• Fin dalla sua nascita, il sindacato ha avuto tra i propri obiettivi il controllo degli orari di lavoro per migliorare le condizioni di lavoratrici e lavoratori. Dalla seconda metà dell’Ottocento in poi nel mondo industrializzato e sviluppato la spinta alla riduzione dell’orario di lavoro è stata elemento permanente nelle strategie sindacali. Se nel XIX secolo erano normali orari di lavoro anche di 12 ore giornaliere, con l’avvento della meccanizzazione è iniziato un graduale ma costante processo di riduzione dell’orario, che nel secolo successivo ha portato – per via contrattuale o legislativa – alle 8 ore giornaliere e alle 40 ore settimanali come orario di riferimento generale. Dall’inizio degli anni '80, ossia da quando il pensiero neoliberista orienta le politiche economiche a livello globale, la tendenza a ridurre l’orario di lavoro si è bloccata, come pure la spinta dei governi a tenere la piena occupazione al centro dei propri obiettivi. Il libro di Fausto Durante mette in relazione il tema dell’orario di lavoro con la crisi provocata dal Covid-19, le sfide poste dal cambiamento climatico e da digitalizzazione e nuove tecnologie industriali, la necessità di costruire una società e un’economia diverse dal passato. L’insieme di questi elementi spinge in direzione di un nuovo impegno per la riduzione dell'orario di lavoro, con vantaggi per la produttività, l'economia, l'equilibrio tra vita e lavoro. Lo dimostrano le tante esperienze che nel mondo si stanno realizzando su spinta di governi e sindacati, così come gli accordi in tante imprese, di cui questo testo dà conto. La domanda a cui rispondere oggi è: può essere il XXI secolo il tempo dei quattro giorni e delle trentadue ore di lavoro a settimana?
  • Fin dalla sua nascita, il sindacato ha avuto tra i propri obiettivi il controllo degli orari di lavoro per migliorare le condizioni di lavoratrici e lavoratori. Dalla seconda metà dell’Ottocento in poi nel mondo industrializzato e sviluppato la spinta alla riduzione dell’orario di lavoro è stata elemento permanente nelle strategie sindacali. Se nel XIX secolo erano normali orari di lavoro anche di 12 ore giornaliere, con l’avvento della meccanizzazione è iniziato un graduale ma costante processo di riduzione dell’orario, che nel secolo successivo ha portato – per via contrattuale o legislativa – alle 8 ore giornaliere e alle 40 ore settimanali come orario di riferimento generale. Dall’inizio degli anni '80, ossia da quando il pensiero neoliberista orienta le politiche economiche a livello globale, la tendenza a ridurre l’orario di lavoro si è bloccata, come pure la spinta dei governi a tenere la piena occupazione al centro dei propri obiettivi. Il libro di Fausto Durante mette in relazione il tema dell’orario di lavoro con la crisi provocata dal Covid-19, le sfide poste dal cambiamento climatico e da digitalizzazione e nuove tecnologie industriali, la necessità di costruire una società e un’economia diverse dal passato. L’insieme di questi elementi spinge in direzione di un nuovo impegno per la riduzione dell'orario di lavoro, con vantaggi per la produttività, l'economia, l'equilibrio tra vita e lavoro. Lo dimostrano le tante esperienze che nel mondo si stanno realizzando su spinta di governi e sindacati, così come gli accordi in tante imprese, di cui questo testo dà conto. La domanda a cui rispondere oggi è: può essere il XXI secolo il tempo dei quattro giorni e delle trentadue ore di lavoro a settimana?
