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In "Pnrr. la grande abbuffata" Boeri e Perotti forniscono una diagnosi spietata degli errori che hanno caratterizzato la concezione e i primi passi del Pnrr italiano: la fretta, la scelta di far ricorso alla totalità delle risorse, l’incapacità di incastonare il Pnrr in un progetto di più lungo periodo sulla trasformazione della società italiana. Questo articolo ripercorre gli argomenti degli autori, in larga parte condivisibili, ed evidenzia alcune assenze nella loro analisi, in particolare riguardo alla coesione territoriale e alle politiche per il Mezzogiorno.
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Il contributo si concentra sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a partire dal libro di Boeri e Perotti (2023). Il Piano vuol essere un intervento di finanza pubblica europea e italiana dalle dimensioni poderose, animato dalla volontà di trasformare il futuro avviando le transizioni ecologica e digitale dell’economia, in un contesto di maggiore stabilità macroeconomica e di equità e tolleranza tra le varie diversità presenti nella popolazione. Ma se l’obiettivo è riportare l’economia italiana a crescere in una misura sufficiente a non frenare più lo sviluppo dell’intera Europa, la posta in gioco è anzitutto riuscire a spendere per intero l’immenso patrimonio dei fondi ottenuti, portando a termine le più di sessanta riforme messe in programma e le centinaia di migliaia di progetti previsti. L’obiettivo è molto ambizioso anche in ragione di alcune criticità di fondo che il contributo mette in evidenza: dalla fretta con cui è stato confezionato il Piano alla messa a punto di troppi progetti, spesso mal disegnati e dalle dimensioni eccessive; dagli ambiti di intervento, dove viene trascurata la centralità delle spese sociali, alle effettive difficoltà di gestione, soprattutto per una pubblica amministrazione di dimensioni ridotte e di età media parecchio avanzata, fino alla mancata previsione delle attività e delle spese necessarie ad assicurare nel tempo, dopo la fine del Piano, la manutenzione e gestione degli investimenti effettuati
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Il contributo si sofferma sulla posizione della Cgil in merito al disegno di legge sull’Auto-nomia differenziata. Una posizione necessariamente critica poiché per come è stato concepito aumenterà inevitabilmente i divari tra le diverse aree del paese; aggiungerà alla competizione sociale quella territoriale; frammenterà localmente le politiche pubbliche e lo farà su materie di straordinaria rilevanza strategica, a partire dalla scuola. Significa in altri termini rinun-ciare a un governo nazionale e unitario delle politiche economiche, industriali e di sviluppo del paese, a cui si aggiunge la riforma sul premierato. È l’idea della verticalizzazione dei poteri. Per contrastare tutto questo occorre dare vita a una forte coalizione anzitutto sociale e culturale che affermi un’altra idea di democrazia.
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Questo contributo approfondisce le traiettorie lavorative di madri richiedenti asilo, «ospitate» in un Centro di accoglienza straordinaria a Verona, all’interno di un progetto dedicato a madri migranti sole. Adottando una prospettiva intersezionale, il contributo ripercorre le loro narrazioni, mettendo in luce, da un lato, i loro desideri di emancipazione, dall’altro, le barriere che incontrano lungo il percorso di inserimento, soprattutto in termini di conciliazione lavoro-cura, in quanto giovani donne, migranti, con status giuridico precario e madri con figli a carico.
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Mentre consegniamo queste pagine, arrivano storie e immagini di una tragedia dai luoghi di cui si parla nel libro. Quando nelle luminose giornate di maggio intervistavamo donne palestinesi e israeliane, non potevamo immaginare che pochi mesi dopo ci saremmo trovate nel buio di un genocidio. Oltre 30.000 donne, uomini, bambine e bambini palestinesi uccisi da Israele nella striscia di Gaza, e non solo. È una storia che viene da lontano, non solo dal 7 ottobre. Una storia coloniale. In Palestina e Israele andiamo da anni, per impegno, amore forse, verso un luogo, le sue abitanti, le loro vite. Tra il 2022 e il 2024 abbiamo raccolto storie di donne palestinesi che vivono in quei territori, di israeliane, meno numerose di un tempo, che gridano la necessità di un’altra Israele, e di donne italiane che sono andate là partendo da qui, per restare una settimana o 25 anni, per tradurre in concreto parole difficili come giustizia e solidarietà. Storie che vengono da Ramallah, Gaza, Nablus, Gerusalemme, Haifa, Tel Aviv, da villaggi e città, e anche dal l’Italia. Luoghi difficili, di occupate e occupanti che condividono la ricerca comune di giustizia per sé e per il mondo. Dopo il 7 ottobre le abbiamo ricercate, a volte senza più ritrovarle. Anche oggi non rinunciano al desiderio di parlare. Sono testimonianze di un legame che vuole, ostinatamente, attraversare i confini più difficili.
