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Il volume nasce, a conclusione della ricerca su «Il potere di organizzazione del tempo di lavoro», per rendere disponibile ad un pubblico vasto le riflessioni e i materiali su quella che si è ritenuto di qualificare come flessibilità «buona», intesa nel senso di «flessibilità positiva per il lavoratore», che si determinerebbe ogniqualvolta è a lui rimessa la facoltà di modificare la prestazione lavorativa, in termini di orari e di presenza. La finalità perseguita nella più recente legislazione e contrattazione collettiva – di cui si riportano i testi – è quella di garantire ai lavoratori di ambo i sessi la possibilità di disporre, per la cura della prole e dei propri familiari e, addirittura, per motivi personali e di solidarietà sociale, di maggiori spazi temporali, tutti ovviamente liberati dall’attività lavorativa.
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È forse utile per la sua forza descrittiva cominciare dalla tabella sottostante. Essa mostra dati degli ultimi mesi relativi a una zona della Danimarca, da cui si evince come sia possibile, anche in regime di altissimi salari, conservare un saldo netto di posti di lavoro nell’ambito di una notevole mobilità e in presenza di rilevanti fenomeni di delocalizzazione. ...
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I Fondi interprofessionali per la formazione continua sono organismi gestiti congiuntamente dalle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, che finanziano piani di formazione per lavoratori occupati nelle imprese italiane, utilizzando lo 0,30% del monte salari versato all’Inps per questo scopo. Le parti sociali, in Italia e in molti paesi d’Europa, hanno scommesso sulle risorse umane come un possibile punto di sintesi tra le esigenze di competitività delle imprese e gli interessi dei lavoratori e del sindacato; sindacato che, da parte sua, intende accrescere il sapere dei lavoratori e rafforzarne il potere contrattuale in fabbrica e fuori. Questo libro vuole offrire, a tre anni dalla nascita dei Fondi, un’informazione puntuale su quello che hanno realizzato, e, presentando alcune esperienze significative che hanno visto un coinvolgimento importante del sindacato, vuole fornire strumenti utili a tutti coloro che nel sindacato stesso, nelle associazioni d’impresa, nelle imprese, nelle istituzioni, nei sistemi formativi e in altri luoghi ancora se ne dovranno occupare.
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L’articolo riassume la tesi principale del libro "Who’s afraid of the welfare state now?" (Hemerijck e Matsaganis, 2024), ovvero «Chi ha paura dello stato sociale ora?», secondo la quale siamo entrati in una nuova epoca di ampio consenso politico, fondato sull’accettazione dell’idea che robusti sistemi di protezione sociale, se ben disegnati, rendono le nostre economie più dinamiche, le nostre società più serene e le nostre democrazie più forti. Il welfare europeo ha dato un contributo importante alla gestione delle ricadute sociali della crisi finanziaria globale dei primi anni dieci e al superamento della crisi pandemica dei primi anni venti. Questo contributo ha ormai reso in larga misura obsolete le vecchie polemiche contro il welfare che imperversarono per molto tempo dopo la fine del trentennio glorioso. Oggi non stiamo più vivendo sotto il segno dell’austerità, né sotto quello della sfiducia nello Stato sociale. Nonostante ciò, le idee superate connesse alla fase dell’ascesa ultraliberista resistono per inerzia nell’immaginario collettivo. Su questo punto il nostro libro suona una nota di dissenso: con una piccola dose di iperbole, si potrebbe concludere che il welfare europeo gode di ottima salute.