  • I call-contact center, oggi diffusi in tutti i paesi industrializzati, rappresentano un campo di osservazione privilegiato. Il paper si propone di entrare nel merito del dibattito sociologico sul lavoro nei call center, sui processi organizzativi al loro interno, sulle condizioni di lavoro degli operatori, sulle strategie di reclutamento e gestione dei lavoratori e, più in generale, sul loro impatto nei processi di riorganizzazione della cosiddetta economia della conoscenza. I dati di una ricerca in Calabria
  • Il volume racconta il lavoro nei call centres in una prospettiva comparativa europea. Il quadro che emerge è certo più complesso di quello presentato dalle cronache dei giornali. Sono presenti infatti in questo segmento di mercato del lavoro un’ampia varietà di skills, forme organizzative, pratiche di lavoro, forme contrattuali. Anche i diversi profili professionali mutano in relazione alle attività svolte nel call centre: "numeroverdisti", intervistatori telefonici, televenditori, addetti all’assistenza clienti, addetti al recupero crediti, consulenti finanziari e, in prospettiva, sempre più web call centres operators. Sebbene i numerosi call centres diffusi nei diversi paesi europei presentino un alto tasso di diversificazione, alcune problematiche e aspetti critici mostrano una non casuale ricorrenza. Dall’alto indice di presenza femminile che rischia di configurare una nuova forma di segregazione femminile, all’uso di una flessibilità sfrenata, a un elevato turn over. La serialità del lavoro, lo stress e l’assenza di prospettive di carriera sono i motivi che, più frequentemente, spingono i lavoratori ad andarsene, rendendo ancora più difficile la presenza e l’esercizio di azioni di tutela da parte del sindacato. La complessità di tale contesto di riferimento offre l’occasione per proporre delle linee guida che orientino l’azione del sindacato all’interno di questi ambienti di lavoro. Se ne deduce così che il sindacato dovrebbe adottare strategie innovative che, combinando le tecniche tradizionali con i moderni strumenti di marketing, possano rispondere alle esigenze dei lavoratori delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
  • I settori del commercio e del turismo sono soggetti a continue trasformazioni provocate dai cambiamenti nelle abitudini sociali, dalle innovazioni tecnologiche, dalla competizione intensa tra le aziende. Questi settori sono caratterizzati da una crescente flessibilità che interessa l’intero processo produttivo e che si afferma in maniera paradigmatica rispetto a quanto accade nel mondo del lavoro contemporaneo. La ricerca analizza le condizioni di lavoro nel commercio e nel turismo (alberghi e ristorazione) alla luce delle trasformazioni in atto, per contribuire alla definizione delle strategie sindacali per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Le dinamiche occupazionali, l’organizzazione del lavoro, i fattori di rischio, l’andamento degli infortuni e delle malattie professionali sono analizzati a livello nazionale ed europeo. Per meglio comprendere le difficoltà presenti nei luoghi di lavoro sono state approfondite le opinioni e le proposte dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza. La ricerca mostra che per migliorare le condizioni di salute e sicurezza è necessario intervenire sull’organizzazione complessiva del lavoro, contrastando la sua crescente frammentazione e la riduzione del potere negoziale, valorizzando la partecipazione e la formazione delle rappresentanze sindacali e l’inclusione dei lavoratori nei sistemi di prevenzione.
  • Il presente contributo presenta alcuni risultati di un’ampia ricerca promossa dalla Fiom Cgil che ha esplorato la percezione dei lavoratori rispetto all’impatto sulle condizioni di lavoro e sugli spazi di partecipazione dell’introduzione del modello World Class Manufacturing (Wcm) negli stabilimenti del gruppo Fca-Cnh. Si mostra come, nel modello di produzione snella implementato da Fca-Cnh, le logiche di intensificazione del lavoro tendano a predominare sull’attenzione per i miglioramenti ergonomici e della sicurezza, sulle logiche di empowerment dei lavoratori e sulle pratiche di partecipazione. Questa tendenza non è tanto il risultato di una scorretta o distorta applicazione del modello Wcm, quanto piuttosto il frutto di una tensione intrinseca ai modelli lean, che origina dagli imperativi organizzativi tra loro contrastanti, e del modo in cui queste tensioni vengono accomodate dal management in ogni specifico contesto aziendale.
  • I cambiamenti nella struttura e negli obiettivi che hanno caratterizzato il settore bancario hanno importanti ricadute sulle condizioni di lavoro, i livelli di soddisfazione e le aspettative dei lavoratori del comparto. A partire dalla discussione dei risultati di una indagine condotta su 400 lavoratori della regione Toscana, il paper evidenzia il progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro e un abbassamento dei livelli generali di soddisfazione con importanti differenze legate soprattutto all’anzianità di servizio.