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Il 9 ottobre del 1963 gli operai edili della capitale, organizzati dai sindacati confederali di categoria, rispondono con una manifestazione di protesta alla serrata decisa dall’associazione dei costruttori (il contesto storico è quello segnato dall’imminente ingresso del Psi nel primo governo di centro-sinistra). In Piazza Santi Apostoli la manifestazione, molto partecipata, viene repressa con inusitata durezza dalle forze di polizia: 500 lavoratori vengono fermati, per 33 di loro scatta l’arresto. Ci vorranno quasi trent’anni per scoprire che a ispirare (e a provocare) l’attacco della Celere ai danni degli operai edili erano stati agenti di Gladio: una sorta di prova generale in vista della progettata liquidazione per vie illegali del Pci e del movimento operaio organizzato da parte dei «poteri forti» dell’epoca. Il libro ricostruisce gli avvenimenti occorsi sessant’anni fa attraverso la voce narrante di Luciana Castellina, al tempo giovane funzionaria del Partito comunista e testimone oculare degli scontri al termine della manifestazione sindacale (fu una dei 33 edili finiti in prigione e in seguito processata e condannata): «Non una manifestazione come un’altra – ricorda oggi – ma uno dei più incredibili, illegali complotti che hanno segnato la storia del nostro Paese».
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Editoriale
- Aldo Tortorella, Occhi ridenti
- Pietro Folena, La lezione di Berlinguer per le sfide odierne e la lotta contro la guerra
- Alfonso Gianni, “Sorvegliare e punire” o della governance europea
- Massimo Cavallini, La rivolta degli studenti Usa per Gaza tra i fantasmi del ’68 e del maccartismo
- Anna Maria Merlo, Contro la destra in ascesa Macron gioca la carta della guerra
- Denis Y. Sindete, L’Africa che cerca la pace. Luci e ombre nel ruolo delle istituzioni continentali
- Maria Turchetto, Sul “tutto strutturato” della guerra e della pace capitalista
- Alberto Leiss, Il patriarcato, la violenza maschile e la violenza bellica
- Roberto Finelli, L’utopia della terza via. La lezione politica della psicoanalisi
- Andrea Ricciardi, L’eredità di Giacomo Matteotti
- Fabio Vander, Matteotti: le deformazioni di un centenario
- Guido Liguori, Il concetto di rivoluzione da Lenin a Gramsci
- Gianni Fresu, Lenin, Gramsci e il paradosso ermeneutico dell’egemonia
- Giacomo Tarascio, La questione agraria dalle «Tesi di aprile» alle «Tesi di Lione»
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Ricerca, azione sindacale e paradigma di sviluppo A cura di Daniele Di Nunzio Introduzione di Francesco Sinopoli
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I nuovi conflitti
- Il conflitto di lavoro in Italia
- Tempo e spazio del lavoro
- Per una nuova cultura del lavoro
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Quando si studiano gli scioperi in Europa negli ultimi vent’anni circa, emergono due osservazioni. In primo luogo, si registra complessivamente una tendenza sul lungo termine al ribasso. Tale diminuzione complessiva viene tuttavia «interrotta», di tanto in tanto, per via di relativi picchi nel volume degli scioperi – a esempio nel 2002, 2010 e 2019 – per lo più a causa di scioperi del settore pubblico. Inoltre, in gran parte alimentato dall’inflazione in vari paesi, un nuovo picco si è registrato nel 2022. In secondo luogo, il quadro appare più sfumato a livello dei singoli paesi. Persistono nel tempo differenze tra paesi nel volume complessivo dei conflitti (con i paesi dell’Europa centrale e orientale che si collocano a un livello molto basso), spiegate dagli scioperi su vasta scala nel settore pubblico e dagli scioperi generali, che sono particolarmente diffusi nei paesi dell’Europa meridionale, tra cui Italia e Belgio. Si consideri che, dal 2009 in poi, mancano dati ufficiali sugli scioperi in Italia.
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Circa il 70% dei lavoratori sono iscritti ai sindacati. I sindacati hanno fondi per lo sciopero ben forniti. Insieme agli ampi diritti di conflitto, ciò significa un grande potenziale per scioperi lunghi ed estesi, ma la frequenza dei conflitti in Svezia è estremamente bassa, anche dal punto di vista nordico. Spesso è sufficiente una notifica di sciopero, per esercitare pressione sui datori di lavoro. Fino agli anni ‘30 il numero di giorni lavorativi persi a causa di conflitti era tra i più alti al mondo, ma due accordi di cooperazione tra le parti del mercato del lavoro hanno cambiato la situazione: l’Accordo di Saltsjöbaden del 1938 e l’Accordo industriale del 1997. Secondo quest’ultimo, i sindacati e le associazioni dei datori di lavoro dell’industria manifatturiera fissano il «marchio» per gli aumenti salariali nell’intero mercato del lavoro.