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Crisi del welfare e crisi del lavoro, dal fordismo alla Grande Recessione: un’ottica di classe e di genere
Nelle pagine che seguono proveremo a impostare un discorso – sicuramente parziale – sull’intervento dello Stato in economia e la natura del welfare state. Discuteremo, in particolare, le proposte di introduzione di un reddito di esistenza e di riduzione di orario di lavoro, mettendole a confronto con una prospettiva incentrata invece sulla socializzazione dell’investimento e su un piano del lavoro, in un’ottica orientata ad una piena occupazione degna di questo nome. Nel nostro ragionamento, che muoverà sullo sfondo della dinamica capitalistica dal «fordismo» al neoliberismo e alla crisi attuale, ci muoveremo integrando la questione di classe con quella di genere.
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Regole fiscali e democrazia europea: un tornante cruciale nello sviluppo dell’Unione
Il testo approfondisce quattro temi: Quale è la caratteristica tecnica generale della governance fiscale europea? Quale è il ruolo della visione tedesca in questa governance? Quali è la natura e quali i limiti di una regola fiscale, esterna (al processo democratico) e di natura numerica? Come si presenta in questo momento il focus della costruzione europea? In conclusione, l’autore ripropone i punti cruciali sui quali, a suo avviso, far leva per costruire un nuovo focus idoneo a ridare prospettiva e respiro al progetto europeo: la banca centrale europea deve essere pronta ad agire come prestatore di ultima istanza, quando il panico degli investitori mette a rischio il funzionamento dei mercati finanziari; il Fiscal compact deve essere modificato, compattando le politiche di bilancio su una nuova linea che tenga fuori dall’equilibrio di bilancio le spese di investimento, cofinanziate e comunitariamente certificate, e le nettizzi dal calcolo del pareggio strutturale (Mto).
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Mercatizzazione e insufficienza del mercato
Siamo nel mezzo di una grande ondata di mercatizzazione, che sradica non solo vecchie pratiche residuali, ma lo stesso welfare state, le idee dei diritti dei lavoratori e altri aspetti dei compromessi sociali che hanno dato alla seconda parte del ventesimo secolo il suo carattere distintivo. Quali risultati produce questo processo e quali danni provoca? Per approfondire la questione l’autore esamina alcuni dei più rilevanti punti di confronto tra i mercati e altre istituzioni, a cominciare dalla Fiducia e dalla Moralità. La conclusione cui giunge Colin Crouch è che il processo di mercatizzazione deve essere accompagnato o rapidamente seguito da nuove istituzioni che correggano le sue stesse insufficienze e tutelino quei valori che sono considerati importanti ma che verosimilmente il mercato nella peggiore delle ipotesi danneggerà (come la fiducia e la sicurezza) e nella migliore relegherà ai margini, se non può commercializzarli.
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Cosa cambia nell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee)
Nei primi quindici anni di vita l’Isee («Indicatore della situazione economica equivalente»), che misura con criteri oggettivi la ricchezza reddituale e patrimoniale delle famiglie (la prova dei mezzi), ha mostrato evidenti limiti applicativi dovuti a cause interne (le regole di calcolo dell’indicatore) ed esterne (elevata evasione dell’imposizione sui redditi, autodichiarazione dei dati che contribuiscono al calcolo ed assenza di controlli tempestivi e sistematici). Con il Regolamento (Dpcm n. 159 del 5 dicembre 2013) l’Isee è stato completamente revisionato sia nelle regole di calcolo che nelle modalità di esecuzione dei controlli. Il nuovo Regolamento contiene una definizione più equa degli elementi che contribuiscono a determinare reddito e patrimonio ed avvia interventi informatici per eliminare l’evasione, cosiddetta «involontaria», dovuta all’autodichiarazione e per ridurre quella «volontaria», relativa soprattutto alla componente patrimoniale. Il principale punto critico dell’Isee in futuro resterà l’evasione fiscale in quanto con poche migliaia di euro di reddito non dichiarato questo assume valori molto più bassi.
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Fisco e welfare locale nella crisi
Nella crisi le risposte degli enti locali si sono allineate a quelle nazionali (ed europee), nel solco del pensiero liberista, che ha trovato nel rigore dei conti l’unica soluzione possibile, frustrando un mondo del lavoro già in difficoltà e senza prendere in considerazione cambi di paradigma che puntassero sul lavoro, sui servizi e sugli investimenti, anche locali. Se consideriamo il taglio del welfare locale e l’aumento dei costi di compartecipazione, che una patrimoniale è stata trasformata in service tax e spostata in parte sugli inquilini, che il costo dei servizi indivisibili dei comuni dovrà essere coperto esclusivamente dai relativi tributi, e che il resto delle entrate comunali è costituito dall’addizionale Irpef in gran parte pagata da dipendenti e pensionati, giungiamo alla conclusione che in una crisi straordinaria ci si è appiattiti su soluzioni ordinarie, che ne hanno aggravato gli effetti specie per le categorie che già ne risentivano maggiormente.
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Riformabilità o irriformabilità del capitalismo? Un confronto tra Colin Crouch e Wolfgang Streeck
I due libri vengono discussi a partire dalla cruciale questione della «riformabilità» o «irriformabilità» del capitalismo e della validità o meno dell’approccio ricostruttivo della «variety of capitalism», con la connessa possibilità o impossibilità di riferirsi a una pluralità di «tipi di capitalismo». Streeck pensa che sia in atto un processo travolgente e inarrestabile di «convergenza» delle economie di tutto il mondo – ma in particolare di quelle sviluppate – verso un modello unico, quello neoliberistico anglosassone, il che toglie validità all’approccio della «variety of capitalism» e, soprattutto, rende difficile al limite dell’impossibile ogni opzione di riformabilità del capitalismo. Crouch, invece, crede nella riformabilità del capitalismo e nella persistente pluralità dei «tipi di capitalismo», tanto più complessa se si considera l’articolazione che tale varietà assume nei paesi al di fuori dell’area occidentale dove si affermano anche inquietanti forme di modernità illiberale e una molteplicità di nazionalismi (quello russo, quello cinese, quello indiano, quello brasiliano, quello arabo). Su questa base rilancia alla grande l’obiettivo ambizioso della «riforma del capitalismo», con accenti che richiamano il Keynes che negli anni trenta individua al centro del nuovo liberalismo, con cui sostituire il vecchio, le azioni umane non determinate dal profitto e dunque il lavoro fonte di un nuovo umanesimo.
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Ma il socialismo europeo non è (comunque) neoliberale
L’autore parte da una considerazione assai positiva del lavoro di Colin Crouch, specie per quanto riguarda la serie di argomentazioni che confutano la superiorità della varietà di capitalismo nordamericana e anglosassone rispetto a quella europea influenzata da sindacati forti e partiti di estrazione socialista democratica. L’autore poi rileva che Crouch, però, non trae dal suo ragionamento tutte le conseguenze utili per la sinistra democratica europea. Ad esempio, Crouch sembra postulare che, anche se la sinistra europea deve liberarsi dell’eredità blairiana, essa è ormai comunque neoliberale (anche se progressista). L’autore elenca una serie di ragioni storico-critiche, teoriche e metodologiche per cui invece è vitale riprendere il cammino del socialismo europeo. Per quanto in modo ovviamente fortemente rinnovato.
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Disuguaglianze e democrazia economica
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Luoghi comuni e distorsioni insidiose nel dibattito sulla sanità pubblica
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Il diritto alla salute nei sistemi socio-sanitari europei. La tragedia greca
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Prevenzione della corruzione e trasparenza in sanità
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