzioni negli anni novanta" *Saul Meghnagi: "Una negoziazione complessa. Attori, metodi, conoscenze" *Alessandro Montebugnoli: "Riproduzione sociale e azione sindacale" Joerg Rappl: La mediazione civica. Un'ipotesi interpretativa dell'azione sociale" *Emilio Reyneri: "Economia, occupazione, welfare locali".