  • Il settore della salute, già sotto pressione, ha visto amplificarsi le sue criticità con la pandemia. Sono emerse fragilità sistemiche come la carenza di personale, l’assenza di investimenti tecnologici e la desertificazione dei servizi territoriali. Tuttavia, è stato il lavoro degli operatori sanitari a garantire la tenuta del sistema. Oggi si evidenziano disuguaglianze di genere nei ruoli dirigenziali e retributivi, oltre a un’inadeguatezza del sistema contrattuale, che penalizza l’evoluzione professionale e la multidisciplinarità. La frammentazione tra pubblico e privato, con salari e condizioni diseguali, amplifica il problema. È urgente ripensare il modello sanitario: non più basato sulla prestazione ma sugli esiti di salute, con un approccio integrato che valorizzi il lavoro come pilastro del sistema. Occorrono investimenti in formazione e aggiornamento, una contrattazione più equa e regole che pongano il lavoro al centro del progetto di salute per la comunità.
  • Lo Stato come datore di lavoro di ultima istanza torna come ipotesi nel dibattito politico e accademico. Negli Stati Uniti le proposte di Lavoro garantito pubblico e il Green New Deal, che prevede lavoro garantito pubblico, hanno suscitato grande interesse. Di cosa parliamo? Della possibilità e necessità di intervenire, creando lavoro, in ambiti quali l’adattamento e la lotta al cambiamento climatico e il lavoro di cura in società avanzate e complesse come quelle occidentali. Si tratta di ipotesi sensate? Ce ne sarebbe bisogno negli Stati Uniti? E nell’Italia del «Reddito di cittadinanza»? Forse, se è vero che in tutto l’Oc cidente aumentano le diseguaglianze e il lavoro viene pagato sempre meno. Lavorare tutti? ricostruisce le proposte americane di lavoro ga ran tito e il dibattito accademico e politico che hanno suscitato, ricorda le esperienze precedenti dal New Deal in poi, offre una fotografia della società americana, delle sue diseguaglianze, dei suoi ritardi, dei milioni rimasti indietro. Divisioni e diseguaglianze spiegano tanto la vittoria di Trump quanto la popolarità di figure come Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. Spostando poi il fuoco sulla situazione italiana, il volume, arricchito da una introduzione teorica di Laura Pennacchi, prova a fare alcune ipotesi su un’idea di lavoro garantito a partire da un quadro del mercato del lavoro e dei bisogni insoddisfatti del nostro paese.
  • Già in Labor in the Global Digital Economy del 2014, Ursula Huws descriveva gli effetti della globalizzazione e della standardizzazione del lavoro e della conoscenza come un processo di trasformazione spaziale e temporale: «Lo spostamento di posti di lavoro verso le persone, e di persone verso i posti di lavoro». La rapida diffusione delle piattaforme digitali realizza una ulteriore e urgente accelerazione di quel processo e la mutazione di un lavoro mai così informale e precario. Nel perdurante vuoto regolativo la sostenibilità del lavoro digitale può trovare risposta solo nel vecchio adagio del contropotere collettivo, che l'Autore analizza attraverso le strategie organizzative innovative messe in atto da nuovi fenomeni sindacali così come dal sindacato tradizionale.
  • In un mondo del lavoro funestato dal coronavirus, è abituale concentrare l’attenzione su obblighi e responsabilità delle imprese. Eppure, più che mai, è oggi indispensabile porre in luce anche la posizione di garanzia dei lavoratori così come degli Rls. Non v’è adempimento, tra gli obblighi previsti dall’art. 20 d.lgs. n. 81/2008 a carico dei lavoratori, che non assuma rilievo nella prevenzione anticoronavirus: dall’utilizzo in modo appropriato dei dispositivi di protezione messi a loro disposizione all’immediata segnalazione di qualsiasi eventuale condizione di pericolo. Ma la responsabilità può gravare non necessariamente sul datore di lavoro, bensì anche o soltanto su altri garanti della sicurezza quali un dirigente, l’Rspp, il medico competente, e non escluso lo stesso lavoratore inadempiente agli obblighi contemplati dall’articolo.